Reggio Calabria, Pinacoteca Civica: PROROGA la mostra “I LOVE LEGO” fino al 3 marzo 2024

A Reggio Calabria proroga fino al 3 marzo la mostra

I LOVE LEGO!!!

Continua con grande successo la divertentissima mostra ospitata all’interno della Pinacoteca Civica di Reggio Calabria.

Tra magnifici diorami costruiti con oltre 1.000.000 di mattoncini assemblabili, la mostra racconta l’incredibile evoluzione di quello che, da giocattolo tra i più comuni e conosciuti, si è trasformato negli anni in vera e propria opera d’arte.

A grande richiesta proroga fino al 3 marzo 2024 la mostra I LOVE LEGO presso gli spazi della Pinacoteca Civica di Reggio Calabria.
Pensata per tutti – famiglie, bambini e adulti appassionati – la mostra che ha accolto milioni di visitatori nel mondo non è soltanto un evento unico ma anche un modo originale e divertente per sognare, svagarsi e riscoprire il proprio lato ludico e creativo scrutando tra i dettagli di interi mondi in miniatura.

La mostra è promossa dal Comune di Reggio Calabria, Assessorato Cultura e Turismo con l’Assessora Irene Calabrò, nell’ambito del progetto “Azioni pilota per un distretto culturale e turistico della Città di Reggio Calabria”, a valere sulla corrispondente azione del PON METRO React-EU, prodotta ed organizzata da Piuma, in collaborazione con Arthemisia.

Milioni di mattoncini ma non solo. Tra 6 fantastici diorami costruiti grazie alla collaborazione di un gruppo di appassionati collezionisti privati, le due sedi saranno invase da tante installazioni che renderanno la mostra unica.
Infatti, a far da cornice ai minimondi Lego e “invadendo” gli stessi diorami, le simpaticissime vignette comiche ideate da “Legolize” (pagina umoristica che crea installazioni utilizzando proprio i LEGO) accompagneranno i visitatori a dimostrare quanto dei semplici mattoncini siano entrati – anche per un solo momento – a far parte della vita di ciascuno e siano in grado di “creare arte a 360°”.
Inoltre, lungo il percorso di mostra saranno presenti anche gli oli ispirati a grandi capolavori della storia dell’arte reinterpretati e trasformati in “omini lego” dall’artista contemporaneo Stefano Bolcato: unendo la sua passione per i LEGO e la sua arte – attraverso una tecnica pittorica ad olio – crea forme di assemblaggio ispirate in particolare modo dal “magnetismo” dei ritratti rinascimentali.

La mostra I LOVE LEGO è un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati, per le famiglie e per i più piccoli, che potranno passare una giornata da protagonisti in un’atmosfera magica e divertente che ha come protagonista quei mattoncini “prodigiosi” che ogni anno fanno giocare oltre 100 milioni di persone.

*La mostra non è sponsorizzata dal Gruppo Lego ed è realizzata grazie ad alcuni dei più grandi collezionisti del mondo.”


Sede
Pinacoteca Civica di Reggio Calabria (Via Osanna, n° 6)

Orari
dal martedì al venerdì
8.30 – 13.20 (ultimo accesso ore 12.30) | 14.30 – 18.00 (ultimo accesso ore 17.15)
sabato, domenica, festivi e periodo natalizio (dal 26 dicembre al 6 gennaio)
10.30 – 19.00 (ultimo ingresso alle 18.15)

Biglietti (info e prenotazioni www.ticket.it)
Mostra + Pinacoteca Civica
Intero € 10,00
Ridotto € 8,00 (studenti di ogni ordine e grado, bambini dai 4 anni in su)
Omaggio bambini sotto i 4 anni

Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Brescia, Palazzo Martinengo: I MACCHIAIOLI

Odoardo Borrani, Le cucitrici di camicie rosse, 1863. Collezione privata

BRESCIA | PALAZZO MARTINENGO

DAL 20 GENNAIO AL 9 GIUGNO 2024

L’esposizione presenta oltre 100 opere di Fattori, Lega, Signorini, Cabianca, Borrani e altri pittori che, nella Firenze del secondo Ottocento, diedero vita a una delle più originali e innovative avanguardie artistiche europee del XIX secolo

A cura di
Francesca Dini e Davide Dotti

Una rivoluzione artistica, quella dei Macchiaioli, ovvero quel gruppo di giovani pittori che nella Firenze del secondo Ottocento diedero vita a una delle più originali e innovative avanguardie artistiche europee del XIX secolo.

Giovanni Fattori, Silvestro Lega che dipinge sugli scogli, 1866 circa,
olio su tavola, 12 x 28 cm. Collezione privata

Dal 20 gennaio al 9 giugno 2024, la storica residenza cinquecentesca nel cuore della città ospita un’imperdibile mostra, curata da Francesca Dini e Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia e della Fondazione Provincia di Brescia Eventi, che presenta oltre 100 capolavori di Fattori, Lega, Signorini, Cabianca, Borrani, Abbati e altri, provenienti in gran parte da collezioni private – solitamente inaccessibili – e da importanti istituzioni museali come le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Museo della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, i Musei Civici di Udine, l’Istituto Matteucci di Viareggio e la Fondazione CR Firenze.

Giovanni Fattori, Diego Martelli a Castiglioncello, 1867,
olio su tavola, 13 x 30 cm. Collezione privata

Articolata in 10 sezioni, la retrospettiva bresciana racconta l’entusiasmante avventura di questi pittori progressisti che – desiderosi di prendere le distanze dall’istituzione accademica nella quale si erano formati sotto l’influenza di importanti maestri del Romanticismo come Hayez e Bezzuoli – giunsero in breve tempo a scrivere una delle pagine più poetiche della storia dell’arte non solo italiana, ma europea. Ed è proprio per via dei valori universali che la sottendono che l’arte dei Macchiaioli risulta così moderna e attuale: alcuni dei capolavori esposti in mostra come le Cucitrici di camicie rosse di Borrani, la Raccolta del fieno in maremma di Fattori, I fidanzati di Lega e Pascoli a Castiglioncello di Signorini rimangono indelebilmente impressi nella memoria, affascinando per la qualità pittorica, lirica e luministica.

La mostra di Palazzo Martinengo raccoglie le opere “chiave” di questo percorso allo scopo di raccontare i diversi momenti della ricerca dei Macchiaioli, i luoghi a loro famigliari – il Caffè Michelangiolo di Firenze, Castiglioncello, Piagentina, la Maremma e la Liguria -, il confronto con gli altri artisti e con le diverse scuole pittoriche europee; i loro smarrimenti, la capacità di mettersi collettivamente in discussione e di sterzare – se necessario – il timone per proseguire sulla strada del progresso e della modernità senza abbandonare mai la via maestra della luce e della macchia.

Il termine “Macchiaioli” fu coniato nel 1862 da un recensore della Gazzetta del Popolo di Firenze, che così definì quei pittori che intorno al 1855 avevano dato origine a un rinnovamento in chiave antiaccademica della pittura italiana in senso realista. L’accezione ovviamente era dispregiativa e giocava su un particolare doppio senso: darsi alla macchia, infatti, significa agire furtivamente, illegalmente. Alla luce delle più recenti ricerche, la vicenda dei Macchiaioli assume una rilevanza critica sempre più significativa, perché essi instaurarono un dialogo aperto, propositivo e audace con le più importanti comunità artistiche dell’Europa del tempo.

Odoardo Borrani, Mietitura del grano nelle montagne di San Marcello, 1861. Viareggio, Istituto Matteucci.

La rassegna è il nuovo appuntamento espositivo dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo che fa seguito ai successi di pubblico e di critica ottenuti con le rassegne Il Cibo nell’Arte dal Seicento a Warhol (2015), Lo Splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento (2016), Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento (2017), Picasso, De Chirico, Morandi. Cento capolavori dalle collezioni private bresciane (2018), Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti (2019), Donne nell’arte. Da Tiziano a Boldini (2020-2022), Lotto, Romanino, Moretto, Ceruti. I campioni della pittura a Brescia e Bergamo (2023), visitate da oltre 350.000 persone.


I MACCHIAIOLI
Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30)
20 gennaio – 9 giugno 2024

A cura di Francesca Dini e Davide Dotti
 
Informazioni: mostre@amicimartinengo.it | www.amicimartinengo.it | Tel. 392-7697003
 
Prenotazioni scuole e gruppi: mostre@amicimartinengo.it | Tel. 392-7697003

FACEBOOK: Amici Palazzo Martinengo
INSTAGRAM: @amicimartinengo
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it
T. 02.36755700 | www.clp1968.it

A Padova fino al 21 gennaio “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”

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Padova, Centro culturale Altinate | San Gaetano
13 settembre 2023 – 21 gennaio 2024

Mostra a cura di Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in collaborazione con Kr8te ed il Comune di Padova, Assessorato alla Cultura.

