Ascona (Svizzera) – ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita

ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita
Ascona (Svizzera), Museo Comunale d’Arte Moderna (via Borgo 34)
20 settembre 2020 – 10 gennaio 2021

L’esposizione racconta la vicenda di due compagni di vita, pionieri dell’avanguardia del Novecento

Alexej Jawlensky, Autoritratto, 1912, Olio su cartone, 53,5 × 48,5 cm,
Wiesbaden, Museum Wiesbaden

Dal 20 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, il Museo d’Arte Moderna di Ascona (Svizzera) ospita una importante retrospettiva che approfondisce il rapporto tra Alexej Jawlensky (1864-1941) e Marianne Werefkin (1860-1938) che, individualmente e in coppia, hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell’arte nel primo Novecento.

Per la prima volta, la mostra mette a confronto queste due originali figure di artisti, attraverso 100 opere che ripercorrono le carriere di entrambi, in un arco temporale che dalla fine dell’Ottocento, giunge fino agli anni trenta del XX secolo, ponendo particolare attenzione alla loro relazione privata.

La rassegna, curata da Mara Folini, direttrice del Museo d’Arte di Ascona, è la terza e ultima tappa di un itinerario che ha toccato due delle maggiori istituzioni tedesche per l’arte espressionista, come lo Städtische Museum im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden.

Il rapporto estremamente complesso che ha legato Alexei Jawlensky e Marianne Werefkin si è sviluppato tra il 1892 e il 1921, dagli esordi a San Pietroburgo, a Monaco di Baviera (1896), città che li vide al centro del dibattito artistico internazionale dell’epoca, come fondatori della Nuova Associazione degli Artisti di Monaco (1909), premessa alla nascita del Blaue Reiter (1910) e della rivoluzionaria arte astratta del loro amico e compatriota Vassilj Kandinsky, alla quale Marianne Werefkin seppe dare fondamento teorico nei suoi scritti, fino agli anni trascorsi in Svizzera, in particolare nel borgo di Ascona, dove la stessa Werefkin fu attivissima in ambito culturale, nel partecipare alla fondazione del Museo Comunale (1922) e dell’Associazione artistica Der Grosse Bär (1924).

I due sono stati molto più di una semplice coppia d’artisti, profondamente connessi dal punto di vista emotivo: sembravano dipendenti l’uno dall’altra, compagni di vita, legati in una “relazione d’amore eroticamente platonica” (com’ebbe modo di sottolineare Lily, la moglie di Paul Klee), che in realtà nascondeva il disagio di una donna che, pur di affermarsi in un mondo declinato al maschile, decise di reprimere la sua femminilità in nome dell’arte come missione.

Il percorso espositivo segue la linea cronologica della loro liaison, iniziata nella primavera del 1892, per il tramite del loro comune maestro Ilya Repin, uno dei più importanti realisti russi, sostenitore di un’arte che emancipasse il popolo russo e “portatore” in patria del chiaroscuro di Rembrandt; Repin fu per Marianne Werefkin una figura decisiva, prima del suo trasferimento in Germania, come ne è prova il suo Autoritratto del 1893, una delle rare testimonianze di questa sua iniziale fase creativa.

Abbandonato l’ambiente russo artisticamente conservatore e limitante, la coppia si trasferisce a Monaco di Baviera nell’autunno 1896, per ricominciare su nuove basi e stimoli, affiancata da grandi personalità dell’arte quali Wassily Kandinsky, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Franz Marc, Agust Macke e altri.

È il periodo nel quale Marianne Werefkin smise di dipingere e, invece d’inseguire una personale gloria artistica, si dedicò alla promozione del talento di Jawlensky. Come scrisse lei stessa: “Cosa potrei ottenere lavorando, seppure in maniera mirabile? Qualche opera che forse non sarà male. (…) Se non dipingo e mi dedico interamente a ciò in cui credo, vedrà la luce l’unica vera opera, l’espressione della fede artistica, e per l’arte sarà una vera conquista. Per questo vale la pena di aver vissuto”.

Sono anni in cui molte artiste riflettono sulla loro identità. All’epoca, infatti, i loro contributi godevano di scarsa attenzione da parte del pubblico, poco incline a riconoscere loro una necessaria originalità e creatività.

Questo volontario esonero durò un decennio. A interromperlo fu il progressivo guastarsi del rapporto tra i due, dovuto all’ingresso di un’altra donna, la loro domestica Helena Nesnakomova, con la quale Jawlensky aveva intessuto una relazione amorosa e dalla quale nacque nel 1902 il figlio Andreas; a questo si aggiunse la scelta di Jawlensky di perseguire una nuova strada artistica, diversa da quella prospettata da Werefkin, nel suo ruolo di guida.

