Asti, Palazzo Mazzetti: Un nuovo Caravaggio alla mostra “La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta”

Michelangelo Merisi detto Caravaggio
San Girolamo scrivente, 1605-1606 circa
Olio su tela, 116×153 cm
Roma, Galleria Borghese

Ad arricchire il percorso della mostra “La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta” dal prossimo 6 febbraio sarà esposta la meravigliosa tela “San Girolamo scrivente“, opera di Caravaggio ed eccezionale prestito della Galleria Borghese di Roma.

Fino al 7 aprile 2024
Palazzo Mazzetti, Asti

Dal prossimo 6 febbraio la mostra in corso a Palazzo Mazzetti di Asti “La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta” si arricchisce di un nuovo capolavoro.
Prestato eccezionalmente dalla Galleria Borghese di Roma, arriva il “San Girolamo scrivente“, meraviglioso olio su tela del Caravaggio datato 1606 circa e dipinto per il cardinale Scipione Borghese, collezionista al tempo famoso per la sua bramosia e avidità ma anche per la grande ammirazione nei confronti del Merisi stesso (infatti riuscì a ottenere altre quattro tele di Caravaggio, spesso sfruttando la propria posizione dominante, in quanto nipote del papa).

San Girolamo, al quale secondo la tradizione si deve la traduzione delle Sacre Scritture dal greco al latino, in questo lavoro viene appunto ritratto come un anziano umanista nell’atto di studiare la Bibbia, assorto nell’analisi del testo sacro.

La scelta del Cardinale di commissionare il San Girolamo è senza dubbio motivata dall’alto profilo intellettuale che in questo santo è profondamente intrecciato con quello spirituale.

Come in ogni natura morta, anche in questo olio a ogni elemento si può conferire un più alto significato simbolico, definito non solo dalla collocazione nella tela ma anche dalla particolare cromia che lo determina.

Ecco quindi il capo piegato del santo che, nella struttura compositiva, dialoga con la posizione del teschio poggiato sulla scrivania (un pezzo di natura morta eccezionale, che allude alla morte, dove la Parola di Dio ci accompagna con la certezza del paradiso) o la divisione della tela in due campiture di colore.

Da un lato, infatti, emergono le cromie più calde – come l’incarnato del santo e il manto vermiglio – e dall’altro quelle fredde – il bianco della carta su cui alloggia lo stesso teschio e il drappo che morbido ricade dalla tavola – che si fanno portatrici di un dialogo tra contenuti di natura opposta: vita e morte, passato e presente.

Per l’esecuzione rapida di alcuni dettagli e per l’immediatezza della stesura del colore, parte della critica ha ipotizzato che la tela non sia mai stata terminata.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio
Canestra di frutta, 1597-1600
Olio su tela, cm 47×61
Veneranda Biblioteca Ambrosiana,
Pinacoteca – Milano
©Veneranda Biblioteca Ambrosiana /
Mondadori Portfolio

“Alla Canestra di frutta” – dichiara il Presidente della Fondazione Asti Musei Mario Sacco– si aggiunge questa seconda tela di Caravaggio. Un’opera voluta per valorizzare maggiormente un grande artista quale è il Caravaggio in tutti i suoi aspetti e per la quale lavoriamo da tempo, convinti di raggiungere il risultato: avevamo infatti già compreso il San Girolamo nel catalogo dell’esposizione. Si tratta di un altro prestito straordinario, concesso dalla Galleria Borghese, istituzione unica al mondo anche perché le sue sale storiche conservano il maggior numero di tele di Michelangelo Merisi (sei). Il “San Girolamo” dipinto dal Caravaggio non è un’opera fuori tema, anzi, in questo quadro sono presenti tutti gli elementi della natura morta: i libri, il teschio, il panno bianco sono parte integrante della composizione che vuole sottolineare il dialogo tra la vita e la morte, passato e presente.”

La mostra, con il contributo concesso dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali del Ministero della Cultura, è realizzatadalla Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Asti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, in collaborazione con Arthemisia, con il patrocinio della Provincia di Asti, è curata da Costantino D’Orazio e vede come sponsor il Gruppo Cassa di Risparmio di Asti.
Catalogo edito da Skira.


Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Palermo: a Palazzo Branciforte la mostra: IL GIARDINO DELLE VERGINI

PALERMO – PALAZZO BRANCIFORTE
3 febbraio – 10 marzo 2024

Uomo, natura e sogno nella mostra antologica                            della nota artista internazionale Rosa Mundi, tra musiche, sfere armillari, opere pittoriche, scultoree in marmo e in pietra

A cura di Andrea Guastella

Inaugurazione:
Sabato, 3 febbraio 2024, ore 18.00

Il calendario artistico italiano 2024 dal 3 febbraio al 10 marzo parla siciliano grazie all’imponente mostra antologica “Il Giardino delle Vergini” dell’artista internazionale Rosa Mundi, che porta a Palermo, nelle sale museali di Palazzo Branciforte, ben 118 opere e 4 videoinstallazioni rappresentative di 33 anni di ricerche e sperimentazioni tra pittura, sculture, fotografie e video arte.

“Art is my sixth sense, my third eye, the main strings of my body, my great love, the room in which I wish to expire and smile at life, transmigrating into a new dimension, after death” dichiara Rosa Mundi

A cura di Andrea Guastella, promossa dalla Fondazione Sicilia, con il sostegno tecnico della Fondazione Donà dalle Rose, Associazione Settimana delle Culture, Doge Venice Red Carpet, “Il Giardino delle Vergini” è un viaggio potente e immersivo nel mondo onirico di Rosa Mundi, artista pluripremiata a livello internazionale, che conduce lo spettatore attraverso un percorso espositivo dove l’uomo, la natura e il sogno sono protagonisti. La mostra si snoda come una passeggiata in un immaginario giardino purificatore inteso come una dimensione separata dalla realtà quotidiana.

Rosa Mundi utilizza prevalentemente nei suoi lavori – caratterizzati da lunghi studi sulla luce e i suoi riflessi – pigmenti naturali vegetali ed organici misti ad olio di oliva, uovo ed estratto di meduse, oltre a materiale riciclato, tra cui il vetro, il marmo, la plastica così nobilitata, restituendo nuova vita alla materia, giocando con la luce ed i sui rifessi. A Palermo, con il “Giardino delle Vergini” l’artista propone un territorio di confine tra due mondi, quello esterno e quello interiore restituendo, in parallelo, un’esperienza personale ed introspettiva personalissima tra materiali ed immagini liquidi e solidi.

Varcate le imponenti mura di Palazzo Branciforte si apre un lungo corridoio segnato da tre suggestive sfere armillari per poi arrivare alla Sala della Cavallerizza tra opere pittoriche della fine del ‘900 e opere più recenti sculture in marmo e pietra selezionate alla Biennale di Helsinki nel 2016, la BIAS ideata e promossa da Rosa Mundi con il coinvolgimento di artisti  provenienti da tutto il mondo, Cairotronic la Biennale del Cairo nel 2018, la  Biennale Arte di Venezia 2017 e 2022, sino alle più recenti opere prodotte in occasione dei suoi ultimi viaggi in Senegal ed a Cipro, dove ha vinto lo Special Award per la Biennale Arte di Larnaca 2023.

Particolarità dei lavori esposti è che ciascuno di essi è associato a composizioni sonore dei Maestri Mario Bajardi, Alberto Bof (Oscar per colonna sonora testi “Shallow” e arrangiamenti per Lady Gaga) e Carlo Condarelli, oltre al giovanissimo e talentuoso Jacopo Lo Bue di Lemos, creando così un gioco di luci, ombre, musiche e immagini semitrasparenti che portano nel cuore della Sicilia, sotto il segno dell’arte contemporanea internazionale, un Paradiso terrestre dove perdersi e sognare.

www.rosamundivisualart.com
rosa@rosamundivisualart.com
rosamundiartist@gmail.com

***

Rosa Mundi  è uno pseudonimo d’artista. Si tratta di un personaggio “faceless” che non ha mai voluto mostrare il proprio volto. Rosa Mundi ha frequentato corsi di Pittura, Scultura, Coreografa e Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, la Accademie des Beaux Arts di Strasburgo e l’Ecole Martenot di Parigi. Indagatrice introspettiva di civiltà passate e presenti, l’artista traspone in arte vicende reali del quotidiano e dell’umano sentire, creando scenari ad hoc e performance mirate con cui da sempre da’ voce al suo personale Teatro del Mondo. È presente in importanti collezioni permanenti pubbliche e ha partecipato a numerose esposizioni internazionali tra le quali Parcours a Dakar in Senegal,  Biennale di Cipro Larnaca 2023, Biennale Arte di Venezia 2022 Padiglione Stato di San Marino, Biennale Architettura di Venezia 2016, Biennale di Helsinki Pixelate 2016, Biennale Donna di Trieste 2017, PAW Palermo Art Week End 2021, Biennale del Sale 2017, Festival delle Filosofie 2021, CANIFFF Canadian International Fashion Film Festival 2021. .www.rosamundivisualart.com

Finalista dell ‘International Competition of Electronic Music Pierre Shaeffer. Unico vincitore italiano con “BJM Violin Studio 7” all’ICMC 2002 di Goteborg, con “BJM Piano Studio” si aggiudica invece il concorso Luigi Russolo 2004 e il CEMAT 2005.

Nel 2006 è scelto per il disco “Electroacoustic Music from Sicily” prodotto dalla EMF di New York Le sue note fanno da sfondo a numerosi eventi nel corso degli anni, tra i quali il festival internazionale Musica d’Alta Quota, il Palermo Film Festival e il Festino di Santa Rosalia e per colonne sonore, documentari e produzioni multimediali fa nascere collaborazioni proficue con tanti registi fra cui Roberta Torre, Salvo Cuccia, Giuseppe Carleo, Giuseppe Gigliorosso, Sergio Cannella, Sigfrido Giammona, Ruben Monterosso e Federico Savonitto, Alessandro Ferrara, Moscò, RosaMundi, insieme a qualche esperienza oltreoceano tra New York (“An Internet World”, Carlo Fiorletta/ Mara Lesemann) e Los Angeles (“Sweetheart”, M.A. Pate, assistente di Quentin Tarantino). Nel 2016 scrive musiche inedite per “Vedozero” di Andrea Caccia. Nel 2021 scrive le musiche per il Film documenatario “Sgalambro” con Franco Battiato regia di Mario Bellone e Marcello Faletra.

Le sue musiche sono state presentate alla Biennale di Venezia 2017 grazie alla collaborazione con WISH/BIAS e Rosamundi nel padiglione Iraniano. Nello stesso anno pubblica il suo ultimo lavoro CD “SCHENGEN” che sarà rappresentato con una performance live ed una mostra permanente all’interno del Museo Riso di Palermo. Nell’Aprile del 2018 apre la BIENNALE DI ARTE “BIAS”, in anteprima nazionale, con la sua composizione OFFICIUM tratto da Schengen per Orchestra, Elettronica, Coro e danza eseguite alla Cattedrale di Palermo e al Teatro Massimo di Palermo. Nel luglio 2018 il suo progetto INSIDEOUT e le sue musiche tratte da Schengen album vengono eseguito al Teatro Massimo di Palermo. TV Spot per Nissan trasmesso in RAI.  Nel 2020 esce il suo nuovo album “INVERSE”. Nel 2021 scrive le musiche inedite e crea il sound design per il Museo Salce legato al progetto su “Renato Casaro ed i cartellonisti del Novecento” regia Cristian Taraborelli

Pianista e compositore, ha suonato e arrangiato la canzone più premiata della storia (Oscar, Golden Globe, Bafta ed altri) “Shallow” insieme a Lady Gaga e Bradley Cooper. Ha composto colonne sonore per film con Johnny Depp, Tom Sizemore, e quest’anno uscirà un suo nuovo film con i premi Oscar Jamie Foxx e Robert De Niro intitolato “Tin Soldier”. Nella sua lunga carriera a Los Angeles ha collaborato tra gli altri con Quincy Jones, Joe Perry e suonato a Las Vegas con Aerosmith sul palco dell’MGM Grand dove adesso si esibisce Adele.

