Stefano Boccalini: La ragione nelle mani, un progetto che nasce dal rapporto con la Valle Camonica

Ginevra, Maison Tavel/Musée d’Art et d’Histoire
La ragione nelle mani – Una mostra di Stefano Boccalini
dal 1° aprile al 27 giugno 2021
Un progetto del Distretto Culturale della Comunità Montana di Valle Camonica vincitore del bando di arte contemporanea Italian Council e di Art for the World Europa
A cura di Adelina von Fürstenberg

di Stefano Boccalini

La realizzazione del progetto è stata resa possibile grazie al sostegno delle istituzioni che hanno creduto nel mio lavoro, a cominciare dal MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo che, attraverso l’ottava edizione dell’Italian Council, ha individuato La ragione nelle mani tra i progetti da finanziare. Non meno importante è stato il ruolo giocato dalla Comunità Montana di Valle Camonica, che ha cofinanziato il progetto e che, insieme ad ART for The World Europa, ne è stato l’ente proponente.

L’idea del progetto nasce dal rapporto che sto costruendo con la Valle Camonica a partire dal 2013: in quell’anno ero stato invitato nella valle da Giorgio Azzoni, direttore artistico di aperto_art on the border, manifestazione di arte pubblica che mette in rapporto l’arte contemporanea con il territorio camuno, promossa dalla Comunità Montana di Valle Camonica attraverso il Distretto Culturale. Ero stato invitato a partecipare a una residenza per produrre un lavoro che, ispirandosi al tema dell’acqua, riuscisse a legarsi al territorio. La residenza è durata qualche settimana, un tempo che mi ha dato l’opportunità di scoprire un luogo a me non del tutto sconosciuto ma che avevo frequentato fino a quel momento solamente da turista. Questo spostamento di sguardo è stato fondamentale, e negli anni la Valle Camonica è diventata un punto di riferimento per il mio lavoro: qui ho lavorato con varie comunità, con le istituzioni locali e con gli artigiani, con cui ho creato uno stretto rapporto di collaborazione e di scambio che mi ha permesso di produrre numerose opere.

L’energia che si è creata intorno a queste relazioni sta portando all’apertura di un Centro di Comunità per l’arte e l’artigianato della montagna. Ca’Mon, così si chiamerà questo spazio, avrà sede nel vecchio asilo in fase di ristrutturazione a Monno, un piccolo paese dell’alta valle che conta circa cinquecento abitanti. Il progetto nasce anche dal lavoro che aperto_art on the border ha portato avanti negli anni;un lavoro che, rispetto al territorio, focalizza l’attenzione sui saperi artigiani e che è stato possibile grazie alla Comunità Montana, al Comune di Monno e alla Fondazione Cariplo. Ca’Mon, di cui mi è stata affidata la direzione artistica, diventerà un centro di scambio tra saperi intellettuali e saperi manuali: ospiteremo in residenza artisti e più in generale autori e ricercatori, per attivare un confronto con il territorio e il suo patrimonio culturale materiale e immateriale. Ca’Mon non sarà solo questo, il centro diventerà anche un luogo dove le comunità potranno riconoscersi e dove sarà possibile riportare alla luce tutti i temi legati al passato, utili alla costruzione del futuro e momentaneamente messi in disparte, che qui potranno trovare le condizioni per rigenerarsi e assumere nuove forme: si apre la possibilità per un laboratorio permanente di sperimentazione e di ricerca che, a partire da una condizione locale, vuole contrapporre la cultura delle diversità e delle biodiversità all’omologazione cui tende la società contemporanea dominante. In questa logica sono già stati attivati alcuni campi sperimentali di lino e canapa, colture che in passato caratterizzavano il paesaggio della valle e che, lavorate e trasformate, entravano a far parte della quotidianità, esattamente come oggi potrebbero aprire la strada a nuove possibilità di sviluppo. Ca’Mon sarà anche un luogo di formazione, dotato di spazi adibiti a laboratorio dove lavoreranno artigiani, artisti e giovani della valle. L’obiettivo è la trasmissione dei saperi, secondo una logica di condivisione per cui le tradizioni non assumono un senso nostalgico ma diventano la porta di accesso al futuro, un “luogo” di sperimentazione per immaginare nuovi scenari.

