Roma, Spazio Urano: SILVIO COIANTE. Ricorda qualcuno assomiglia a nessuno – Papiers collé

Silvio Coiante
ricorda qualcuno assomiglia a nessuno

a cura di Simona Pandolfi

4 – 18 novembre 2023

Inaugurazione Sabato 4 novembre 2023, ore 18.30

Spazio Urano, via Sampiero di Bastelica 12 – Roma (Pigneto)

Nella personale organizzata presso Spazio Urano, con il titolo “ricorda qualcuno assomiglia a nessuno“, Silvio Coiante presenta una selezione di lavori in cui recupera la tecnica del papier collé. 
Come spiega lo stesso artista, «lo strappo diventa l’interferenza tra la precisione innata e la casualità del gesto».

Nella personale organizzata presso Spazio Urano, con il titolo “ricorda qualcuno assomiglia a nessuno”, Silvio Coiante presenta una selezione di lavori in cui recupera la tecnica del papier collé. L’artista ha da sempre manifestato, anche in serie precedenti, un approccio alla pittura influenzato dalla sua formazione in arte grafica, sia pubblicitaria che editoriale; attraverso il dialogo tra arte classica e digitale, Coiante è solito procedere verso una sintesi che «lascia immaginare senza descrivere», come lui stesso riferisce.

Nei papiers collé, oltre al risultato finale, diventano determinanti i vari passaggi che contraddistinguono l’ideazione e la realizzazione dell’opera. Inizialmente Coiante si avvale di un personale “archivio di immagini” che ha raccolto nel tempo e in maniera casuale, attingendo da fotografie online, “prelievi” dal mondo della moda e della pubblicità e immagini scattate negli anni e in vari contesti. Da questo archivio, una sorta di realtà scorrente davanti i suoi occhi, seleziona due file, spesso un’immagine classica e una moderna, che fondendosi in forma digitale originano una terza e insolita iconografia.

Dopo questa prima ideazione visiva, Coiante ha bisogno di recuperare una tradizionale manualità e di ricorrere quindi al bozzetto, su carta o su tela, nel quale la matericità del colore sedimentato arricchisce l’immagine, prima solo digitale, di nuovi significati. È solo dopo questo ulteriore passaggio che l’artista arriva a sperimentare la tecnica del papier collé. La carta, prima dipinta, poi strappata e infine assemblata, crea un’opera stratificata in più livelli. L’impiego di immagini di “seconda mano”, spesso banali e riconoscibili, utilizzate per porre il proprio punto di vista visivo, rende la ricerca di Coiante affine all’estetica pop in generale e in particolare alla produzione italiana degli artisti della “Scuola di Piazza del Popolo”.

Nei vari papiers collé la cornice bianca diviene parte integrante dell’opera; l’immagine non “soffoca”, è immobilizzata sulla superficie e allo stesso tempo impaginata in un contesto-guida non isolante, anzi aperto, infinito. L’artista usa i segni bianchi e irregolari degli strappi, lasciati volutamente visibili, per aggiungere un senso di imperfezione all’immagine e per allontanare le forme ricavate da una mera rappresentazione della realtà. Come spiega lo stesso Coiante, «lo strappo diventa l’interferenza tra la precisione innata e la casualità del gesto». Il bordo, quindi, rappresenta quella paura dell’errore che viene esorcizzata lasciando alcuni frammenti dell’opera espandersi sul contorno bianco, quasi a manifestare una personale e dicotomica ricerca di equilibrio tra una maniacale precisione e una strabordante e libera urgenza espressiva.

Biografia

Silvio Coiante nasce nel 1982 a Roma dove attualmente vive e lavora. Dopo gli studi presso l’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma si dedica professionalmente all’arte della grafica prima pubblicitaria, poi editoriale. Durante la sua carriera come grafico editoriale decide di continuare parallelamente gli studi. Nel 2009 riceve la Laurea in Pittura, all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2019 frequenta a Londra il corso “Mixed media and drawing projects”.

Mostre

2023 Ventuno – NOA. Nuova Officina delle Arti, Roma, mostra collettiva
2022 Boh!ouse – Engel & Völkers, Open House Roma, mostra personale
2015 Il segno – Wo-ma’n Home Gallery Roma, mostra personale
2012 De Pictura transiti del sublime – Temple University Roma, mostra collettiva
2011 H.O.P.E. (a cura di) – Camera dei Deputati, Sala delle Regina, mostra collettiva
2007 De Pictura. Ricerca di un linguaggio – Accademia di Belle Arti di Roma, mostra collettiva

Sito web: www.silviocoiante.com
Instagram: silvio.coiante
Email: hello.silviocoiante@gmail.com


Informazioni
La mostra sarà visitabile fino al 18 novembre 2023
Visitabile su appuntamento: tel 3290932851 e-mail info@spaziourano.com

