Il lavoro delle donne nella produzione della pasta

 

Nel Settecento, padre Labat, nota che non tutti i formati di pasta vengono fatti a macchina. Ad esempio, i cosiddetti millefanti (pasta fine) sono fatti a mano. Ve ne sono di tutti i tipi: simili a piselli, fagioli, noccioli di arance o semi di zucca. Questo tipo di pasta è ben accetta a corte, tanto che il Venerdì Santo la famiglia reale consumava i millefanti. La tradizione, tuttavia, nel 1767, era ormai superata. Questo tipo di pasta figurata era realizzata da personale femminile. Padre Labat, ci riporta che questa pastina, a forma di pesce, veniva realizzata anche all’interno dei conventi. Facendola, le religiose in clausura potevano rompere il voto del silenzio e chiacchierare.

Anche altri formati, ma sempre dalla forma impossibile da produrre con il torchio (sferica, cilindrica, a stella, ecc.), venivano fatti a mano dalle donne. A quel tempo, ad esse era riconosciuta un’abilità particolare nell’esecuzione. Durante una fiera del settore manifatturiero a Bari, nel 1841, un giornalista loda, per l’esecuzione della pasta, le suore di clausura del monastero di Acquaviva. Descrive la loro fantasia, come per i cavatelli, cannoncetti, ritortini, e gnocchetti.

In realtà, questo tipo di attività esisteva già nel medioevo. Era, chiaramente, in aperta concorrenza con i pastai, ma ben tollerata, perché autorizzata dal governo, con facilitazioni e meno tasse sul prodotto dei monasteri. Solo nel 1665, a Napoli. Venne pubblicato un bando che vietava questo tipo di concorrenza, ma senza essere messo molto in pratica. Superato il bando, riprese la rivalità.

La vera rivalità stava nel rapporto di subordinazione delle donne agli uomini. Se nel medioevo il ruolo importante femminile nella produzione della pasta, si doveva al fatto che questa era considerata un’attività “domestica”. Quando il settore si ampliò con la meccanizzazione, le donne, pian piano, cominciarono ad essere messe in disparte. Certamente perché la nuova strumentazione era molto faticosa da usare; ma fu solo un fatto di maggiore forza fisica? No: fu un problema di specializzazione in un mestiere che andava complicandosi. Il prefetto Chabrol, funzionario napoleonico della Liguria, in un testo accenna al lavoro nei pastifici di Portomaurizio (Imperia) e di Savona. Scrive che la lavorazione era eseguita da una squadra di cinque persone: due uomini e tre donne, queste ultime pagate molto meno dei colleghi. Negli stabilimenti il personale femminile si occupava della preparazione delle materie prime, del lavaggio del grano, della stacciatura della semola, della fattura manuale di alcuni formati e della essicazione della pasta.

Lo staccio, ci riporta Lalande, era formato da maglie di varie dimensioni, con cui setacciare la semola, almeno per cinque o sei volte. Appeso al soffitto non doveva essere sostenuto con la forza. Per questo era ritenuto, come gli altri esempi citati, un compito adatto alle donne. Quando, nel napoletano, si resero conto (prima di tutti gli altri) dell’importanza dell’essicazione della pasta, il compito divenne maschile.

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