Questo è il contesto in cui prende forma La ragione nelle mani, un progetto che si muove su due livelli, quello del linguaggio e quello dei saperi artigianali, attraverso il coinvolgimento della comunità locale. Tutti i sette manufatti che compongono l’opera complessiva intitolata La ragione nelle mani sono stati realizzati in Valle Camonica da quattro artigiani e artigiane, affiancati/e ognuno da due giovani apprendisti/e. Le “allieve” e gli “allievi” – per un totale di otto – sono stati selezionati/e attraverso un bando pubblico, promosso dalla Comunità Montana e rivolto ai giovani della valle interessati a confrontarsi con pratiche artigianali appartenenti alla tradizione camuna: la tessitura dei pezzotti, l’intreccio del legno, il ricamo e l’intaglio del legno.

La signora Gina Melotti di Monno è rimasta una delle ultime persone della valle a mantenere viva la tecnica della tessitura dei pezzotti realizzati con telai manuali, tappeti che si ottenevano riciclando indumenti lisi e non più utilizzabili, tagliati a piccole strisce poi tessute al telaio. In passato, quasi ogni famiglia in paese possedeva un telaio e Monno era rinomato per la qualità della sua produzione.

Amerino Minelli, anche lui abitante di Monno, intaglia sapientemente il legno, una tecnica antica di cui conosce i segreti. Lavorazione caratteristica di molte zone montane, l’intaglio del legno nella Valle Camonica vanta una secolare tradizione che ha lasciato traccia sia nell’ingente patrimonio storico-artistico, nella lavorazione degli altari, delle sculture e delle decorazioni sacre delle chiese barocche sia nella pratica quotidiana di contadini e pastori.

Ancora a Monno, Ester Minelli porta avanti una tradizione che non appartiene soltanto alla valle ma che si può considerare un patrimonio della cultura manuale. Tecnica di ricamo usata soprattutto per ornare tende, vestiti, biancheria per la casa, corredi nuziali, il “punto a intaglio” è un tipo di lavorazione raffinata che richiede precisione, abilità e tempo.

In Valle Camonica sono rimasti in pochi ad intrecciare il legno e una di queste persone è Alessandro Sandrini di Temù, un paese dell’alta valle. Con grande passione, Sandrini continua a realizzare cestini e gerle insieme ad altri oggetti che nel tempo sono diventati parte della sua produzione. Il legno che utilizza maggiormente è il nocciolo, un materiale che garantisce l’elasticità necessaria a questo tipo di lavorazione e che è possibile reperire sul territorio.

Queste forme artigianali, che storicamente ricoprivano una funzione di primaria importanza nel tessuto sociale e culturale della Valle, oggi faticano a resistere ai cambiamenti imposti dalla modernità, sono relegate ai margini e pochi ne conoscono ancora le antiche tecniche. Queste tecniche continuano a sopravvivere ma stentano a creare nuove economie, nuove risorse, quando invece potrebbero offrire l’opportunità a molti giovani di costruire un futuro all’interno delle proprie comunità, investendo sul territorio senza dovere per forza trasferirsi altrove per lavorare. Il senso del recupero delle tradizioni artigianali non risiede nella riproposizione di modelli non più sostenibili ma nel ripartire da quei modelli per acquisire nuove consapevolezze e spostare lo sguardo verso inedite visioni. Ripartire da una condizione locale come possibile modello di sviluppo ci permette di guardare alle “diversità” che il territorio sa esprimere, così come alla ricchezza che la condizione locale stessa offre, uno spazio progettuale dentro il quale costruire nuove forme di lavoro da contrapporre a quel sistema produttivo, omologante, che ci viene perlopiù imposto. 

Viviamo in un’epoca in cui le parole sono diventate un vero e proprio strumento di produzione e di captazione di valore economico e hanno assunto una dimensione sempre più importante all’interno del contesto sociale. Attraverso il loro uso cerco di ridare un peso specifico e un valore collettivo al linguaggio, che per me è il “luogo” dove le diversità assumono un ruolo fondamentale, diventando il mezzo con cui contrapporre al valore economico il valore “del comune”.