Ufficio stampa
Simona Pandolfi pandolfisimona.sp@gmail.com

Milano, AMART: dalla pittura all’arte asiatica | Anteprima sulle opere

Immagine di una edizione precedente

AMART 

Milano, Museo della Permanente
8 – 12 novembre 2023

AMART svela un’ulteriore anteprima sulle opere.
Dalla pittura all’arte asiatica, alcune proposte che si potranno ammirare e acquistare dal 7 novembre

La quinta edizione di AMART, la mostra dell’antiquariato organizzata dall’Associazione Antiquari Milanesi è quasi pronta a inaugurare il prossimo 7 novembre (su invito) e svela un’ulteriore anteprima sulle opere che saranno esposte al Museo della Permanente sino al 12 novembre.
Come per la maggior parte delle fiere d’arte, la pittura sarà molto presente anche tra le 65 gallerie di AMART, in particolare l’Ottocento Italiano rappresentato da grandi nomi come Boldini, Fattori, Signorini, Induno da Società di Belle Arti, Galleria D’arte San Barnaba, Galleria d’Arte Mainetti ed Enrico Gallerie. Ma il mondo dell’antiquariato comprende molte altre specializzazioni di cui i galleristi di AMART sono gli esperti.

Sono ben quattro, per esempio, le gallerie che trattano arte asiatica e africana: la Galleria Dalton Somaré tratta Arte Africana e Arte Indo-Buddhista dall’Himalaya, dall’India e dal Sud Est Asiatico, al Museo della Permanente esporrà una “Figura Guardiana”, mbulu ngulu, Kota Obamba, del Gabon del XIX secolo (raccolta prima del 1940) realizzata in legno, ottone, rame, ferro e un Buddha, Gandhara Storico, proveniente dal Pakistan, del Periodo Kushan (II secolo circa). Entrambe nuove per il mercato perché giungono ad AMART da collezioni private. La Galleria Ajassa specializzata in arte antica cinese proporrà un “Ritratto di dignitari“, Dinastia Qing (inizi sec.XVIII), mentre un “Bodhisattva Manjusri”, bronzo dorato di 30 cm proveniente dal Tibet (XV secolo) sarà tra le molte proposte del gallerista Renzo Freschi specializzato in arte asiatica.

Mirco Cattai è un esperto di tappeti Antichi orientali dal Caucaso, Anatolia e nord -ovest della Persia. Per AMART ha scelto alcuni tappeti speciali: un tappeto detto “transilvano” a doppia nicchia dell’Area di Ghiordes, Anatolia occidentale, (seconda metà del XVII secolo). In Transilvania si ritrovano quasi tutte le tipologie di tappeti “classici” anatolici da cui prendono il nome. Si tratta di un esemplare di grande valore estetico. Raro è anche il tappeto Ushak a piccolo medaglione, cosiddetto “Tintoretto” perché il pittore veneziano dipinse tappeti simili in alcuni suoi quadri come per esempio nel “Ritrovamento del Corpo di San Marco” (1562-1566).

Nell’ambito delle Arti Decorative, il range di proposte è davvero ampio: inOpera presenta un progetto di ricerca dedicato alle opere giovanili di Giuseppe Maggiolini (1738-1814) con uno stand monografico e un libro pubblicato per l’occasione. Da segnalare in particolare un Tavolo a console trasformabile, 1765 ca.

Paolo Antonacci ritorna ad AMART portando un Guéridon in mogano con piano commesso di pietre tenere e dure di Sicilia (Napoli, 1830 circa) con una provenienza importante: Napoli, Casino della Regina nel parco di Capodimonte, collezione della Regina Maria Isabella di Borbone e, per discendenza, eredi del conte Francesco del Balzo.

Rimanda a Venezia e ai suoi splendidi Palazzi come Ca’ Rezzonico e Mocenigo, ora Musei Civici, lo spettacolare trumeau esposto da Galleria Subert. È un mobile di notevoli dimensioni a due corpi con piano scrittoio ribaltabile (Venezia, circa metà del secolo XVIII).

Eccezionale e unica è la pendola “à la Géométrie” astronomica, pezzo forte di Top Time, galleria specializzata in orologi e pendole. Viene da Parigi, datata 1782/1788, è un oggetto per così dire “griffato”: la cassa in bronzo dorato e brunito e marmo rosso “griotte” è di François Remond; le figure tratte da un modello di Louis Simon Boizot, nientemeno che lo scultore del Re. Il Movimento è di Robert Robin il “Valet de chambre horloger ordinaire du Roi e de la Reine”. I quadranti di Joseph Coteau, firmati sul retro “Coteau 1782”.

