Siamo tutti sotto una specie di incantesimo

1/4 – Siamo tutti sotto una specie di incantesimo
2/4 – Ma è vero che, se non stai pagando, il prodotto sei tu?
3/4 – L’intelligenza artificiale sta già governando il mondo
4/4 – Come fai ad uscire da Matrix se non sai di essere in Matrix?

The Social Dilemma, è il nuovo documentario, diretto da Jeff Orlowski e prodotto da Netflix, che da qualche settimana sta facendo discutere. In un’ora e 34 minuti le piattaforme di Google, Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram, Youtube, TikTok, Reddit, sono mandate sotto processo dagli stessi soggetti che hanno contribuito a crearle. Questi “pentiti” della Silicon Valley raccontano quanto accade dietro le quinte, dibattuti fra l’autoassoluzione e il dilemma etico. The Social Dilemma è un lungometraggio divulgativo, non è affatto esaustivo rispetto ad una tematica complessa e probabilmente non lo pretende. È un prodotto diffuso da una piattaforma quale Netflix, la quale necessita anch’essa dell’attenzione del pubblico e lo fa esplicitando contenuti che ingigantiscono a tratti alcuni concetti e ne semplificano altri. D’altra parte, non è quello che fanno i media nel recensire questo documentario? A nostro avviso, il punto centrale è parlarne, per mettere a fuoco i problemi per poi tentare di trovare una soluzione.

All’inizio questi strumenti hanno creato qualcosa di meraviglioso nel mondo, erano una risorsa al servizio del bene. Ma, si chiedono gli intervistati, lo sono ancora? Perché esiste comunque un rovescio della medaglia che deve essere considerato. Il problema è che milioni di persone stanno diventando sempre più dipendenti da queste tecnologie e nessuno se lo aspettava. Chi fra noi non ha in tasca un qualche dispositivo col quale è costantemente connesso alla rete per tutto il corso della giornata? Sono quei dispositivi che hanno fatto crescere i guadagni delle grandi aziende informatiche, ma sono anche gli stessi dispositivi che potrebbero erodere il funzionamento della società. Questo in sintesi l’interrogativo che pone The Social Dilemma. Immaginiamo le fake-news: stiamo passando dall’era della informazione a quella della disinformazione. Sarebbe tuttavia semplicistico pensare che il problema sia costituito da questi strumenti. L’attenzione va piuttosto concentrata su come essi vengano usati. Occorrerà perciò riformare il settore tecnologico e in qualche modo tornare alle origini.

Oggi ognuno di noi lamenta il fatto che ci sono molte cose che non vanno nel settore tecnologico. Ovunque sentiamo dire: hanno rubato i nostri dati, esiste un legame tra salute mentale e uso dei social media, le notizie distorte potrebbero falsare il sistema elettorale o sociale. C’è, tuttavia, qualcosa dietro a questi problemi, i quali per giunta stanno emergendo tutti contemporaneamente. Cominciamo col domandarci: come funziona il sistema? Tristan Harris – già consulente etico di Google, oggi presidente e cofondatore del Center For Human Technology – butta sul tavolo la prima delle numerose questioni: pochi designer che hanno sede in California (più o meno una cinquantina) prendono decisioni che avranno un impatto su due miliardi di persone. Questi designer cominciano a pensare su cose riguardo alle quali nessuno avrebbe mai pensato. Cose apparentemente banali. Se, ad esempio, le mail in partenza devono avere un colore di sfondo differente da quelle in arrivo. Argomenti di discussione fuori dall’interesse comune, ma importanti per migliorare i software competitivi da offrire al pubblico. Non a caso Google è diventato una invidiata “macchina per fare soldi”. Le altre società cercano dal canto loro di delineare il modello imprenditoriale, per realizzare profitti di mercato. Ma c’è un prima e c’è un dopo. All’inizio dell’avventura informatica, si creavano dei prodotti che si vendevano ai clienti. Ognuno era invitato ad acquistare programmi e aggiornamenti (prima su floppy, poi su DVD). Molti semplicemente li craccavano; poi, quando i software sono stati messi in rete, hanno cominciato a scaricarli abusivamente. Oggi non accade niente di tutto questo, perché i social network rendono disponibili le proprie piattaforme gratuitamente: basta creare un account. Gli aggiornamenti dei programmi informatici si scaricano ad ogni ora del giorno e della notte in modo automatico. Dunque, occorre chiedersi: come vengono pagate queste aziende? La risposta è intuitiva, ma per renderla ancora più esplicita è stato inventato uno slogan: «Se non stai pagando il prodotto, allora il prodotto sei tu». Tutto questo è possibile, grazie ad algoritmi che gestiscono i social pensati esclusivamente per fare soldi. In altri termini, se non si pagano i prodotti usati dai clienti, sono i clienti stessi che sono venduti a coloro che pagano. Dal momento che il modello pubblicitario è sempre stato un “modo elegante” per fare i soldi, gli inserzionisti pubblicitari sono diventati i nuovi clienti. Nessuno di noi immagina dei servi della gleba o degli schiavi in catene. Chiaramente, non si vendono le persone, ma si vendono i loro dati, risponde qualcuno che si crede bene informato. Ma questi pentiti della Silicon Valley ci svelano che l’affare è molto più raffinato e complesso.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

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