Il timballo delle feste 3/3

 

Il sartù, affine al timballo ed al pasticcio, etimologicamente deriva anche dal francese surtout che indica una decorazione da centrotavola. L’idea di creare un timballo di pasta è tuttavia tipica dell’Italia meridionale, Napoli e Sicilia in particolare. È in Sicilia, proprio nell’isola del sole, che padre Labat, tra i primi viaggiatori del grand tour, scopre per la prima volta all’inizio del XVIII sec. un pasticcio di maccheroni: “Non avevo mai visto pâtè di maccheroni. I maccheroni erano stati cotti in un brodo di latte di mandorle, di cannella, della vera uvetta di Corinto, dei pistacchi del Levante, delle scorze di limoni, i salamini più delicati e guarniti con pasta di Genova”

Dal prototipo di un timballo che evoca retaggi arabi e rinascimentali, passiamo a quello più aristocratico e più famoso della letteratura italiana, un “torreggiante timballo di maccheroni”: Don Fabrizio, principe di Salina, lo offre ai suoi ospiti, per celebrare l’importanza e la solennità del primo pranzo a Donnafugata, feudo e località di villeggiatura della famiglia. La superficie dorata di questo “trionfo di gola” rappresenta una premessa ai tesori che vi si celano all’interno. Primo fra tutti il tartufo, fungo ipogeo, che pur essendo presente nel sottobosco della Sicilia, non rientra nella sua tradizione culinaria: forse perché di dimensioni più modeste rispetto a quelli noti del Piemonte e dell’Umbria, forse per il suo aroma meno intenso o forse semplicemente perché i cuochi siciliani preferivano esaltare i loro piatti con i profumi del Mediterraneo.

La demi-glacé, il fondo bruno, è un ulteriore elogio alla professionalità e all’abilità dei monsù. I tempi di cottura prolungati, la varietà delle carni e delle verdure utilizzate, le operazioni scandite ad intervalli di tempo regolare, fra le quali la schiumatura, la filtrazione, la sgrassatura ne fanno un autentico boccone da re. Una portata che non tutte le bocche sono in grado di apprezzare ed infatti soltanto il Principe, autentico Gattopardo, si accorge di quanto la demi-glace sia carica: “…l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le filettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.

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About the author: Rosa Manuli