Da Lodi (Fabbrica di Antonio Ferretti, 1760 circa) proviene il Grande piatto ovale da portata in maiolica policroma, raffigurante una tinca con limone in stile naturalistico a “trompe-l’oeil che sarà esposto da Piva. Le pescere erano dei piatti da portata ovali tipici della tradizione lombarda. Rappresentavano tinche, trote, lucci o pesci d’acqua dolce pescati nell’Adda, e venivano utilizzati come trompe-l’oeil durante i pranzi ospitati sulle tavole più raffinate della regione. La resa illusionistica tridimensionale del limone dimostra lo straordinario livello artistico conseguito dalle manifatture lodigiane, tanto che la città diventò luogo del sapere ceramico del XVIII secolo. Oggi questi particolari pezzi lodigiani sono diventati sempre più rari e di alta rilevanza storico-artistica, tanto che alcuni esemplari sono esposti nei più rinomati musei della ceramica, da Faenza a Sèvres.

È sicuramente una delle icone del Novecento, la rarissima “Signorina Grandi Firme“, scultura di Sandro Vacchetti (Manifattura Essevi, Torino 1946) basata su un’idea di Gino Boccasile per la rivista “Le grandi firme” di Cesare Zavattini: una donna moderna ed emancipata, una diva assoluta. Boccasile, innovatore del lessico pubblicitario le cui rappresentazioni hanno dato lustro e modernità fra le tante anche alle réclame della Pirelli, della Fiera di Milano, della San Pellegrino e della Sperlari, con questo soggetto riassume la storia del costume e della società italiana di quel periodo. La si potrà incontrare nello stand di Raffaello Pernici.

FineArt by Di Mano in Mano presenterà alcune opere straordinarie in una installazione site specific anche quest’anno firmata dal designer Pietro Russo, il tutto pensato come dialogo tra le opere e lo spazio espositivo dello storico palazzo milanese della Permanente. Il posto d’onore è dedicato a un arredo di Francesco Abbiati, noto ebanista lombardo originario di Mandello del Lario. Si tratta di un mobile inedito, riccamente intarsiato con legni pregiati, il cui apparato iconografico nasconde un’interessante narrazione storica che verrà rivelata in loco ai visitatori.

www.amart-milano.com


8-12 NOVEMBRE 2023
Museo della Permanente
Mercoledì-sabato: ore 11.00 – 20.30
Domenica: ore 11.00 – 19.30
 
Museo della Permanente
via Filippo Turati 34, Milano
amart-milano.com
 
PER INFORMAZIONI
Email: antiquari@unione.milano.it
Telefono: 02.7750447
 
Ufficio stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Ref. Roberta Barbaro, roberta@studioesseci.net
Tel. 049 663499, www.studioesseci.net

Perugia: SGUARDI SU PERUGINO. Dall’età moderna al contemporaneo

Carlo Lasinio, Treviso, 1757/1759 – Pisa, 1838, Ritratto di Perugino, 1791-1796,
acquaforte, Milano, Civica Raccolta “Achille Bertarelli”

È ancora l’anno del Perugino!

PERUGIA, GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 14 GENNAIO 2024

SGUARDI SU PERUGINO.
DALL’ETÀ MODERNA AL CONTEMPORANEO

Nell’anno di Perugino, l’esposizione segue, attraverso 25 opere, le alterne vicende della sua fortuna in età moderna e contemporanea.

a cura di Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini

La presentazione si terrà Venerdì 27 ottobre 2023, ore 18.00
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria | Sala didattica | terzo piano
(Corso Vannucci, 19)

Dopo la grande mostra “Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo che gli ha ridato il ruolo di preminenza artistica che il suo pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato, la Galleria Nazionale dell’Umbria ospita un altro evento espositivo dedicato al maestro umbro.
Dal 28 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024, la nuova exhibition box della GNU accoglie una preziosa mostra dossier, Sguardi su Perugino, curata da Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini, che segue le alterne vicende della sua fortuna in età moderna e contemporanea.

Il percorso si compone di 25 opere, tra incisioni, disegni e un dipinto, provenienti oltre che dalla GNU, da prestigiose istituzioni pubbliche e private, come l’Istituto centrale per la Grafica di Roma, la Biblioteca Marciana di Venezia, la Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli – Castello Sforzesco di Milano, l’Ambasciata del Brasile a Roma, di autori quali Tommaso Minardi (1787-1871), artista affascinato dal colorismo veneto e fiammingo e dal disegno quattrocentesco, che divenne promotore del manifesto purista, Giovan Battista Cavalcaselle (1819-1897), fondatore dei moderni studi di storia dell’arte in Italia, il perugino Silvestro Massari (1794 – 1851), allievo di Minardi e docente di scultura all’Accademia di Perugia, che si dedicò alla riproduzione incisoria di monumenti cittadini.