Carlo Condarelli Compositore Performer Musico Terapeuta. Diplomato presso il Ministero delle Arti della Repubblica di Guinea in percussioni. Allievo del grande Maestro Malinke Fadouba Oulare. Ha composto per la regia di Armando Pogliese (La Gerusalemme Liberata per il Teatro stabile di Catania), per la regia di Joe Rush fondatore della Mutoid Waste Company (Total Reality). Ha pubblicato con IPERCUSSONICI tre album, presentati in Europa (Womad Peter Gabriel) con un tour di 15 concerti in Giappone. 2019 Prodotto in Giappone da Smash Production con il grande batterista Junjii Ikegata realizza una performance per  ASAJIRI JAM FESTIVAL ai piedi del monte fuji. Eclettico performe e compositore in ambito elettronico interattivo, e per grandi ensemble collabora attivamente con diversi artisti e progetti sociali, Antonio Presti, Save de children.


PALAZZO BRANCIFORTE

Restituito alla città di Palermo nel maggio 2012, dopo il restauro sostenuto dalla Fondazione Sicilia sotto l’occhio vigile dell’Architetto Gae Aulenti con l’obiettivo di tutelare e promuovere il patrimonio culturale della città di Palermo, Palazzo Branciforte offre ai visitatori un vasto percorso espositivo che si snoda fra preziose sculture, rare maioliche, reperti archeologici, numismatica e filatelia, in un incontro altamente impattante fra moderno e contemporaneo. Oggi sede degli uffici direzionali della Fondazione, Palazzo Branciforte offre spazio e fruibilità ad alcune prestigiose Collezioni della Fondazione stessa. www.palazzobranciforte.it


Palazzo Branciforte – Fondazione Sicilia
Largo Gae Aulenti, 2 – 90138 Palermo
Tel: +39.091.8887767 – +39.091.7657621 (biglietteria)
info@palazzobranciforte.it
 
IL GIARDINO DELLE VERGINI  – Rosa Mundi
a cura di Andrea Guastella
in collaborazione con Associazione Settimana delle Culture, Doge Venice Red Carpet, Fondazione Dona’ dalle Rose, Fondazione Sicilia
Contributi critici: Guido Brivio, Giancamillo Custoza, Andrea Guastella, James Putnam, Massimiliano Reggiani, Angela Vettese, Massimo Scaringella
Musiche di: Mario Bajardi, Alberto Bof e Jacopo Lo Bue
 
Inaugurazione: Sabato, 3 febbraio ore 18.00
 
ORARI
Dal 1 Novembre al 29 Febbraio: Venerdì – Domenica 10.00 – 19.00
Dal 1 Marzo al 31 Agosto: Giovedì – Domenica 10.00 – 20.00
La biglietteria chiude un’ora prima
 
BIGLIETTI
L’ingresso all’intero Palazzo è consentito esclusivamente con visita guidata
della durata di 45 minuti con partenza a cadenza oraria dalle 10.00 alle 18.00
(da novembre a febbraio) e dalle 10.00 alle 19.00 (da marzo a ottobre)
al costo di:
€ 9 (biglietto intero)
€ 7 (biglietto ridotto: gruppi di almeno 15 persone, maggiori di 65 anni, categorie convenzionate )
€ 4 (senza visita guidata) solo piano terra: Collezione di archeologia presso la sala della Cavallerizza, affreschi su pannello secenteschi e reperti archeologici da Palazzo Mancini
 
UFFICIO STAMPA ROSA MUNDI / FONDAZIONE DONA’ DALLE ROSE
Giordana Sapienza
press@fondazionedonadallerose.org
 
In collaborazione con StudioBegnini | info@studiobegnini.it |studiobegnini.it
 
UFFICIO STAMPA PALAZZO BRANCIFORTE
Antonio Gerbino
press-sicilia@civita.art

Pio Istituto delle Sordomute Povere | ART CITY Bologna: Meredith Monk. Bloodline Shrine

Meredith Monk, Bloodline Shrine, Veduta di allestimento
Foto di Valentina Cafarotti e Federico Landi di Migliorare con l’età

A cura di Caterina Molteni

Progetto promosso da MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna
in collaborazione con Fondazione Pio Istituto delle Sordomute Povere

Eseguito da Meredith Monk & Vocal Ensemble
Ellen Fisher, Katie Geissinger, Meredith Monk, Allison Sniffin e Jo Stewart
Installazione video 5 canali (colore, sonoro)
Ideato e diretto da Meredith Monk
Design dell’installazione di Meredith Monk e Yoshio Yabara
Fotografia Ben Stechschulte
Video editing di Katherine Freer

1 – 4 febbraio 2024
Pio Istituto delle Sordomute Povere
Via della Braina 11, Bologna

Giovedì 1 febbraio h 14.00 – 20.00
Venerdì 2 e domenica 4 febbraio h 10.00 – 20.00
Sabato 3 febbraio h 10.00 – 22.00


Ingresso gratuito

Il progetto Bloodline Shrine (2018) di Meredith Monk, curato da Caterina Molteni, è in programma dall’1 al 4 febbraio 2024 al Pio Istituto delle Sordomute Povere di Bologna e rientra nella dodicesima edizione di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.
Meredith Monk, compositrice, cantante, regista, coreografa e danzatrice statunitense, è riconosciuta tra le artiste più influenti del nostro tempo. Monk ha largamente indagato la vocalità come strumento musicale, indipendente dal testo, mostrandone l’infinita ricchezza formale.

Bloodline Shrine prende le mosse da una rivalutazione della voce come strumento espressivo al di là delle componenti di comunicazione linguistica, facendo leva sulla natura materica della voce, sulla sua essenza e rilevanza creativa.
Nella voce ci sono infinite possibilità di timbro, struttura, carattere, genere, modalità di produrre suono – sostiene Monk – ho scoperto che in un’unica voce c’è l’uomo e la donna, tutte le età, le sfumature di un sentire di cui non riusciamo a trovare le parole“. Per l’autrice ogni voce custodisce la genealogia personale di ciascun individuo (Shrine è un santuario), la sua discendenza (Bloodline), la sua relazione immanente con le altre creature viventi e inorganiche, l’influenza di un paesaggio. Le nostre corde vocali sono muscoli con una propria memoria che nel canto torna a manifestarsi grazie alla collaborazione di respiro, diaframma, gesti vocali non verbali come “sospiri, sussurri, risate e varie risonanze della testa e del corpo“.

Installata nel dormitorio del Pio Istituto delle Sordomute Povere, Bloodline Shrine presenta un ensemble a cinque voci che esegue alcuni estratti dall’opera Cellular Songs (2018) a cui l’installazione faceva originariamente da accompagnamento. Il lavoro si compone di cinque monitor, uno per ciascuno degli interpreti che racconta la propria storia. Ad alternarsi sugli schermi, immagini di volti, antenati, radiografie mediche e dettagli fisici. Ciascuna voce svela la propria origine e il legame a ogni cellula biologica del corpo. La cellula, come già accadeva in Cellular Songs, diventa per Monk modello di cooperazione, di quel sistema di interdipendenza che dà forma a tutti gli esseri viventi e allo stesso tempo permette le figurazioni ritmiche (cellula ritmica). Corpi, discendenze e musica trovano qui rappresentazione nel loro essere sistemi complessi la cui esistenza e funzionamento sono possibili solo grazie alla partecipazione di più e microscopici elementi. La voce si mostra così come un “tempio”, un “sepolcro”, un canale espressivo che ricollega ogni persona a un mondo ancestrale senza tempo. Monk ci parla di una “lingua universale”, non codificata, che priva di parole, esprime la dimensione ineffabile che attraversa la realtà.

Fondato nel 1845 da monsignor Pietro Buffetti, il Pio Istituto delle Sordomute Povere nasce per dare stabilità e forma giuridica all’assistenza delle bambine e adolescenti affette da sordità e provenienti da situazioni disagiate. Dieci anni dopo la sua nascita, trova sede nell’immobile di via della Braina, un ex-convento di monache Servite, dove sono oggi visibili gli ambienti didattici, le stanze di direzione, il dormitorio e la sala, attrezzata di cuffie e microfoni in cui veniva applicata la tecnica riabilitativa fondata sui principi dell’oralismo. Quest’ultima consisteva nell’insegnamento della lingua parlata, facendo leva sui residui uditivi della bambine, incentivando lo sviluppo orale, per diverso tempo ritenuto del tutto compromesso (da qui l’appellativo, ormai obsoleto, di “sordomute”).

L’ingresso è gratuito.
Negli orari di apertura dei giorni ART CITY Bologna è garantito un servizio di mediazione culturale a cura del Dipartimento educativo MAMbo.

Meredith Monk (20 novembre 1942, New York) è una compositrice, cantante, regista/coreografa di opere liriche, opere musico-teatrali, film e installazioni; è una pioniera di quella che oggi viene chiamata “tecnica vocale estesa” e “performance interdisciplinare”. Monk crea opere che prosperano nelle intersezioni tra musica e movimento, immagine e oggetto, luce e suono, aprendo e intrecciando nuove modalità di percezione. La sua esplorazione innovativa della voce come strumento, come linguaggio eloquente in sé, espande i confini della composizione musicale, creando paesaggi sonori che portano alla luce sentimenti, energie e ricordi per i quali non ci sono parole.


ART CITY Bologna 2024 è promosso da
Comune di Bologna e BolognaFiere in occasione di Arte Fiera

Direzione artistica
Lorenzo Balbi

Con il coordinamento di
Settore Musei Civici Bologna | Area Arte Moderna e Contemporanea

Periodo
1 – 4 febbraio 2024

Sito web
artcity.bologna.it

Social media
Facebook Art City Bologna
Instagram @artcitybologna
#artcitybologna

Ufficio stampa
Settore Musei Civici Bologna
Elisabetta Severino – Silvia Tonelli
Tel. +39 051 6496658 / +39 051 2193469
ufficiostampaARTCITYBologna@comune.bologna.it
elisabetta.severino@comune.bologna.it
silvia.tonelli@comune.bologna.it 

Casa Morandi, Bologna | ART CITY Bologna 2024: Morandi metafisico. Tre disegni. Una storia

A cura di Lorenza Selleri

1 febbraio – 5 maggio 2024

Mostra promossa da Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi
nell’ambito di ART CITY Bologna in occasione di Arte Fiera

Il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna presenta a Casa Morandi il focus espositivo Morandi metafisico. Tre disegni. Una storia a cura di Lorenza Selleri.
La mostra apre al pubblico giovedì 1 febbraio 2024 nell’ambito della dodicesima edizione ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, dedicato a Giorgio Morandi nel 60° anniversario della morte, e rimane visibile fino al 5 maggio 2024.

