Laboratori d’arte per dare vita ad oggetti, di cui l’utilità è il primo principio

di Sergio Bertolami

17 – Nasce la Wiener Werkstätte di Hoffmann e Moser.

L’azienda Wiener Werkstätte (vale a dire Laboratori viennesi) nacque con l’intento di rinnovare le arti applicate sulla base di un artigianato di alta qualità. Per farlo occorreva produrre soltanto oggetti unici, di straordinaria bellezza e di esclusiva fattura. Il motto ricorrente era: «Meglio lavorare su di un oggetto per dieci giorni che produrre dieci oggetti in un giorno». Perciò fa un certo effetto cogliere una nota ironica su di una rivista del tempo: «Per giudicare le esigenze comuni osservate il modo in cui si acquistano i regali. La folla compra chiedendo: “Vorrei qualcosa di veramente economico, ma molto appariscente!” Ovviamente non c’è niente per loro nella Wiener Werkstätte». Non a caso, nel corso del primo anno di esistenza furono realizzati soltanto gioielli. Rimasero sempre i pezzi artistici preferiti, ma ben presto furono affiancati da una miriade di oggetti di uso quotidiano, preziosi però quanto gli stessi gioielli: mobili, tessuti, ceramiche, vetri, complementi d’arredo. La Wiener Werkstätte – indicata anche come Wiener Werkstatte, Vienna Workshop, Wiener Werkstaetten o Wiener Werkstätten – mirava ad unire tutti gli aspetti della vita sociale in un’opera d’arte totale, quella Gesamtkunstwerk da considerarsi come il denominatore comune per chi s’identificava con la Secessione viennese. I promotori, e gli artisti moderni più importanti che operarono per l’azienda, facevano parte del cosiddetto “Gruppo Klimt”, stretti intorno al celebre pittore. Sebbene, senza troppo rumore, fosse stata fondata nel 1903 come una semplice impresa commerciale, due anni dopo la Wiener Werkstätte s’identificò con le prerogative di uno specifico programma artistico, indirizzato principalmente all’emergente classe medio-alta della monarchia. Era strutturata, infatti, come una società produttiva formata da artisti e artigiani. Nel 1905 già contava un centinaio di dipendenti – fra i quali 37 erano i maestri artigiani – che avevano diritto, oltre al loro guadagno settimanale, ad acquistare una quota dei profitti realizzati; la quota costava duecento corone, pagabili in dieci rate mensili uguali. Con il consenso dell’esecutivo, si potevano acquisire ancora più quote, ma occorreva pagarle per intero al momento dell’acquisto. Gli ideatori di una simile azienda, che innovava persino lo status giuridico del lavoratore austriaco, erano impegnati in prima persona nella conduzione dell’impresa che avevano fondato: l’architetto e designer Josef Hoffmann, il pittore e grafico Koloman Moser, e Fritz Waerndorfer, un imprenditore con la propensione per l’arte moderna. Ai tre si aggiungerà Carl Otto Czeschka, forse meno conosciuto, ma sicuramente il più notevole fra i vari progettisti interni all’azienda. In un articolo del 1911, la prestigiosa rivista The Studio (Illustrated Magazine of Fine and Applied Art) anche di quest’ultimo, oltre che dei fondatori, esaltava le qualità: «Solo un oggetto in mostra assicurerà il suo nome fino ai posteri: un magnifico armadietto d’argento, acquistato per oltre 50.000 corone il giorno dell’inaugurazione da Herr von Wittgenstein, uno dei principali mecenati austriaci dell’arte moderna».

Il logo dell’azienda

Dal canto suo, anche l’imprenditore Fritz Waerndorfer fu, a tutti gli effetti, il cuore e l’anima della Wiener Werkstätte, giacché ritagliandosi il ruolo di direttore commerciale trasformò quello che avrebbe potuto essere un semplice laboratorio d’arte in un vero e proprio marchio, una maison d’alta classe. Investendo i capitali necessari per avviare l’attività, permise ai due promotori artistici di realizzare la loro ambizione. Hoffmann e Moser – entrambi membri chiave della secessione viennese – costituivano un vero e proprio binomio: si completavano a vicenda talmente bene che spesso era difficile distinguere i rispettivi progetti. Gli obiettivi d’altronde erano chiari ed univoci. Precisamente, per citare le parole di Hoffmann, erano quelli di «creare uno stretto contatto tra il pubblico, i designer e gli artigiani, dando vita a buoni e semplici oggetti d’interni, di cui l’utilità è il primo principio, ma con altri evidenti punti di forza basati sulle giuste proporzioni e nel giusto trattamento dei materiali, introducendo la decorazione soltanto quando possibile, mai forzandola o sovraccaricandola». È evidente come Hoffmann e Moser cercassero di promuovere una sapiente artigianalità negli oggetti domestici di uso comune, sul modello Arts and Crafts, escludendo però le decorazioni ridondanti della tradizione eclettica, che a loro avviso ne rendevano poco chiare le funzioni. Josef Hoffmann, occupato già da cinque anni nell’insegnamento alla Scuola di Arti applicate (Kunstgewerbeschule), all’interno dell’azienda assunse la responsabilità di direttore artistico. Intorno a lui raccolse alcuni fra i migliori creativi austriaci: oltre a Kolo Moser e a C. O. Czeschka, è bene citare Otto Prutscher, Adolf Bohm, Berthold Loffler, R. von Larisch, Edward Wimmer, Paul Roller, Michael Powolny, Leopold Forstner e Alfred Roller (direttore della Kunstgewerbeschule), mentre tra gli amici e simpatizzanti dell’istituzione erano Gustav Klimt, il prof. Otto Wagner, Carl Moll, i professori Metzner e F. Lederer , W.F. Jager, Anton Kling, Moritz Jung, il prof. Emil Orlik, Rosa Rothansel, Richard Taschner. Come si nota, tutti austriaci, i quali per ragioni professionali operarono anche in Germania.

