Odilon Redon – Il carro di Apollo

Il carro di Apollo, 1909, Musée des Beaux-Arts, Bordeaux

IL DIPINTO

Il carro di Apollo (Le char d’Apollon) è il nome di varie opere realizzate dal pittore simbolista francese Odilon Redon tra il 1905 e il 1914 circa. Nel 1878, visitando l’Esposizione universale di Parigi, Redon restò colpito dal Fetonte di Gustave Moreau, un grande acquerello preparatorio per la decorazione di un soffitto, rimanendo sedotto dalla luminosità abbagliante, dalle linee divergenti, dalla forza dei colori. In tarda età, dal 1904 al 1914 circa, Redon si confrontò con il soggetto mitologico del Carro del Sole di Apollo, realizzandone varie versioni, in cui l’eco dell’opera di Moreau si manifesta vivamente.

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Autoritratto, 1867. Museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Bertrand-Jean Redon, meglio conosciuto come Odilon Redon (Bordeaux, 20 aprile 1840 – Parigi, 6 luglio 1916), è stato un pittore e incisore francese. È considerato il maggiore rappresentante del simbolismo in pittura. Bertrand-Jean Redon, chiamato Odilon dal nome della madre, nacque in una famiglia benestante il 20 aprile 1840 a Bordeaux, da Bertrand Redon e Marie-Odile Guérin, secondogenito di cinque figli: Ernest, Odilon, Marie, Leo e Gaston. Ernest di pochi anni più grande, musicista e bambino prodigio che Odilon sentiva suonare dalla culla, Gaston, nato nel 1853, in un primo tempo si dedicò alla pittura, poi diventò architetto del Louvre e delle Tuileries. A causa della sua costituzione gracile Odilon, ad appena due giorni di vita, venne affidato alle cure di una nutrice e del suo zio nella proprietà familiare di Peyrelebade, nella campagna del Médoc, dove trascorse la maggior parte della sua infanzia, lontano dai suoi genitori. Nel 1846, dopo più di un anno di una grave malattia che gli provocava crisi di tipo epilettico, venne portato in pellegrinaggio alla Madonna di Verdelais, dove verrà condotto altre due volte, fino ai dieci anni ed il suo caso rientra tra le 133 guarigioni miracolose avvenute in quel luogo tra il 1819 e il 1883. Questo fatto venne annotato nell’apposito registro della basilica, pertanto possiamo sapere che Odilon aveva “una malattia molto grave che provocava nel cervello del bambino numerose crisi quotidiane di tipo epilettico, che lasciavano momenti di assenza morale” e che nel 1850 fu ancora a Notre Dame di Verderais per ringraziare la Madonna ed attestare la guarigione. Redon dal 1851 iniziò a vivere con la sua famiglia. I medici, a causa della sua fragilità fisica e psicologica, sconsigliarono per Odilon qualsiasi “sforzo cerebrale”; perciò non verrà mandato a scuola ed inizierà gli studi più tardi.

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Fernand Khnopff – Le carezze

Fernand Khnopff, Le carezze, 1896, Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique, Bruxelles