Nella casa di Giorgio Morandi in via Fondazza 36 a Bologna, nel ripostiglio adiacente al suo studio, si conservano ancora i modelli che a lui servirono per le opere della stagione metafisica, circoscrivibile a una breve parentesi tra l’estate del 1918 e il tardo autunno del 1919. Muovendo dai tre disegni metafisici appartenenti alla collezione del Museo Morandi, questo approfondimento espositivo nasce con l’intenzione di documentare la scoperta del mondo metafisico e i suoi valori simbolici all’interno della lunga vicenda creativa morandiana, accostando le opere a oggetti e un apparato documentario di lettere, testi e fotografie.

Ad oggi i dipinti di Morandi catalogati sono poco più di 1400. Le opere del pittore realizzate negli anni giovanili, ovvero tra il 1910 e il 1920, sono quelle nate dallo studio, dalla sperimentazione e da una ricerca costante finalizzata al raggiungimento di un proprio autonomo linguaggio. È il decennio in cui decollano alcune delle principali avanguardie artistiche e i dipinti coevi di Morandi odorano per l’appunto di Futurismo e di Cubismo. “Anch’io” – dichiara egli stesso nel 1928 – “come tanti giovani di buona volontà, sentivo la necessità di un totale rinnovamento dell’atmosfera artistica italiana”, ma “questa mia iniziale adesione non andò più oltre di una partecipazione alla prima mostra dei ‘Giovani Futuristi’ da Sprovieri a Roma”.

Agli inizi, tuttavia, Morandi si tiene aggiornato e assimila attraverso le riproduzioni su libri e periodici la lezione di Cézanne, di Derain, ma anche di Picasso e Braque pur tenendosi a distanza da Parigi, epicentro mondiale dell’arte di quel tempo.
Durante il primo conflitto mondiale, Morandi viene richiamato alle armi, ma immediatamente riformato per gravi problemi di salute. In quegli anni realizza un numero ridotto di opere, ma tutte di primaria importanza: sono capisaldi di una produzione artistica variegata in cui si percepisce l’inizio di un percorso autonomo, in cui il superamento della lezione cubista si fonde con la riscoperta di Giotto, di Paolo Uccello e con l’interesse per il primitivo Rousseau.

Successivamente nella sua città, tramite la rivista letteraria “La Raccolta”, fondata e diretta da giovani intellettuali bolognesi a lui vicini quali Giuseppe Raimondi e Riccardo Bacchelli, Morandi si accosta, seppur per un breve periodo, alla Metafisica. “La Raccolta”, infatti, dal 15 marzo 1918 al 15 febbraio 1919 pubblica scritti di Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Filippo De Pisis, Alberto Savinio, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, solo per citarne alcuni, e fuori testo inserisce, a corredo di ogni numero, illustrazioni in bianco e nero riproducenti opere di Giorgio de Chirico, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Mario Bacchelli e dello stesso Morandi. Egli viene coinvolto in questo clima anche se la sua metafisica, contrariamente a quella intellettualmente ricercata di de Chirico e Carrà, non rimanda a nulla di diverso da ciò che si vede.
Gli oggetti sono forme che proiettano ombre e sono presenti in un spazio apparentemente sospeso, ma in realtà praticabile. Morandi mostra quindi la capacità di attribuire un valore universale alle cose di tutti i giorni dando vita a quella che verrà definita dallo stesso de Chirico “la metafisica degli oggetti più comuni”.

Le opere di Morandi in cui si può percepire una vicinanza stilistica a quelle dei principali esponenti della Metafisica sono 21 (comprendendo anche quelle oscillanti tra Metafisica e “Valori Plastici”) e sono prevalentemente dipinti ad olio. Queste tele si conservano per lo più in alcuni dei più importanti musei italiani (quella appartenuta a Roberto Longhi venne purtroppo trafugata nel 1981 e ad oggi non è stata ancora ritrovata).

Pur essendo cronologicamente successivi a quel solo anno in cui Morandi si avvicina alla Metafisica, i tre disegni posseduti dal Museo Morandi possono a pieno titolo appartenere a quel gusto. Questi rari e preziosi fogli, infatti, tracciati a inchiostro raffigurano rispettivamente due nature morte metafisiche di impianto analogo a quello dei dipinti che si conservano alla Pinacoteca di Brera (Natura morta, 1919, Vitali 44 e Natura morta, 1919, V.43) e un vaso di fiori che invece richiama il dipinto di collezione privata (Fiori, 1920, V.56) emblematico della successiva stagione dei “Valori Plastici”.

I tre disegni, in realtà, risalgono tutti a quel periodo, come si evince dalla carta su cui sono stati schizzati seppur con una precisione quasi descrittiva. Morandi ha utilizzato infatti il verso di cedole librarie della celebre casa editrice d’arte “Valori Plastici” fondata nel 1918 dall’artista ed editore Mario Broglio. I fogli provengono, non a caso, dal fondo archivistico della rivista romana e, andati in asta a Roma nell’aprile del 1999, sono stati acquistati dal Comune di Bologna arricchendo così la collezione del Museo Morandi. “Penso – scrive per l’appunto Marilena Pasquali nel catalogo Finarte – “che il giovane Morandi trovandosi insieme all’amico Mario Broglio in un incontro, probabilmente tenutosi a Bologna, abbia voluto ‘raccontargli’ quali dipinti desiderava fossero pubblicati sul numero IV di Valori Plastici, apparso nel 1921” e aggiunge poi “Ritengo che questi tre disegni possano ascriversi al 1919 – 1920 e che uniscano all’intrinseco valore documentario e storico un pizzico di poeticità e di diversità”.


Giorgio Morandi
Natura morta, s.d. (1919-1920)
(Pasquali, 2016 D 1919-1920/2)
Inchiostro su carta
Bologna, Museo Morandi

Giorgio Morandi
Natura morta, s.d. (1919-20)
(Pasquali, 2016 D 1919-1920/1)
Inchiostro su carta
Bologna, Museo Morandi

Giorgio Morandi
Fiori, s.d. (1920)
(Pasquali, 2016 D 1920/1)
Inchiostro su carta
Bologna, Museo Morandi

Manichino maschile utilizzato da Morandi per alcune nature realizzate tra il 1918 e il 1919.
Questo modello è stato ritrovato nel ripostiglio adiacente alla camera-studio dell’artista in via Fondazza 36 a Bologna.

Manichino femminile utilizzato da Morandi per alcune nature realizzate tra il 1918 e il 1919.
Questo modello è stato ritrovato nel ripostiglio adiacente alla camera-studio dell’artista in via Fondazza 36 a Bologna.

Orologio da tavolo che Morandi utilizza come modello a partire dal 1914 al 1963.
L’artista privilegia la visione posteriore dell’oggetto per coglierne la pura sagoma.

Parte superiore di un antico fermaporta utilizzato da Morandi per la Natura morta del 1918 (V.39), ora alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
In cima al bastone sagomato si trova ancora il piccolo chiodo al quale il giovane artista aveva legato il filo per sospendere, apparentemente nel vuoto, l’oggetto. Questo fermaporta è stato ritrovato nel ripostiglio adiacente alla camera-studio dell’artista in via Fondazza 36 a Bologna.

Vaso di ceramica bianca protagonista dei dipinti Fiori, 1920 (V.56), Fiori, 1921 (V.60 e V.61), opere cruciali che segnano il passaggio tra l’esperienza metafisica e il clima già pienamente aderente ai “Valori Plastici”.


Mostra
Morandi metafisico. Tre disegni. Una storia

A cura di
Lorenza Selleri

Promossa da
Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi

Sede
Casa Morandi
Via Fondazza 36, Bologna

Periodo di apertura
1 febbraio – 5 maggio 2024

Orario di apertura
Sabato ore 14.00 – 17.00
Domenica ore 10.00 – 13.00 / 14.00 – 17.00

Orario di apertura durante ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Giovedì 1 | venerdì 2 | domenica 4 febbraio ore 10.00 – 20.00
Sabato 3 febbraio ore 10.00 – 22.00

Ingresso
Gratuito

Informazioni
Casa Morandi
Via Fondazza 36 | 40125 Bologna
Tel. +39 051 300150 / +39 051 6496611
casamorandi@comune.bologna.it
www.mambo-bologna.org/museomorandi
Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna
Instagram: @mambobologna
X: @MAMboBologna
YouTube: MAMbo channel
Settore Musei Civici Bologna
www.museibologna.it
Facebook: Musei Civici Bologna
Instagram: @bolognamusei
X: @bolognamusei

Ufficio Stampa Settore Musei Civici Bologna
Silvia Tonelli – Elisabetta Severino
Tel. +39 051 2193469 / 051 6496658
ufficiostampabolognamusei@comune.bologna.it
silvia.tonelli@comune.bologna.it
elisabetta.severino@comune.bologna.it 

Bologna, Museo Morandi: Mary Ellen Bartley: MORANDI’S BOOKS

Mary Ellen Bartley, Oil can glassine, 2022, stampa d’archivio a pigmento montata su dibond
43,18 x 55,8 cm

A cura di Alessia Masi

31 gennaio – 7 luglio 2024
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14, Bologna

Mostra promossa da Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi
Special project di ART CITY Bologna 2024 in occasione di Arte Fiera

Il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna è lieto di presentare la mostra Mary Ellen Bartley: MORANDI’S BOOKS, a cura di Alessia Masi, prima personale in Italia della fotografa statunitense Mary Ellen Bartley (New York, 1959).
Allestita dal 31 gennaio al 7 luglio 2024 negli spazi del museo che ospita la più ampia collezione pubblica di opere di Giorgio Morandi, l’esposizione è uno dei cinque special projects della dodicesima edizione di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, che esplorano e reinterpretano il lavoro di Giorgio Morandi nel 60° anniversario della morte, attraverso differenti linguaggi del contemporaneo.

L’inaugurazione si è svolta martedì 30 gennaio 2024 alle h 17.00, alla presenza di Mary Ellen Bartley. Durante i giorni di ART CITY Bologna, dall’1 al 4 febbraio 2024, l’ingresso è gratuito.

Mary Ellen Bartley è nota per le sue fotografie che esplorano le qualità tattili e formali del libro stampato e il suo potenziale di astrazione. Un aspetto della sua pratica consiste nel lavorare in biblioteche e archivi unici, dove risponde alle collezioni e ai loro habitat sviluppando progetti nel corso del tempo trascorso con loro.

Veduta della mostra – Foto di Federico Landi

Le 21 fotografie,presentate in due sale del Museo Morandi, costituiscono l’esito di una residenza che la fotografa ha svolto a Bologna, negli spazi di Casa Morandi,iniziata nel maggio nel 2020, interrotta poco dopo a causa della pandemia da Covid-19 e successivamente ripresa nel 2022. Da questa esperienza è nato MORANDI’S BOOKS, una serie fotografica di sue personali composizioni costruite con alcuni dei libri e degli oggetti appartenuti all’artista, oggi conservati nella casa-museo di via Fondazza.

I volumi su Corot, Ingres, Piero della Francesca, Rembrandt, Cézanne, ossia i maestri del maestro bolognese, sono diventati, nelle mani della Bartley, i muti interlocutori delle sue “nature morte”; questi convivono, talvolta, a fianco di oggetti e scatole di latta sottratti alla polvere dello studio dell’artista, pronti a riprendere vita e a ritrovare uno spazio, quello della foto, che restituisce loro una misurata dignità estetica oltre che una valenza formale.

Nel suo approccio metodologico, Bartley ha rispettato aspetti come la luce, i colori e la geometria tanto cari a Morandi, per trasmettere e sottolineare quei valori, sempre più precari nel tessuto sociale contemporaneo, di semplicità, silenzio, pace, ordine, meditazione e riflessione. Giorgio Morandi e Mary Ellen Bartley: due artisti distanti nel tempo e diversi nell’utilizzo dei mezzi artistici, ma uniti dalla ricerca dell’essenza e dall’attenzione verso le semplici cose.