Sala reception della Wiener Werkstätte

L’azienda prese sede nel quartiere urbano di Neubau, al 32–34 della Neustiftgasse, dove fu ristrutturato un edificio commerciale già esistente. I piani spaziosi ospitarono gli uffici e l’intero complesso delle attività produttive. L’igiene era alla base di una bellezza invitante, si leggeva sui giornali. Gli ambienti interni erano luminosi e salubri – a differenza delle solite fabbriche, sporche e tristi come caserme – le pareti e le parti in legno erano dipinte di bianco, quelle in ferro erano blu o rosse; inoltre, per caratterizzare ogni laboratorio vi dominava un colore specifico. All’entrata era posta una sala reception, che permetteva la collocazione a vista dei prodotti realizzati. La sala era dotata di vari salottini per le contrattazioni; in aggiunta, nel 1907, fu aperto un negozio nel centro della città, così anche il pubblicò poté ammirare direttamente le creazioni. Nelle vetrine della sala espositiva, incassate a muro, era presentata una panoramica delle numerose opere d’arte in metallo prezioso, legno, cuoio, vetro e pietre dure, gioielli e oggetti d’uso quotidiano. Tutte in forme rigorosamente coerenti alla propria funzione e al materiale. Spingendosi avanti, si incontravano gli uffici di progettazione per l’architettura e le arti applicate; nonché una buona biblioteca per istruirsi o aggiornarsi. La gran parte dello spazio dell’edificio era chiaramente destinata ai vari laboratori, dedicati alle lavorazioni di oreficeria, argenteria, gioielleria con incastonati avori cesellati e pietre preziose, officine per tutti i tipi di metalli o per l’intaglio del legno. C’era persino la legatoria per i libri e non mancavano la pelletteria, la sartoria e la modisteria, dove venivano foggiati con stile nuovi modelli di abiti, accessori e cappelli.

Alcuni dei laboratori

Piuttosto che il rumore della fabbrica, questo era il luogo dell’artigianato più silenzioso, seppure anche qui fossero installate attrezzature meccaniche. La Wiener Werkstätte, infatti, era al passo con tutte le innovazioni tecniche del momento, con una differenza sostanziale, come le cronache dell’epoca evidenziavano: «È completamente attrezzata, ma qui la macchina non è sovrana e tiranna, è invece al servizio degli artigiani, e i prodotti non ne presentano la fisionomia industriale, ma esprimono lo spirito dei loro creatori all’insegna dell’arte». La Wiener Werkstatte si articolava, dunque, in numerose manifatture, e per altre operazioni, che non poteva svolgere direttamente, si appoggiava ad una rete di fabbriche specializzate di alto pregio.

Servizio da tè di Josef Hoffmann, 1903 – © MAK/Georg Mayer
L’archivio della Wiener Werkstätte è oggi conservato al MAK – Museo di Arti applicate di Vienna ed è costituito da 16.000 bozzetti e 20.000 pezzi fra corrispondenza commerciale, cataloghi, campionature, manifesti pubblicitari, album fotografici. Inoltre, il museo espone una raccolta dei prodotti per documentare tutte le fasi creative dell’azienda.

Josef Hoffmann, ad esempio, intrattenne con la viennese J&L Lobmeyr, produttrice di lampadari e cristallerie, un lungo rapporto di collaborazione, reso più intenso dall’amicizia con Stefan Rath, che aveva ereditato la società dal nonno. Gli articoli in ceramica furono invece prodotti nella Wiener Keramic-Werkstatte condotta da Michael Powolny e dal prof. Berthold Loffler, le lavorazioni a mosaico furono eseguite nella Wiener Mosaic-Werkstatte guidata da Leopold Forstner, i tessuti stampati a macchina od operati a mano furono realizzati da Backhausen and Sons, così molte altre attività furono compiute sempre in stretto contatto con la WAV, come familiarmente era chiamata la Wiener Werkstätte fra gli addetti ai lavori.

