“Raccolta di memorie” di Alberto Defez: un messaggio di impegno civile

di Paolo Pantani

Sono lieto di poter recensire il libro ” Raccolta di Memorie ” di Alberto Defez, perché posso cogliere l’occasione di celebrare la  sua figura gloriosa di combattente napoletano, ebraico, democratico, antifascista e posso raccontare di Napoli e della sua Storia millenaria, sempre sottodimensionata da una autentica “asimmetria informativa” da tutte le storiografie ufficiali. Da sempre infatti ci è toccato la definizione di “città plebea”, piena di  invereconde “pulcinellate”, in tutti i nostri avvenimenti, dalle Quattro Giornate di Napoli a risalire nel tempo.

Gli esempi sono innumerevoli,  a cominciare dall’eruzione del Vesuvio del 79 D.C. . Per la prima volta si dette luogo alla prima operazione di Protezione Civile della storia attraverso le galee della flotta imperiale romana ormeggiate a Miseno e al comando di Plinio il Vecchio la quali salparono al soccorso delle popolazioni colpite. Nessuno ne ha mai parlato in questi termini. Poi passiamo a Federico II di Svevia che affermò: «Quantunque la nostra maestà sia sciolta da ogni legge, non si leva tuttavia essa al di sopra del giudizio della ragione, che è la madre del diritto». Con questa espressione Federico II di Svevia, premesso che la legittimazione della sua autorità non proveniva dalla legge, indicava nella ragione e nel diritto le frontiere entro le quali intendeva esercitare i propri poteri. Questo configura il primo esempio della separazione dei poteri di uno stato moderno: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Non solo, Federico II fu il fondatore Il 5 giugno 1224, all’età di trent’anni,  istituì con editto formale, a Napoli, la prima universitas studiorum statale, pubblica e laica della storia d’Occidente, in contrapposizione all’ateneo di Bologna, nato come aggregazione privata di studenti e docenti e poi finito sotto il controllo papale. L’università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all’affermazione di Napoli quale capitale della scienza giuridica. Napoli non era ancora la capitale del Regno, ma Federico la scelse per la sua posizione strategica e il suo già forte ruolo di polo culturale e intellettuale.

Fino a Lorenzo Valla che propugnò a Napoli nel 1440, durante il pontificato diEugenio IV, scrisse un breve testo, pubblicato solo nel 1517 e intitolato La falsa Donazione di Costantino (De falso credita et ementita Constantini donatione), ripreso poi anche da Martin Lutero nella Riforma Protestante.  In esso Valla, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostrò la falsità della Donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale la Chiesa giustificava la propria aspirazione al potere temporale: secondo questo documento, infatti, sarebbe stato lo stesso imperatore Costantino, trasferendo la sede dell’impero a Costantinopoli, a lasciare alla Chiesa il restante territorio dell’Impero romano (oggi la dimostrazione del Valla è universalmente accettata e lo scritto è datato all’VIII secolo o  addirittura IX secolo).

Sempre è presente questa  ostinata “asimmetria informativa”, eppure questo antico stato di frontiera europeo è riuscito, da solo, a contrastare l’espansionismo saraceno, con la Battaglia navale  di Ostia nell’estate dell’849, con al comando di Cesario Console,  evento che consentì anche di salvare il papato,  poi con la battaglia navale di Lepanto contro gli ottomani del 7 ottobre 1571, con la flotta armata e organizzata da Napoli con legni ed equipaggi nostri per oltre la metà della flotta, sotto le insegne congiuntamente dalle galee dell’Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia).

Si può tranquillamente affermare che abbiamo salvato l’Occidente almeno due volte, altrimenti ci saremmo tutti quanti addormentati come la Penisola Balcanica e la Grecia. Anche nelle rivolte popolari , come quella dei Lazzari contro i  francesi invasori e soprattutto con  la rivolta anti-inquisizione spagnola, testimoniata dalla lapide posta all’ingresso della Certosa di San Martino : «Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d’Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d’Europa tennero da sé lontano l’obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano e provarono anche una volta che “il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dé padroni“».

Anche la prima rivoluzione anti-imperiale, antifiscale e anti-coloniale d’Europa è stata ridotta ad una “opera buffa”, come quella di Masaniello nel 1647, eppure qui nessuna  storiografia lo paragona al suo coevo Oliver Cromwell, sempre i soliti stereotipi di “città plebea”, senza dignità e senza onore, l'”inferno napoletano” descritto in maniera ignobile dal giornalista cuneese Giorgio Bocca.