Quando nella primavera del 2018 Mary Ellen Bartley ha visitato per la prima volta Casa Morandi, e ha avuto modo di vedere la ricchissima libreria personale del maestro bolognese, ha dichiarato “è stato come vivere un miracolo”, e non ha avuto alcun dubbio nel dedicarsi a questo nuovo progetto. Tornata a Bologna nel maggio 2020, la realizzazione del lavoro è stata complicata e interrotta dalla diffusione della pandemia da Covid-19. In un’intervista rilasciata al quotidiano The East Hampton Star, Bartley ha raccontato il particolare stato d’animo in cui si ha lavorato: “Mi sono trovata ad andare viaun giorno o due prima della chiusura totale dell’Italia. Durante la residenza ho trascorso la maggior parte del tempo in biblioteca, con un accesso molto limitato alla studio di Morandi. Dovevo essere sempre accompagnata da una delle curatrici del Museo Morandi. Il museo stava chiudendo al pubblico e la linea rossa del Nord Italia si stava avvicinando sempre di più. È stato molto stressante”. Rientrata negli Stati Uniti, nel suo studio a Sag Harbour (New York), ha dichiarato: “avevo le foto che avevo scattato, ma non avevo ancora il progetto completo, e ne ero consapevole. Avevo avuto un’opportunità da sogno, ero andata a Bologna ma ero tornata con il progetto incompleto”.

Quando Bartley è ritornata a Casa Morandi nel 2022, è entrata nello studio dell’artista avendo già in mente le idee sul collage ed è stata in grado di impiegare alcuni dei soggetti più familiari di Morandi nelle sue opere – bottiglie, lattine, vasi, tazze e altri oggetti – permettendo loro di arricchire le composizioni, svuotandoli di significato e lasciandoli essere semplicemente se stessi. Racconta ancora Bartley: “Quello di cui mi sono resa conto, circondata da tutti i vasi che ha usato, è quanto fosse straordinario. Ho percepito visceralmente la straordinaria alchimia che avviene tra questi oggetti dall’aspetto piuttosto ordinario, che diventano quei personaggi iconici che lui dipinge continuamente. Se non si conoscesse il suo lavoro, non ci si arriverebbe mai. Non è ovvio che quegli oggetti abbiano creato quei dipinti”.

Osserva nel suo testo in catalogo Alessia Masi, curatrice del Museo Morandi e della mostra: “Gli oggetti si fondono l’uno con l’altro, le forme si nascondono una dietro o dentro l’altra grazie all’uso del colore e della luce, creando immagini incantate e apparentemente illusorie. L’intuizione di Mary Ellen di sfuocare alcune parti all’interno della composizione evoca alcune modalità espressive usate da Morandi soprattutto negli ultimi anni e in particolar modo nell’acquerello, il mezzo a lui più idoneo per registrare le continue mutazioni del visibile, come un sismografo in grado di cogliere e sintetizzare in un assoluto ogni minima variazione dell’infinita dinamica del reale. È proprio su raffinati fogli di carta che Morandi può raggiungere esiti che l’olio non gli consente appieno, effetti di trasparenza che creano quasi un’attesa fuori dal tempo, oggetti che, con i loro contorni non definiti, paiono evaporare in parte verso l’infinito, zone non dipinte che sembrano voler essere invase dall’universo che le penetra. Atmosfera misteriosa, quasi onirica in cui si realizza un equilibrio inconciliabile nell’esperienza umana: quello tra sogno e realtà. Immagini perfettamente bilanciate, prefigurate nella mente dell’artista e perfezionate attraverso l’utilizzo di strumenti ottici modesti che preannunciano i dispositivi più tecnologici adoperati oggi dai fotografi: una tela utilizzata come filtro per modulare la luce e frammenti di fogli di celluloide suddivisi da Morandi stesso in griglie e reticolati più o meno fitti per inquadrare la composizione, dividerla secondo il modello cartesiano e distillarne la visione bidimensionale da trasferire sulla tela. Quegli stessi frammenti che la Bartley inserisce nei suoi lavori per comprendere meglio il metodo di Morandi, per garantire un equilibrio strutturale all’immagine fotografica e per creare sue personali composizioni in cui le forme squadrate dei libri si intrecciano descrivendo originali geografie che racchiudono talvolta anche oggetti o parte di essi, sempre in un perfetto equilibrio tra idea e forma”.

Oltre alle immagini fotografiche, il percorso espositivo propone un video, realizzato dalla stessa Bartley, nel quale l’artista racconta l’incontro con l’opera e i libri di Giorgio Morandi, l’esperienza vissuta e il modus operandi utilizzato per la realizzazione di questo progetto.

La mostra si inserisce nel solco di una pratica collaudata ormai da anni dal Museo Morandi: creare relazioni tra l’opera degli artisti contemporanei e quella di Giorgio Morandi al fine di riaffermare il suo importante ruolo nell’immaginario culturale globale nonché la sua influenza sulla cultura visiva internazionale.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo bilingue italiano/inglese pubblicato da Danilo Montanari Editore, con testi di Alessia Masi, Lorenza Selleri, e la riproduzione di tutte le opere fotografiche in mostra.


Mostra
Mary Ellen Bartley: MORANDI’S BOOKS

A cura di
Alessia Masi

Promossa da
Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi

Sede
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14, Bologna

Periodo di apertura
31 gennaio – 7 luglio 2024

Inaugurazione
Martedì 30 gennaio 2024 ore 17.00

Orario di apertura
Martedì, mercoledì 14.00 – 19.00
Giovedì 14.00 – 20.00
Venerdì, sabato, domenica, festivi 10.00 – 19.00
Chiuso lunedì non festivi

Orario di apertura durante ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Giovedì 1 febbraio 10.00 – 20.00
Venerdì 2 febbraio 10.00 – 20.00
Sabato 3 febbraio 10.00 – 23.00
Domenica 4 febbraio 10.00 – 20.00

Ingresso
Intero € 6 | ridotto € 4 | ridotto speciale giovani tra 19 e 25 anni € 2 | gratuito possessori Card Cultura

Ingresso durante ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Gratuito
Informazioni
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14 | 40121 Bologna
Tel. +39 051 6496611

www.mambo-bologna.org/museomorandi/

Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna
Instagram: @mambobologna
Twitter: 
@MAMboBologna
YouTube: MAMbo channel

Settore Musei Civici Bologna
www.museibologna.it
Facebook: Musei Civici Bologna
Instagram: @bolognamusei
X: @bolognamusei

Ufficio Stampa / Press Office Settore Musei Civici Bologna
Tel. +39 051 6496658 / +39 051 2193469
ufficiostampabolognamusei@comune.bologna.it
Elisabetta Severino – Silvia Tonelli
elisabetta.severino@comune.bologna.it – 
silvia.tonelli@comune.bologna.it

A Palazzo Martinengo di Brescia I MACCHIAIOLI – Testo critico di Francesca Dini

Vincenzo Cabianca, Mattutino, 1901. Collezione privata

Estratto dal testo in catalogo Silvana Editoriale

BRESCIA | PALAZZO MARTINENGO

DAL 20 GENNAIO AL 9 GIUGNO 2024

L’esposizione presenta oltre 100 opere di Fattori, Lega, Signorini, Cabianca, Borrani e altri pittori che, nella Firenze del secondo Ottocento, diedero vita a una delle più originali e innovative avanguardie artistiche europee del XIX secolo

A cura di
Francesca Dini e Davide Dotti

Nel settembre del 1859 il toscano Cristiano Banti e il veronese Vincenzo Cabianca pittori ed amici, partirono da Firenze per visitare le terre lombarde appena liberate dal giogo austriaco ed annesse al nascente Stato Italiano: essi transitarono da Solferino, teatro della cruenta battaglia e si soffermarono a San Martino per omaggiare il sacrificio dei molti giovani loro coetanei periti in battaglia. Ancor prima dunque che questo lembo del territorio bresciano assumesse l’aspetto che oggi conosciamo con la costruzione della grande Torre Monumentale, molti patrioti – e tra di essi i Macchiaioli toscani – ne avevano già fatto un luogo identitario, oltre che di memoria e di pellegrinaggio. A nutrire gli animi di Banti e Cabianca e dei loro compagni Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Giuseppe Abbati, Vito D’Ancona, Serafino De Tivoli, Adriano Cecioni (cui si uniranno poi anche Giovanni Boldini, Federico Zandomeneghi e Nino Costa) non era tuttavia soltanto la fede patriottica, bensì la certezza che fosse venuto il momento di dare un’arte nuova all’Italia nascente e per questo, già dal 1855, nelle fumose stanze del fiorentino Caffè Michelangiolo, questi giovani, che provenivano da diverse regioni della penisola, si erano sentiti tutti “toscani” per elezione e per cultura ed avevano dato vita ad un ardente dibattito, dal quale di lì a breve sarebbero emerse, nello stupore dei compagni più conservatori e ostili al nuovo, i termini “macchia” e “realismo” e la volontà di essere “pittori/ artefici del proprio tempo”, testimoni dell’epoca loro contemporanea.

Silvestro Lega, I fidanzati, 1869, olio su tela, 35 x 79 cm. Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia

Alle origini della loro avventura i Macchiaioli – senza minimamente tralasciare quei valori etici dell’epopea risorgimentale di cui la loro arte si nutriva anzi profondamente – intercettarono l’afflato del pensiero positivista che andava diffondendo in Europa la fiducia nella conoscenza scientifica e nel progresso tecnologico; e la certezza che il metodo scientifico potesse essere applicato a tutte le sfere della scienza e della vita umana; inoltre, il pensiero positivista opponeva al principio romantico dell’ideale quello di una realtà conoscibile. Gli scritti di Darwin introducevano il concetto di evoluzione, chiave di interpretazione della storia stessa dell’umanità. I Macchiaioli seppero dunque inserirsi nel processo di democratizzazione dell’arte avviato dalla comunità di pittori operosa nel villaggio di Barbizon, non lontano da Parigi, e portato avanti da Gustave Courbet: alla rappresentazione degli eroi e dei grandi avvenimenti della storia passata, tutti questi artisti preferivano la realtà domestica e quotidiana delle comunità rurali e dei vicini pascoli, colti dal vero, en plein air. Fatto proprio questo importante incipit al rinnovamento dei contenuti dell’arte, i toscani si concentrarono allora sul perfezionamento dello strumento espressivo, la “macchia”, grazie alla quale il percorso evolutivo della pittura italiana compì un decisivo progresso. Così, a Firenze, tra il 1855 e il 1867 i Macchiaioli dettero vita ad una originale avanguardia artistica, scrivendo una delle pagine più alte della storia dell’arte europea del XIX secolo.