INTRO – Concept della mostra

American Beauty è il nome di una meravigliosa rosa rossa creata in Francia, che, esportata negli Stati Uniti, è diventata la più diffusa del continente nordamericano, oltre che fiore simbolo della città di Washington.

American Beauty è una rosa magnifica e allo stesso tempo fragile. I suoi petali resistono a lungo prima di appassire, mentre il gambo marcisce rapidamente: metafora efficace della società statunitense e delle sue contraddizioni evidenti e nascoste. “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy” presenta, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo dedicato agli Stati Uniti d’America con una selezione di 130 opere che raccontano luci e ombre della nazione che più di ogni altra ha caratterizzato l’ultimo secolo a livello globale.

Ad offrire questo originale ritratto degli States sono ben 120 artisti. “American Beauty” esplora così alcuni aspetti centrali per la comprensione delle contraddizioni che attraversano la superpotenza statunitense. Un racconto serrato capace di dar voce ad alcuni tra i protagonisti assoluti dell’arte internazionale.

Ad avere un ruolo chiave nel percorso espositivo è la fotografia, chiamata a introdurre il visitatore alla lettura del trionfale e decadente universo statunitense. Ampiamente rappresentato è il bianco e nero, con maestri assoluti come Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Diane Arbus ed Elliott Erwitt, per passare alle immagini a colori di Steve McCurry, Vanessa Beecroft e Annie Leibovitz.  Il percorso si esalta, di sala in sala, accogliendo creazioni dei maestri della Pop Art come James Rosenquist, Robert Indiana e Andy Warhol, fino ai protagonisti della Street Art, Keith Haring, Mr. Brainwash, Obey e Banksy.

SALA 1

PRIMA SEZIONE – Patriottismo

L’inizio del percorso espositivo è dedicato al patriottismo. La bandiera è il simbolo per eccellenza chiamato a rappresentare l’attaccamento nazionalistico tipicamente americano. Dalla fine del Settecento, gli Stati Uniti si espansero rapidamente e, con l’aggiunta di nuovi stati, la bandiera si dovette evolvere assieme alla mutevole composizione del paese. Il Congresso valutò che era troppo complesso aggiungere nuove strisce per ogni stato e prese la decisione di mantenerne 13 (come le 13 colonie fondatrici) ed aggiungere una stella per ogni nuovo stato ammesso nella federazione. Il presidente Harry Truman, nel 1949, dichiarò ufficialmente il 14 giugno come Giorno nazionale della Bandiera (National Flag Day). Dal 1960, con l’integrazione delle Hawaii, è stata apposta la cinquantesima stella e la bandiera non è più cambiata. La prima sezione della mostra si presenta come una festa di colori e immagini in bianco e nero scattate da grandi fotografi internazionali, tutti impegnati a immortalare le numerose manifestazioni pubbliche o private di patriottismo statunitense. I fotografi Margaret Bourke-White, Elliott Erwitt, Jill Freedman, Vivian Maier, Ruth Orkin, Wegee, lo street artist Mr. Brainwash, il fondatore della Magnum Henri Cartier-Bresson e molti altri artisti ci trasportano idealmente nelle strade e nelle case in compagnia di veri patrioti americani.  Il senso di appartenenza di questo popolo al proprio paese è spesso sorprendente. La devozione per la bandiera e per l’inno nazionale è proverbiale.

SECONDA SEZIONE – Potere

Gli Stati Uniti rappresentano la più grande potenza internazionale, sotto vari punti di vista. Molti osservatori imparziali sottolineano che l’America è attualmente in declino. Tuttavia, le altre potenze politiche e militari non appaiono ancora in grado di sostituirsi pienamente alla sua leadership. L’emergere della potenza americana si può collocare verso la metà dell’Ottocento. Dopo l’annessione di una parte del Messico e l’espansione decisiva verso le coste del Pacifico, la guerra di secessione diede identità ad una nazione che prima non esisteva in quanto tale, decretando il prevalere del nord repubblicano contro il sud aristocratico. Con la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti cominciarono ad imporsi a livello planetario, acquisendo vaste aree di influenza. Dalla fine del Novecento hanno completato il proprio dominio tramite l’esportazione di un modello politico-culturale a cui uniformarsi: quello della libertà, del libero mercato e della democrazia. L’ideologia della globalizzazione può essere letta quindi come l’imposizione definitiva dell’egemonia americana, evidente negli anni Novanta, apparentemente in crisi nel decennio che stiamo vivendo. La narrazione mediatica racconta la globalizzazione come una conquista dell’umanità e la diffusione spontanea della democrazia come conseguenza del libero commercio. Essa è in realtà impostata sul controllo americano, che si palesa nella gestione delle rotte marittime, su cui passa la maggior parte delle merci internazionali. Il potere e la grandezza americani sono rappresentati, in questa sala, da immagini evocative. Il Palazzo della Borsa di New York, l’obelisco di Washington e il dollaro simboleggiano il potere politico ed economico-finanziario. Lo sbarco sulla luna fu invece il compimento di un lungo percorso di sviluppo tecnologico, che ebbe importanti ripercussioni politiche in pieno clima di guerra fredda. La sezione si completa con i ritratti di alcuni tra i presidenti più influenti a livello globale. Le opere svelano il fascino popolare di Kennedy, il carisma di Nixon, l’aggressività internazionale di Bush e la divisiva figura del penultimo leader del paese: Donald Trump.

SALA 4

TERZA SEZIONE – Conflitti culturali

Le proteste seguite alla morte di George Floyd, in centinaia di città e piccoli centri urbani negli Stati Uniti, hanno messo in risalto una serie di punti critici che attraversano la società americana. La questione razziale – il fatto, cioè, che le minoranze e in particolare quella afroamericana siano vittime di abusi sistematici da parte degli apparati repressivi – è certamente centrale, ma non può essere considerata isolatamente. Le divisioni di razza in buona parte riflettono anche le sperequazioni socioeconomiche, dal momento che le comunità afroamericane e latine occupano gli strati più bassi della società ed esercitano professioni mal pagate e prive o quasi di garanzie sociali (per esempio la copertura assicurativa sulla salute). Questi squilibri alimentano un dibattito politico che è andato sempre più polarizzandosi negli ultimi anni e che sotto Donald Trump si è ulteriormente acuito. Questa sezione della mostra illustra alcune questioni che evidenziano la polarizzazione sociale interna agli Stati Uniti. La questione islamica ebbe certamente un grande impatto dopo l’11 settembre 2001, quando i toni spesso violenti della propaganda politica portarono ad una generale diffidenza nei confronti dei musulmani. Il movimento per le rivendicazioni politiche dei neri (a cui è dedicato uno speciale focus) e il dibattito ancora vivo sulla questione indiana sono temi capaci di scuotere le coscienze in tutto il mondo. Ampio spazio è riservato alle proteste sociali che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno fatto degli Stati Uniti un paese caratterizzato da una forte e strutturata contestazione interna. L’America è un paese caratterizzato da profonde iniquità sociali, ma al suo interno si sono sviluppati i più importanti movimenti sociali promotori di un profondo rinnovamento culturale.

FOCUS – Black lives matter

Nel 2013 ha iniziato a circolare l’hashtag #BlackLivesMatter, traducibile in “le vite delle persone nere contano”. Dall’hashtag ha preso il via un movimento per i diritti civili di grande attualità. Il Black Lives Matter si è sviluppato all’interno della comunità afroamericana statunitense, in reazione a svariati omicidi di persone nere da parte delle forze di polizia e, in particolare, contro l’assassinio (rimasto impunito) del diciassettenne Trayvon Martin. I sostenitori si sono scagliati, più in generale, contro le politiche discriminatorie ai danni della comunità nera. A partire dal 2020, il video del brutale arresto, culminato nell’omicidio, di George Floyd ha suscitato reazioni internazionali. La morte di Floyd è divenuta il simbolo della violenza sistemica della polizia, chiaro sintomi di un razzismo ancora endemico negli Stati Uniti. L’episodio è stato seguito da un’ondata di proteste senza precedenti in tutto il mondo, rendendo il Black Lives Matter un movimento internazionale. Il presidente Joe Biden ha parlato di “razzismo strutturale”, riportando l’attenzione su un tema che poteva sembrare superato. Il dibattito, in questi ultimi tre anni, si è allargato portando l’attenzione sulle vite di tutti gli immigrati in Occidente, fino alla discussione sulla restituzione delle opere d’arte ai popoli saccheggiati durante il periodo coloniale. Tali riflessioni non sono chiaramente inedite nella società americana. L’intera storia del paese è attraversata da contraddizioni a sfondo etnico, spesso rimaste irrisolte. I frequenti casi di brutalità e uso della forza da parte delle forze dell’ordine statunitensi determinarono la nascita del movimento per i diritti civili già a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. La novità nell’episodio dell’omicidio di Floyd sta nel medium con cui è stato diffuso: un video su YouTube. La potenza pervasiva del digitale ha determinato una visibilità del fenomeno impensabile nei decenni precedenti.

