L’ Affaire de la ruelle: un enigmatico caso giudiziario nella Parigi d’altri tempi

Si è svolta a Mandanici una tre giorni che è diventata ormai un appuntamento annuale, giunto alla nona edizione. Relatori e pubblico (che ha partecipato con domande e osservazioni) hanno potuto confrontare molteplici punti di vista intorno ad un tema. Quest’anno si è parlato su “Il destino, il caso e la scelta. Essere ancora umani”. In attesa di una pubblicazione sistematica, Experiences anticipa uno stralcio della relazione dell’arch. Sergio Bertolami, nella quale l’autore non espone teorie, ma porta un esempio delle sue “storie marginali” per meglio esplicitare il tema del convegno. La maggior parte dei resoconti del passato si riferisce alle classi privilegiate. Al contrario, i ceti popolari, in quanto analfabeti, non hanno lasciato attestazioni dirette della propria esistenza. Chi si occupa di storia ricostruisce le vicende attraverso fonti dirette come rogiti notarili, registri parrocchiali, storie genealogiche, atti giudiziari. Fonti utilizzate anche in questa storia vera presentata in anteprima.

di Sergio Bertolami

Mi piace pensare con Arthur Schnitzler che «si cede sempre alla seduzione delle parole e si giudicano e si denominano strade, destini, uomini, per pura forza d’abitudine». La vita, sicuramente, è più complessa. Occorre capire questa complessità. Spesso ce lo permettono i resoconti del passato da cui traggo la storia vera che vorrei raccontare. Anticipa le linee essenziali del mio prossimo libro. È uno spaccato della realtà quotidiana nella Parigi del Re Sole: l’evolversi della città, le nuove esigenze dell’abitare, lo sviluppo delle relazioni sociali.
Sulla riva sinistra della Senna, nel quartiere latino cresciuto attorno alla Sorbona, c’è una antica strada, nel Seicento ormai edificata, tracciata già in epoca medievale per raggiungere alcune cave di pietra da calce. In una di queste cave, in quegli anni ancora attiva, viene gettata la chiave che determinerà il destino dei personaggi della nostra storia. Tre di loro perderanno la vita. La vicenda riguarda l’assassinio di una “dama di qualità”: 75 anni, ricca, colta, spensierata, influente, cugina di Jean-Baptiste Colbert.

Ho intitolato il mio intervento “L’affaire de la ruelle”; ma la “ruelle” in questione non è un vicolo della città, una stradina stretta. C’è un’espressione francese, che rende bene l’idea: “coureur de ruelles”. È un instancabile collezionista di avventure amorose, frequentatore delle nobildonne e delle loro alcove. Si chiamava “ruelle”, non solo una stradina urbana, ma parimenti lo spazio tra la sponda laterale di un letto a baldacchino e il muro. Nella “ruelle” che ci interessa, la nostra “dama di qualità”, è colpita a morte da cinquanta coltellate. A questo proposito, vorrei rammentare Max Weber quando afferma che accade sempre quello che ci è proprio, quello che è “nostro”. Per usare una immagine possiamo dire: ognuno muore sul “suo” campo di battaglia, trafitto dalla “sua” freccia. Questa freccia è la risposta del destino alla “sua decisione”. Ma, c’è da chiedersi, di quale decisione è mai responsabile questa ricca signora, vittima di un criminale, o il maître della sua “maison particulière”, accusato del delitto e che da innocente perirà in carcere?

Intorno alle otto del mattino di una fredda giornata di fine novembre, Madame è trovata riversa sul letto in una pozza di sangue, assassinata durante la notte. Una piccola borsa contenente il denaro, che solitamente usa al tavolo da gioco nel corso dei suoi ricevimenti settimanali, è stata svuotata. Gli altri effetti personali, però, non sono stati rubati: il forziere è intatto, le argenterie sono al proprio posto. Tutte le porte risultano chiuse a chiave e occorre un fabbro per entrare nella camera. Il maître – ovvero il più fidato fra i domestici, da 29 anni al servizio della maison – viene trovato con in tasca un passe-partout arrugginito. Serve soltanto per aprire o chiudere il portone carrabile. A fatica, si riesce a dimostrare che apre anche la porta della stanza da letto di Madame. Solo a causa di quel passe-partout, il maître è ritenuto colpevole del delitto e incarcerato su disposizione del magistrato dello Châtelet.