IL DIPINTO

Le carezze, anche noto come La sfinge, è un dipinto del pittore belga Fernand Khnopff, realizzato nel 1896 e conservato al Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles. Nel repertorio figurativo simbolista un ruolo di primaria importanza viene giocato dalla Sfinge. Il suo volto è femminile, eppure il suo corpo è leonino: così come la fisionomia anche la sua psiche risponde a un’ambiguità di fondo, essendo al tempo stesso ingegnosa ma crudele, mitica ma demoniaca, con una lacerante ambivalenza del tutto analoga a quella che scuote l’inconscio umano.
Questa profonda riflessione filosofica viene venata di dichiarati compiacimenti simbolisti. Dipinto ermetico, irto di ellissi comunicative e di simbolismi di difficile interpretazione, Le carezze propone un’improbabile unione tra un giovinetto dai lineamenti androgini e una creatura dal volto femmineo e dal corpo di ghepardo. Si tratta ovviamente della Sfinge, quella creatura terrificante che secondo la mitologia aveva portato il terrore e la morte a Tebe. Era infatti sua abitudine divorare quanti non sapessero rispondere al suo astuto enigma («Qual è quell’animale che all’aurora cammina con quattro zampe, al pomeriggio con due, la sera con tre?»). L’unico ad aver sciolto l’enigma e ad aver soggiogato la bestia fu l’eroe greco Edipo: la città di Tebe fu così finalmente liberata dalla Sfinge che, per disperazione, si suicidò gettandosi in un baratro. Alla luce di quest’esegesi il giovane uomo ritratto alla sinistra della composizione è certamente Edipo.
L’opera di Khnopff, in effetti, risponde perfettamente al celebre mito greco, e raffigura il momento successivo alla risoluzione dell’enigma da parte di Edipo. Vi è, tuttavia, una leggera discrepanza. La Sfinge, infatti, non si è precipitata nel dirupo, così come narra il mito, bensì decide di sottomettersi all’eroe che l’ha domata e, con fare suadente e insinuante, avvicina il suo volto a quello di Edipo. La sua soddisfazione è palpabile: una delle sue zampe arriva persino a lisciare affettuosamente il ventre indifeso di quella che doveva essere un’altra sua vittima, scampata miracolosamente alla morte. La Sfinge, tuttavia, è ben lungi dal diventare schiava, e la coda all’erta tradisce un’eccitazione animalesca, quasi incontrollabile: anche le sue zampe sono pronte per scattare repentinamente in un balzo e attaccare il suo presunto amante.

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Fotografia di Fernand Khnopff scattata agli scorci dell’Ottocento e comparsa sulla rivista La Belgique d’aujourd’hui

L’ARTISTA

Fernand Edmond Jean Marie Khnopff (Grembergen-lez-Termonde, 12 settembre 1858 – Bruxelles, 12 novembre 1921) è stato un pittore belga, appartenente al movimento del simbolismo. Fernand Khnopff è accreditato tra gli interpreti più sensibili e visionari del Simbolismo europeo. La sua esperienza pittorica, innanzitutto, si configura come un netto rifiuto al Positivismo, indirizzo di pensiero animato da innumerevoli filosofi, letterati e scienziati che, intrigati dagli impetuosi sviluppi della società industriale, nutrivano un’appassionata fiducia nei risultati e nel metodo della scienza sperimentale. Quest’esaltazione della scienza e dei suoi metodi si concretizzava anche in una netta svalutazione della metafisica, dottrina che – facendo appello a cause non rapportabili al metodo scientifico – era secondo il giudizio dei Positivisti astratta, chimerica, e pertanto portatrice di una conoscenza tutt’altro che autentica. «Niente più metafisica!» («Keine Metaphysik mehr!») era il grido che, risentendo di questa grande ripresa positivistica, risuonava nell’Europa di quegli anni.
Khnopff, ripudiando la mentalità positivista, si fa invece cantore di una nuova sensibilità, non più oppressa da una cieca e ingenua fede nella scienza: il filo conduttore dell’estetismo di Khnopff, infatti, si basa sull’esaltazione delle componenti soggettive dell’animo umano e della realtà, per niente priva di proiezioni spirituali o metafisiche (come invece sostenevano i Positivisti). Khnopff oltrepassa infatti le schematizzazioni positiviste e rivendica quelle dimensioni che sfuggivano all’indagine delle scienze sperimentali: mondi sovrannaturali, arcani, che si celano dietro la trapunta arabescata delle apparenze e che sono penetrabili solo dall’artista, il quale grazie a intuizioni misteriose e folgoranti riesce a cogliere le corrispondenze sotterranee tra i vari fenomeni sensibili, non percepibili attraverso quella razionalità tanto celebrata dai Positivisti. Fernand Khnopff, infatti, è uno dei cantori più riusciti del Simbolismo: «né religiosa, né cristiana, né mitologica, la pittura di Khnopff è piuttosto simbolica» disse in tal senso Edmond-Louis De Taeye nel 1898.