Tre sezioni documentano la fortuna e il tramandarsi del ritratto dell’artista, la diffusione dei suoi capolavori e delle iconografie più note attraverso il medium della stampa di traduzione, gli errori di attribuzione di opere che, per l’adesione al linguaggio figurativo del “meglio maestro d’Italia”, erano considerate di sua mano.

A questi lavori si affianca una sezione virtuale che consta di due filmati: il primo offre la possibilità di sfogliare l’intero album di disegni di Tommaso Minardi esposto in vetrina; l’altro propone una selezione di opere ispirate da Perugino, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, dai Preraffaelliti come William Dyce agli autori francesi dell’Ottocento come Ingres o Delacroix, dalle fotografie di Julia Margaret Cameron alle opere astratte di Ian Davenport, per giungere a quegli artisti che sono stati protagonisti negli scorsi anni delle iniziative organizzate dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, da Brian Eno a Roberto Paci Dalò ad altri.

A partire dalla fine del primo decennio del Cinquecento, la fama di Perugino si dissolve a favore del suo fin troppo celebre allievo, Raffaello, modello indiscusso per molte generazioni di artisti e per un’intera corrente, il classicismo.

Nel Seicento, attraverso le incisioni e la grafica, le soluzioni e le opere peruginesche sono d’ispirazione per pittori dal personalissimo e particolare classicismo come Barocci, Sassoferrato o Cerrini. Saranno gli artisti e i letterati del Settecento e ancor di più dell’Ottocento a riscoprire Perugino e a dare nuovo impulso alle ricerche e agli studi.

L’onnipresente paragone con Raffaello, al quale vengono attribuite molte delle opere più belle e riuscite del Vannucci, genera comunque un interesse nei confronti di quest’ultimo. Attraverso questa lente, il pittore sarà “riscoperto” dall’Ottocento, sia dai neoclassici-romantici come Ingres o Chasseriau sia dai coloristi come Delacroix.

La corrente nazarena e purista, con Minardi e Overbeck in testa, attingerà all’universo compositivo di Pietro Vannucci, caratterizzato da quell’aura di armonica e astratta devozione che sarà fondamentale anche per i pittori francesi “cristiani” che facevano capo al teorico Alexis-François Rio. Nazareni, puristi e “cristiani” finirono per influenzare anche i pittori inglesi come William Dyce e i Preraffaelliti, i quali però, considerando Perugino troppo vicino a Raffaello, individueranno i loro modelli in altri artisti quattrocenteschi e nei cosiddetti “primitivi”.

Giovanni Paolo Lasinio, Firenze, 1788/1798 – Firenze, 1855, Annunciazione, 1826 circa, acquaforte colorata, Milano, Civica Raccolta “Achille Bertarelli”

Nella seconda metà dell’Ottocento la riscoperta di Perugino avviene grazie ai nuovi studi sulla luce e sul colore; la purezza e l’armonia degli accostamenti cromatici della sua tavolozza sollecitano le sperimentazioni più all’avanguardia di artisti che hanno segnato il passaggio cruciale verso la modernità: dai simbolisti (Moreau) agli impressionisti (Degas), sino ai puntinisti (Seurat, Signac).

Il secondo Ottocento è anche l’epoca nella quale si assiste al definitivo avanzamento degli studi degli storici dell’arte e dei connoisseurs che, con una sistematizzazione del catalogo e le conseguenti nuove attribuzioni, riconoscono finalmente il genio di Perugino e gli restituiscono la paternità di opere fino a quel momento ritenute erroneamente del giovane Raffaello. I taccuini e gli appunti di viaggio di Cavalcaselle, ad esempio, punteggiati da bellissimi disegni, documentano le ricerche che coinvolgono studiosi italiani e stranieri, in una fitta rete di scambi e dialoghi.

La riscoperta di Perugino nel contemporaneo è un fenomeno sorprendente, che ha permesso di intessere dialoghi attualissimi e ricchi di sollecitazioni. L’ultima opera, datata al 2023, dimostra questa continuità e si collega, simbolicamente, alle celebrazioni per il quinto centenario della morte dell’artista, che per la Galleria si conclude con questa rassegna.

Catalogo Aguaplano (serie Quaderni della Galleria Nazionale dell’Umbria n. 8)


SGUARDI SU PERUGINO. Dall’età moderna al contemporaneo
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19)
28 ottobre 2023 – 14 gennaio 2024
 
a cura di Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini
 
Orari:
Fino al 31 ottobre
Lunedì ore 12.00 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)  
Martedì – Domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
Dal 1° novembre al 14 gennaio 2024
Lunedì chiuso
Martedì – Domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
Biglietti: La visita alla mostra è compresa nel biglietto di ingresso al museo. Intero € 11; ridotto € 3 – 18-25 anni; gratuito fino a 18 anni.
 