FOCUS – La guerra in casa

Le successive quattro opere portano la nostra attenzione su uno dei problemi endemici della società americana: la diffusione capillare delle armi. Gli Stati Uniti sono il paese in cui il numero di decessi prematuri causati da armi da fuoco è superiore a quello dei morti per incidenti stradali. Nel 2021, l’America ha registrato il record assoluto di sparatorie di massa (ovvero con più di 3 morti): 691. Nel paese si calcola che ci siano circa 357 milioni di armi per 332 milioni di abitanti. Il secondo emendamento, che vide la luce in un’epoca remota (1791), continua a recitare: “Una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero e dunque il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere violato”. Nel Settecento il diritto alle armi garantiva la possibilità di difendersi da nativi e banditi, in assenza di un esercito regolare. Oggi tale necessità sembra del tutto superata.

SALA 6

QUARTA SEZIONE – Imperialismo americano

Nel 1917 inizia il secolo americano. L’ingresso nella Grande Guerra diede il via al decisivo interesse americano nei confronti delle vicende politiche internazionali. La dottrina Monroe (1823), che sanciva la supremazia statunitense in tutte le Americhe, iniziò ad essere applicata al mondo intero. Il predominio americano venne sicuramente sancito a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Alla fine della prima, infatti, gli USA tornarono al loro isolamento, ma il loro intervento nella seconda fu definitivo. Essi divennero la potenza leader del pianeta, condivendo questa posizione a metà con la Russia. L’impero americano crebbe a dismisura tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, dando vita ad un sistema di dipendenze tra sé e gli altri paesi. Questa sezione della mostra porta idealmente i visitatori nel cuore del dibattito relativo alla guerra in Vietnam. Una delle operazioni militari più controverse dell’esercito statunitense. La guerra in Indocina svelò al momento il lato oscuro dell’imperialismo americano, che trovò nuovi sbocchi in Medio Oriente dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre. L’impero americano è stato ed è diverso da tutti gli altri imperi della storia. Esso, infatti, non è apertamente dichiarato, prevede il controllo delle rotte oceaniche e non è coloniale in senso tradizionale ma è presente in molti paesi attraverso il sistema delle basi militari. Secondo gli americani, l’unica sicurezza possibile per il paese sta nel dominio del mondo. La propaganda, destinata a cementare l’egemonia nelle coscienze di tutti, esalta i valori occidentali come la libertà e la democrazia in opposizione al resto del mondo. Di questi valori gli americani sono i paladini. Con l’avvento della globalizzazione, gli Usa hanno imposto un sistema economico internazionale sottoposto alla loro egemonia, impegnandosi spesso militarmente su diversi fronti. Negli ultimi anni, tra la presidenza Trump e la presidenza Biden, la nuova strategia sembra spingere gli americani a sottrarsi da vari fronti e a disimpegnarsi militarmente, finendo per lasciare spazio a nuovi e vecchi rivali imperialisti: come dimostra l’attacco russo in Ucraina e il rinnovato interesse cinese per Taiwan.

FOCUS – 9/11

Gli eventi dell’11 settembre 2001, e cioè la più devastante singola azione di guerra sul suolo americano, scossero New York ed ebbero ripercussioni in tutto il mondo, provocando un cambiamento politico globale. Gli effetti dell’attacco straziante furono contenuti solo grazie agli sforzi eroici delle persone che reagirono per prime all’emergenza. L’attentato terroristico, con il dirottamento di quattro aerei di linea, mise a nudo la fragilità del paese e portò all’imposizione di pesanti misure di controllo interno, spesso lesive dei diritti privacy e delle libertà individuali. Gli Americani vissero l’11 settembre come una dichiarazione di guerra e il presidente Bush giurò vendetta ai nemici della nazione. Vendetta che poté dirsi compiuta il 2 maggio 2011 con l’omicidio di Osama Bin Laden. Tra le conseguenze della distruzione delle Torri Gemelle e dell’attentato al Pentagono vi fu l’invasione dell’Afghanistan, da cui gli americani si sono effettivamente ritirati sono durante la presidenza Trump. Nel 2003, sulla scia della lotta al terrorismo internazionale, l’amministrazione Bush pianificò l’aggressione dell’Iraq, portando alla destituzione del dittatore Saddam Hussein.

QUINTA SEZIONE – Una vita a stelle e strisce

Dal Settecento, il Congresso americano ha adottato il motivo delle stelle e strisce per la bandiera nazionale. Le stelle in campo blu rappresentano una nuova costellazione, una nuova nazione dedicata alla libertà personale e religiosa. Le strisce rosse affermano il coraggio e l’integrità degli uomini, il loro sacrificio in nome degli ideali repubblicani. Le strisce bianche significano libertà e uguaglianza per tutti. Il blu allude alla lealtà e alla fede. La bandiera, nel suo complesso, incarna la libertà americana e simboleggia lo spirito indomabile della determinazione portata in quella terra da Cristoforo Colombo e dai colonizzatori come i pellegrini e i puritani britannici. La bandiera si trova in ogni edificio pubblico e migliaia di giardini americani possiedono un’asta per la sua esposizione. Gli statunitensi la adorano ed essa viene costantemente declinata su una varietà pressoché infinita di oggetti d’uso quotidiano. Nell’abbigliamento la bandiera è spesso protagonista, indossata nei modi più originali, come si evince dalle fotografie esposte in questa sala. Non manca, chiaramente, l’ironia: ad esempio nel trittico di Sergey Bratkov o nell’irriverente slip immortalato da Martin Parr. Il motivo a stelle e strisce è declinato come bikini, nelle immagini di Michael Dressel e Nina Berman. L’apice è raggiunto con la fotografia di Ben Brody, il quale immortala, nel 2017 a Buffalo, un improbabile uomo-bandiera.


Negli Stati Uniti di fine Ottocento, l’American Beauty era popolarmente conosciuta come la “rosa da un milione di dollari”. Espressione impiegata per indicare il costo, per molti irraggiungibile, necessario ad ottenere un mazzo da donare all’innamorata: 2 dollari per ciascuna delle rose dal lungo, elegante stelo. Cifra, all’epoca, davvero altissima.

Alfred Hitchcock ne mandò enormi mazzi a Vera Miles, per convincerla a recitare nei suoi film.

Questa fortunata cultivar di rose Tea era stata creata in Francia da Henri Lédéchaux, con il nome di Madame Ferdinand Jamin. Un ibrido che dava rose di un cremisi brillante, con un fiore ricco di una cinquantina di petali, molto profumato, posto su uno stelo lungo e rigido, Coltivate in serra, le American Beauty erano perfette per trarne elegantissimi mazzi. Nei giardini offre fioriture prolungate, molto appariscenti sul fogliame verde scuro. Esportata in America con il nuovo nome di “American Beauty”, la Madame Ferdinand Jamin conquistò il mercato, tanto da essere, negli anni Venti, la cultivar di rosa più venduta negli States. Una popolarità che l’ibrido non riuscì a conquistarsi altrove.

Alla America Beauty hanno reso omaggio numerosi compositori e musicisti. Frank Sinatra l’ha cantata in “America Beauty Rose”, del 1950. Josep Heller in “Comma 22” descrive un anziano italiano che ferisce a un occhio il maggiore de Coverly, lanciandogli contro una American Beauty. Impossibile poi non citare il film omonimo, Premio Oscar del 1999.

American Beauty è il fiore ufficiale della città di Washington nel Distretto della Colombia, nonché simbolo della catena di negozi della Lord & Taylor, oltre che di diverse confraternite americane.


A cura di
Daniel Buso

Mostra organizzata da
ARTIKA di Daniel Buso ed Elena Zannoni
 
In collaborazione con
Comune di Padova, Assessorato alla Cultura e Kr8te
 
Spazio espositivo
Centro culturale Altinate | San Gaetano, Padova
 
Periodo espositivo
dal 13 settembre 2023 al 21 gennaio 2024
 
Per informazioni
+39 351 809 9706
email: mostre@artika.it
www.artika.it
 
Ufficio Stampa: Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
tel. 049.663499 rif. Roberta Barbaro roberta@studioesseci.net

Settore Musei Civici Bologna: con “Apriti, museo!” esposizioni eccezionalmente aperte a Capodanno

Casa Morandi – Foto Roberto Serra

Musei Civici di Bologna per la prima volta tutti aperti il 1° gennaio.
Aperture straordinarie, mostre e attività dal 24 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024.