Telemaco Signorini, Pascoli a Castiglioncello, 1861, olio su tela, 31 x 76 cm. Collezione privata

Figli del positivismo, i Macchiaioli dunque si sentirono parte di un processo evolutivo che, superando le premesse accademico-romantiche della prima metà del secolo, si era incamminato sulla via della realtà e della luce. Una volta raggiunti i propri obbiettivi estetici, essi guardarono dinnanzi a sé e cercarono di vivificare la propria ricerca con nuovi fermenti, accogliendo i suggerimenti della critica contemporanea – da Ferdinando Martini a Enrico Panzacchi – e supportando l’aprirsi dei più giovani del gruppo alle istanze del naturalismo internazionale. La seconda generazione macchiaiola – quella dei Gioli, di Cannicci, di Cecconi, di Ferroni, dei Tommasi – dichiarando la propria fedeltà ai principi del Vero in continuità con i loro amati maestri, operarono inconsapevolmente una scelta di campo latamente “conservatrice” che portò alla rinascita del quadro d’atelier, spesso di grandi dimensioni, quasi sempre manifesto di umanità e di toscanità. I tempi storici ormai mutati, il chiudersi nel 1870 dell’epopea risorgimentale svincolavano del resto l’artista dall’impegno civile e patriottico. Il concetto courbettiano di realtà come sintesi dinamica di natura e storia, principio fondante della poetica dell’avanguardia macchiaiola, illanguidiva: la realtà non era più evocata, bensì descritta, dunque la tecnica della “macchia” necessariamente andava a stemperare il suo originario vigore e la innata potenza di sintesi per assecondare la vocazione narrativa della nuova pittura. Una pittura nuova, caratterizzata dalla sua appartenenza ad una precisa regione geografica e alla sua cultura artistica; ma capace di dialogare con le diverse scuole internazionali che praticavano la pittura del vero (basti ricordare i francesi Jules Breton, Jules Bastien- Lepage, P.A.J. Dagnan-Bouveret, Leon Lhermitte, i tedeschi Hans Herrmann e Max Liebermann). La sperimentazione della luce che aveva “innescato” la rivoluzione dei primi Macchiaioli divenne fatto non primario per i giovani toscani; mentre gli impressionisti francesi, proseguendo su quella via e facendo tesoro degli studi ottici del chimico Michel Chevreul, davano vita nel 1874 al loro rivoluzionario movimento: caddero così nel vuoto i richiami del critico Diego Martelli che esortava i toscani a percorrere “i nuovi orizzonti nella ricerca del vero” dischiusi dalle scoperte dell’impressionismo.

Angelo Tommasi, La caccia alle anatre, 1889, olio su tela, 177 x 251 cm. Udine, Galleria d’Arte Moderna

Della mutazione della macchia in senso naturalista, i più anziani Macchiaioli furono sodali, sebbene pervicacemente avvinghiati ai principi della loro antica poetica e perciò di fatto isolati in una sorta di hortus conclusus, o sacrario della memoria, rispetto ai rivolgimenti dell’arte più giovane e attuale. Mentre Signorini, anima ideologica del gruppo negli anni dell’avanguardia, reagiva viaggiando e non mancando di rapportarsi di tanto in tanto con la critica del momento per tutelare il proprio lavoro, Fattori traeva forza dal suo isolamento per radicalizzare la propria poetica che trovava una inedita forza espressiva nel corpus della sua straordinaria produzione incisa. Si creavano così le basi per la fondamentale rivalutazione novecentesca dell’opera fattoriana operata da Oscar Ghiglia e dai pittori post-Macchiaioli e sintetizzata nella definizione di Lorenzo Viani “Giovanni Fattori, italianissimo e toscano abbeverato dello spirito di Masaccio”; mentre Ardengo Soffici, nel porre un distinguo di merito tra Fattori e gli altri Macchiaioli, alimentava il mito di una sorta di leadership esercitata dal pittore livornese, della qual cosa, in verità, non si ha riscontro nei fatti storici che andremo a ricostruire nelle prossime pagine.


I MACCHIAIOLI
Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30)
20 gennaio – 9 giugno 2024

A cura di Francesca Dini e Davide Dotti
 
Informazioni: mostre@amicimartinengo.it | www.amicimartinengo.it | Tel. 392-7697003
 
Prenotazioni scuole e gruppi: mostre@amicimartinengo.it | Tel. 392-7697003

FACEBOOK: Amici Palazzo Martinengo
INSTAGRAM: @amicimartinengo
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it
T. 02.36755700 | www.clp1968.it

Uno degli special projects di ART CITY Bologna: “Morandi’s Objects. Le fotografie di Joel Meyerowitz”

Joel Meyerowitz, Morandi’s Objects, Studio Bedroom, 2015, Stampa a pigmenti d’archivio
20 x 16 pollici – Firmata ed edita sul retro. Da un’edizione di 10 esemplari

A cura di Giusi Vecchi

30 gennaio – 25 gennaio 2024
Collezioni Comunali d’Arte 
Palazzo d’Accursio, Piazza Maggiore 6, Bologna
artcity.bologna.it | www.museibologna.it/arteantica

Mostra promossa da Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi
Special project di ART CITY Bologna 2024 in occasione di Arte Fiera

Apertura al pubblico martedì 30 gennaio 2024 ore 14.00

Il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna è lieto di presentare la mostra Morandi’s Objects. Le fotografie di Joel Meyerowitz, a cura di Giusi Vecchi.

Allestita dal 30 gennaio al 25 febbraio 2024 nelle sale 23 e 24 delle Collezioni Comunali d’Arte a Palazzo d’Accursio, l’esposizione è uno dei cinque special projects della dodicesima edizione di ART CITY Bologna,il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, che esplorano e reinterpretano il lavoro di Giorgio Morandi nel 60° anniversario della morte,attraverso differenti linguaggi del contemporaneo.

Il progetto espositivo si apre al pubblico martedì 30 gennaio 2024 alle ore 14.00.

Morandi’s Objects. Le fotografie di Joel Meyerowitz 
introduce all’universo oggettuale di Giorgio Morandi attraverso lo sguardo di Joel Meyerowitz, presentando una selezione di 17 scatti dal nucleo complessivo di 23 opere che il celebre fotografo statunitense ha generosamente donato al Museo Morandi nel 2015 e nel 2024.
A completamento di un progetto avviato nel 2013 nella casa di Paul Cézanne ad Aix-en-Provence, nella primavera del 2015 Joel Meyerowitz ha avuto accesso alla stanza-studio di Casa Morandi, in via Fondazza 36 a Bologna, in cui sono conservati gli oggetti che il pittore disponeva sui suoi tavoli e contemplava a lungo prima di riprodurli nelle sue nature morte. Scopo del lavoro è stato quello di fornire un catalogo degli oggetti che questi pittori hanno usato nel corso della loro vita, mostrando agli studiosi e agli altri spettatori interessati le forme, per lo più umili e basiche, da cui i due grandi artisti hanno tratto ispirazione.

Attraverso più di 700 scatti, utilizzando esclusivamente la luce naturale, Meyerowitz ha compiuto una profonda ricognizione tassonomica di tutti gli oggetti conservati nella piccola stanza dove Morandi ha vissuto e lavorato: fra vasi, ciotole, bottiglie, pigmenti colorati, brocche, fiori secchi, conchiglie, imbuti, annaffiatoi, pigmenti e altri oggetti polverosi e invecchiati sulla stessa carta che l’artista ha lasciato sul muro, ormai fragile e ingiallita dall’età.
Come assumendo la stessa postura del pittore, il fotografo spiega: “Mi sono seduto al tavolo di Giorgio Morandi esattamente nello stesso posto in cui lui si è seduto per più di 40 anni. La stessa inclinazione della luce brillava su quel tavolo per me come allora per lui. L’ho guardata crescere e irradiarsi poco alla volta per due giorni nella primavera del 2015. Ad uno ad uno, sono passati tra le mie mani più di 260 oggetti che lui aveva raccolto. La polvere di cui sono ricoperti è parte integrante di quel mistero che Morandi ci ha tramandato intatto. Come in un nuovo carosello, gli oggetti sono tornati a sfilare sul tavolo. Mi chiedo: qual è il segreto di questi oggetti che hanno tenuto Morandi sotto il loro potere per tutta la sua vita?”.
Veri e propri ritratti, questi still life fotografici, confluiti nel prezioso volume Morandi’s Objects pubblicato da Damiani nel 2015, esplicitano la potenza espressiva di ogni singolo oggetto, svelandone le sottili caratteristiche, l’assoluta singolarità e il magnetismo che Morandi per primo aveva sperimentato nel dipingerli sulla tela.
Nel 2015 Meyerowitz aveva già voluto omaggiare il Museo Morandi donando un’opera di questo ciclo (Morandi’s Objects, trittico, “Flag”), a cui recentemente ha aggiunto altre 22 fotografie della stessa serie.

Joel Meyerowitz, Morandi’s Objects, Rust Color Bottle, 2015
Stampa a pigmenti d’archivio, 20 x 16 pollici,
Firmata ed edita sul retro. Da un’edizione di 10 esemplari

Joel Meyerowitz è nato nel 1938 a New York, ha iniziato a fotografare nel 1962.
Sebbene si sia sempre considerato un fotografo di strada nella tradizione di Henri Cartier-Bresson e Robert Frank (è coautore dell’opera standard sul genere Bystander: A History of Street Photography, 1994) ha trasformato questa modalità con il suo uso pionieristico del colore. Considerato, insieme a William Eggleston e Stephen Shore, uno dei più rappresentativi esponenti della New Color Photography degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, Meyerowitz è stato determinante nel cambiare l’atteggiamento verso l’uso della fotografia a colori da una resistenza a un’accettazione quasi universale.
Il suo primo libro Cape Light (1978) è un classico molto amato della fotografia a colori e ha venduto più di 150.000 copie. Anche in Wild Flowers (1983) ha dimostrato un apprezzamento per la fusione di natura e artificio nelle normali strade cittadine. In seguito si è dedicato ai ritratti (Redheads, 1991) e al paesaggio (Tuscany: Inside the Light, 2003). Più recentemente, ha trascorso tre anni a immortalare aree selvagge nei parchi di New York. Alcune selezioni del progetto sono state esposte al Museum of the City of New York (2009-2010) e sono state pubblicate in Legacy: The Preservation of Wilderness in New York City Parks (Aperture, 2009).
Meyerowitz è stato l’unico fotografo a cui è stato concesso l’accesso senza ostacoli a Ground Zero dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Le immagini, molte delle quali sono state raccolte nel volume Aftermath: World Trade Center Archive, hanno costituito le fondamenta di un importante archivio nazionale e una mostra itinerante che ha viaggiato in più di 200 città in 60 paesi.
Nel corso della sua carriera, Meyerowitz ha prodotto oltre una dozzina di libri e nel 2010 Phaidon ha pubblicato una rassegna completa della sua carriera. Inoltre, nel 1998 ha prodotto e diretto il suo primo film, Pop, un diario intimo di un viaggio di tre settimane in macchina con il figlio Sasha e il padre anziano Hy.
Tra le sue prime mostre personali importanti figurano quelle alla Eastman House di Rochester nel 1966 e al Museum of Modern Art di New York nel 1968. Ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2002 e ha ricevuto oltre una dozzina di premi, tra cui la Guggenheim Fellowship e il Deutscher Fotobuchpreis. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui Museum of Modern Art (New York), Metropolitan Museum of Art (New York), Whitney Museum of American Art (New York), Museum of Fine Arts (Boston) e The Art Institute of Chicago.
joelmeyerowitz.com


Mostra
Morandi’s Objects. Le fotografie di Joel Meyerowitz

A cura di 
Giusi Vecchi

Promossa da
Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi

Periodo
30 gennaio – 25 febbraio 2024

Orario di apertura
Martedì, giovedì ore 14.00 – 19.00
Mercoledì, venerdì ore 10.00 – 19.00
Sabato, domenica, festivi ore 10.00 – 18.30
Chiuso lunedì non festivi 

Orario di apertura durante ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Giovedì 1 febbraio ore 14.00 – 19.00
Venerdì 2 febbraio ore 10.00 – 19.00
Sabato 3 febbraio ore 10.00 – 22.00
Domenica 4 febbraio ore 10.00 – 18.30