Informazioni: Tel. 075.58668436; gan-umb@cultura.gov.it
 
Sito internet: www.gallerianazionaledellumbria.it

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Pistoia: IL GIARDINO INCANTATO. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori

Arazzo millefiori Museo dellAntico Palazzo dei Vescovi Pistoia – Photo Ela Bialkowska OKNO studio -Courtesy Fondazione Pistoia Musei, 1920×1281

PISTOIA, MUSEO DELL’ANTICO PALAZZO DEI VESCOVI

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 29 FEBBRAIO 2024

IL GIARDINO INCANTATO
Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori di Pistoia

La nuova installazione immersiva propone una esperienza inedita
del capolavoro di arte tessile fiamminga del XVI secolo, patrimonio della città.

L’occasione è data dal prestito del manufatto alla mostra dedicata a Italo Calvino, in corso alle Scuderie del Quirinale a Roma fino al 4 febbraio 2024.

Pistoia, 28 ottobre 2023 – L’arazzo millefiori come non si era mai visto.

Dal 28 ottobre 2023 al 29 febbraio 2024, il Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia accoglie Il giardino incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori: una installazione immersiva capace di offrire un’esperienza inedita di uno dei capolavori di arte tessile fiamminga del XVI secolo, permettendo di esplorarlo, per la prima volta, in tre dimensioni.
L’installazione è un progetto di Fondazione Pistoia Musei e Fondazione Caript ideato e realizzato in collaborazione con il collettivo artistico camerAnebbia, curato nei suoi contenuti scientifici da Annamaria Iacuzzi e Cristina Taddei, conservatrici di Fondazione Pistoia Musei, e Gaia Ravalli, storica dell’artedella Scuola Normale Superiore di Pisa con la supervisione di Monica Preti, direttrice di Fondazione Pistoia Musei.

L’arazzo millefiori di Pistoia detto “dell’Adorazione”, in lana e seta, di dimensioni considerevoli (267 x 790 cm), è una delle opere d’arte più importanti della città e raffigura un raffinato giardino fiorito popolato anche da animali selvatici e fantastici, come l’unicorno.

Il manufatto, di proprietà della Cattedrale di Pistoia e dal 2016 esposto nel Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, è in questo momento allestito in una delle sale più rappresentative della mostra Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte: Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri in corso alle Scuderie del Quirinale fino al 4 febbraio 2024.

All’interno della sala dell’Antico Palazzo dei Vescovi, il visitatore può interagire con un tavolo touchscreen, attraverso il quale può esplorare i contenuti multimediali, arricchiti da un apparato testuale che ne approfondisce le tematiche, i soggetti rappresentati, i segreti della storia e della fabbricazione dell’arazzo.

In contemporanea e in sincrono con la navigazione, sulla parete si attiva una proiezione di grande dimensione, che ripropone l’immagine su cui l’utente sta intervenendo, teatralizzando e spettacolarizzando sia gli elementi estetici che la dinamica interattiva.

Il Giardino Incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori, camerAnebbia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, Pistoia, Photo Lorenzo Marianeschi Courtesy Fondazione Pistoia Musei

Il giardino incantato propone un viaggio sempre diverso a seconda degli argomenti scelti: una esperienza creativa e immaginifica di alto coinvolgimento che rinnova il valore di questo favoloso manufatto.

Si può quindi intraprendere un duplice viaggio: da una parte, esplorare l’arazzo liberamente, andando a cercarne i minimi dettagli, dall’altra viaggiare attraverso la flora e la fauna in esso rappresentata da un punto di vista inusuale e innovativo.

Al termine della rassegna romana dedicata a Italo Calvino, con il rientro dell’arazzo nella sala del Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi l’opera digitale potrà essere condivisa con enti, istituti e scuole, per promuovere la conoscenza dell’opera e del museo, offrendo nuove opportunità educative e culturali.

“Sono felice di questo progetto – dichiara Antonio Marrese, Presidente Fondazione Pistoia Musei – perché utilizzando linguaggi innovativi propone un’esperienza rivolta a un pubblico ampio e non esclusivamente del settore. Un ringraziamento alle Scuderie del Quirinale per il prezioso sostegno e a coloro che a diverso titolo hanno collaborato a questa bella realizzazione”.

“L’installazione valorizza uno dei manufatti più rappresentativi dello straordinario patrimonio artistico pistoiese – sottolinea Lorenzo Zogheri, Presidente Fondazione Caript – permettendo agli spettatori di ammirarlo con un’esperienza molto suggestiva. Approfondimenti interessanti, inoltre, arricchiscono un progetto che abbiamo realizzato anche per contribuire, attraverso la cultura, a promuovere il nostro territorio”.