Insomma questa è la nostra storia, anche il Risorgimento ha pagine  intere di napoletani come Gugliemo Pepe e Alessandro Poerio, per i moti dei costituzionali napoletani del 1820 e per  la difesa di Venezia  contro gli austriaci nel 1848,  ad Agesilao Milano che attentò alla vita del sovrano borbonico Ferdinando II colpendolo con una baionettata durante una parata militare, per non parlare del grande Carlo Pisacane che provò a fare la cosiddetta unità d’ Italia nel 1857, appena 4 anni prima di Garibaldi, ma non aveva l’appoggio della flotta inglese e delle cancellerie europee interessate alla costruzione del Canale di Suez e che ritenevano scomoda una presenza di uno stato sovrano concorrente nell’area interessata.

Inoltre, parlando del del Brigantaggio post-unitario, fu visto come una jaquerie plebea e cafona contro la realizzazione di una “perfetta e moderna” nazione unitaria e non come giusta rivolta sociale e contadina contro i soprusi della “italietta” dei borghesi e dei galantuomini proprietari terrieri, i quali erano pure razzisti contro i meridionali, secondo le teorie dell’ orripilante veronese  Cesare Lombroso, celebrato ancora oggi con un orrido museo a Torino pieno di teste mozzate ai rivoltosi contadini meridionali post-unitari, antesignano delle nefandezze compiute dai nazisti realizzando oggettistica con reperti umani delle vittime dei campi di concentramento.

Come non vedere una similitudine nelle rivolte popolari anti-inquisizione spagnola e anti-francesi del 1799 e le Quattro Giornate di Napoli? Queste cose le ha scritte anche Maria Antonietta Macciocchi nei suoi libri pubblicati nel 1993 Cara Eleonora dedicato ad Eleonora Pimentel Fonseca, e nel 1998 con L’amante della rivoluzione, sulla figura di Luisa Sanfelice.

Concludo questa lunghissima premessa, e me ne scuso, sostenendo che verso Napoli e il Meridione d’Italia esiste, oltre alla “asimmetria informativa”, anche una “censura additiva”, verso tutto quanto riguarda la nostra storia. La “censura additiva” venne definita come concetto da Umberto Eco per quanto riguardava una sua foto che lo ritraeva in maniera non consona su un noto settimanale. Per similitudine anche tutta la nostra storia viene vista in maniera fuorviante dal 1860 in poi, dalla data della Unità di Italia. Ovviamente non propugno nessuna secessione ma spero che questo squilibrio di giudizio in una Italia a due velocità finisca al più presto e mi batto per questo. A questo punto veniamo alle Quattro Giornate di Napoli: Il volume “RACCOLTA DI MEMORIE” di Alberto Defez comprende le testimonianze dirette, finora inedite, di due ebrei napoletani, figli di padri immigrati, vittime delle Leggi Razziali.

Si tratta di “MEMORIE DI ALBERTO DEFEZ“, notissimo ingegnere edile e professore di Architettura alla “Federico II”,  e di “MEMORIE DI BRUNO HERRMANN“, compagno di studi di ingegneria di Defez, che il primo a introdurre il personal computer a Napoli. Bruno Herrmann aveva personalmente consegnato ad Alberto Defez la sua testimonianza di perseguitato razziale e Defez lo aveva rilegato in dattiloscritto insieme al suo inedito. Due straordinarie testimonianze dirette  per la comprensione di due microcosmi umani sullo sfondo della storia della persecuzione degli ebrei in Italia. 

Il Memoriale di Alberto Defez è di grandissima importanza storica in quanto testimonianza di un ebreo che da vittima delle leggi razziali a Napoli, escluso dalla scuola, a 20 anni impugna la pistola datagli dal padre e con il fratello Leo Defez partecipa attivamente ai combattimenti delle Quattro Giornate, rischiando due volte la vita. Il suo coraggio e amor patrio tuttavia non finisce qui e, dopo aver combattuto per la liberazione di Napoli dai nazifascisti, si arruola volontario, coinvolgendo il fratello ed alcuni amici, nel Battaglione San Marco,  reparto di èlites di fanti da mare della allora Regia Marina partecipando attivamente alla liberazione dell’ Italia. Un Memoriale che, specie per la parte di Defez, testimonia di grandi valori umani e ne restituisce la speranza con il suo messaggio di impegno civile, oggi più che mai necessario, per i contemporanei e i posteri.

TESTIMONIANZE DIRETTE DI DUE EBREI NAPOLETANI VITTIME DELLE LEGGI RAZZIALI
Il giorno seguente 6 febbraio 2020 alle ore 17 presso l’associazione A.D.A. – Via Portiello 3 – Somma Vesuviana, Napoli si terrà un’altra presentazione a cura dell’istituto Campano per la Storia della Resistenza e condotta dal prof. Guido D’Agostino, presidente dell’istituto

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