Ingresso
Intero € 6 | ridotto € 4 | ridotto speciale giovani tra 19 e 25 anni € 2 | gratuito possessori Card Cultura

Ingresso durante ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Gratuito 

Informazioni
Settore Musei Civici Bologna | Collezioni Comunali d’Arte
Palazzo d’Accursio, Piazza Maggiore 6 | 40121 Bologna
Tel. +39 051 2193998

museiarteantica@comune.bologna.it
www.museibologna.it/arteantica
Facebook: Musei Civici d’Arte Antica
Instagram: @museiarteanticabologna

TiKTok: @museiarteanticabologna
X: @MuseiCiviciBolo

ART CITY Bologna
artcity.bologna.it
Facebook: Art City Bologna
Instagram: @artcitybologna
#artcitybologna

Settore Musei Civici Bologna
www.museibologna.it
Facebook: Musei Civici Bologna
Instagram: @bolognamusei
X: @bolognamusei

Ufficio Stampa / Press Office ART CITY Bologna
Elisabetta Severino – Silvia Tonelli
Tel. +39 051 6496658 / +39 051 2193469
ufficiostampaARTCITYBologna@comune.bologna.it
elisabetta.severino@comune.bologna.it
silvia.tonelli@comune.bologna.it

Al via la mostra virtuale “Pàthos. Valori, passioni, virtù” promossa da Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa 

In mostra 80 capolavori di oltre 60 artisti raffiguranti le passioni, i valori e le emozioni di personaggi femminili che hanno segnato la storia antica

Al via il ciclo di mostre virtuali con “Pàthos. Valori, passioni, virtù“, la prima esposizione online promossa dalla Commissione per i Beni e le Attività Culturali di Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa e realizzata nell’ambito di R’Accolte, il più grande catalogo multimediale in Italia.
Questa straordinaria mostra sarà visitabile gratuitamente su www.pathos-raccolte.it dal 30 gennaio al 31 marzo 2024. Curata dallo storico dell’arte Angelo Mazza, la mostra esplora l’iconografia femminile dell’antichità e del Vecchio Testamento nelle ricche collezioni d’arte delle Fondazioni e delle Casse di Risparmio. L’innovativa iniziativa presenta online al pubblico una selezione di 80 capolavori provenienti da 31 Fondazioni di origini bancaria e realizzati da 60 artisti tra i quali Elisabetta Sirani, Guercino, Parmigianino, Guido Reni, Giambattista Tiepolo, Giacinto Gemignani e Agostino Carracci.

Attraverso importanti figure femminili dell’antichità come Cleopatra, Lucrezia, Eva, Betsabea, Rebecca e Giuditta, i grandi artisti che hanno fatto la storia dell’arte esplorano le passioni, i valori e le emozioni incarnate da queste potenti donne e dalle loro vicende coinvolgenti ed eroiche. Si tratta prevalentemente di dipinti, ma sono presenti anche incisioni, maioliche, bronzi e terrecotte,
opere che coprono un arco temporale dal XVI al XX secolo.

Elisabetta Sirani, Porzia si ferisce alla gamba, 1664, proprietà di Fondazione Carisbo

Angelo Mazza, curatore della mostra, scrive nel catalogo: “Il numero
elevatissimo e la varietà delle opere d’arte confluite nel sito R’Accolte, distribuite in un arco temporale alquanto ampio, restituiscono una significativa galleria di immagini in cui le figure femminili si offrono come modelli esemplari di virtù per dignità, onore, coraggio, forza, eroismo, integrità morale e fedeltà, a tal punto da mettere a rischio la propria vita o sacrificarla deliberatamente. In taluni casi la sequenza delle immagini è così folta e iconograficamente variata da visualizzare i momenti essenziali della narrazione storica”
.

Con questo nuovo progetto, R’Accolte continua a celebrare e diffondere il ricco patrimonio delle collezioni d’arte delle Fondazioni di origine bancaria e inaugura una nuova fase nel suo impegno di valorizzazione culturale con l’avvio di un ciclo di mostre virtuali che offriranno al pubblico l’opportunità di esplorare e comprendere le collezioni d’arte delle Fondazioni in modi del tutto innovativi. Dal suo avvio nel 2012, R’Accolte ha reso accessibili oltre 15.000 opere, censite secondo i più accurati standard internazionali, appartenenti a 78 collezioni, spaziando dal mondo antico al contemporaneo.

Come scrive Donatella Pieri, presidente Commissione Acri Beni e Attività culturali, nel catalogo: “Questo nuovo progetto nasce dalla volontà di aggiungere conoscenza, di ricostruire vicende della storia, di diventare occasione per nuovi approfondimenti e accrescimenti di un’arte ancora ampiamente esplorabile. La conoscenza del patrimonio produce la consapevolezza del suo valore e coltiva la responsabilità della sua perenne conservazione”.

Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, Sibilla, 1620 circa, proprietà di CR di Cento

Le donne: un percorso tra valori, passioni e virtù

A mettere in luce le varie interpretazioni dei racconti biblici, nate dalle personali sensibilità degli oltre 60 artisti che prenderanno parte al progetto, sarà la galleria delle immagini tratte dalle collezioni d’arte delle Fondazioni e delle Casse di Risparmio, che si svilupperà in un percorso suddiviso in 10 stanze virtuali. Dal 30 gennaio, ogni stanza ospiterà l’iconografia di alcune donne divenute – nel corso della storia antica – simbolo di uno specifico sentimento, emblema di valori, passioni e virtù.

Nella prima stanza ci saranno Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero, figure del mondo antico, emblemi del coraggio, della fedeltà e dell’affermazione della propria volontà. Artemisia, prostrata per la perdita del marito, il re Mausolo, fa costruire un eccezionale monumento sepolcrale, il Mausoleo, una delle sette meraviglie del mondo antico, e beve le sue ceneri. Sofonisba, catturata dal nemico, per non sottostare alla condizione di schiava sceglie di togliersi la vita con una coppa di veleno. Anche Porzia, moglie di Bruto, dà prova di grande coraggio e, alla morte del marito, affronta un suicidio atroce. Emblema della fedeltà e della pietas è anche Pero, figlia di Cimone, che sostenne in vita il vecchio padre condannato a morire di stenti in carcere, nutrendolo con il proprio latte, di nascosto, e rischiando la vita.

La seconda stanza è dimora di Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto della dinastia tolemaica – sovrana, madre, moglie, amante e condottiera – è uno dei personaggi più celebri della storia antica. Gli otto dipinti raccolti in mostra, che la vedono protagonista, si concentreranno prevalentemente sull’episodio conclusivo della vita che la rende simbolo di forza, intelligenza e indipendenza.

Guido Reni, Lucrezia, 1635-1640 circa, proprietà di Fondazione Carisbo

All’interno della terza stanza si trova Lucrezia, l’eroina romana violata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo ultimo re di Roma. Simbolo di dignità e sacrificio, il suicidio è la forma di catarsi della nobildonna che ha segnato una parte importante della storia antica, costringendo Tarquinio il Superbo all’esilio e portando alla fine della monarchia e all’inizio della Repubblica.

Proseguendo nel percorso virtuale si entra nella quarta stanza dove troviamo le Sibille, le cui virtù preveggenti erano tenute in grande considerazione. Tra le figure femminili dell’antichità greco-romana che rivestono maggiore importanza, le Sibille venivano consultate nei momenti cruciali dell’esistenza e in occasione di importanti decisioni politiche e di strategiche scelte militari, fornendo a volte responsi oscuri e ambigui. Per questo motivo divennero simbolo di sapienza e profezia. Numerose sono le loro rappresentazioni nelle collezioni delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio.

Altra iconografia femminile celebrata dai più grandi artisti della storia antica è Eva, che è posizionata nella quinta stanza. Presentata nella doppia valenza di negatività e positività, ad Eva si imputano la disobbedienza, la frattura di un mondo incantato e l’inizio della fragilità e della corruzione umana; ma la curiosità di Eva che coglie il frutto e convince Adamo ad assaporarlo è metafora di tendenza alla conoscenza cui l’intelligenza non può sottrarsi, così come della ricerca che esige coraggio e disponibilità nella consapevolezza del rischio.

Nella sesta stanza, il visitatore si imbatte con una donna simbolo di seduzione e inganno: la moglie di Putifarre, della quale il libro della Genesi non riporta neppure il nome. Nel testo biblico diviene protagonista quando, invaghitasi del giovane Giuseppe, servitore di Putifarre stesso, cercò di sedurre più volte l’uomo, il quale però la respinse. La donna, infuriata per il rifiuto, si vendicò di lui accusandolo di calunnia davanti al marito e facendolo arrestare.

All’interno della settima stanza troviamo le vicende di Sara e di Agar, che si intrecciano nel racconto biblico divenendo simbolo di crudeltà e riscatto. Sara, la moglie sterile di Abramo, non riuscendo a dare un figlio al marito gli offre la propria schiava, una straniera di nome Agar, con l’obiettivo di adottarne il figlio al momento del parto. Da questa unione nascerà Ismaele. Quando si accorge di essere incinta, Agar perde ogni rispetto per la sua padrona, finendo col maltrattarla. In seguito, anche Sara riesce a generare un figlio, Isacco, ma – quando lo vede scherzare col fratellino Ismaele – scoppia in lei una profonda rabbia, al punto che Abramo è costretto ad allontanare Agar e suo figlio.

Speranza e unione sono i valori che delineano le figure di Sara e Rebecca, protagoniste dell’ottava stanza della mostra. Quella di Sara e di Rebecca è una storia a lieto fine per il felice matrimonio contratto con la benedizione divina.

La nona stanza ospiterà Susanna, vittima di molestie e calunnie, la cui onestà e integrità sarà infine riconosciuta. Susanna fu incolpata pubblicamente per aver rifiutato due anziani giudici che frequentavano la casa del marito, ma l’intervento provvidenziale del profeta Daniele riuscirà a salvarla dalla condanna a morte, dimostrando l’innocenza della giovane e la menzogna dei due uomini. Così la casta Susanna divenne simbolo dell’anima salvata e della virtù, dell’onestà e della giustizia.

Giovanni Battista Tiepolo, Incontro di Rebecca ed Eleazaro al pozzo, 1720-1722 circa, proprietà di Fondazione Cariplo

Il percorso si conclude nella decima stanza, dove i visitatori troveranno i dipinti di Debora, Giaele e Giuditta, simbolo di ribellione e audacia. Le tre eroine sono accomunate dal forte temperamento che, unito alla fredda determinazione, le spinge a subordinare la loro stessa esistenza alla missione di liberazione della patria. Nella storia antica, la coraggiosa determinazione della
profetessa Debora
libera gli ebrei dalla soggezione ai Cananei e
assicura quarant’anni di pace ai territori di Israele; l’atroce
impassibilità di Giaele
sconfigge il nemico Sisara, mentre le trame
di seduzione, l’astuzia e il coraggio violento di Giuditta
mettono in fuga gli Assiri e salvano la città di Betulia dall’assedio.

Ad arricchire la mostra ci saranno un catalogo digitale, video-interviste al curatore e contenuti multimediali che collegano le opere alla cultura popolare contemporanea. “Pathos. Valori, passioni, virtù” sarà inoltre accompagnata da un ricco calendario di eventi dal vivo, tra cui lezioni di storia dell’arte, visite guidate e laboratori per bambini, organizzati dalle Fondazioni partecipanti nei loro territori di riferimento.

