La pasta ed i viaggiatori in Italia tra XVII e XVIII secolo

 

I viaggiatori stranieri, che visitano l’Italia, nel XVII e XVIII secolo, oltre ai monumenti, annotano sui loro diari l’amore per la pasta degli italiani, cibo prevalentemente locale e popolare, evidentemente già molto diffuso. A Sanremo, Padre Giambattista Labat mangia per la prima volta la pasta di Genova, già rinomata. Il piatto non gli piace molto, ma annota l’esperienza e soprattutto si guarda intorno. Anche un altro viaggiatore, Jouvin de Rochefort, è colpito dall’attaccamento e dal particolare modo di dire popolare: ”Maccheroni bene mio”.
La pasta secca ha come vantaggio di essere pronta all’uso. sia per quanto riguarda la semplicità della preparazione, ma anche, essendo secca, per la possibilità di approntare un pasto su due piedi.. facendo fronte ad ogni evenienza. A testimoniarlo è Giacomo Casanova, celebre personaggio del ‘700 veneziano. Egli ci racconta come, in compagnia di una bellissima donna, in un viaggio da Firenze a Bologna, arrivò di notte ad una sperduta locanda. Essendo ora tarda, l’oste non aveva da offrire loro da mangiare. Casanova, non perdendosi d’animo, gli ordinò di preparare un piatto di maccheroni secchi, che fece poi condire con burro, uova e parmigiano. Sempre verso la fine del XVIII secolo, Il prete, Felice Libera, in uno scritto di cucina descrive alcune ricette di pasta. La particolarità è che compone il testo in Trentino. Se ne desume l’incredibile diffusione della pasta, pur inventata al Sud, in ogni zona d’Italia.

Questo accadeva al Nord. A Napoli, invece, il consumo della pasta era così ampio da essere cibo diffuso ed essenziale per la popolazione. Ce lo attesta Jérôme de Lalande, viaggiatore francese, nel 1765-66. Tuttavia, la pasta secca, pur avendo un costo basso e conveniente, non era ancora diffusa in maniera totale. Le persone in condizioni miserabili continuavano la loro vita di sopravvivenza. Basti pensare che la pasta in brodo dei signori, per il popolo si realizzava con acqua e grasso di maiale, con sopra un po’ di formaggio grattugiato.
Goethe, forse il più importante tra i viaggiatori, tornando dalla Sicilia a Napoli, nel 1787, appunta sul suo diario, la facilità di mangiare i maccheroni. Si potevano acquistare ovunque. Sul posto la pasta viene cotta e servita con sopra del parmigiano. Scrive: Si cuociono di solito in semplice acqua e il formaggio grattugiato dà al piatto grasso e gusto”. Il luogo comune che vuole i napoletani mangiare gli spaghetti con le mani, nasce da una descrizione di Giuseppe Gorani, del 1793. Davanti a lui un popolano, che “afferra i maccheroni avvolgendoseli sulle dita con abile gesto che forestieri sanno imitare”.
Questo aspetto fece parte del folklore napoletano. Successivamente, infatti, nel XIX secolo, Andrea de Jorio, in uno dei suoi libri, trattando di Napoli, consiglia a chi vuole qualche tocco di colore pittoresco di interpellare un tavernaro, lungo la Marinella, per farsi insegnare a mangiare la pasta alla napoletana, cioè, direttamente con le mani. La popolazione napoletana in ristrettezza economica imparò a mangiare la pasta ma non molto a condirla. I piatti di pastasciutta della tradizione culinaria della città sono, infatti, semplici ed essenziali, e forse per questo più difficili da realizzare.

 

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