Il trionfo del timballo all’apice della cucina italiana

 

Sontuoso timballo, descritto nel famoso romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.

 

Nel XVIII secolo il timballo di maccheroni in Italia non era stato ancora inventato, anche se esisteva qualche ricetta del genere in precedenza. Nella fantasia di allora esistevano, comunque, diversi modi di mangiare i maccheroni, in variante paté o farcia.
Padre Labat scoprì, con grande sorpresa, in Sicilia, il paté di maccheroni, molto simile al timballo, descrivendone attentamente la fattura. Crisci, invece, ne segnalò l’uso come farcia di calzoni preparati con pasta da pizza e cotti al forno. Antonio Latini ci riporta di un gallo disossato con un ripieno di pasticcio di maccheroni, definibile come un paté d’uso a Napoli.
Nella grande cucina napoletana, Vincenzo Corrado, nel suo libro, Cuoco galante, presenta diverse ricette di timballi e sartù, come i maccheroni alla Pompadour, favorita di Luigi XV di Francia. Il termine sartù deriva proprio dal francese Surtout (una decorazione di centrotavola). Propone, inoltre, una sua ricetta, che prevede una base di pasta sfoglia con sopra un pasticcio di maccheroni. Il tutto da cuocere in forno.
Giovanni Vialardi e Francesco Chapusot, altri cuochi del periodo, ma del Nord, presentano nel loro ricettario numerosi piatti di pasta, in particolare timballi di maccheroni. Essendo piemontesi, creano la ricetta del timballo di taglierini alla monglas, che era una salsa francese.
Nel XIX secolo, nell’Italia risorgimentale e in Francia, dall’Impero alla Restaurazione, il timballo rappresenta l’apice della cucina italiana. Il cuoco francese Antonin Carême, si rifà intensamente ad essa. Tesse le lodi della pasta italiana, insuperabile, come qualità superiore, aspetto e tenuta di cottura. Molti sono i notabili che la consumano volentieri, come Dumas, Rossini e Grimond de la Reynière.

About the author: Experiences