Partecipano: Fondazione Banca del Monte di Lucca, Fondazione Cariparma, Fondazione Cariparo, Fondazione Cariplo, Fondazione Caript, Fondazione Carisap, Fondazione Carisbo, Fondazione Carispezia, Fondazione Cariverona, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Fondazione CR di Alessandria, Fondazione CR di Cento, Fondazione CR di Cesena, Fondazione CR di Fano, Fondazione CR di Gorizia, Fondazione CR di Lucca, Fondazione CR di Pesaro, Fondazione CR di Ravenna, Fondazione CR di Reggio Emilia Pietro Manodori, Fondazione CR di Rimini, Fondazione CR di Terni e Narni, Fondazione CR di Tortona, Fondazione CR di Volterra, Fondazione CR Firenze, Fondazione di Modena, Fondazione di Sardegna, Fondazione Estense, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Perugia, Fondazione Tercas, Banca del Monte di Lucca S.p.A, Banca Tercas S.p.A., Crédit Agricole Italia, UniCredit S.p.A.

Le Fondazioni di origine bancaria sono organizzazioni non profit, private e autonome, nate all’inizio degli anni Novanta dalla riforma del sistema del credito. Acri è l’organizzazione che le rappresenta collettivamente.

Le Fondazioni di origine bancaria, eredi delle Casse di Risparmio, mantengono una lunga tradizione nel campo dell’arte e della cultura. Oltre a sostenere interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale, le Fondazioni promuovono progetti che mirano a democratizzare la cultura, favorendo l’accesso di un vasto pubblico ai beni culturali. L’impegno delle Fondazioni, in questo campo, riflette l’articolo 9 della Costituzione italiana e la Convenzione di Faro del 2005, promuovendo la tutela del patrimonio culturale e l’accesso consapevole di tutti i cittadini.

Dal 2000 a oggi, al settore Arte, Attività e Beni culturali le Fondazioni hanno destinato complessivamente oltre 7,5 miliardi di euro, contribuendo significativamente allo sviluppo culturale delle comunità di riferimento e dell’intero Paese. Gli interventi sostenuti includono, tra gli altri, il recupero e la conservazione del patrimonio monumentale, la tutela e la promozione di collezioni d’arte, il sostegno a festival culturali e lo sviluppo di progetti di sistema a livello nazionale, come R’Accolte.


INFORMAZIONI UTILI
TITOLO MOSTRA: Pàthos. Valori, passioni, virtù
A CURA DI: Angelo Mazza
QUANDO: Dal 30 gennaio al 31 marzo 2024
DOVE: Online su www.pathos-raccolte.it
PROMOSSA DA: Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa NELL’AMBITO DI: R’accolte – https://raccolte.acri.it/

CONTATTI ACRI

SITO: https://www.acri.it/
YOUTUBE: https://www.youtube.com/channel/UC2E13fBWzJc30EtBv0bnWtQ
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/raccolte.arte/

UFFICIO STAMPA
CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

Culturalia

051 6569105 – 392 2527126
info@culturaliart.com
www.culturaliart.com
Facebook: Culturalia
Instagram: Culturalia_comunicare_arte
Linkedin: Culturalia di Norma Waltmann
Youtube: Culturalia

Gallarate (VA), Museo MA*GA: FASHION ILLUSTRATION. La Moda Missoni interpretata da Gladys Perint Palmer


GALLARATE (VA) | MUSEO MA*GA
SALA ARAZZI OTTAVIO MISSONI
DAL 25 GENNAIO AL 1° SETTEMBRE 2024

FASHION ILLUSTRATION
La Moda Missoni interpretata da Gladys Perint Palmer

A cura dell’Archivio Missoni

Dal 25 gennaio al 1° settembre 2024, la Sala Arazzi Ottavio Missoni del Museo MA*GA di Gallarate (VA) ospita la mostra, curata dall’Archivio Missoni, Fashion Illustration. La Moda Missoni interpretata da Gladys Perint Palmer.

L’illustrazione è sempre stato un forte e affascinante strumento di comunicazione. Quelle di moda di Gladys Perint Palmer per Missoni sono un esempio straordinario di come l’arte possa elevare e comunicare l’estetica di un marchio.

Rosita Missoni è cresciuta giocando a ritagliare figurini dalle riviste di moda che trovava nell’atelier dell’azienda di famiglia e da allora è sempre stata affascinata dalla capacità delle illustrazioni di moda di proiettarla verso mondi fantastici. Così, anche quando negli anni Sessanta i Missoni iniziarono a commissionare le loro campagne pubblicitarie ai fotografi di moda, Rosita rimase sempre affascinata dalle potenzialità espressive dell’illustrazione, affidando le loro creazioni a Brunetta fino agli anni Settanta, in seguito ad Antonio Lopez negli anni Ottanta e a Gladys Perint Palmer dagli anni Novanta.

Rosita e Gladys si conobbero tramite la giornalista di Moda Anna Piaggi che nel 1989, nel periodo delle sfilate milanesi, insieme a Luca Stoppini aveva curato la Mostra Gladys Perint Palmer. Characters. Rosita ne restò entusiasta e propose a Gladys di illustrare i capi delle sue Collezioni, per comunicare il lato allegro e ironico della moda Missoni. Una collaborazione che andò avanti per ben dieci anni e un’amicizia che dura ancora. Colin Mc Dowell, scrittore, stilista e curatore di moda britannico, nell’introduzione al libro di Gladys Perint Palmer, Fashion People, (Assouline, 2003) la descrive così “(…) Gladys, la cui opera è sempre firmata GPP, non è una pittrice ma un’illustratrice di rara qualità, forse l’ultima di una lunga e onorata stirpe. Gladys ha uno stile altamente peculiare – scaltro, distaccato e divertito – basato su uno sguardo che è diventato saggio e sardonico con il tempo. (…) Mai interessata alla riproduzione linea per linea di ciò che vede davanti a sé, Gladys apprese presto che catturare il carattere di una persona o “fissare” la personalità di un capo era prima di tutto il risultato di un occhio attento ai dettagli, seguito dal rigore intellettuale di ridurre tutte le informazioni che ha davanti a sé in poche righe significative. Questa è un’abilità quasi perduta oggi. Gladys è della vecchia scuola. È un’illustratrice qualificata che ha trascorso tre anni alla St. Martin’s School of Art di Londra imparando il suo mestiere, seguito da un periodo trascorso ad affinarsi alla Parsons di New York. Da allora ha disegnato per alcuni dei nomi più luminosi della moda tra cui Missoni, Versace, Geoffrey Beene, Oscar de la Renta e John Galliano per Dior. Il suo lavoro è apparso su Harper’s Bazaar, The New Yorker, The New York Times Magazine, San Francisco Examiner e nella sezione Style del London Sunday Times. Nata a Budapest, Gladys è una vera figlia di un paese antico, trasformando la passione e l’angoscia dei suoi connazionali in un punto di vista ironicamente umoristico. (…)”.


FASHION ILLUSTRATION. La Moda Missoni interpretata da Gladys Perint Palmer
Gallarate (VA), Museo MA*GA (via E. De Magri 1)
15 gennaio – 1° settembre 2024
 
A cura dell’Archivio Missoni
 
Orari:
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: ore 10.00 – 18.00
sabato e domenica: 11.00 – 19.00
 
Ingresso:
Intero: €7,00; ridotto: €5,00
 
Museo MA*GA
T +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700
www.clp1968.it anna.defrancesco@clp1968.it

Bologna, Palazzo Malvezzi: Emilio Isgrò. Cancellazione dei Codici – Civile e penale

1- Emilio Isgrò, Codice del decoro, 2022, Tecnica mista su tela stampata su libro e legno,
35 x 50,5 x 5 cm – Courtesy Archivio Emilio Isgrò
2- Emilio Isgrò, Codice dell’aria, 2022, Tecnica mista su tela stampata su libro e legno,
35 x 50,5 x 5 cm – Courtesy Archivio Emilio Isgrò
3- Emilio Isgrò, Codice delle osservanze, 2022, Tecnica mista su tela stampata su libro e legno,
35 x 50,5 x 5 cm – Courtesy Archivio Emilio Isgrò

Emilio Isgrò
Cancellazione dei Codici – Civile e penale

A cura di R. Cristina Mazzantini, Lorenzo Balbi, Marco Bazzini

2 – 9 febbraio 2024
Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Palazzo Malvezzi | Via Zamboni 22, Bologna

Mostra promossa da Archivio Emilio Isgrò
In collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna e Giuffrè Francis Lefebvre
Con il patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Con il sostegno di Galleria Gaburro
Con il contributo di UniCredit


Inaugurazione giovedì 1 febbraio 2024
ore 17.00 Palazzo Magnani – sede UniCredit | Via Zamboni 20, Bologna 
ore 18.15 Palazzo Malvezzi – Sala delle Armi | Via Zamboni 22, Bologna

Il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna è lieto di ospitare dal 2 al 9 febbraio 2024, nella sede di Palazzo Malvezzi, la mostra di Emilio IsgròCancellazione dei Codici – Civile e penale, a cura di R. Cristina Mazzantini (direttrice Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma), Lorenzo Balbi (direttore MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna) e Marco Bazzini (responsabile scientifico Archivio Emilio Isgrò).Il progetto espositivo è promosso da Archivio Emilio Isgrò, in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna e Giuffrè Francis Lefebvre, con il patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, con il sostegno di Galleria Gaburro e il contributo di UniCredit e rientra nella dodicesima edizione di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.L’inaugurazione si terrà giovedì 1 febbraio 2024 alle ore 17.00 (ingresso libero fino ad esaurimento posti). Dopo un iniziale momento di presentazione nel Salone dei Carracci di Palazzo Magnani, sede di UniCredit, in via Zamboni 20, seguirà, alle ore 18.15, l’opening della mostra nella Sala Armi dell’adiacente Palazzo Malvezzi, in via Zamboni 22.

Intervengono: Marco Bazzini (co-curatore mostra), Andrea Burchi (Regional Manager Centro Nord UniCredit Italy), Michele Caianiello (direttore Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Antonio Delfino (direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali Giuffrè Francis Lefebvre). Dialogano con il maestro Emilio Isgrò i co-curatori della mostra, Lorenzo Balbi e R. Cristina Mazzantini, oltre agli autori dei saggi in catalogo Luigi BalestraDaria de Pretis Francesco Viganò.

Considerato tra gli innovatori del linguaggio artistico del secondo dopoguerra, Emilio Isgrò è il padre indiscusso della cancellatura, un atto che cominciò a sperimentare nei primi anni Sessanta e che ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa. Questa originale ricerca sul linguaggio lo ha reso una figura pressoché unica nel panorama dell’arte contemporanea internazionale, facendone uno dei suoi indiscussi protagonisti. È, infatti, il 1964 quando l’autore inizia a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei libri, coprendone manualmente una grande parte sotto rigorose griglie pittoriche. Le parole e le immagini sono cancellate singolarmente con un segno denso e dello scritto restano leggibili soltanto piccoli frammenti di frasi o un solo vocabolo.

Nel tempo questo gesto si applica alle carte geografiche, ai telex, al cinema, agli spartiti musicali, anticipa le espressioni più tipiche dell’arte concettuale, si declina in installazioni e, con il passaggio dal nero al bianco negli anni Ottanta, arriva a risultati pittorici che si sono rinnovati in questi ultimi anni quando con la cancellatura ha costruito immagini quasi fossero pittogrammi. Il cancellare è un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione.

Le parole, e successivamente le immagini, non sono oltraggiate dalla cancellatura ma attraverso questa restituiscono nuova linfa a un significante portatore di più significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. La cancellatura è la lingua inconfondibile della ricerca artistica di Emilio Isgrò che oggi appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.

