L’attraversamento dello Stretto? Come l’amore ai tempi del colera

di Sergio Bertolami

Vi prego, non guardate il dito, godetevi la luna, perché dell’attraversamento dello Stretto ho già scritto, ma vale tornarci con qualche esempio divertente. Tra i miei amici qualcuno non vuole sentire affatto parlare di ponte. C’è chi ha messo in rilievo quanta polvere solleverebbero in città i movimenti di terra fatti in cantiere. Un altro ha posto la questione sull’intasamento del traffico, a causa dei camion che avanti e indietro trasporteranno materiali edili. Avessero evidenziato che nello Stretto c’è una faglia, in verità, mi sarei preoccupato di più. Ho anche altri amici che, a differenza dei primi, difendono a spada tratta il progetto del ponte a campata unica, battezzato nel 1971. Il prossimo anno ricorreranno cinquant’anni. I primi mi fanno pensare a chi – pur liberissimo di non volere usare il televisore perché a suo dire trasmetterebbe pessimi programmi – pretende di vietarne l’uso ai familiari e pure agli estranei. I secondi assomigliano a chi vorrebbe continuare ad accomodare il vecchio televisore, perché era un modello di ottima tecnologia italiana. Dopotutto in salotto fa ancora bella mostra di sé. Occorrerebbe solo trovare un tecnico preparato che seduta stante sostituisse le valvole. Forse bisognerebbe reperire proprio le valvole, ma su Amazon può darsi che si trovino ancora.

Ho anche un terzo gruppo di amici. Sostengono, che si potrebbe raggiungere all’angolo il centro commerciale e comprare un apparecchio di ultima generazione: magari Ultra-HD e con schermo OLED. In altre parole, per attraversare lo Stretto, amerebbero una nuova soluzione, come per esempio un tunnel. Fino a ieri, quando ne parlavano, tutti pensavano a degli sprovveduti, perché pescano un’idea solennemente bocciata, altro che nuova! Bocciata da chi? «Nel 1969 c’è stato un concorso!», mi fanno notare gli oppositori. Sono stati presentati 143 progetti: 45 ponti a una o più campate; 9 soluzioni di tunnel; 21 proposte fra ponti galleggianti, istmi, dighe o altro ancora. Rispondo: come al festival di Sanremo, uno solo è il vincitore. Gli altri sono tutti esclusi, salvo ad avere comunque successo. Nel nostro caso, il progetto vincitore è il ponte più lungo del mondo, già pronto per il cantiere. Petrolini diceva: «Ti voglio portare a vedere il cantiere… stavano tutti zitti… non cantava nessuno…». Anche questa canzone da festival non la canta nessuno. Da cinquant’anni ne intonano semplicemente il ritornello. Solo che l’innamorato della canzone ora ha cinquant’anni di più. Ma chi se lo sposa uno con cinquant’anni di più. «Ma non l’hai letto L’amore ai tempi del Colera?», mi ha ripreso un’amica. Del Coronavirus! Ho replicato. «Ma no, il romanzo di Gabriel García Márquez, che racconta i lunghi patimenti di Florentino per la bella Fermina. Ultrasettantenni coroneranno infine il loro sogno d’amore».

Macché, il problema è politico! Le ho ribattuto; usando i termini degli accaniti sostenitori del ponte sospeso. Politico, piuttosto, come l’amore tra il rampollo Montecchi e la quattordicenne Capuleti! Che ora comunque di anni ne conterebbe sessantaquattro. Tuttavia, la storia di William Shakespeare finisce male. Così paventano i miei amici, perché questa scelta del Governo di fare il tunnel è una presa in giro. Gridano: il ponte non si farà! E non si farà neppure il tunnel… e i soldi andranno al Nord. Che non si faccia niente di niente, invero, lo teme anche Gian Antonio Stella, grande stella del Corrierone della Sera che ha rispolverato un divertente fumetto della Disney con Zio Paperone, Paperino, Qui, Quo e Qua, alle prese 38 anni fa con un bislacco scienziato. Indovinate chi è lo scienziato. Uno dei miei svariati amici. Di lui oggi tutti parlano perché ha proposto il tunnel nello Stretto. Vi assicuro, in coscienza, che lo scienziato in questione non è bislacco; è uno che studia, che scrive e partecipa a convegni in tutta Italia. Lui, ai mugugni ora diventati insulti, da gran signore risponde: vivaddio c’è qualcuno che legge! Al MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per chi non ama le sigle) hanno esaminato le sue relazioni e lo hanno chiamato. Ditemi voi: al gran ballo di Corte tutti vorrebbero appioppare la propria pulzella al principe, ma lui sceglie che sia vostra figlia a calzare la scarpetta di vetro. Sai che invidia generale! Che bile!

