Pietro Bembo – Con le sue Prose ritrovate fondò la lingua italiana

 

 

Il suo nome sfugge a chi non ha dimestichezza con i Classici. Pietro Bembo era un grande umanista, per l’appunto conoscitore dei classici latini, la cui figura è delineata nel nuovo libro della Collana “Scritture e libri del Medioevo” edita da Viella. Titolo: “Bembo ritrovato: il postillato autografo delle prose”. Autore: A. Bertolo. A riprendere il titolo vero del libro ritrovato, leggiamo: «Prose di messer Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al cardinale de’ Medici che poi è stato creato a sommo pontefice e detto papa Clemente VII divise in tre libri». Chissà, dunque, chi avrà il coraggio di continuare il nostro pur breve articolo per scoprire, come abbiamo fatto noi, questo lavoro realizzato su di un testo fondamentale da tre brillanti studiosi: un bibliologo, un paleografo e un filologo. Si tratta della prima edizione (stampata a Venezia nel 1525) delle Prose riguardanti la “volgar lingua”, ovverosia l’Italiano, quella lingua che stiamo usando per scrivere. Su quell’opera fu fondato l’italiano letterario e il modello che Pietro Bembo propose fu quello delle cosiddette «tre corone» (d’alloro naturalmente), meglio sarebbe dire «due corone + una». Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Il terzo, Dante, usava secondo il cardinale Bembo un linguaggio un po’ troppo popolare. Tre toscani, comunque, ecco perché la lingua fiorentina del trecento si affermò come lingua condivisa in Italia a scapito dell’altra lingua parlata alla corte di Federico II nel Sud d’Italia.

L’originale dell’opera giunto ai nostri giorni, è stato ben conservato nella biblioteca di un collezionista privato di testi antichi, e riporta in copertina, inciso in oro sulla rilegatura in marocchino rosso, lo stemma araldico di Bembo. Il bibliofilo aveva acquistato il volume negli anni Cinquanta presso un libraio antiquario la cui copia era pervenuta dagli eredi Foscarini, costretti a vendere nell’Ottocento il loro patrimonio librario. Era il prezioso acquisto fatto due secoli prima da Marco Foscarini, ambasciatore a Roma e futuro doge di Venezia. Ecco dunque ricostruito a ritroso il percorso del libro che Bembo aveva stampato, come s’è detto, a Venezia nel 1525 e che aveva lasciato in eredità al «suo fedele discepolo ed esecutore testamentario», Carlo Gualteruzzi. La scoperta più importante sono oggi le postille autografe di Bembo, poste ai margini del testo, perché i bibliofili i libri li custodiscono amorevolmente, ma sono gli studiosi che li esaminano e li riportano a nuova vita. Attraverso la ricostruzione filologica è possibile capire anche il metodo di lavoro dell’autore. Si comprende perciò che il grande umanista Bembo continuò ad annotare considerazioni per vent’anni dopo l’uscita del famoso libro, fino alla sua morte avvenuta a Roma nel 1547. In una seconda edizione delle Prose, parte di tali annotazioni furono inglobate nel testo a stampa, ma nell’originale si vedono quelle altre cancellate con un tratto di penna oppure ripetutamente corrette. Oggi anche le note non trascritte sono tornate alla luce grazie a quel testo, con chiose autografe, che permette di leggere le Prose come l’autore avrebbe pubblicato in una nuova edizione che non avvenne mai per mano sua, bensì di altri.

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PIETRO BEMBO (Venezia, 20 maggio 1470 – Roma, 18 gennaio 1547) è stato un cardinale, scrittore, grammatico, traduttore e umanista italiano. Contribuì potentemente alla diffusione in Italia e all’estero del modello poetico petrarchista. Le sue idee furono inoltre decisive nella formazione musicale dello stile madrigale nel XVI secolo. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA LETTURA (CORRIERE DELLA SERA)

Stelline a cinque punte e mezzelune: i segreti di Bembo

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