In occasione delle festività natalizie 2023-2024, i Musei Civici di Bologna presentano un’importante novità: Apriti, museo!
Per la prima volta, tutte le sedi sono eccezionalmenteaperte lunedì 1°gennaio 2024 dalle ore 11.00 alle 19.00: Museo Civico Archeologico, Museo Civico Medievale, Collezioni Comunali d’Arte, Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Morandi, Casa Morandi, Museo per la Memoria di Ustica, Museo internazionale biblioteca della musica, Museo del Patrimonio Industriale, Museo civico del Risorgimento.

Tra aperture straordinarie, collezioni permanenti e mostre temporanee, visite guidate e laboratori, con le giornate d’arte dedicate a bambine e bambini durante le vacanze scolastiche, anche quest’anno si prospetta dunque ricca e variegata l’offerta culturale che il Settore Musei Civici Bologna offre al pubblico di adulti e più piccoli per vivere i luoghi dell’arte e della cultura nel periodo delle feste.

Dal 24 dicembre 2023 al 6 gennaio 2024 le 11 sedi dei musei civici si fanno ancora più accoglienti verso cittadini e turisti grazie all’ampliamento degli orari di apertura e la proposta di nuove attività, con una speciale attenzione alla giornata di Capodanno. Con l’iniziativa Apriti, museo!, durante l’intero arco della giornata si può scegliere tra 20 attività proposte con laboratori e visite guidate in italiano, inglese e francese, per conoscere e riscoprire il ricco patrimonio culturale della città. Le visite e i laboratori sono offerti a tutti i possessori del biglietto di ingresso che, invece, resta a pagamento.

Vespa Club Bologna – Museo Patrimonio Industriale

La stessa giornata di Capodanno vede inoltre una speciale collaborazione del Settore Musei Civici Bologna con Festivamente, il cartellone di iniziative culturali promosso e coordinato dal Comune di Bologna | Settore Cultura e Creatività per vivere insieme il periodo delle feste all’insegna della cultura, dell’arte e della socialità.
Il Discorso d’artista, affidato quest’anno a Mariangela Gualtieri, tra le poetesse più potenti e luminose della nostra contemporaneità, può essere ascoltato dalle ore 11.00 alle ore 19.00 all’interno delle Collezioni Comunali d’Arte, aperte straordinariamente ad ingresso libero. Immerso nella sosta della maestosa Sala Urbana, il pubblico può così sentire la voce poetica di Mariangela Gualtieri recitare Esortazione urbana e planetare, una riflessione su ciò che con urgenza vuole essere tenuto presente, in un presente che a tratti pare irrimediabile e altre volte apre spiragli alla possibilità di un equilibrio fra tutti i viventi della terra, per un rito di ascolto sul nuovo anno.

E proprio nella Sala Urbana è presente, all’interno della progettualità delle manifestazioni di fine anno, il progetto culturale nato tra la città di Bologna e ilComune di Faenza dove si è voluto tenere vicino il tema dell’alluvione che ha colpito il territorio metropolitano bolognese e la Romagna, componendo un gesto di responsabilità di come, anche attraverso la cultura, si possa fare sia memoria, sia condivisione e comunità. Grazie alla collaborazione tra il Settore Musei Civici Bologna e istituti culturali faentini, è infatti nata IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua a cura di Matteo Zauli (direttore del Museo Carlo Zauli) e Eva Degl’Innocenti (direttrice del Settore Musei Civici Bologna), visibile fino al 4 febbraio 2024. Un’installazione che celebra la forza creatrice dell’arte, dopo la distruzione causata dall’alluvione, con l’esposizione di opere e oggetti provenienti dal Comune di Faenza e dal Museo Carlo Zauli.
Un protocollo di intesa è stato sottoscritto tra il Settore Musei Civici Bologna e il Museo Carlo Zauli per una progettualità scientifico-culturale e didattico-educativa congiunta, della durata di tre anni, per la realizzazione di attività di ricerca, artistiche, culturali, didattiche, divulgative, partecipative e di innovazione nel campo della ceramica e delle arti, che possano contribuire alla ricerca, alla valorizzazione, alla divulgazione, alla innovazione della cultura artistica della ceramica e delle arti.
La mostra è promossa da Comune di Bologna, Settore Musei Civici Bologna | Musei Civici d’Arte Antica, Comune di Faenza, Settore Cultura, Turismo, Sport e Politiche Internazionali Unione della Romagna Faentina, Museo Carlo Zauli, realizzata in collaborazione con Scuola Comunale di Musica “Giuseppe Sarti” di Faenza e Scuola di Disegno, Arti e Mestieri “Tommaso Minardi” di Faenza.

Di seguito gli orari di apertura osservati nei giorni festivi nelle singole sedi, le attività in programma e le mostre temporanee in corso.
Nei restanti giorni compresi nello stesso periodo, i musei osservano i consueti orari di apertura, consultabili sul sito web www.museibologna.it.
L’acquisto dei biglietti di ingresso è disponibile sul sito Mida Ticket:



Settore Musei Civici Bologna
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Elisabetta Severino – Silvia Tonelli
Ufficio Stampa / Press Office Settore Musei Civici Bologna
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Torino, Musei Reali | Galleria Sabauda: “Giulia & Tancredi Falletti di Barolo collezionisti”

Ritratto del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo in divisa da ufficiale napoleonico, 1811,
pastello su carta, 25,6 x 20,5 cm, Torino, Opera Barolo, Palazzo Falletti di Barolo
Luigi Bernero, Torino 1775 – 1848.

Ritratto di Giulia Colbert Falletti di Barolo, 1811,
pastello su carta, 27 x 20,5 cm, Torino, Opera Barolo, Palazzo Falletti di Barolo
Luigi Bernero, Torino 1775 – 1848.

MUSEI REALI DI TORINO GALLERIA SABAUDA | Spazio Scoperte

DAL 28 NOVEMBRE 2023 AL 7 APRILE 2024

MOSTRA DOSSIER

Ai Musei Reali di Torino, nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda, è presente la mostra dossier Giulia & Tancredi Falletti di Barolo collezionisti, in occasione del bicentenario della nascita del Distretto Sociale Barolo.

L’esposizione, curata dai Musei Reali in collaborazione con l’Opera Barolo, celebra i marchesi Giulia e Carlo Tancredi Falletti di Barolo, personalità di spicco della società piemontese del XIX secolo, illustrandone il gusto collezionistico, le committenze e gli interessi culturali, ricostruendo il nucleo originario della loro raccolta attraverso una selezione tra le 45 opere d’arte antica donate nel 1864 con lascito testamentario alla Regia Pinacoteca, oggi Galleria Sabauda, esposte in dialogo con dipinti e sculture un tempo parte della stessa collezione.

Nella Torino di primo Ottocento, i marchesi Falletti di Barolo furono molto attivi in campo assistenziale, mostrando un costante impegno a favore delle classi povere. In particolare, dopo aver riformato le carceri femminili torinesi, il 7 marzo 1823 Giulia Colbert fondò il Rifugio, una delle prime istituzioni ad accogliere ed educare le cosiddette “donne pericolanti”; negli anni successivi, i marchesi ampliarono la prima struttura, fino a creare un complesso di istituti riuniti in una sorta di cittadella della promozione umana, in grado di sostenere soprattutto bambine e donne in difficoltà.

Crediti: Renato Di Gaetano per i Musei Reali

La mostra dossier ripercorre gli interessi culturali dei due nobili attraverso la pittura e la scultura loro contemporanee e le loro scelte collezionistiche, frutto di un gusto ecclettico raffinato, orientato verso quanto di più significativo offrisse il mercato antiquario; il racconto dei loro viaggi in Italia, alla scoperta dei monumenti dell’antichità classica e delle opere dei grandi maestri italiani del Rinascimento e del Seicento; il loro amore per l’arte, intesa come strumento di educazione ai valori della morale cattolica, di crescita e riscatto sociale.

Il percorso espositivo si apre con la sezione dedicata alla produzione artistica contemporanea, in particolare la plastica neoclassica legata alle teorie estetiche di Bertel Thorvaldsen. Tra i capolavori si segnala l’Erma di Saffo, celebre scultura in marmo commissionata ad Antonio Canova nel 1819-1820 dal marchese Tancredi, donata per sua volontà alla Città di Torino e oggi conservata alla GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Sono esposte opere come la Fanciulla con le tortore e il Bambino in preghiera dello scultore Luigi Pampaloni con Gesù e i fanciulli, tela commissionata a Pietro Ayres, pittore attivo anche per la corte sabauda come ritrattista, conservate a Torino nel Palazzo Falletti di Barolo; sono presenti due disegni eseguiti da Giuseppe Pietro Bagetti, in prestito dalla GAM di Torino, due dipinti del torinese Pietro Righini, oltre alla tela raffigurante Guglielmo Falletti di Barolo e Luigi XI di Francia, opera di Giovanni Migliara. La sezione si completa con due raffinati ritratti a pastello di Giulia e Carlo Tancredi, eseguiti nel 1812 da Luigi Bernero (Torino, Palazzo Falletti di Barolo), che mostrano evidenti contatti con la ritrattistica francese di Jacques-Louis David.