Ora, dico io, il grande Gian Antonio Stella avrebbe potuto prendere il telefono e chiamare lo scienziato, ma ha fatto prima a digitare su Google e ripescare il fumetto di zio Paperone. Dopotutto siamo ad agosto e un po’ d’ironia non guasta. Il servizio migliore l’ha prestato, però, Tirreno Sat, televisione di Milazzo, ricorrendo una videoconferenza. Ha dato la parola allo scienziato. Questo non lo hanno fatto mica i giornaloni e giornalini italiani. I giornalini hanno preferito la smaccata irrisione. Rimane il fatto che il telefono lo potevano usare tutti. Vale per i giornalettisti e vale anche per gli altri scienziati scartati dalla kermesse: se il principe non ti ha neppure chiamato al gran ballo di Corte, telefona tu. Perciò, tu che sei un ordinario professore, uno straordinario giureconsulto, un emulo di Pico De Paperis, raccogli le carte che fino ad oggi hai prodotto e vai a Roma. Sarebbe stato meglio raccoglierle prima, ma forse fino ad ottobre potresti recuperare il debito formativo.

Ci sarebbe molto da aggiungere, ma vorrei concludere con due sole osservazioni. La prima: mi hanno proprio convinto tutte le celebrità chiamate ad avvalorare che quel ponte di 3300 metri si tiene in piedi, non svirgola al vento, ci passano sopra non solo le auto ma pure i treni (anche se le ferrovie non si sono ancora espresse) … e così via. Nondimeno, umilmente chiedo: se dovete rilasciare un certificato di “sana e robusta costituzione” a uno che non ha neppure un cenno d’influenza che bisogno c’è di fare consulti con le stelle del firmamento? Non sarà come col Coronavirus, quando tanti luminari istituzionali dicevano che potevamo dormire su sette cuscini? Seconda osservazione: uno scienziato elettrotecnico, che ha passato la vita nelle ferrovie, ne saprà qualcosina di treni, così da immaginare che possono passare attraversando una galleria? No! A lui non compete immaginare, né tantomeno scrivere o parlare! Per illuminare ci sono i luminari! Guai a far rimarcare che oggi si lavora in squadra e pure il mio iPhone (non so il vostro) non lo ha progettato Steve Jobs, ma i suoi ingegneri elettronici, i suoi designer dentro e fuori della Apple, i produttori di materiali e tecnologie d’avanguardia dentro e fuori dagli USA.

Per cui, quando mi parlano di opportunità (e me ne parlano senza retorica) ricordo sempre la storia vera di un giovanotto che aveva il padre funzionario delle ferrovie a Roccalumera. Lui studiava per geometra allo Jaci di Messina. S’è diplomato e per buona parte della vita è stato un dipendente del Genio Civile (a Reggio Calabria, a Imperia, a Genova, a Cagliari). Il geometra però studiava, studiava. Non per fare l’ingegnere, ma per tradurre (pensate un po’) i classici greci e latini. Alla fine, in quel di Stoccolma (che si trova in Svezia e non in Sicilia) si sono accorti di lui e gli hanno conferito il premio Nobel per la letteratura. Correva l’anno 1959 e quel giovanotto si chiamava Salvatore Quasimodo. Ma in questo caso si tratta di letteratura e i miti dello Stretto son fatti salvi.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Mohamed Hassan da Pixabay  

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