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James Ensor – L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889

L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889, 1888, Getty Museum, Los Angeles

IL DIPINTO

L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (conosciuto anche semplicemente come L’entrata di Cristo a Bruxelles, in francese L’Entrée du Christ à Bruxelles) è un quadro dipinto nel 1888 James Ensor, considerato il miglior lavoro dell’artista belga nonché un precursore dell’espressionismo. Per la sua natura, considerata blasfema, il dipinto fu rifiutato dai Les XX ed Ensor fu costretto nel corso della sua vita ad esporlo nel proprio studio. Fu esibito dal Koninklijk Museum voor Schone Kunsten dal 1947 al 1983 e dal Kunsthaus di Zurigo dal 1983 al 1987; nel 1976 venne spostato temporaneamente all’Art Institute of Chicago e al Museo Guggenheim di New York per una retrospettiva.
Il dipinto si trova attualmente in mostra permanente presso il Getty Center di Los Angeles. L’opera è una delle tre realizzazioni artistiche scelte da Stefan Jonsson per spiegare la storia della democrazia e del socialismo nel periodo a cavallo tra i secoli XIX e XX e come “le masse” erano percepite in questa fase storica.

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James Ensor ritratto da Henry De Groux nel 1907

L’ARTISTA

James Sidney Edouard, Barone di Ensor (Ostenda, 13 aprile 1860 – Ostenda, 19 novembre 1949) è stato un pittore e incisore belga. Introverso e misantropo, trascorse gran parte della sua vita nella sua città natale, dedicandosi ad una pittura che fu una delle manifestazioni più significative del periodo e che si pose al centro della cultura del tempo. Nel 1877 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Bruxelles, dove rimase fino al 1880, entrando in contatto con gli ambienti anarchici e intellettuali della città e dove, nel 1881, tenne la prima mostra personale.
Le opere di questo periodo, che arrivò fino al 1885 circa, formano il cosiddetto periodo scuro, in cui i colori sono profondi e cupi, con una luce attenuata ma vibrante; in questo si vede l’influenza del naturalismo tipico della tradizione fiamminga e dei realisti francesi, in particolare di Gustave Courbet. I temi preferiti si rifanno alla tradizione fiamminga: nature morte, ritratti, interni borghesi intimi e malinconici, paesaggi dall’orizzonte piatto e basso, con una luce suggestiva che ricorda William Turner. Queste opere si avvicinano parzialmente all’impressionismo di Édouard Manet, di Edgar Degas e di Claude Monet, senza tuttavia arrivare all’ariosa immediatezza, all’abbandono alla natura, alla luminosità che sfalda la forma.

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Giovanni Segantini – Le cattive madri

Le cattive madri, 1894, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna

IL DIPINTO

Le cattive madri è un dipinto del pittore italiano Giovanni Segantini, realizzato nel 1894 e conservato al Österreichische Galerie Belvedere di Vienna. Le cattive madri costituisce la seconda opera del cosiddetto ciclo del Nirvana, una serie di dipinti che Segantini realizzò ispirandosi ad un testo del Nirvana del librettista Luigi Illica. L’artista, infatti, trasfigura i celebri versi dell’autore e li riporta sulla tela, seguendo un procedimento tipicamente simbolista, che consiste nel partire dal concetto per poi giungere all’immagine. È proprio grazie a quest’opera, la quale fu acclamata dalla Secessione viennese e acquistata dal governo austriaco, che Segantini venne annoverato tra gli esponenti del Simbolismo europeo, mentre in Italia erano numerose le critiche che si stavano diffondendo nei confronti del ciclo del Nirvana, ritenuto un’erronea interpretazione del testo di Illica. La tematica affrontata nel quadro si lega alle vicende autobiografiche del pittore, il quale perse la madre a causa di una malattia quando era ancora un bambino. Questo fatto spalancò in lui un enorme vuoto che, in seguito, si trasformò in una vera e propria ossessione. Nelle cattive madri l’artista mette, infatti, in scena una vera e propria condanna rivolta a tutte coloro che, per un qualunque motivo, in vita rifiutarono la maternità per affermare la propria libertà sessuale.«Amai e rispettai sempre la donna in qualunque condizione essa sia pur che abbia viscere di Madre.» (Giovanni Segantini). Aspetto tipico della corrente simbolista è, infatti, la contrapposizione binaria tra donna come madre, che viene celebrata dallo stesso Segantini nel dipinto L’angelo della vita, e donna come femmina, che avendo abdicato alla sua missione primaria, deve necessariamente scontare la propria pena.