Crediti: Renato Di Gaetano per i Musei Reali

Fondamentali nell’indirizzare le scelte dei marchesi furono i viaggi in Italia tra il 1815 e il 1834, durante i quali visitarono chiese e collezioni d’arte e acquistarono molti oggetti della loro raccolta, frequentando i più influenti circoli intellettuali dell’epoca e i laboratori degli artisti più in voga. Queste esperienze furono raccolte in tre Diari, due dei quali sono esposti insieme a documenti di archivio e a un nucleo di disegni realizzati dai due coniugi: i delicati schizzi a matita nei quali Giulia ritrae i suoi familiari, e i disegni raffiguranti tombe papali eseguiti da Carlo Tancredi, a riprova di come l’esercizio del disegno fosse una consuetudine che entrambi praticavano e condividevano. È presente, inoltre, un prezioso modellino-reliquiario del Santo Sepolcro di Gerusalemme realizzato in avorio, madreperla e legno del Getsemani, oggi conservato a Palazzo Madama e parte del gruppo di opere donate dai marchesi al Comune di Torino.

L’esposizione prosegue con le opere della collezione appartenenti al nucleo destinato alla Regia Pinacoteca nel 1864: le più significative sono segnalate da didascalie specifiche e pannelli didattici lungo il percorso permanente della Galleria Sabauda. Si incontrano capolavori come l’Incoronazione della Vergine, acquistata da Carlo Tancredi come opera di Giotto e ora attribuita a Bernardo Daddi, I Quattro evangelisti attualmente attribuiti a Mariotto di Nardo di Cione,il tondo con la Madonna e san Giovannino in adorazione del Bambino di Giovanni Antonio Della Robbia, e ancora la Madonna con Bambino di Lorenzo di Credi, uno dei dipinti più apprezzati della quadreria Falletti di Barolo, ricercato da importanti istituzioni internazionali come la National Gallery di Londra. Considerevoli, inoltre, il tondo su tavola raffigurantela Madonna con il Bambino, san Giovannino e un angelo, in cui la qualità stilistica del disegno, emersa da recenti indagini diagnostiche, fa supporre un intervento diretto di Botticelli, la Madonna con il Bambino e san Giovannino,attribuita ad Andrea del Sarto, e il San Pietro in cattedra eseguito da Anton Raphael Mengs.

Crediti: Renato Di Gaetano per i Musei Reali

La mostra dossier presenta inoltre un gruppo di dipinti della collezione finora conservato nei depositi della Galleria Sabauda; sono opere poco note al pubblico e, per la prima volta, vengono esposte insieme per una riflessione sugli interessi dei marchesi in ambito figurativo: la predilezione per la pittura emiliana del Seicento, con opere della cerchia di Guercino, Guido Reni, Francesco Albani, Carlo Cignani, tra le quali un bel Ritratto di gentiluomo attribuito a Simone Cantarini e, per i soggetti religiosi, la Madonna con il Bambino della bottega del Sassoferrato e la Testa di Madonna di Pompeo Batoni.

Nella sala 18, al primo piano della Galleria Sabauda, una sezione espositiva rivela l’interesse dei marchesi per la pittura caravaggesca a tema musicale: alla magnifica tela con il Suonatore di Antiveduto Gramatica (1569-1626), che proviene dalla loro collezione, è accostato il Concerto a due figure dello stesso artista, acquistato recentemente per i Musei Reali dal Ministero della Cultura per riunire i due frammenti di un’opera intitolata La Musica, un tempo appartenente alla collezione romana del cardinale Del Monte. All’opera di Gramatica è accostato il bellissimo Concertino, ricondotto all’attività giovanile di Mattia Preti, anch’esso appartenuto alla collezione Falletti di Barolo e donato da Giulia Colbert al Palazzo Comunale di Alba, che lo ha concesso in prestito in occasione della mostra.


GIULIA & TANCREDI FALLETTI DI BAROLO COLLEZIONISTI
Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda | Spazio Scoperte (Piazzetta Reale, 1)
28 novembre 2023 – 7 aprile 2024
Ingresso compreso nel biglietto dei Musei Reali
 
Orari
dal martedì alla domenica, dalle 9 alle 19
La biglietteria chiude un’ora prima
 
Biglietti
Intero: euro 15
Gruppi (massimo 25 persone): euro 13 a persona
Ridotto (18/25 anni): euro 2
Gratuito (0/17 anni, Soci ICOM, Abbonamento Musei, Torino + Piemonte Card, Royal Pass, 1 accompagnatore
per disabili non autosufficienti, giornalisti, dipendenti MiC, insegnanti)
Per l’acquisto online: https://www.coopculture.it/it/prodotti/biglietto-musei-reali-di-torino/
 
Sito internet
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Venezia: Walton Ford all’Ateneo Veneto con “Lion of God”

Walton Ford, Phantom, 2023

Venezia, Ateneo Veneto
17 aprile – 22 settembre 2024

A cura di Udo Kittelmann

È annunciata per la primavera 2024 la prima mostra personale di Walton Ford in Italia. Artista americano tra i più talentuosi della sua generazione (1960), Ford sta preparando una grande mostra site-specific, per Venezia, incentrata su un nuovo corpus di opere concepite in stretta relazione alla collezione di una delle istituzioni più antiche e accreditate della città: l’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.

Lion of God presenterà una serie di dipinti di grandi dimensioni realizzati ad acquerello che esplorano la dimensione storica, biologica e ambientale dei soggetti rappresentati nella collezione della biblioteca dell’Ateneo, in particolare la figura del leone nell’ Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto (c. 1580). Il percorso espositivo si svilupperà su due sale dell’Ateneo Veneto, l’Aula Magna al piano terra e la Sala Tommaseo, dove l’opera di Tintoretto sarà esposta al pubblico per tutta la durata della mostra.

Lion of God è curata da Udo Kittelmann – che ha collaborato con Ford in occasione della sua retrospettiva itinerante in Europa intitolata Bestiarium (2010-11) ­– e inaugurerà durante la settimana di vernice della Biennale Arte di Venezia, rimanendo aperta sino al 22 settembre 2024.

L’artista ha descritto l’Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto come “un intenso spunto di discussione sulla nostra relazione con il mondo naturale”. Raffigurando San Girolamo in estasi, nel bel mezzo di una visione in cui la Vergine Maria discende dal cielo, il dipinto storico presenta il leone che la leggenda descrive come amico di San Girolamo dopo che quest’ultimo gli ha tolto una spina dalla zampa. L’improbabile legame tra i due personaggi è descritto in dettaglio ne  La leggenda aurea, un testo ampiamente diffuso in Europa nel tardo Medioevo e che è servito da riferimento anche per l’artista americano. Tintoretto dispiega grande maestria nella narrazione, condivisa anche da Ford, e dipinge il suo leone posizionandolo in ombra, nella parte inferiore dell’opera. Uno dei nuovi dipinti di Ford, di quasi tre metri, ribalterà l’inquadratura del pittore veneziano per mettere in primo piano l’esperienza dell’animale.

L’indagine filosofica continua di Ford sui modi in cui interagiamo e allontaniamo dalle specie animali richiama una delle questioni più urgenti del nostro tempo: la terribile crisi ecologica che stiamo vivendo. Udo Kittelmann spiega così il progetto: “nella ricerca di analogie tra passato e presente, i dipinti di Walton Ford sovrappongono rappresentazioni intricate di storia naturale con una lettura critica contemporanea, includendo citazioni da fonti letterarie dei secoli passati, il tutto reso nello stile della pittura dei grandi maestri. Nei suoi lavori, che possono essere visti come una satira dell’oppressione politica e lo sfruttamento ambientale, egli mette in discussione il concetto di “sempre nuovo” e “sempre migliore”. Allo stesso tempo, Ford ha sempre posto interrogativi sulle molteplici aspettative e regole consolidate dell’estetica contemporanea. Per essere precisi, i suoi dipinti sono un racconto sull’arroganza della natura umana. Ieri, oggi e domani.”

L’opera di Ford sovverte le convenzioni legate ai tentativi dell’uomo di categorizzare e interpretare il mondo naturale, attingendo a schizzi, diorami naturalistici, documenti zoologici, mitologia, favole e storia dell’arte. Pur alludendo agli studi nel campo delle scienze naturali del XIX secolo, la poetica di Ford è ampia nei suoi riferimenti, sollecitando lo spettatore a individuare questi indizi frammentari come chiavi di lettura per svelare l’evento storico o immaginario rappresentato nell’opera. Le opere dell’artista risultano anatomicamente precise per via dell’osservazione ravvicinata di esemplari tassidermizzati presenti in collezioni museali, e proiettano in modo vivido le vite, le esperienze, le osservazioni e le storie nascoste dei loro soggetti umani e animali.