“Questo progetto, elaborato in collaborazione con Fondazione Caript, è in sintonia con il piano di azione che Fondazione Pistoia Musei intende proseguire – afferma Monica Preti, Direttrice Fondazione Pistoia Musei – impegnandosi ad ampliare l’offerta delle attività culturali, artistiche e creative per la comunità, anche grazie alle nuove tecnologie. Penso ai musei come luoghi dove le azioni di ciascuno si connettono in rete con quelle degli altri, per condividere storie e interpretazioni diverse. Luoghi in cui le persone sono costantemente invitate a contribuire, collaborare, co-creare esperienze e contenuti, e dove coltivare il senso di appartenenza attraverso le collezioni e il patrimonio comune”.

Il Giardino Incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori, camerAnebbia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, Pistoia, Photo Lorenzo Marianeschi Courtesy Fondazione Pistoia Musei

“La sfida – secondo il collettivo CamerAnebbia – è quella di creare interazioni che non richiedano alcun sistema di apprendimento, che siano naturali e spontanee, come un corpo che esplora lo spazio o le mani che si muovono e navigano su un touchscreen”.

L’arazzo di Pistoia, straordinario per integrità, rarità e dimensioni, costituisce il più grande esemplare al mondo della tipologia ‘millefiori’ giunto sino a noi e si distingue per l’assenza di elementi araldici o narrativi: piante e fiori sono infatti i soli protagonisti della raffigurazione e compongono un rigoglioso prato, popolato da animali, che evoca il giardino paradisiaco dell’Eden.

Contro il fondo blu si stagliano oltre duecento cespi arricchiti da fiori variopinti, racchiusi sui lati da un fregio di margherite, violette e tralci d’uva.

Sono circa quaranta le piante raffigurate, più della metà realmente esistenti, tra cui spiccano tre cespugli di rose rosse, interpretati come allusione alla Vergine, attorno ai quali si trovano un mammifero, forse un cane, un grifo e un unicorno, che spesso simboleggiava Cristo.

L’arazzo presenta un ordito in lana non tinta, coperto dall’intreccio delle trame colorate in lana e in seta chiara che definiscono il disegno. La seta è impiegata per le venature delle foglie, le lumeggiature dei petali e i pistilli.

La sua storia è ancora in parte avvolta dal mistero. Lo stile suggerisce che sia stato realizzato nella prima metà del Cinquecento nelle Fiandre, probabilmente dalla città di Enghien, dove si sviluppò precocemente la produzione di arazzi millefiori. L’arazzo pistoiese, conservato tra gli arredi della Cattedrale di San Zeno, è detto anche “dell’Adorazione” perché almeno dal 1661 veniva usato durante le celebrazioni del Venerdì Santo, disteso a terra davanti all’altare maggiore per ospitare la liturgia dell’adorazione della Croce.


SABATO 28 OTTOBRE 2023 ORE 18
EVENTO INAUGURALE APERTO AL PUBBLICO
Ingresso libero, non occorre prenotazione
 
IL GIARDINO INCANTATO. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori
Pistoia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi (piazza del Duomo, 7)
28 ottobre 2023 – 29 febbraio 2024
Orari:
28 e 29 ottobre: ore 10-19
Dal 1° novembre: dal mercoledì alla domenica, ore 10-18
 
Biglietti: ingresso gratuito con il biglietto del museo (intero €6, ridotto €4)
Info: 0573 974267, info@pistoiamusei.itwww.pistoiamusei.it
 
COORDINAMENTO COMUNICAZIONE E UFFICIO STAMPA PISTOIA MUSEI
comunicazione@pistoiamusei.it
 
Responsabile relazioni esterne
Francesca Vannucci | francesca.vannucci@fondazionecaript.it
0573 974228
 
Digital e social media
Rachele Buttelli | rachele.buttelli@fondazionecaript.it
0573 974248
 
 
UFFICIO STAMPA MOSTRA
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it
Marta Pedroli | marta.pedroli@clp1968.it
T. 02.36755700 | www.clp1968.it

Moreno Buttinar, eccellenza italiana in un album internazionale

MORENO BUTTINAR, ECCELLENZA ITALIANA IN UN ALBUM INTERNAZIONALE

Il musicista italiano scelto per ‘Heavenly Cream’, l’album tributo ai Cream   

Finalmente l’Italia entra di diritto in un settore, quello del rock internazionale, che prima le era di fatto precluso. A parte sporadici episodi risalenti agli anni ’70, la credibilità dei musicisti rock italiani è sempre stata decisamente in secondo piano rispetto ai protagonisti della moda, della cucina, dell’arte. 
Ma non solo i Måneskin hanno attirato l’attenzione del pubblico e degli operatori del settore nell’industria della musica: un batterista italiano è stato infatti scelto per un progetto prestigioso che poteva avvalersi solo di un musicista esperto e di talento. 

