Storia dell’alchimia: nel mondo islamico – 4/8

 

La Biblioteca di Alessandria fu un vero polo culturale dell’antichità. Dopo la sua distruzione il sapere emigrò nel Vicino Oriente. Anche la cultura dell’alchimia fu recepita dalla letteratura islamica. Anzi, le traduzioni in lingua islamica di vecchi testi greci e i nuovi trattati arabi sulle loro ricerche alchemiche ci hanno tramandato notizie più sostanziose sulla misteriosa pratica. All’interno di questa nuova letteratura si distingue l’opera di uno dei più grandi alchimisti, Jabir ibn Hayyan, vissuto nel VIII secolo, che individuò le quattro qualità della materia: caldo, freddo, secco e umido. Teorizzò, inoltre, che la fusione di due metalli avrebbe portato ad un terzo metallo.
L’unico alchimista europeo conosciuto, di questa fase storica, che abbia scritto trattati sulla pratica dell’alchimia, è Zosimo di Panopoli.

Gli alchimisti islamici hanno operato (come faranno poi quelli europei nel medioevo) nel campo della chimica, anche se marginalmente. Ad essi si deve la scoperta dell’acido muriatico, l’acido solforico e l’acido nitrico. Hanno individuato il sodio ed il potassio, oltre ad avere inventato il procedimento di distillazione. All’alchimia araba si deve anche la nomenclatura alchimistica successiva.

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