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Giovanni Segantini, ritratto fotografico

L’ARTISTA

Giovanni Segantini (Arco, 15 gennaio 1858 – monte Schafberg, 28 settembre 1899) è stato un pittore italiano, tra i massimi esponenti del divisionismo. Giovanni Battista Emmanuele Maria, figlio di Agostino Segantini e Margarita de Girardi, nasce ad Arco, nella parte italofona del Tirolo, allora appartenente all’impero austriaco, in una famiglia in condizioni economiche precarie. Alla morte della madre (Margherita de Girardi), nel 1865 viene inviato dal padre a Milano, in custodia presso la figlia di primo letto Irene. Privato di un ambiente familiare vero e proprio, Segantini vive una giovinezza chiusa e solitaria, tanto da venire arrestato per ozio e vagabondaggio, anche perché era considerato apolide: nel 1870 è rinchiuso nel riformatorio Marchiondi, dal quale tenta di fuggire nel 1871, ma vi viene riportato e vi rimane fino al 1873. Segantini viene quindi affidato al fratellastro Napoleone, che vive a Borgo in Valsugana, e, per mantenersi, lavora come garzone nella sua bottega. Rimane a Borgo fino al 1874. Al suo ritorno a Milano, ha ormai sviluppato una sua prima coscienza artistica e passione per la pittura, tanto che si iscrive ai corsi serali dell’Accademia di belle arti di Brera, che frequenta per quasi tre anni.

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Arnold Böcklin – L’isola dei morti

L’isola dei morti, prima versione dell’opera nel museo d’arte di Basilea, 1880-1886, Kunstmuseum Basel

IL DIPINTO

L’isola dei morti (Die Toteninsel) è il nome di cinque dipinti del pittore svizzero Arnold Böcklin, realizzati tra il 1880 e il 1886 e conservati a Basilea, New York, Berlino e Lipsia. Un luogo tranquillo: era questo il titolo originale della prima versione dell’opera, eseguita da Böcklin dopo una gestazione molto meditata su commissione di Alexander Günther, il suo mecenate ricco e misterioso: «L’isola dei morti è pronta, finalmente» gli comunicò in una missiva del 19 maggio 1880 «e sono convinto che susciterà l’impressione che desidero». Lo stesso Böcklin, tuttavia, rimase talmente stregato dalla sua creatura da non volersene separare più. Non sappiamo nulla sullo spunto che sollecitò Böcklin a dare vita a questa precisa composizione, che potrebbe aver preso le mosse da una visione onirica, o magari da un’immagine reale poi rielaborata dal genio artistico e dall’inconscio del pittore, o magari da luttuose fantasticherie.

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Autoritratto con la Morte che suona il violino, 1872 circa, Alte Nationalgalerie, Berlino

L’ARTISTA

Arnold Böcklin (Basilea, 16 ottobre 1827 – San Domenico di Fiesole, 16 gennaio 1901) è stato un pittore, disegnatore, scultore e grafico svizzero, nonché uno dei principali esponenti del simbolismo tedesco. Arnold Böcklin nacque il 16 ottobre 1827 a Basilea, figlio di Christian Friedrich Böcklin, noto mercante della seta nativo di Sciaffusa, e di Ursula Lipp, celebre discendente di una famiglia che annoverava tra i propri avi Johann Jacob Lippe e Hans Holbein il Giovane. Inizialmente destinato a seguire le orme paterne, grazie all’intercessione della madre e del poeta Wilhelm Wackernagel (professore al ginnasio e all’università di Basilea) il giovane Arnold fu in grado di assecondare la sua più autentica vocazione artistica, andando nel 1845 a studiare all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf. Qui ebbe come insegnante il pittore Johann Wilhelm Schirmer, uno dei maggiori interpreti del tempo della cosiddetta pittura eroico-panoramica, che in lui trovò un apprezzato autore di paesaggi densi di colore e di luce. Come osservato dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin «presso Schirmer a Düsseldorf la tendenza verso il grande paesaggio eroico ha ricevuto un particolare nutrimento. Giganteschi gruppi di alberi, pianure maestose, linee di montagne italiane con il loro tranquillo respiro riempivano la fantasia. Tuttavia il pathos un po’ generico di Schirmer non bastava a Böcklin». L’alunnato del Böcklin presso lo Schirmer durò fino al 1847, anno in cui Böcklin si recò insieme al condiscepolo Rodolf Koller a Bruxelles ed Anversa per ammirare i dipinti dei grandi maestri fiamminghi e degli olandesi del Seicento, rimanendone fortemente impressionato. Seguì un viaggio nella natia Svizzera, dove Böcklin – che, giova ricordarlo, aveva sviluppato una naturale inclinazione per la pittura di paesaggio – ebbe modo di incontrare la forza evocativa delle Alpi, da lui omaggiate con dipinti dal sapore friedrichiano. Arrivò persino a installarsi a Ginevra, seguendovi i corsi di Alexandre Calame, rinomato pittore di paesaggi alpini. L’apprendistato con quest’ultimo, tuttavia, si rivelò essere sterile ed inconcludente, sicché il giovane Arnold decise di recarsi a Parigi, città in quell’epoca satura di fermenti artistici. Böcklin rimase certamente colpito dall’innovativo cromatismo delle opere di Delacroix e Corot, o anche dalla bellezza de I romani della decadenza, quadro di Couture che nel 1847 aveva suscitato ammirati plausi nel pubblico del Salon. Ma furono in particolar modo la vastità e la solitudine del tessuto urbano Parigini e, soprattutto, la tumultuosità della rivoluzione francese del 1848 a lasciare un’impronta indelebile nel suo animo.