Gli straordinari musicisti Joe Bonamassa, Paul Rodgers Bernie Marsden, insieme al leggendario Ginger Baker hanno infatti progettato uno straordinario album di tributo ai Cream. 

Il progetto onora l’eredità dei Cream con un tributo di 15 brani e vede la partecipazione di Pete Brown Ginger Baker, oltre a un’impressionante rosa di rinomati musicisti che sono stati ispirati dall’iconico supergruppo, tra cui appunto Joe BonamassaDeborah BonhamMalcolm BrucePeter BullickNathan JamesBernie MarsdenMaggie BellRob CassClem ClempsonPaul Rodgers Bobby Rush

È in questo prestigioso contesto che entra in scena Moreno Buttinar

Classe 1977, batterista, discografico ed editore musicale, Moreno Buttinar è da 20 anni il cuore ritmico nella band di Mike Sponza con il quale ha registrato agli Abbey Road Studios a Londra gli album dal 2004 ad oggi, inclusi gli ultimi due prodotti da Rob Cass e scritti con Pete Brown

Durante quelle registrazioni, Rob Cass e Pete Brown non possono non accorgersi che quel batterista italiano ha una marcia in più ed il suo drumming fa decisamente la differenza. 

Così, nel 2018 da parte loro arriva per Moreno Buttinar la proposta che ogni batterista vorrebbe ricevere: «Ci sarebbe da fare un disco acustico dedicato ai Cream con molti musicisti famosi. Ginger Baker non riuscirà ad essere alle prove e esiste la possibilità che comunque non riesca ad essere disponibile su tutti i brani ….che ne dici di venire tu?»

Moreno non poteva che accettare. Chiamato in supporto, si mette a disposizione anche per sostituire Ginger Baker nelle prove prima delle registrazioni, trovandosi a suonare con leggende viventi del rock internazionale.  

Moreno Buttinar e Joe Bonamassa agli Abbey Road Studios di Londra

Il magnifico risultato è nell’album “Heavenly Cream” in uscita il 3 novembre 2023, registrato presso Sensible Music e i leggendari Abbey Road Studios di Londra. 

Non solo Moreno Buttinar è presente nei brani ‘Deserted cities of the heart’ con Joe Bonamassa Bernie Marsden e il classico ‘Born under a bad sign” con Paul Rodgers, ma sarà anche nel documentario del “making of” del progetto, in uscita nelle prossime settimane. 


Ufficio Stampa A-Z Press
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A Johannesburg va in scena l’Arte Povera

Giulio Paolini, Averroè, 1967.
Ph. Paolo Pellion. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Il Consolato Generale d’Italia a Johannesburg

presenta

ARTE POVERA 1967-1971

a cura di Ilaria Bernardi

JohannesburgWits Art Museum

 31 ottobre – 9 dicembre 2023

Al via la prima mostra sullArte povera nel continente africano per celebrare i 56 anni dalla sua definizione

Il 27 settembre 1967 a Genova, presso la Galleria La Bertesca, Germano Celant presenta la mostra “Arte povera Im-spazio” in occasione della quale conia la definizione di Arte povera per indicare, come scrive in catalogo, il processo linguistico di alcuni artisti italiani che “consiste nel togliere, nell’eliminare, nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.

La mostra “Arte Povera 1967-1971”, curata da Ilaria Bernardi presso il Wits Art Museum a Johannesburg, e promossa dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg, desidera celebrare i 56 anni da quella prima esposizione nel 1967, realizzando la prima mostra dell’Arte povera nel Continente africano e la prima mostra sull’Arte povera dopo la scomparsa del suo teorizzatore Germano Celant, avvenuta nel 2020. Ha dunque un’importante valenza dal punto di vista storico.

Germano Celant a Berna, alla Kunsthalle, in occasione di Live in your head. When attitudes become form, 1969.
Ph. (dettaglio) © Claudio Abate. Courtesy Archivio Claudio Abate

La mostra, grazie alla collaborazione con gli artisti, con i loro archivi, con importati collezionisti e musei che si sono resi disponibili a prestare le opere di loro proprietà, accoglie storici lavori dei 13 artisti che, dopo aggiunte e sottrazioni avvenute dopo il 1967, sono ormai considerati gli esponenti canonici dell’Arte povera: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

Ilaria Bernardi, curatrice della mostra “Arte povera 1967-1971”.
Ph. Guglielmo de’ Micheli. Courtesy Associazione Genesi

La curatrice Ilaria Bernardi, anziché proporre una retrospettiva generale sulle ricerche di questi 13 artisti, ha preferito adottare un concept maggiormente analitico e filologico, capace di restituire la vivacità e il dialogo esistenti tra artisti tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primissimi anni Settanta. Al Wits Art Museum saranno infatti esposte opere emblematiche della ricerca di ogni artista, datate tra il 1967 – anno in cui Celant conia il termine Arte povera – e il 1971 – anno in cui egli postula che l’etichetta Arte povera deve dissolversi affinché ogni artista possa assumere la sua singolarità. Mediante questa specifica circoscrizione temporale, la mostra desidera approfondire la prima fase dell’Arte povera, ma al contempo si propone di coglierne i comuni denominatori che hanno portato Celant a definire tale quella ricerca. Da qui l’aggiunta di alcune opere realizzate negli anni immediatamente precedenti al 1967.  

