La lavorazione della pasta nell’Ottocento

 

Il mercato della pasta, con il giusto rapporto tra qualità e prezzo – e così convincente a livello salutistico – registra una grande richiesta, in questo periodo. Purtroppo, rispetto alla domanda crescente, i pastifici non hanno ancora la forza commerciale e industriale per una giusta risposta. Il problema rimarrà irrisolto per tutto il secolo.

La “pasta d’ingegno”, non poteva che essere frutto dell’ingegnosità umana (o della sua fantasia). Tra i testi del XIX secolo, vi è quello di Malouin, contemporaneo alla fase preindustriale della pasta. Il libro presenta l’analisi dei settori del mugnaio, del fornaio e del pastaio, illustrato con ampie incisioni. L’analisi tocca le differenze e le similitudini fra i tre mestieri. Si scopre, anche, l’uso comune di tecnologie, come la gramola a stanga e del torchio, mosso da un tornello, che è dotato di trafile sostituibili. Il libro è una vera “fotografia” del suo periodo storico, per quanto riguarda i tre mestieri, differenti ma al contempo allora simili. Vi sono descritte le fasi dell’attività. Si parte da un impasto realizzato nella madia, contenente farine più o meno pure o semole setacciate, amalgama da far riposare avvolta in un panno. Seguono una o due ore di lavorazione alla gramola a stanga.

Nell’impasto va utilizzata, naturalmente, l’acqua, dosata con l’esperienza personale. In teoria l’acqua deve essere poca, per un risultato migliore. Troppa acqua rovina l’impasto. In Liguria e nella Provenza, si preferisce un amalgama più soda, mentre nel napoletano si confeziona un impasto un po’ più morbido ed umido. A motivarlo è il differente clima, più caldo nel Sud Italia. L’acqua aggiunta deve essere, comunque, tiepida, accortezza già presente nella lavorazione del medioevo. In età industriale, verrà utilizzata acqua bollente.

A questo punto, l’impasto, perfettamente gramolato, passa alla fase del torchio, che presenta una campana ed una vite, per schiacciare un pezzo di impasto contro una trafila con il tipo di fori necessari. La trafila è sostituibile. La vite, azionata a forza umana (ma c’è chi usa un argano), comprime un pistone sul cui lato è posta la trafila. Tutta l’attrezzatura produce pasta corta se verticale, o pasta lunga, se orizzontale.
I diversi tipi di trafila, avvicendabili, in questo periodo, possono produrre, secondo Jerôme de Lalande, ben 30 diversi formati, dai più raffinati a quelli “popolari”. Tra questi ultimi: i macaroni, le trenette e le lasagnette. Per ottenere i macaroni si utilizza una trafila con buchi, al cui centro vi è una punta metallica, che crea il foro del singolo maccherone. Dall’altro lato della trafila (dove la pasta fuoriesce) una lama ruotante, mossa da una manovella, taglia la pasta nel formato necessario. La pasta prodotta viene subito raffreddata con un ventaglio da un bambino, per non farla attaccare. La pasta lunga, invece, viene tagliata con le mani, ad una lunghezza di circa 30 cm per i vermicelli.

Anche le lasagne, alla data, vengono preparate al tornio, ottenendo fasce di pasta. Non quindi un prodotto della laminazione (sul tipo del mattarello), ma direttamente dalla trafila. Se i bordi della lamina erano ondulati, si potevano ottenere quelle che oggi chiamiamo lasagne ricce. Questo lo si desume da una tavola illustrativa del libro di Malouin. L’essicazione della pasta, alla fine del lavoro, avviene nella stessa stanza di lavoro. È posta su degli scaffali a muro, atti a ricevere i telai, mentre i formati lunghi, sono sospesi su delle canne. Alla fine della formatura, la pasta lunga viene avvolta in matasse, utilizzando dei fogli di carta. In un giorno lavorativo (ma di 10 ore), si ottengono circa 125 kg di pasta.

 

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