L’esposizione organizzata a Palazzo Malvezzi, sede del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, la più antica facoltà di Giurisprudenza al mondo, presenta 29 testi giuridici, in particolare il Codice civile e il Codice penale, sui quali Isgrò è intervenuto con la sua cifra espressiva, ovvero cancellando parti del testo, col fine di proporre una diversa riflessione sul significato di convivenza comune. Superando con l’atto della cancellatura le caratteristiche della lingua asciutta e fortemente antipoetica propria delle raccolte di norme giuridiche, l’artista ha dato origine a lavori dal forte impatto formale, talvolta tendenti all’ironia, che graffiano per la loro incontestabile verità. Su un testo cancellato in nero e bianco, attraversato anche da qualche formica – altro topos di Isgrò subentrato in questi ultimi anni – le parole superstiti danno voce a nuove interpretazioni del testo come, per limitarsi ad alcuni esempi: “I condomini sono l’autorità giudiziaria” o “La falsa dichiarazione sulla propria identità, dichiara o attesta altre qualità”.
I Codici sui quali Isgrò è intervenuto appartengono alla serie di volumi realizzata appositamente da Giuffrè Francis Lefebvre, i cui redattori, esperti di Diritto, hanno collaborato con l’artista prima del suo intervento.

Ad arricchire il percorso espositivo si affianca la cancellatura de Il discorso di Pericle agli ateniesi riportato nel libro II dell’opera di Tucidide La Guerra del Peloponneso. Tre sono i volumi in cui l’artista è intervenuto sul discorso del politico, oratore e militare greco che guidò Atene in uno dei suoi periodi di massimo splendore e ancora esercita il proprio fascino sulla cultura umanistica occidentale. Ciò che Pericle scrive sul senso della democrazia, sui valori umani e sul rispetto delle leggi, ha fatto di Atene un mito che mantiene le sue radici nella società di oggi.

Ho cancellato il Codice civile e il Codice penale perché senza parola non c’è diritto – spiega Emilio Isgrò -, e senza diritto non c’è democrazia. Il primo impegno dell’arte è quello di discutere in un mondo che urla“.

La cancellazione dei Codici – osserva R. Cristina Mazzantini – conferma l’intensa relazione tra la ricerca artistica di Isgrò e la sua militanza sociale. Avvertendo una crisi planetaria, Isgrò usa l’arte, responsabile nei confronti della storia, per difendere la democrazia. A partire dalle origini ateniesi, cancella la letteratura giuridica più attuale, mettendo in luce quelle parole che meglio garantiscono la libertà e l’emancipazione”.

Molto spesso, anche in tempi recenti – sottolinea Lorenzo Balbi – si è parlato di cancellature e rimozioni a Bologna e in questo specifico contesto e tempo la mostra di Emilio Isgrò assume un significato ancora più radicale. La cancellatura è un atto distruttivo e allo stesso tempo costruttivo: distruttivo dell’opera, allo stesso modo in cui è la sua rimozione, ma al contempo generatore di dibattito e di significato. Come dichiara lo stesso Emilio Isgrò: «Si cancella per svelare, non per distruggere»“.

“Tra i diversi fili rossi che attraversano l’intero corpus cancellatorio di Isgrò – aggiunge Marco Bazzini – è possibile recuperarne uno che ha guardato con particolare attenzione alla letteratura giuridica. Le prime cancellature su questo argomento, infatti, sono datate alla fine degli anni Sessanta e nel tempo, a scansione temporale irregolare, si ripropongono fino ad arrivare a questi ultimi Codici che ne rappresentano, restando in tema, l’ultimo grado di giudizio“.

La più antica Facoltà giuridica del mondo incontra Emilio Isgrò, pittore, poeta, giornalista, scrittore, regista e… giurista. Questo il possibile titolo di un evento straordinario – afferma Luigi Balestra, professore ordinario di Diritto civile nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna – che celebra un incontro tra i luoghi in cui ha iniziato a germogliare il diritto in epoca moderna e un artista fattosi giurista attraverso la consapevolezza, derivante dallo studio cólto e raffinato dei testi giuridici, di una precipua esigenza: cogliere la vera essenza dei testi, espungendone tutti quei contenuti inidonei ad esprimerla ovvero dissentendo dai medesimi ogniqualvolta essi si pongano in conflitto con i valori fondamentali su cui si fonda la pacifica convivenza civile e le libertà democratiche“.

Questa mostra rappresenta per noi un traguardo molto importante – evidenzia Giorgio Gaburro, founder di Galleria Gaburro – perché è il risultato di un dialogo nato tre anni fa con Emilio Isgrò, il cui lavoro è rappresentato dalla Galleria. Ogni nostro progetto nasce infatti dall’interscambio con gli artisti ed è concepito ad hoc per gli spazi espositivi a cui si rivolge per veicolare un messaggio coerente tra arte e ambiente“.

Daria de Pretis Francesco Viganò, giuristi e giudici della Corte costituzionale, hanno interpretato i Codici di Isgrò in due lunghi, approfonditi e originali saggi pubblicati sul catalogo che accompagna l’esposizione edito da Allemandi Editore.
Il volume comprende inoltre la riproduzione delle opere esposte a Bologna, le vedute di allestimento della mostra Cancellazione dei Codici inaugurata nel maggio 2023 presso Castel Capuano, sede della Scuola Superiore della Magistratura, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e un saggio di Luigi Balestra.

Ritratto Emilio Isgrò – Foto di Luisa Porta, 2019

Emilio Isgrò nasce nel 1937 a Barcellona Pozzo di Gotto, vive e lavora a Milano.
Dopo l’esordio letterario con la raccolta di versi Fiere del Sud (Schwarz, 1956), si dedica alla poesia visiva, nel doppio ruolo di teorizzatore e artista. Nel 1966 si tiene la sua prima personale presso la Galleria 1 + 1 di Padova, a cui seguono numerose mostre presso la Galleria Apollinaire, la Galleria Schwarz e la Galleria Blu a Milano, La Bertesca a Genova, la Galleria Lia Rumma a Napoli. Nel 1977 vince il primo premio alla Biennale di San Paolo. Nel 1985 realizza a Milano l’installazione multimediale La veglia di Bach, commissionata dal Teatro alla Scala per l’Anno Europeo della Musica, mentre nel 2010 con la mostra Var Ve Yok è presente alla Taksim Sanat Galerisi in occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura. Partecipa alle edizioni dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1972, 1978, 1986 e del 1993, quest’ultima con una sala personale.
Di inconfondibile rilievo è anche la sua attività di scrittore e uomo di teatro, consolidatasi con L’Orestea di Gibellina (1983/84/85) e con alcuni romanzi e libri di poesia, tra cui L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (Il Formichiere, 1975), Marta de Rogatiis Johnson (Feltrinelli, 1977), Polifemo (Mondadori, 1989), L’asta delle ceneri (Camunia,1994), Oratorio dei ladri (Mondadori, 1996) e, infine, Brindisi all’amico infame (Aragno, 2003).
In questi ultimi anni sue mostre personali sono state presentate al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato (2008), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (2013) e, nel 2016, una grande antologica a cura di Marco Bazzini ha coinvolto Palazzo Reale, Gallerie d’Italia e Casa del Manzoni a Milano. Nel 2019 un’imponente mostra antologica a cura di Germano Celant è stata presentata alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Dal 2020 al 2023 Isgrò è stato protagonista a Brescia di un importante progetto promosso da Fondazione Brescia Musei, che ha visto la realizzazione delle opere Incancellabile Vittoria, installata nella fermata “Stazione FS” della metropolitana, l’esposizione Isgrò cancella Brixia, al Museo di Santa Giulia e a Brixia. Parco archeologico di Brescia romana, lo
spettacolo teatrale Didone Adonais Domine nel teatro romano e infine, il più grande mappamondo del Maestro, Mondo d’acciaio installato nel Parco delle Sculture del Viridarium di Santa Giulia nel dicembre 2023.
Tra i progetti pubblici più recenti si ricordano l’installazione monumentale La Farfalla dei Malavoglia, inaugurata nell’estate del 2022 a Taormina e acquisita dalla Fondazione Sicilia di Palermo, L’abiura di Galileo (2023) realizzata per la celebrazione degli ottocento anni
dell’Università di Padova e Non uccidere (2023), installazione monumentale commissionata dal MAXXI di Roma e realizzata con l’architetto Mario Botta per i 75 anni della Costituzione italiana.
Numerose opere sono presenti in rinomate istituzioni nazionali, tra cui Galleria degli Uffizi, Collezioni d’arte del Quirinale, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Università Bocconi, Museo del Novecento di Milano, Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, nonché collezioni internazionali quali Centre George Pompidou di Parigi, il Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles, Israel Museum di Gerusalemme e Tel Aviv Museum of Art.


Titolo mostra
Emilio Isgrò
Cancellazione dei Codici – Civile e penale

A cura di
R. Cristina Mazzantini, Lorenzo Balbi, Marco Bazzini

Sede
Dipartimento di Scienze Giuridiche – Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Palazzo Malvezzi | Via Zamboni 22, Bologna

Periodo di apertura
2 – 9 febbraio 2024

Inaugurazione

Giovedì 1 febbraio 2024
ore 17.00 Palazzo Magnani – sede UniCredit | Via Zamboni 20, Bologna 
ore 18.15 Palazzo Malvezzi – Sala delle Armi | Via Zamboni 22, Bologna

Orario di apertura
Giovedì 1 febbraio (opening): ore 18.15 – 20.00
Da venerdì 2 a venerdì 9 febbraio ore 10.00 – 19.30

Ingresso
Gratuito

Promossa da
Archivio Emilio Isgrò

In collaborazione con
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna
Giuffrè Francis Lefebvre

Con il patrocinio di
Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Con il sostegno di
Galleria Gaburro

Con il contributo di
UniCredit

Catalogo
Allemandi Editore

Informazioni
www.emilioisgro.info
www.mambo-bologna.org
dsg.unibo.it
www.giuffrefrancislefebvre.it

Ufficio stampa Settore Musei Civici Bologna
e-mail UfficioStampaBolognaMusei@comune.bologna.it
Elisabetta Severino – Tel. +39 051 6496658 e-mail elisabetta.severino@comune.bologna.it
Silvia Tonelli – Tel. +39 051 219
3469 e-mail silvia.tonelli@comune.bologna.it

Ufficio stampa Giuffrè Francis Lefebvre
ddl studio
gfl@ddlstudio.net
Alessandra de Antonellis – Tel. +39 339 3637388 email alessandra.deantonellis@ddlstudio.net
Ilaria Bolognesi – Tel. +39 339 1287840 email ilaria.bolognesi@ddlstudio.net

Ufficio stampa Galleria Gaburro
AFF Comunicazione
Tel +39 02 36631254
Alessia Fattori Franchini – aff@affcomunicazione.it
Sara Bosco – Tel. +39 340 8630118 e-mail press@affcomunicazione.it 
Tommaso Franco – Tel. +39 333 8025212 e-mail lifestyle@affcomunicazione.it 

Ufficio Stampa / Press Office ART CITY Bologna
Elisabetta Severino – Silvia Tonelli
Tel. +39 051 6496658 / +39 051 2193469
ufficiostampaARTCITYBologna@comune.bologna.it
elisabetta.severino@comune.bologna.it
silvia.tonelli@comune.bologna.it
www.artcity.bologna.it
Facebook: Art City Bologna
Instagram: @artcitybologna