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Gustave Moreau – Edipo e la Sfinge

Edipo e la Sfinge, 1864, Metropolitan Museum of Art, New York

IL DIPINTO

Edipo e la Sfinge è un dipinto del pittore simbolista francese Gustave Moreau, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. Moreau rinnova la visione del mito antico in questo confronto, da cui Edipo uscirà vittorioso, che è quello tra il bene e il male, lo spirito e la materia. Il leggendario eroe greco Edipo, giunto a Tebe, incontrò la temuta Sfinge: un mostro con testa di donna, corpo di leone, coda di serpente ed ali di rapace. Ad ogni viaggiatore essa poneva un enigma: “Qual è la creatura che cammina su quattro piedi al mattino, su due al pomeriggio e su tre di sera?”. Nel suolo giacevano i resti dei passanti che non avevano risposto correttamente, ma Edipo capì che la soluzione era l’uomo, poiché da bambino gattona, da adulto cammina su due gambe ed in vecchiaia usa un bastone. Edipo sconfisse così la Sfinge. Nel 1864 Gustave Moreau espose al Salon Edipo e la Sfinge ricevendo le lodi di illustri critici come Théophile Gautier, Maxime du Camp, Paul de Saint-Victor, ricevette una medaglia e fu acquistato da un prestigioso collezionista: il principe Napoleone Bonaparte, cugino dell’imperatore. L’opera segnò l’inizio della sua fortuna.

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Autoritratto, 1850, Musée National Gustave-Moreau, Parigi

L’ARTISTA

Gustave Moreau (Parigi, 6 aprile 1826 – Parigi, 18 aprile 1898) è stato un pittore francese. Fu precursore del simbolismo e del surrealismo. Gustave Moreau nacque il 6 aprile 1826 a Parigi da Louis Moreau e Pauline Desmontiers. Il primo, architetto di influenze neoclassiche, offrì al giovane figlio un’ampia biblioteca costituita da opere di gran pregio, dove il giovane Gustave esplorò i capolavori della letteratura occidentale (tra i quali Ovidio e Dante Alighieri), i grandi trattati dell’architettura (Vitruvio e Leon Battista Alberti) e i trattati pittorici di Leonardo da Vinci e Winckelmann. La madre invece, devota al suo unico figlio, gli trasmise la passione per la musica. Dopo essersi avviato negli studi superiori con scarsi risultati nel Collegio Rollin, ottenne nel 1844 il baccalaureato dopo essersi preparato privatamente. Vari studiosi intravedono già nell’adolescenza di Gustave i segni di una personalità schiva e restia alle interazioni sociali, manifestando i primi sentori di un carattere fragile e ombroso che sfocerà poi nella sua produzione pittorica. Era infatti già emersa la passione per il disegno, sviluppata poi nella bottega di François Picot. Quest’ultimo lo introdusse alla pittura storica e soprattutto italiana, spingendolo ad eseguire minuziose copie degli artisti cisalpini esposti al Museo del Louvre. Ammesso nel 1846 alla Scuola delle Belle Arti, non riuscì mai a conseguire il Grand Prix de Rome, cosa che lo portò nel 1849 ad abbandonare l’istituto rifiutando per sempre la canonica e convenzionale arte accademica.

