ROSSO FIORENTINO, DEPOSIZIONE DI SANSEPOLCRO
NOTIZIE STORICO CRITICHE
La pala fu commissionata a Rosso Fiorentino dalla Confraternita di S. Croce per completare il nuovo altare maggiore ligneo della chiesa di S. Croce, realizzato tre anni prima dagli ebanisti Romano Alberti e Schiatto Schiatti. L’incarico affidato in origine a Raffaellino del Colle fu ceduto dal pittore locale al Rosso, affinchè in città “rimanesse qualcosa di suo” (così scrisse Vasari). Raffaellino invece eseguì la lunetta soprastante rffigurante Dio Padre tra gli angeli. Il contratto tra l’artista e il priore della confraternita fu stipulato il 23 settembre del 1527, dopo che il Rosso, a seguito del Sacco di Roma, riuscì a fuggire ai Lanzichenecchi, giungendo prima a Perugia e poi a Sansepolcro. La Compagnia di Santa Croce nel 1554 accolse nei suoi locali le monache benedettine di San Lorenzo, cui era stato distrutto il monastaro fuori Porta Fiorentina; ciò comportò l’ampliamento dell’edificio, con la costruzione del coro delle monache dietro l’abside della chiesa. L’ampliamento, secondo Franklin (1989), non implicò lo spostamento dell’opera, che fu semplicemente rialzata per permettere l’apertura della grata sopra la mensa d’altare.
Nel 1808 il convento di San Lorenzo fu soppresso e trasformato in orfanotrofio femminile, ma fortunatamente il dipinto non fu spostato.
Nel 1940, durante il coinvolgimento dell’Italia in Guerra, la pala d’altare si trovava a Firenze per la Mostra del Cinquecento toscano tenuta a Palazzo Strozzi; allo scoppio del conflitto venne ricoverata nei depositi del Museo del Bargello per preservarla dai possibili danni bellici.
L’opera è ancora conservata nella chiesa di San Lorenzo (già Santa Croce), situata come in origine sull’altare maggiore all’interno di una mostra in stucco tardo settecentesca.
L’opera in origine doveva essere incorniciata all’interno di una carpenteria lignea dorata realizzata nel 1525 da Romano Berto Alberti, detto il Nero e Schiatto Angelo Schiatti; come emerge dai documenti, furono tali legnaioli a realizzare anche il supporto del dipinto. La macchina d’altare lignea, a seguito del grave terremoto del 1789, probabilmente è andata perduta o fu talmente danneggiata da essere sostituita con l’attuale mostra in stucco tardo settecentesca.
STATO DI CONSERVAZIONE E TECNICA ESECUTIVA
L’opera è giunta nel gennaio del 2016 presso i Laboratori di Restauro della Fortezza da Basso a seguito delle criticità riscontrate nel 2014 durante la mostra Pontormo e Rosso: divergenti vie della “maniera” a Palazzo Strozzi.
In tale occasione era stata notata la grande sofferenza della pellicola pittorica. La principale criticità era dovuta ai numerosissimi sollevamenti diffusi sull’intera superficie, causati dall’estrema rigidità del supporto ligneo, rigidità dovuta ad un precedente intervento di restauro, avvenuto probabilmente tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 a seguito del terremoto che colpì Sansepolcro nel 1789. Infatti a seguito di questa calamità furono aggiunte cinque traverse avvitate sul supporto, che hanno ostacolato i naturali movimenti del legno, e le forze così scaturite si sono ripercosse sul fronte del dipinto creando i sollevamenti.
Come è di prassi per il nostro Istituto, preliminarmente al restauro sono state eseguite le indagini diagnostiche, fondamentali allo studio della tecnica, alla caratterizzazione dei materiali impiegati dall’artista nonché ad approfondire alcuni aspetti dello stato di conservazione; tutte informazioni fondamentali per poter poi procedere operativamente nell’intervento di restauro.