In contemporanea alla mostra veneziana, la Morgan Library & Museum di New York City ospiterà (dal 12 aprile al 6 ottobre 2024) Walton Ford: Birds and Beasts of the Studio, una mostra di disegni dell’artista, organizzata da Isabelle Dervaux, curatrice e responsabile del dipartimento di disegni moderni e contemporanei di Acquavella.

Lion of God è organizzata dalla galleria Kasmin di New York e verrà allestita all’Ateneo Veneto di Venezia. Dal 1997, Kasmin ha presentato 11 mostre personali di Ford, tra cui Barbary nel 2018, un corpus di opere che esplora il destino del leone berbero del Nord Africa.

Walton Ford Portrait. Photo by Charlie Rubin

I monumentali dipinti ad acquerello e le stampe di Walton Ford arricchiscono il linguaggio visivo e la valenza narrativa della pittura di storia naturale tradizionale, mediando sui momenti spesso violenti e bizzarri che si trovano all’intersezione tra la cultura umana e il mondo naturale.  Ford attinge a un’ampia pratica di ricerca che fa riferimento a illustrazioni scientifiche, studi sul campo, favole e miti, per sviluppare storie sugli animali così come esistono nell’immaginario umano. Sebbene le figure umane compaiano raramente nei suoi dipinti, la loro presenza e il loro effetto sono sempre impliciti.

La mostra di metà carriera di Ford, “Tigers of Wrath”, è stata inaugurata al Brooklyn Museum di New York nel 2006 e ha viaggiato fino al 2008 al Norton Museum of Art in Florida e al San Antonio Museum of Art in Texas. La prima grande retrospettiva istituzionale di Ford in Europa, “Bestiarium”, curata da Udo Kittelmann, è stata inaugurata all’Hamburger Bahnhof-Museum für Gegenwart di Berlino nel 2010 per poi spostarsi all’Albertina di Vienna e al Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek, Danimarca, fino al 2011. Nel 2015-16, il Musée de la Chasse et de la Nature di Parigi ha allestito una sua personale, mettendo in evidenza una serie di lavori ispirati alla Bestia di Gévaudan.

Direttore e curatore di musei, Udo Kittelmann (nato nel 1958 a Düsseldorf, Germania) ha lavorato in molti dei più importanti musei tedeschi, in particolare dal 2008 al 2020 come direttore della Nationalgalerie, i musei statali di Berlino, che comprende sei musei tra cui la Neue Nationalgalerie, l’Alte Nationalgalerie e l’Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, il Museum Berggruen, la Scharf-Gerstenberg Sammlung e la  Friedrichswerdersche Kirche. Sotto la sua direzione è stata avviata la ristrutturazione del capolavoro architettonico di Mies van der Rohe, la Neue Nationalgalerie, da parte dell’architetto britannico David Chipperfield, oltre ad aver lanciato una petizione al Governo tedesco per la costruzione del Museo del XX secolo progettato da Herzog & de Meuron accanto all’edificio di Mies al Kulturforum di Berlino. Nel 2013 è stato premiato come manager culturale europeo dell’anno. Prima della Nationalgalerie, è stato direttore del Kölnischer Kunstverein (1994-2001) e del Museum für Moderne Kunst (MMK) di Francoforte (2002-2008). Nel 2001, Kittelmann è stato commissario e curatore del Padiglione tedesco alla 49a Biennale di Venezia, premiato con il Leone d’oro per il miglior padiglione internazionale. Nel 2013 alla 55a Biennale di Venezia ha curato, come primo curatore non russo, il Padiglione russo, dove ha esposto l’installazione Danaë di Vadim Zakharov. Nel corso della sua carriera, Kittelmann ha allestito diverse mostre, tra cui quelle per la Fondazione Prada a Milano, Venezia e Shanghai, nonché per la Fondation Beyeler a Basilea, in Svizzera, e per il Centro Botín a Santander, in Spagna.


L’Ateneo Veneto è il più antico istituto culturale attivo a Venezia. Fondato nel 1812 da Napoleone – che fondò anche altri prestigiosi istituti veneziani – l’Ateneo ha sede nell’ex Scuola di Santa Maria della Consolazione e di San Girolamo, nota anche come Scuola di San Fantin o dei “Picai”. L’edificio fu costruito nel 1471 e successivamente, nel 1579, la sua struttura fu ampliata da Alessandro Vittoria. L’Ateneo Veneto opera da oltre due secoli perseguendo e incoraggiando esclusivamente la solidarietà sociale. Il suo obiettivo è quello di collaborare allo sviluppo della divulgazione delle scienze, della letteratura e delle arti in tutte le loro forme di espressione. In particolare, l’Ateneo promuove gli studi connessi a Venezia, salvaguardando il suo patrimonio culturale e accrescendo la consapevolezza sociale e culturale dei suoi abitanti.


Sede:
Ateneo Veneto
San Marco, Campo San Fantin (vicino al Teatro La Fenice)
Fermata vaporetto linea N. 1: Santa Maria del Giglio o San Marco
www.ateneoveneto.org
 
Contatto stampa
Studio ESSECI
Roberta Barbaro T. (0)49663499; M. +393316147373
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Kasmin
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Fotografia Europea 2024, “La natura ama nascondersi” il tema della XIX edizione

FOTOGRAFIA EUROPEA 2024

Reggio Emilia
26 aprile – 9 giugno 2024

Fotografia Europea sta per tornare. Il festival internazionale di Reggio Emilia, che in 18 edizioni ha esposto alcuni tra i più grandi maestri della fotografia e scoperto nuovi talenti richiamando migliaia di appassionati e professionisti da tutto il mondo, ritorna in città dal 26 aprile al 9 giugno 2024 con mostre, eventi e spettacoli dedicati ad un tema che non può non riguardarci tutti: la Natura.

La natura ama nascondersi è il titolo scelto dalla direzione artistica del Festival composta da Tim Clark (editor 1000 Words & curator Photo London Discovery), Walter Guadagnini (storico della fotografia e Direttore di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia) e Luce Lebart (storica della fotografia, curatrice di mostre e ricercatrice sia per la Collezione dell’Archive of Modern Conflict che in modo indipendente) per la XIX edizione di Fotografia Europea.

La natura cela la sua essenza ai nostri sensi, ma rivela la sua potenza in modi talvolta delicati,  talvolta distruttivi,, in un processo continuo che può essere inteso come un’oscillazione tra l’essere e il divenire. L’essere umano, che è parte della natura, ricerca l’essenza delle cose che lo circondano, siano esse piante, animali, rocce, fiumi e sistemi meteorologici, nel tentativo di scoprirne la natura e contemporaneamente di capire se stesso.

Tutti gli esseri viventi sono collegati fra loro in un “corpo globale”, i cui confini si dissolvono o si compenetrano. Tuttavia, ciascuna creatura percepisce la realtà come molteplice e mutevole,  frammentata e limitata, perché i sensi sono diversi e dipendono dall’istinto di sopravvivenza di ognuno. La mente umana ha persino la capacità di nascondere la verità a se stessa, alla propria vera natura, tranne, forse, nel momento in cui sogna.

Eraclito ha indicato questo comportamento paradossale nel celebre frammento: “La natura ama nascondersi”.

Fotografia Europea 2024 si propone di esplorare, dunque, le interconnessioni fra occultamento e scoperta: le tante, prestigiose mostre personali e collettive di questa edizione tematizzeranno il senso del doppio o della interdipendenza come parte essenziale della vita sulla terra, evocando anche le azioni positive o di trasformazione che gli esseri umani possono intraprendere, al di fuori dall’atteggiamento di controllo dominante che la nostra specie esercita. In questo processo si rivela l’individuo e, insieme, si celebra una coscienza ecocentrica, immaginando nuove narrazioni, forme e interpretazioni, presentando i vari modi in cui i concetti di natura si manifestano attraverso la fotografia e il cinema contemporanei.

Per iniziare a saggiare le proposte di curatori e fotografi da tutta Europa, a partire da oggi, 30 novembre sarà dato il via ufficiale alla call internazionale che ogni anno spinge emergenti e professionisti a misurarsi, attraverso l’obiettivo, con il tema scelto.