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Pierre Puvis de Chavannes – Il mercante di tartarughe

Il mercante di tartarughe, 1854, Musée d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

Il mercante di tartarughe (Le Marchand de tortues) è un dipinto ad olio su tela realizzato nel 1854 dal pittore francese Pierre Puvis de Chavannes (1824-1898), considerato un precursore del simbolismo, influenzato da Ingres. Questo dipinto è conservato nella collezione del Musée d’Orsay dalla sua acquisizione nel 2014. Il dipinto, che misura 89 × 118 cm, mostra un esterno diurno su un canale a Venezia, in primo piano, un giovane venditore di tartarughe, poco vestito, mezzo appoggiato a una colonna, lo sguardo rivolto verso una signora apparentemente benestante che sta giocando con dei cani. Al centro del dipinto una donna, accompagnata dal suo bambino, porta due secchi per mezzo di un giogo. Quale messaggio vuole trasmettere Puvy de Chavannes?

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Pierre Puvis de Chavannes

L’ARTISTA

Pierre Puvis de Chavannes (Lione, 14 dicembre 1824 – Parigi, 24 ottobre 1898) è stato un pittore francese. Appartenne alla corrente simbolista e fu l’ultimo esponente della Scuola di Lione. È considerato uno dei maggiori rappresentanti della pittura francese del 1800. Pierre-Cécile Puvis nacque in un sobborgo di Lione, figlio di un ingegnere minerario discendente da un’antica e nobile famiglia della Borgogna. Solo in seguito aggiunse “de Chavannes” al suo cognome, con lo scopo di acquisire più prestigio. Compì i suoi studi al Liceo Enrico IV di Parigi, seguendo in particolare i corsi di Retorica, di Filosofia e di Diritto, con l’intenzione di seguire la professione paterna. Ma nel 1844 e nel 1845 si ammalò e dovette recarsi in convalescenza a Mâcon. Si recò poi in Italia e vi trascorse un anno. L’incontro con le opere dei grandi maestri italiani e con lo stesso paesaggio italico gli dischiusero nuove prospettive e sconvolsero i suoi programmi per il futuro. Al suo ritorno annunciò di voler rinunciare agli studi di ingegneria per divenire un pittore. Si stabilì così in un ampio studio presso la Gare de Lyon e iniziò a seguire i corsi di Henry Sheffer. A questi primi studi seguì un secondo soggiorno di studio in Italia, quindi, rientrato a Parigi, per breve tempo si recò nell’atelier di Eugène Delacroix, ma costui, per ragione di salute, cessò la sua attività. Puvis decise allora di continuare il suo apprendistato nella scuola di Thomas Couture. Gli studi di Puvis non seguirono però la prassi consueta. Egli preferì frequentare irregolarmente i maestri e lavorare spesso da solo. Di sua iniziativa, inoltre, si iscrisse ad un corso di anatomia presso l’Accademia di Belle arti.

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Giuseppe Pellizza da Volpedo: La fiumana

La fiumana, 1898, Pinacoteca di Brera, Milano

IL DIPINTO

La fiumana, dipinto nel 1898 da Giuseppe Pellizza da Volpedo, è conservato alla Pinacoteca di Brera (Milano) Pellizza, prima di dipingere la grande tela del Quarto stato, decise nell’agosto 1895 di realizzarne uno studio in olio preliminare: questa redazione rappresenta di fatto un punto di rottura con gli antecedenti Ambasciatori della fame. Rispetto ai bozzetti precedenti, la massa di gente qui è vastissima, tale da formare – come suggerisce il titolo – una vera e propria fiumana umana; cambia anche la gamma luminosa, stavolta giocata con l’utilizzo di «contrasti dal giallo al rosso, con dominanti sulfuree nelle figure e su toni dal blu al verde nello sfondo, dove il cielo è di forte intensità blu azzurrata e verdi delle piante si riflettono nel terreno». Contestualmente, l’ombra in primo piano viene abolita e viene prediletto un punto di vista meno alto, in modo da dare maggiore enfasi alla folla, stavolta portata più in avanti. Viene inoltre aggiunta una nuova figura femminile con un bimbo in braccio; quest’ultima, posta in posizione subordinata rispetto al resto dei riottosi, viene intesa passivamente come allegoria dell’umanità.