L’istanza di accusa – per avere assassinato e massacrato la sua padrona – è firmata dai tre figli della signora. Il primogenito è Consigliere del Parlamento di Parigi, il secondogenito è Consigliere del Re e Tesoriere di Francia nella Generalità di Parigi, il terzogenito è Maggiore del Regimento Piedmont. 
L’accusa da parte di questo spiegamento massiccio di titolati è rivolta contro quello che sinora abbiamo chiamato maître, ma che viene identificato negli atti ufficiali come “valet-de-chambre”, ovvero valletto di camera. La difesa è affidata ad un avvocato più conosciuto come uomo di lettere che per la sua esperienza forense. Inoltre, è un autore satirico, un moralista, un fervente giansenista di Port-Royal. Persino la fama del difensore gioca a sfavore dell’accusato. 


Nel processo di primo grado il maître è condannato a morte. In appello, la pena di morte è sospesa per un anno, in attesa di nuove prove. Preventivamente dovrà subire la tortura, affinché confessi l’omicidio e indichi il nome dei suoi complici. Trasferito dalle carceri dello Châtelet a quelle del Parlamento è sottoposto al supplizio. Di lì a otto giorni, l’accusato muore in seguito alle sofferenze, sostenute con coraggio e dignità morale.
La sua estraneità all’omicidio sarà dimostrata, casualmente, quando il mese successivo un uomo viene arrestato in provincia. Trovato in possesso di un orologio di Madame, è processato. Pesano su di lui gli indizi innumerevoli raccolti dal magistrato sul luogo dell’omicidio. Dopo la sua piena confessione, l’assassino è giustiziato sulla ruota nella piazza del Municipio di Parigi.

Questa storia dimostra di non essere frutto del “caso”, né tanto meno di un “destino predeterminato”, perché non c’è niente di imponderabile negli eventi. Al contrario l’enigmatico caso giudiziario evidenzia uno spaccato sociale, incentrato sui doveri tra domestici e datori di lavoro. Una domanda è posta in evidenza nel corso del processo: un domestico dovrebbe rispondere della vita del suo padrone? Una delle ordinanze allora in vigore aveva previsto il caso e lo aveva risolto in senso affermativo.
Dibattuta nel processo è anche l’applicazione della “question”, così troviamo denominato il supplizio nei documenti giudiziari francesi. Non è oggi pensabile che una corte di giustizia possa condannare alla tortura un imputato, al fine di estorcergli una informazione o una confessione. Voltaire rimarcherà con la sua scrittura ironica qualche anno più tardi: «La tortura è il metodo migliore per rovinare un innocente debole di costituzione e per salvare un colpevole che è nato robusto».

Sarebbe limitativo considerare il destino come il risultato di una “scelta”: la scelta infame operata dall’assassino d’introdursi in una casa privata ed uccidere, oppure come la scelta calunniosa dei ricchi e potenti figli di Madame che sin dal primo momento incolpano il maître. La storia dimostra, invece, in modo inequivocabile, che il destino del fedele servitore sarebbe stato differente se sottoposto ad un sistema giudiziario più evoluto. Se ne deduce, quindi, che è la struttura sociale ad incidere sulla vita e quindi sul “destino” degli individui: nel caso specifico, l’imperfetto sistema giudiziario francese dell’epoca, come pure il complesso delle relazioni fra classi superiori e subalterne. Occorre, perciò, capire e sapere incidere sulla complessità della vita. Sosteneva Baruch Spinoza – pressoché contemporaneo dei fatti – che la libertà delle persone sta nell’affrontare il proprio destino con la certezza che quanto accade, risponde sempre a un motivo, anche se al momento potrebbe apparire del tutto incomprensibile. Alla luce dell’esempio riportato possiamo affermare, dunque, che il destino non è linearmente generato dalle scelte individuali: non esiste il “libero arbitrio”, se non all’interno del proprio contesto esistenziale.

IMMAGINE DI APERTURA: Nascita del Cosmo, Olio su tela Angela Salafia

Mandanici 6-7-8 settembre 2019 Nona edizione
San Salvatore, Museo Etnoantropologico

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