La ragione nelle mani ha preso il via con un laboratorio che ho condotto insieme alle operatrici della Cooperativa Sociale il Cardo di Edolo e che ha coinvolto tutti i bambini e le bambine di Monno. A loro ho raccontato il significato di circa cento parole intraducibili che sono presenti in molte lingue, parole che non possono essere tradotte perché non hanno corrispettivi in grado di rispondere alla complessità del loro significato e che possono essere quindi solamente spiegate. Le parafrasi non possono restituire la vera essenza di queste parole, molte delle quali arrivano da lingue minoritarie che a stento resistono all’uniformazione. Nel rischio della loro scomparsa vi è la cancellazione permanente della ricchezza di quella biodiversità linguistica che queste parole intraducibili hanno la capacità di esprimere in modo così efficace. Insieme ai bambini e alle bambine di Monno abbiamo scelto circa venti parole [1] che parlano del rapporto tra essere umano e natura e delle relazioni tra gli esseri umani stessi: abbiamo approfondito queste riflessioni attraverso una serie di attività, toccando vari aspetti della loro creatività. Ho poi sottoposto queste stesse parole allo sguardo degli artigiani e delle artigiane per capire con loro quali potessero essere le più adatte a essere trasformate dalle loro sapienti mani. Ne abbiamo scelte nove ­– anshim, balikwas, dadirri, friluftsliv, gurfa, ohana, orenda, sisu, ubuntu ­– che sono diventate il materiale su cui hanno lavorato insieme ai giovani apprendisti. Si è arrivati così alla realizzazione di un’opera composta da sette manufatti, che sarà presentata in mostra per la prima volta presso il Museo Tavel di Ginevra – dove sarà messa in relazione con la storia di una città che fin dai passati secoli ha mantenuto una particolare attenzione alla dimensione della parola. L’opera, inoltre, entrerà a far parte della collezione della GAMeC – Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. Il risultato di tutto questo lavoro non è rappresentato solamente dalle opere ma anche dal processo che ha portato alla loro costruzione, un processo che ha rimesso in circolo le conoscenze e le pratiche legate alla tradizione della valle con nuove prospettive e consapevolezze.


[1] Anshim, aware, ayurnamat, balikwas, cwtch, dadirri, fargin, friluftsliv, gurfa, hygge, itadakimasu, karelu, lagom, livsnjutare, mepak, naz, niksen, nunchi, ohana, orenda, sisu, ubuntu.

Mani che intagliano il legno

Nove parole scelte

ANSHIM (coreano) – Avere l’anima in pace. Sentirsi in armonia con sé stessi e con il mondo. La sensazione che si prova quando si raggiunge un certo tipo di consapevolezza, quando si sa riconoscere e accettare le proprie emozioni, qualunque esse siano, qualunque stimolo le abbia scatenate.

BALIKWAS (Tagalog, Filippine) – Abbandonare la propria zona di comfort, dubitare delle certezze, cambiare il proprio punto di vista, vedere le cose in modo diverso e nuovo, così si possono raggiungere risultati sorprendenti.

DADIRRI (Ngangiwumirr, lingua aborigena, Australia) – È la quieta contemplazione e l’ascolto profondo della natura e del creato, la pace con sé stessi e con le altre creature. Nella piena coscienza della bellezza che ci circonda, in armonia con i ritmi della giornata, della natura. In sintonia con l’attimo.

FRILUFTSLIV (Norvegese) – È un’esperienza di vera connessione con l’ambiente, grazie alla quale una persona si sente a casa quando è in mezzo alla natura selvatica, anche in luoghi in cui non è mai stata. E’il ritorno al legame biologico originario tra l’uomo e l’ambiente tramite la risintonizzazione con i ritmi naturali, una visione del mondo non antropocentrica.

GURFA (Arabo) – In arabo si chiama gurfa la quantità d’acqua che si può tenere nel palmo di una mano. È una sorta di unità di misura metaforica che indica qualcosa di molto prezioso che è necessario proteggere e conservare.

OHANA (Hawai) – Ohana significa famiglia, famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato, ma per famiglia non si fa riferimento solamente ad un legame di sangue ma anche ai rapporti di amicizia.

ORENDA (Urone, Wyandot popolazioni indigene nordamericane) – È la capacità della volontà umana di cambiare il mondo anche contro un destino avverso, ma è anche una benedizione: permette a chi ne è dotato di sfidare gli eventi avversi e superarli. 

SISU (finlandese) – È una sorta di coraggio quotidiano, di grinta, di determinazione che aiuta ad affrontare le sfide, piccole o grandi, che la vita ci pone. Non è la ricerca della felicità che è un momento effimero, ma la ricerca del benessere.

UBUNTU (Nguni Bantu, lingua dell’africa meridionale) – È un’espressione che indica “benevolenza verso il prossimo”, una regola di vita, basata sul rispetto dell’altro, significa sentirsi parte di una grande comunità. Sono chi sono in virtù di ciò che tutti siamo. Essenzialmente significa: io posso essere io solo attraverso voi e con voi.

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IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica sul significato della parola scelta nell’opera di Stefano Boccalini “La ragione nelle mani – Sisu“, 2020, lana cotta, Pezzotti (tappeti), misure: 60 x 120.

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