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Giuseppe Pellizza

L’ARTISTA

Giuseppe Pellizza (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) è stato un pittore italiano, dapprima divisionista, poi esponente della corrente sociale, autore del celeberrimo Il quarto stato, divenuto un simbolo del mondo del lavoro subordinato e delle battaglie politico-sindacali e operaie (questione operaia), a partire dall’Ottocento in poi con la seconda rivoluzione industriale. Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo, in provincia di Alessandria, il 28 luglio 1868 da Pietro e da Maddalena Cantù, in un’agiata famiglia di contadini; frequentò la scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia, dove apprese i primi rudimenti del disegno. Grazie alle conoscenze ottenute con la commercializzazione dei loro prodotti, i Pellizza entrarono in contatto con i fratelli Grubicy, che promossero l’iscrizione di Giuseppe all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove fu allievo di Giuseppe Bertini. Contemporaneamente, ricevette lezioni private dal pittore Giuseppe Puricelli; successivamente divenne allievo di Pio Sanquirico. Espose per la prima volta a Brera nel 1885. Terminati gli studi milanesi, Pellizza decise di proseguire il tirocinio formativo, recandosi a Roma, dapprima all’Accademia di San Luca, poi alla scuola libera di nudo all’Accademia di Francia a Villa Medici. Deluso da Roma, abbandonò la città prima del previsto per recarsi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti, come allievo di Giovanni Fattori. Alla fine dell’anno accademico ritornò a Volpedo, allo scopo di dedicarsi alla pittura verista attraverso lo studio della natura. Non ritenendosi soddisfatto della preparazione raggiunta, si recò a Bergamo, dove all’Accademia Carrara seguì i corsi privati di Cesare Tallone. Frequentò poi l’Accademia Ligustica a Genova. Al termine di quest’ultimo tirocinio, ritornò al paese natale, dove sposò una contadina del luogo, Teresa Bidone, nel 1892. Nello stesso anno, cominciò ad aggiungere “da Volpedo” alla propria firma.

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Henri de Toulouse-Lautrec – Ballo al Moulin Rouge

Ballo al Moulin Rouge, 1889-1890, Museum of Art, Filadelfia

IL DIPINTO

Ballo al Moulin Rouge è un dipinto del pittore francese Henri de Toulouse-Lautrec, realizzato nel 1889-90 e conservato al museo d’arte di Philadelphia. Toulouse-Lautrec amava intensamente la vita ed era affascinato dallo spettacolo umano che, ogni sera, gli ferveva intorno al Moulin Rouge, celebre locale notturno del quartiere di Montmartre inaugurato nel 1891 e universalmente apprezzato dai parigini. I maggiori artefici del successo di questo tempio dell’eccesso e della lussuria furono, in particolare, la Goulue e Valentin le Désossé. La prima era una contadina di origini alsaziane che, giunta a Parigi alla ricerca di notorietà, si lasciò suggestionare dalle luci di Montmartre e si ingaggiò come ballerina presso il Moulin Rouge. Il successo che ebbe fu sfolgorante: illuminata da «quel poco di bruttezza, che la salva[va] dalla perfezione», per usare le parole dello stesso pittore, Louis Weber (soprannominata «Goulue» per il suo appetito insaziabile) sapeva combinare mirabilmente la sua eccentricità e la sua sfrontatezza con una grazia quasi fanciullesca. L’impressione che gli indiavolati can-can intrapresi dalla Goulue avevano sui parigini si può facilmente intuire dal seguente commento, pubblicato sul Figaro illustré del 1891: «Arrivarono [al Moulin Rouge] proprio nel momento psicologico in cui la Goulue stava eseguendo un passo impossibile da descrivere: balzi da capra impazzita, rovesciamenti all’indietro da pensare che si sarebbe spezzata in due, voli di gonne. Il pubblico scalpitava entusiasta».