Ai lavori più significativi sarà data la possibilità, se selezionati, di partecipare al circuito ufficiale dell’edizione 2024 di Fotografia Europea, a Reggio Emilia dal 26 aprile al 9 giugno e di ricevere un premio di € 3.000 che servirà a coprire i costi di produzione, installazione, trasporti, vitto e alloggio per i giorni inaugurali. I vincitori potranno così lavorare in contatto con lo staff del Festival alla realizzazione dell’installazione finale. La Open call si conferma un’opportunità concreta di crescita e di visibilità, dunque, che, giunta alla sua settima edizione, ha già permesso a molti fotografi emergenti di affermarsi nel panorama fotografico internazionale e che è a sua volta diventata, grazie alle nuove visioni apportate sulle tematiche proposte, una parte significativa del festival. La partecipazione è aperta a tutti i fotografi fino all’8 gennaio 2024, i curatori e collettivi europei di qualsiasi età e i progetti ricevuti saranno valutati dalla direzione artistica del festival.

Confermato il supporto di Iren alla Open call internazionale di Fotografia Europea che, già special sponsor del festival, sposa questo progetto particolare per ribadire l’impegno e dunque il sostegno alla ricerca di nuovi talenti e di nuovi sguardi sulla realtà contemporanea.

Tutte le info su fotografiaeuropea.it  


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Al RISO di Palermo protagonista una mostra di Sasha Vinci: “La gravità delle forze nascoste”

Sasha Vinci, La-gravità delle forze nascoste, 2023
Crediti fotografici Sasha Vinci Gianni Mania

Ho il piacere di conoscere Sasha Vinci da parecchi anni e di seguire il suo lavoro con stima, apprezzamento ed affetto. Ci incontrammo per la prima volta in occasione di una grande mostra collettiva che si tenne a Palermo, in un Palazzo del ‘700 ai Quattro Canti. Eravamo entrambi un po’ acerbi. Sasha sicuramente in misura minore rispetto a me; mostrava già una sua certezza, una sua autentica consapevolezza. Della grande installazione che presentò in quella circostanza mi stupirono la potenza espressiva, la compiuta orchestrazione. Posso affermare con assoluta serenità che queste peculiarità fossero in Vinci straordinariamente autentiche: egli le porta con sé, con coraggio, in tutto il suo percorso artistico e sono a tutt’oggi chiaramente ravvisabili. Nelle acrobazie del tempo i nostri cammini professionali si sono intrecciati parecchie volte: erano gli anni in cui Sasha costituiva con Maria Grazia Galesi un duo artistico noto per trasmutare, nelle sue performance e nelle sue creazioni visuali, la più coraggiosa voce di coscienza etica, ecologica, politica in una vaporizzazione fantastica di fiori, in una lirica ed al contempo acre traduzione della mutevolezza della Bellezza. Quella di Vinci è dunque, e da sempre, una visione dinamica ed acuta, portata avanti con slancio, con carica di consapevolezza e di verità, non esente dalla licenza di riprogrammarsi, di rimodularsi, di ritradusi qualora questo presupposto si ritenga necessario. C’è nell’ opera di Sasha Vinci un impulso elettrico, un dominio dell’energia, un’ossessione della costruzione plastica che informano ogni sua opera, ogni suo progetto. E giungiamo, con un volo temporale non particolarmente vertiginoso, ad oggi e a La gravità delle forze nascoste, che è la prima mostra personale di Sasha Vinci nella città di Palermo e che mi pregio di curare, di cui sono stata appassionata sostenitrice. Il lavoro di Sasha Vinci indaga con originalità, pregnanza e sentimento poetico il tessuto urbano, animico ed eterico della città di Palermo. La gravità delle forze nascoste è un omaggio al capoluogo siciliano, ai suoi profili, ai suoi cieli. Una dichiarazione d’amore ad una città il cui ductus ardente viene simbolicamente auscultato e registrato nelle sue armonie e dissonanze per essere restituito ai cittadini in una nuova forma espressiva come dono straordinario. Un infiammato sogno sulla città di Palermo che si libera dai legacci della contingenza e ci dischiude al chiarore di una visione universale, ci meraviglia nelle apparizioni delle sfere celesti. La gravità delle forze nascoste è una mirabile orchestrazione, un poema in più strofe, un’eccezionale operazione poietica ispirata alla legge del Bello, ed è al contempo necessaria e luminosa nella sua volontà di sintonizzazione con le tematiche del nostro tempo. Protagonista trionfante della mostra di Sasha Vinci è fuor di dubbio l’opera “Non si disegna il Cielo”, figlia di due installazioni presentate rispettivamente a Volterra e a Chiaramonte Gulfi. Il senso del sacro, la consapevolezza di una rispondenza totale tra pianeti, movimenti celesti e musica, mi riporta alla mente Keplero. Non si disegna il Cielo si staglia, nella sua pregevolezza e nella sua severità, in posizione cruciale, al centro della navata unica della Cappella dell’Incoronata, luogo di evidente ed assoluto carico storico per la città. È un totem in grigio billiemi -marmo storicamente panormita- un’ ara che dardeggia incorruttibile in questo palcoscenico regale. La base ottagonale fa chiaro riferimento ai Quattro Canti (ecco che tornano i Quattro Canti da sempre e sempre epicentro della vita in questa città) detti anche Ottagono del Sole. E questo grande sasso scolpito è un prodigio, è un incanto antico, è un figlio del cielo: su di esso Vinci incide le stelle sopra Palermo ed il suo Skyline trasmutato in un canto, in una musica, in un suono. La Melodia di Palermo. Lungi dall’essere una massa congelata, Non si disegna il Cielo brucia di una fiamma interiore, dei fuochi divini delle sfere celesti, non smette di cantare un canto antico e modernissimo. Dinanzi a questa visione cosmica tessuta di segmenti divini e di scintille, pare di udire le parole del sommo poeta Dante: “resta di mostrar chi son questi che’l muovono”. A fare da contrappasso, da bilanciamento polare a quel grigio vessillo, vediamo materializzarsi, nella biblioteca un secondo sole, un secondo corpo diafano. Pare quasi galleggiare in questo ventre, in questo luogo-pozzo di sapienze antiche, Lui così bianco, iridato, un raggio di luce, un’ architettura scultoria dalle linee-guida vibranti, una tromba o una clessidra di alabastro. Quasi come una sorta di eterna sfinge assira, funge da cassa di risonanza e moltiplica se stesso abbandonandosi all’interazione con i fruitori. Uno “strumento musicale” fiammeggiante. E per Non si disegna il Cielo una sposa che rinovella le millenarie sillabe degli astri e dei pianeti, gli antichi profili della città in un canto polifonico, vivo, libero, vibrante più che mai. Altrettanto essenziale nel dispiegarsi della mostra, l’installazione della cripta. Non un dispositivo scenico ma una singolare mappatura di un’ipotetica città, possiede essa stessa un andamento musicale nei suoi ritmi di pieni e di vuoti, nelle interferenze tra istanti di realtà e reminescenze emozionali, nel coniugarsi di nuda crudezza e trasfigurazione prodigiosa. Disegnare con la scultura è un’iperbole da sempre appartenuta agli scultori, un moto istintivo ed assoluto. Le forme scultoree sbocciano, proliferano in una germinazione plastica. Mirabili gli effetti di chiaroscuro, di ripidità. I cromatismi sono essenziali tra tinte naturali, grigi brutali e bagliori metallici. Vinci crea qui un organismo pullulante di reperti pseudo-organici, realtà futuribili, simulacra di cibi quotidiani assisi ad idoli. Denso e complesso, il percorso costruito da Sasha Vinci, lascia al fruitore una eterogenea possibilità di letture, non coercitivamente tracciate e che ogni osservatore, ogni cittadino di questa urbs ideale può metamorfosare in una propria e individuale opera, in una propria formula immaginifica.


INFO
TITOLO MOSTRA: La gravità delle forze nascoste
DI: Sasha Vinci
A CURA DI: Serena Ribaudo
QUANDO: Dal 20 dicembre 2023 al 20 gennaio 2024
PREVIEW PER LA STAMPA: 20 dicembre 2023 alle ore 11
OPENING: 20 dicembre 2023 ore 18
DOVE: Cappella dell’Incoronata, Via Incoronazione, 11 – Palermo
ORARI: Dal lunedì al venerdì, ore 9.00 – 13.00
https://www.museoartecontemporanea.it
 
CONTATTI
SITO: https://sashavinci.com/
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/sasha.vinci/
FACEBOOK: https://www.facebook.com/sasha.vinci?ref=tn_tnmn
YOUTUBE: https://www.youtube.com/user/PassoNontemporanea
 
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Al MAN di Nuoro il 2024 nel segno dell’arte e del mondo naturale 

DIORAMA 01

Al MAN di Nuoro il 2024
nel segno dell’arte e del mondo naturale

Dopo un anno di ricerca dedicato al binomio arte-architettura, il MAN di Nuoro è lieto di presentare un programma che, per il 2024, sarà concentrato attorno a un tema di grande attualità. In un momento di cambiamenti climatici e di nuove politiche energetiche e ambientali, sarà importante ripensare il nostro rapporto con il mondo e le sue trasformazioni, affidando all’arte e ai suoi linguaggi un racconto che prefiguri, idealmente, la nostra relazione con l’ambiente naturale. Il Museo, come osservatorio di situazioni correnti, luogo di elaborazione di contenuti e amplificazione di argomenti fondamentali per la collettività, continuerà a farsi promotore di riflessioni che stimolino il dibattito, il confronto e, soprattutto, la crescita; come avvenuto nel caso della mostra sulla genesi di Guernica di Picasso o del significativo progetto focalizzato sulla storia della Scalinata di Odessa.