Si è iniziato quindi con le indagini non invasive quali la radiografia, il M-NIR e la fluorescenza UV. Oltre al nostro laboratorio scientifico, di grande importanza sono state le collaborazioni con istituti esterni (come l’Unità di ricerca in tecnologia del legno dell’Università di Firenze per la misurazione delle variazioni dimensionali del supporto; l’ENEA per l’XRF puntuale e l’INFN per l’XRF a scansione per la caratterizzazione dei pigmenti; e l’Università di Pisa per la Gascromatografia che ha permesso di caratterizzare il legante).
Da quanto emerso dallo studio attento e approfondito dell’opera e dall’analisi della riflettografia, l’artista già nelle fasi iniziali aveva determinato con estrema precisione l’intera composizione e l’ingombro dei personaggi, infatti non sono visibili modifiche del disegno preparatorio. Quindi molto probabilmente sullo strato di imprimitura a base di bianco di piombo aveva già impostato l’intera composizione, procedendo poi con le incisioni delle scale e della croce sul fondo, considerando fin da subito l’ingombro dei personaggi e dei minimi particolari. Successivamente, prima di iniziare a dipingere, aveva steso sull’intera superficie un fondo cromatico bruno chiaro a base di terre, sul quale è andato a ricalcare alcuni dettagli tramite cartone; questo, per esempio, è ben evidente in corrispondenza della capigliatura e manica della Maddalena.
In pratica il dipinto era stato pianificato fin nei minimi dettagli già durante la realizzazione dell’underdrawing.
Osservando la tecnica pittorica si può notare tutta l’espressività e la modernità di quest’artista, tecnica caratterizzata da un tratteggio incrociato continuamente spezzato, quasi grafico, tipico del modo di dipingere del Rosso. È una pittura molto veloce in cui si può percepire la gestualità del Rosso, ma nonostante sia una pittura molto veloce emerge anche la minuzia e la raffinatezza di certi particolari di piccole dimensioni (come il cammeo della veste della pia donna sulla sinistra, la margherita e le capigliature).
È un dipinto in cui è evidente la grande vivacità cromatica e il sapiente uso del colore, una tavolozza ricca di pigmenti come il bianco di Pb, l’azzurrite, lo smaltino, il cinabro, l’orpimento e/o realgar e giallo di Pb e Sn.
La straordinaria libertà di espressione di quest’artista la ritroviamo anche nella raffigurazione del personaggio dal volto ferino e malvagio che troviamo sullo sfondo, con tratti scimmieschi, e che risulta l’unico a guardare dritto lo spettatore. (Sappiano tramite il Vasari che il Rosso aveva un bertuccione e nelle Vite vengono descritti molto accuratamente alcuni aneddoti relativi a tale animale, quindi è stato ipotizzato che questo personaggio raffigurato possa far riferimento al bertuccione che il Rosso tanto amava.)
La grande novità di quest’opera è la tecnica pittorica che il Rosso impiega, una tecnica che possiamo definire a risparmio, in quanto lascia intenzionalmente a vista il fondo cromatico bruno, come è il caso dei bottoni dei polsini della manica di Nicodemo (che prima del restauro non erano visibili perché coperti da ridipinture di un vecchio restauro, in quanto erroneamente interpretati come lacune), e talvolta oltre al fondo cromatico lascia volutamente a vista anche i tratti neri del disegno, come si può ben vedere nella parte in ombra della manica della Maddalena. La grande innovazione rispetto ad altre opere del Rosso, come per esempio la Pala Dei, è che in questo dipinto le parti a risparmio hanno una valenza figurativa, creano delle forme, quindi il fondo bruno non ha una valenza puramente cromatica ma diventa elemento figurativo.
Per quanto riguarda le modifiche, non si individuano variazioni sostanziali in corso d’opera, e ciò mostra la grande sicurezza ideativa e disegnativa del pittore. Le uniche modifiche che il Rosso effettua sono a livello pittorico. Come mostra la riflettografia, una volta terminata l’opera, il Rosso modifica la testa del personaggio raffigurato di spalle sullo sfondo, precedentemente dipinto come un soldato con un elmo, mentre successivamente l’elmo viene coperto dai capelli. Questa modifica è già evidente ad un’attenta analisi visiva, in quanto la campitura grigia dell’elmo traspare sia in corrispondenza dell’incarnato del collo, sia dei capelli. L’altra principale modifica che il Rosso compie riguarda il personaggio a cavallo sulla destra, infatti inizialmente raffigura un uomo a torso nudo che poi in una seconda fase copre con una veste verde e un velo rosso. Si può ipotizzare che queste modifiche possano essere dovute per il raggiungimento di un equilibrio cromatico finale.