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Henri de Toulouse-Lautrec in un ritratto fotografico scattato del 1894

L’ARTISTA

Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901) è stato un pittore francese, tra le figure più significative dell’arte del tardo Ottocento. Henri de Toulouse-Lautrec nacque il 24 novembre 1864 in uno dei palazzi di famiglia, l’Hôtel du Bosc, presso Albi, una cittadina del Meridione della Francia, a ottanta chilometri di distanza da Tolosa. La sua era una delle famiglie più prestigiose di Francia. I Toulouse-Lautrec si consideravano discendenti da Raimondo V conte di Tolosa, padre di Baudouin, che nel 1196 avrebbe dato origine alla stirpe, contraendo matrimonio con Alix, viscontessa di Lautrec. La famiglia regnò per secoli sull’Albigese e diede i natali a valorosi soldati, militarmente attivi nelle Crociate, che tuttavia non mancavano di compiacersi con le Belle Arti: nel corso dei secoli, infatti, furono numerosi i Toulouse-Lautrec che si interessavano di disegno, e persino la nonna di Henri un giorno disse: «Se i miei figli a caccia prendono un uccello, ne ricavano tre piaceri: sparargli, mangiarlo e disegnarlo». I genitori di Henri erano il conte Alphonse-Charles-Marie de Toulouse-Lautrec-Montfa e la contessa Adèle-Zoë-Marie-Marquette Tapié de Céleyran, ed erano cugini primi (le madri degli sposi erano sorelle). Era usanza delle famiglie nobiliari, infatti, sposarsi tra consanguinei, così da preservare la purezza del sangue blu, e neanche Alphonse e Adèle si sottrassero a questa tradizione, celebrando il matrimonio in data 10 maggio 1863. Quest’unione, tuttavia, fu gravida di funeste conseguenze: i due sposi, infatti, erano sì entrambi nobili, ma erano pure assolutamente incompatibili fra di loro. Il padre di Lautrec, il conte Alphonse, era un bizzarro esibizionista ed un insaziabile dongiovanni e amava consacrarsi all’ozio e ai passatempi dei ricchi, frequentando l’alta società e seguendo la caccia e l’ippica (le corse a Chantilly erano il suo pane quotidiano).

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Vincent van Gogh – Il Sentiero di notte in Provenza

Sentiero di notte in Provenza, 1890, Museo Kröller-Müller, Otterlo, Paesi Bassi

IL DIPINTO

Il Sentiero di notte in Provenza, conosciuto anche come Strada con cipressi e cielo stellato, è un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh realizzato nel 1890 e conservato nel Museo Kröller-Müller a Otterlo nei Paesi Bassi. Il cielo notturno e la Luna in particolare sono in grado di impressionare persino un impressionista. Vincent van Gogh è rimasto molte volte a bocca aperta davanti alle stelle, e non ha esitato a rappresentarle in molte sue opere. Una di queste, anche se meno celeberrima della “Notte stellata”, si intitola “Sentiero di notte in Provenza”. Su questa tela è rappresentato, come suggerisce il nome, un sentiero in mezzo ai campi della Provenza. Lo percorrono una coppia di pedoni ed un carrettino trainato da un cavallo che ospita un piccolo gruppo di persone. In fondo a destra è visibile una casa dai tetti spioventi che sorge al limitare di un boschetto di cipressi. Il paesaggio è diviso da uno di questi alberi, situato lungo il sentiero, che si staglia nel cielo bluastro. Le macchie gialle a sinistra rappresentano probabilmente spighe di grano, che nel mese di maggio, in cui è stato dipinto il quadro, è quasi al culmine della sua crescita. All’orizzonte si scorgono delle montagne, sormontate da nuvole basse e rade. Tutto il paesaggio è illuminato dalla luce delle stelle e della Luna, nella fase di falce crescente.

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Autoritratto, 1887, The Art Institute of Chicago

L’ARTISTA

Vincent Willem van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese. Fu autore di quasi novecento dipinti e di più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e i tanti appunti destinati probabilmente all’imitazione di disegni artistici di provenienza giapponese. Tanto geniale quanto incompreso se non addirittura disprezzato in vita, Van Gogh influenzò profondamente l’arte del XX secolo; dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì all’età di soli trentasette anni. Iniziò a disegnare da bambino nonostante le continue pressioni del padre, pastore protestante che continuò ad impartirgli delle norme severe; continuò comunque a disegnare finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere tardi, all’età di ventisette anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all’esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet.

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