Sale da pranzo del Sanatorio Purkersdorf

Il settore di architettura era uno dei più importanti all’interno della Wiener Werkstätte. L’architetto responsabile, Paul Roller, aveva studiato col prof. Otto Wagner all’Accademia di Belle Arti, come d’altronde aveva fatto lo stesso Hoffmann. Paul Roller era più di un architetto, informa sempre The Studio: «Pratico come un muratore, avendo attraversato tutte le fasi del suo mestiere, è un operaio completo nel miglior senso della parola, oltre ad essere un uomo della più alta intelligenza. Ha diversi giovani architetti che lavorano sotto di lui, come Karl Brauer, Emil Gerzabek, Wilhelm Martens, Johann Schloss e Rudolf Auswald, tutti ex studenti della Kunstgewerbeschule di Vienna, un fatto che la dice lunga sulla qualità del lavoro svolto alla Werkstatte». Questa attenzione all’architettura era sostanziale nella conduzione dell’azienda. Per capire come una iniziativa, sia pure artistica, possa imporsi (o al contrario declinare) non si possono tralasciare le strategie economiche e finanziarie. L’amicizia fra Josef Hoffmann e Berta Zuckerkandl portò, ad esempio, al primo grande incarico per la Wiener Werkstätte, il sanatorio di Purkersdorf, ad ovest di Vienna, edificato negli anni 1904-05 per conto del cognato di Berta, l’industriale Victor Zuckerkandl.

Sala da pranzo di Palazzo Stoclet, alle pareti il Fregio di Klimt

L’altro incarico di notevole risonanza fu palazzo Stoclet, il più famoso progetto di Josef Hoffmann, realizzato tra il 1905 e il 1911 nell’hinterland di Bruxelles. A Vienna e in altre città dell’Austria la Wiener Werkstätte costruì o ristrutturò ville, arredandole e decorandole di tutto punto. Si realizzarono negozi e uffici in molte località ed anche il governo austriaco richiese l’intervento dell’azienda. Per eseguire le opere di falegnameria, inizialmente nel 1904, s’impiantò un laboratorio interno, ma ben presto fu necessario commissionare la produzione di mobili ad eccellenti falegnami ed ebanisti come Portois & Fix, Johann Soulek (Palais Stoclet, Haus Ast), Anton Ziprosch e Franz Gloser (Purkersdorf), Anton Herrgesell, Anton Pospisil, Friedrich Otto Schmidt e Johann Niedermoser. In ogni caso, tutti i lavori affidati ai maestri artigiani dovevano rispondere a requisiti di qualità estremamente severi, affinché i prodotti si potessero esporre e commercializzare nei punti vendita della capitale o nelle filiali all’estero: Karlsbad (1909), Marienbad e Zurigo (1916/17), New York (1922), Berlino (1929).

Architetture, arredo e complementi, erano solo una parte della produzione diretta o indiretta della Wiener Werkstatte. Al suo interno, per fare ancora un esempio, non si stampavano libri, ma si graficizzavano e si seguivano nel loro percorso editoriale e finalmente, quando erano pronti, i sedicesimi venivano rilegati in marocchino con la massima cura. Era utilizzato soltanto il cuoio migliore, dando vita a creazioni eleganti e resistenti, ma dal costo elevato. Erano libri per bibliofili, dalle copertine pregiate, trattate o intarsiate con oro, eseguite su disegni personalizzati da Hoffmann, da Moser, da Czeschka o da qualche altro artista specificamente richiesto dai committenti. A dirigere la legatoria era un maestro rilegatore di nome Beitel. In un differente laboratorio, altri maestri artigiani erano invece indaffarati nella realizzazione di borse da donna in pelle o astucci per oggetti di valore, anche questi fatti esclusivamente a mano. L’ultimo ideato fu il reparto in cui foggiare le “mode”, così erano chiamate tutte quelle creazioni di lusso con ruolo sempre crescente nei gusti raffinati dell’alta società, come nel caso di abiti femminili e cappelli. Il settore – affidato a Edward Wimmer, originale artista dalla fervida fantasia, assistito dalla sarta Marianne Zeis – produsse creazioni moderne in seta e nei migliori tessuti, su modelli ideati dagli stilisti. La Wiener Werkstätte s’impose, dunque, come sinonimo di eleganza e raffinatezza. Una infinità di prodotti che esprimevano un savoir-faire unico. Un patrimonio di composizioni innovative, realizzate con dedizione. Un impegno dinamico, per dare spazio alla modernità.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

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