Ritrovata la fiducia nei suoi mezzi espressivi, nel 1906 Werefkin ricominciò a dipingere e passò a una pittura a tempera già scevra da stilemi post-impressionisti alla Van Gogh (ancora presenti invece nella pittura di Jawlensky e in quella degli amici Kandinsky e Münter), e che si richiamava invece a Gauguin e ai Nabis, nello sperimentare le tecniche più diverse – gouache, pastelli, carboncini, gessetti, penne e matite – mescolandole in campiture di colore contrastanti, verso una composizione ritmica, seriale, avvolgente e perlopiù visionaria.

Sono opere che dimostrano quanto Marianne Werefkin fosse l’antesignana di quel nuovo linguaggio espressionista che prende forma, fin dal 1907, nelle sue opere e nei suoi numerosissimi quanto febbrili schizzi, e che porta come suo contributo nei fertili soggiorni di Murnau (1908, 1909), cittadina delle Prealpi bavaresi, ricordati dalla critica come i più significativi per la svolta astratta di Kandinsky.

Nei quadri successivi al 1906 si notano tutte le peculiarità che continueranno a caratterizzare l’opera di Marianne Werefkin, come la simbolica e opprimente atmosfera di fondo (Stimmung), o gli scenari fantastici dominati da un carattere visionario e lirico. Dal punto di vista stilistico, tutti questi lavori testimoniano quanto Werefkin avesse fatta sua la lezione dei sintetisti francesi, imbastendo le sue opere in composizioni bidimensionali tendenzialmente geometriche e seriali (ellissi, file prospettiche accorciate, linearità sinuose che a volte si spezzano), grazie all’uso sapiente dell’à plat e del cloisonné, nello stile più classico di Paul Gauguin e poi dei Nabis. Esemplari a tal proposito Autunno-Scuola (1907), Birreria all’aperto (1907), Pomeriggio domenicale (1908), Il danzatore Aleksandre Sakharov (1909), I pattinatori (1911).

Quanto a Jawlensky, il suo primo decennio a Monaco aveva evidenziato quanto il colore fosse il suo mezzo espressivo per eccellenza; una cifra che lo accompagnò già nel periodo prebellico, con la serie delle pastose teste colorate che sublimerà in quelle Mistiche (dal 1914), per poi arrivare a quelle ieratiche e cupe delle Meditazioni, negli ultimi anni di vita.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, i due furono costretti a riparare nella neutrale Svizzera; dapprima a Saint Prex sul lago Lemano (1914), poi a Zurigo (1917) e infine ad Ascona (1918). Per la prima volta conobbero la povertà e vivendo di stenti e da esiliati senza patria. Rimarranno insieme per altri sei anni, nonostante le loro strade avessero ormai preso, dal punto di vista sentimentale e artistico, direzioni diverse. Jawlensky fece il grande salto verso un’astrazione lirica e mistica che culminerà infine nelle sempre più radicali, perentorie croci buie della sua tarda produzione a Wiesbaden (1921-1938), dove si era trasferito nel 1921, abbandonando Werefkin ad Ascona.

Marianne Werefkin continuerà lungo la strada di un espressionismo più radicale, nell’enfatizzare sempre più le forme in moti vorticosi, vitalistici, che coincidono con un recupero di quesiti più esistenziali e terreni, tra il visionario e l’aneddotico, per trovare infine, negli ultimi anni della sua vita, un’intima riconciliazione con il mondo, grazie al suo rinnovato interesse per l’amore francescano di cui Ascona, patria di accoglienza d’artisti, assurgerà a simbolo cosmico di una pace interiore a lungo agognata.

Chiude idealmente il percorso una sezione dedicata alle opere di Andreas Jawlensky, figlio di Alexej ed Helena Nesnakomova, che proprio in Svizzera ha trovato la sua maturità artistica, coltivata al cospetto di suo padre e di Marianne Werefkin.

La rassegna è il frutto di una felice collaborazione tra il Museo d’Arte Moderna di Ascona con lo Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden, senza dimenticare l’apporto dell’Archivio Jawlensky di Muralto e della Fondazione Marianne Werefkin di Ascona. Accompagnano la mostra tre cataloghi edizioni Prestel, in italiano, tedesco e inglese.

IMMAGINE DI APERTURAMarianne Werefkin, Autoritratto, 1910 circa, Tempera e polvere metallica su carta incollata su cartone, 51 × 34 cm, Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau München (Particolare)

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