Mario Sironi, La madre che cuce, 1905-06
Courtesy Archivio Ilisso Edizioni (foto A. Favara)


MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro
Via Sebastiano Satta 27 – 08100 Nuoro tel +39.0784.252110
Orario invernale: 10:00 – 19:00 (Lunedì chiuso) info@museoman.it

Ufficio Stampa
STUDIO ESSECI
Via San Mattia 16 35121 Padova Tel. +39.049.663499
referente Simone Raddi, simone@studioesseci.net www.studioesseci.net

Gallarate (VA), Museo MA*GA: GIOVANNI CAMPUS. Disegni 2021-2023

Giovanni Campus, Tempo in processo. Rapporti, misure, connessioni.
Disegni 2021-2023 @ Stefano Anzini

GALLARATE (VA) – MUSEO MA*GA

17 DICEMBRE 2023 – 7 APRILE 2024

a cura di Emma Zanella

Il MA*GA di Gallarate (VA) ospita la personale di Giovanni Campus, inaugurata il 17 dicembre 2023 e aperta fino al 7 aprile 2024. La mostra mette in luce l’ultimo impegnativo progetto dell’artista sardo (Olbia, 1929), iniziato alla fine del 2020, che ruota attorno alla pratica del disegno che fin dai primi lavori degli anni cinquanta accompagna la sua ricerca teorica, artistica e persino la quotidianità.

Il disegno infatti è per l’artista un percorso esperienziale poetico il più delle volte autonomo, capace di portare la progettualità sulle soglie del limite, in una dimensione marcatamente speculativa.

In questo ultimo ciclo in particolare, il disegno a china, per propria natura lento e meditativo, è una riflessione sul senso globale del lavoro nella sua temporalità e consequenzialità.

In ogni immagine, in ogni foglio c’è infatti un prima e un dopo che si collegano con le fasi di ricerca dell’artista dagli anni sessanta fino alle ultime recenti opere. Campus mette in pratica una operazione di attraversamento della propria storia, dei passaggi fondamentali, dei lavori più complessi e anche più intimi per indagare con lucidità la dimensione temporale del fare e del pensare l’arte.

Questo focus dedicato a Giovanni Campus, curato da Emma Zanella, nasce in occasione della recente e importante donazione di un fondo di dieci opere scelte dall’artista per la collezione permanente del MA*GA.

Giovanni Campus, Tempo in processo, 2021-2023,
ph. Roberto Marossi

Giovanni Campus nasce a Olbia nel 1929. Lascia la Sardegna nel 1948. Studi classici a Genova, Liceo G. Leopardi (professor Dal Monte). Si volge alla pittura, da autodidatta, nei primi anni cinquanta, sperimentandone tecniche tradizionali e nuovi materiali.

Nel 1960 partecipa alla “26 Artisti contemporanei”, Galleria Incontri d’Arte, Roma, diretta da Giuseppe Appella, e alle mostre nazionali “Premio Albano Laziale” e “Premio Loffredo”, Latina. Nel 1962 partecipa alla “III Mostra Internazionale”, Palazzo Odescalchi, Roma. Nel 1966 inizia il rapporto con la Galleria Giraldi di Livorno con una mostra personale.

Nei 1966, 1972 e 1977 gli vengono attribuiti i premi nazionali di pittura “Città di Follonica”, “Città di Arcola” e “Città di Carate Brianza”, e, nel 2011, ex aequo, il “La Spezia, Settembre d’Arte”. Negli anni 1968-1974 partecipa alle rassegne d’arte d’avanguardia promosse da Numero e Technè di Firenze, Sincron di Brescia e galleria Giraldi di Livorno e agli incontri operativi e interventi sull’ambiente ad Anfo e Novara, 1968, Pejo e Mentana, 1969, Galerija Doma Uluha, Zagabria, e Galerie’t Venster, Rotterdam, 1970, Novi Sad e Belgrado, 1973.

Frequentazioni con i critici Giuseppe Appella, Giulio Carlo Argan, Umbro Apollonio, Germano Beringheli, Luciano Inga Pin, Lara Vinca Masini, Aldo Passoni, Toni Toniato.

Nel 1968 lascia il lavoro per dedicarsi interamente alla pittura e si trasferisce dapprima nel quartiere degli artisti a Sesto San Giovanni e in seguito nello studio di via Solferino a Brera, Milano.

Pratica, riflessioni ed esperienze specifiche del periodo e del luogo conducono il linguaggio figurale a una sintesi formale, aniconica, sequenziale, seriale. Uso del metacrilato, dell’acrilico, del metallo. La tecnica serigrafica, praticata direttamente dall’artista, diviene il principale mezzo espressivo.

Soggiorni di lavoro ed esposizioni negli anni fine sessanta-ottanta a Parigi, “Salon Grands et jeunes d’aujourd’hui”, 1972 e 1974, “Réalités Nouvelles” 1973 e 1974, “Comparaison”, 1974; Galerie de l’Université, 1978, e Galerie Grare, 1986.

Negli anni ottanta-novanta a New York: College Scuola d’Italia, 1988, Scuola di New York, 1993, Hands Gallery, 1996 e 1998.

Tra gli inviti per la presentazione del proprio lavoro si ricorda il Reading Group Seminar Form and Matter in the Written and Visual Text della Academy at Columbia University di New York nel 1994, con Lavinia Lorch e, quali respondents, Luciano Caramel, Salvatore Naitza, Charles Mercier e lngrid Rossellini.

Percorsi, interventi, installazioni, urbani e naturali, condotti in solitaria o partecipati, vanno intesi come la messa in opera, in ambito di verifica, delle “idee” che muovono il lavoro nello studio. Un lavoro epistemologico nell’estetico. Un luogo di verifica fenomenica spaziale temporale sulle ragioni della forma. Operazione diretta a sondare rapporti, relazionalità e connessioni tra le misure progettuali della visione, le naturali del luogo e le risultanti dall’intervento. Nel 1977 nella Piazzetta di Palazzo Reale a Milano, con la collaborazione di Arte Struktura, nonché degli artisti e studenti della Accademia di Brera, realizza una “installazione continua” a dimensione ambientale: una serie di percorsi di tratti di molle metalliche, sospese in tensione, coinvolgenti la spazialità urbana. Seguono, con la collaborazione per la parte tecnica dell’architetto Achille Castiglioni, gli “ambienti segnici interrelazionali”, sonori e luminosi a cadenza temporale (al chiuso) alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, 1978, e al Museo Civico In Progress, Livorno, 1979.

Consequenziali le determinazioni sulle coste della Gallura nel 1983. “Percorsi-interventi” ottenuti con estensioni notevoli di tratti di corda, sospesi in proiezione lineare sull’area naturale prescelta o delimitanti rocce e porzioni di roccia.

Nel 2004, sui monti Catena Limbara Sud, con gli studenti del liceo Orsoline e nel quartiere Garibaldi a Milano, realizza, a seguito di specifiche “conversazioni”, una serie di interventi-ricognizione su “misure a confronto” (naturali e urbane). Da questa processualità condotta in parallelo tra proiezione rappresentativa ed espressività strutturale, cioè tra idea e cosa, sono scaturite quelle serie di opere e gruppi di opere, di pittura e materiali diversi, in pieni-vuoti articolati. Dapprima, in mostre personali, superfici irregolari in cemento (Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1987-1988), a seguire opere con acrilico su tela e legno sagomato ed estensioni in ferro e nel recente con assi in ferro direzionali, tangenti e attraversanti opere e spazi fisici: CAMeC, La Spezia, 2012; Museo Civico Granai Villa Mimbelli, Livorno, 2015; Museo della Permanente, Milano, 2015; MAC, Museo Arte Contemporanea, Lissone 2017; MA*GA, Gallarate, 2019; BUILDING, Milano, 2019.


GIOVANNI CAMPUS
Tempo in processo. Rapporti, misure, connessioni. Disegni 2021-2023
Gallarate (VA), Museo MA*GA (vie E. De Magri 1)
17 dicembre 2023 – 7 aprile 2024
 
Orari:
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: ore 10.00 – 18.00
sabato e domenica: 11.00 – 19.00
 
Ingresso:
Intero: €7,00; ridotto: €5,00
 
Museo MA*GA
T +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
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