RESTAURO DEL SUPPORTO
Per quanto riguarda il restauro, dal momento che la principale causa del degrado della pellicola pittorica era dovuta alla rigidità del supporto ligneo (costituito da dieci assi di pioppo), il primo intervento è stato quello strutturale. Dopo il trattamento anossico per la disinfestazione dagli insetti xilofagi e una campagna di misurazioni effettuata dal Gruppo Scienze del Legno dell’Università degli Studi di Firenze, per studiare le deformazioni del legno al variare dei parametri termoigrometrici, si è proceduto con la rimozione meccanica dell’ammannitura e la rimozione delle cinque traverse non originali. Successivamente sono state estratte le farfalle e il listello di restauro situato nel margine inferiore destro; una volta rettificate le sedi, queste sono state tassellate con elementi di pioppo antico. Inoltre sono state ricostruite alcune parti deteriorate del supporto con un’opportuna tassellatura e risanati spacchi e sconnessure con cunei sottili. Dopo aver completato il risanamento del tavolato, sono iniziate le operazioni di adeguamento delle due traverse originali, rifunzionalizzandole mediante un sistema a molle.
RESTAURO DEGLI STRATI PITTORICI
Solo a seguito del restauro del supporto si è potuto procedere con il restauro degli strati pittorici. Prima di poter effettuare la fermatura del colore, è stata necessaria una prima pulitura degli spessi strati di vernice non originale che non permettevano di far penetrare l’adesivo adeguatamente, e quindi non garantivano la corretta adesione dei sollevamenti presenti.
L’intervento di pulitura è proceduto per aree, ed in un primo momento è stato quindi funzionale alla fermatura degli strati preparatori e pittorici, che in questo caso risultava l’operazione più urgente da effettuare. A seguito della fermatura del colore la pulitura è stata ripresa più volte, sempre mediante l’impiego di solventi differenziati e supportati, ed è risultata un’operazione complessa e delicata: l’opera presentava molte patinature, ridipinture a coprire una superficie molto compromessa in quanto abrasa da puliture aggressive di antichi restauri (le abrasioni interessavano più di ¼ della superficie pittorica); inoltre erano presenti anche molte sgocciolature e ritocchi alterati.
È stato inoltre necessario anche il consolidamento e il riempimento delle numerosissime gallerie e fori di sfarfallamento degli insetti xilofagi, gallerie che in alcune aree avevano causato il collasso del film pittorico privo ormai del sostegno del supporto ligneo.
Fortunatamente il dipinto non presentava lacune di grandi dimensioni o che andavano a compromettere parti figurative importanti. La maggior parte di esse è stata causata dalle pratiche di culto devozionale (per esempio vi erano varie bruciature di candele, e lungo il bordo superiore erano presenti, per tutta la larghezza del tavolato, tantissime piccole lacune circolari, presumibilmente da attribuire al rito della Velatio. Durante tale rito, che avveniva nel periodo della quaresima, si posizionava un telo a coprire l’opera, e le lacune corrispondono ai fori lasciati dai chiodi usati per fissare il telo alla tavola; a conferma di ciò è stato anche trovato un chiodo in corrispondenza di uno di questi fori).
In corrispondenza delle lacune, dopo aver effettuato la stuccatura e il ricollegamento materico superficiale, è stata eseguita l’integrazione cromatica mediante la tecnica della selezione, mentre sulle diffuse abrasioni si è proceduto con un abbassamento di tono mediante leggere velature. La fase finale del restauro ha riguardato la verniciatura del dipinto eseguita prima a pennello e poi a nebulizzazione.
Grazie al settore di climatologia, fondamentale è stato il monitoraggio dei parametri termo-igrometrici in corrispondenza dell’altare maggiore della chiesa, in vista della ricollocazione dell’opera.