La maggior parte delle opere presenti in mostra sono state presentate in storiche esposizioni collettive dell’Arte povera e in mostre personali dei rispettivi artisti, tenutesi tra il 1967 e il 1971. Tra le opere esposte: Direzione (1967) di Giovanni Anselmo; Senza titolo (porte) (1966) di Alighiero Boetti; Piombo rosa (1968-2018) di Pier Paolo Calzolari; Pavimento (Tautologia) (1967) di Luciano Fabro; Senza titolo (1968) di Jannis Kounellis; Sitin (1968) di Mario Merz; Scarpette (1968) di Marisa Merz; Averroè (1967) di Giulo Paolini; Scoglio (1966) di Pino Pascali; Svolgere la propria pelle (1970-1971) di Giuseppe Penone; Orchestra di stracci – Quartetto (1968) di Michelangelo Pistoletto; Identico alieno (1967-1968) di Emilio Prini; Letto (1966) di Gilberto Zorio.

Accompagna la mostra un’area dedicata a una cronologia illustrata delle mostre collettive tenutesi in quegli anni da considerarsi cardini per la storia dell’Arte povera, corredata da teche con i relativi cataloghi.

Conclude il percorso espositivo il video-documentario Arte povera, a cura di Beatrice Merz e Sergio Ariotti (Hopefulmonster, Torino 2011) che fornisce una panoramica dell’Arte Povera con ampio materiale d’archivio, filmati di mostre personali recenti e a spezzoni di interviste con Germano Celant, alcuni artisti, critici e galleristi.

La mostra fa parte di un più ampio progetto espositivo intitolato “Arte Povera and South African Art: In Conversation”, promosso dal Wits Art Museum a Johannesburg e dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg e che include, nelle stesse date della mostra curata da Ilaria Bernardi, un’altra mostra dal titolo “Innovations in South African Art, 1980s-2020s” a cura del curatore sudafricano Thembinkosi Goniwe dedicata ad artisti sudafricani che, per alcuni aspetti della loro pratica, si dichiarano o risultano affini all’Arte povera: Lucas Seage, Jane Alexander, David Thubu Koloane, Kagiso Pat Mautloa, Moshekwa Langa, Usha Seejarim, Bongiwe Dhlomo-Mautloa, Willem Boshoff, Kemang Wa Lehulere, Thokozani Mthiyane, Kay Hassan.

“Arte Povera and South African Art: In Conversation” sarà accompagnato da un libro/catalogo illustrato, edito da SilvanaEditoriale, bilingue (italiano/inglese) e “doppio”, da sfogliare in due versi, entrambi con presentazioni istituzionali dell’Ambasciatore d’Italia a Pretoria, Paolo Cuculi, e della Console Generale a Jogannesburg, Emanuela Curnis. Il primo verso del volume sarà dedicato alla mostra sull’Arte povera curata da Ilaria Bernardi e includerà un suo ampio saggio, approfondimenti sulle opere e sui 13 artisti e una cronologia delle più importanti mostre dell’Arte povera dal 1967 a oggi. Il secondo verso sarà dedicato all’esposizione curata da Thembinkosi Goniwe e includerà un suo saggio, nonché approfondimenti sulle opere e sugli artisti sudafricani esposti.


Wits Art Museum, Johannesburg

Wits Art Museum

Il Wits Art Museum (WAM), connesso all’omonima università (la Wits University), è il più importante museo d’arte di Johannesburg dedicato all’arte africana. La sua collezione comprende oltre 13.000 opere d’arte africana ed è nata da una piccola collezione didattica dipartimentale avviata all’inizio degli anni ’50 da due professori, Heather Martienssen e John Fassler, entrambi del Dipartimento di Architettura della Wits. Alla fine degli anni ’60, Norman Herber donò ingenti fondi per l’acquisizione di opere, consentendo alle collezioni storiche e contemporanee di crescere in modo sostanziale. Nel 1978 le prime opere d’arte classica africana furono donate da Vittorio Meneghelli e l’anno successivo fu avviata la Standard Bank African Art Collection e John Schlesinger donò una grande collezione di oltre 100 opere. Altre importanti aggiunte alle collezioni includono la Collezione del Wits Museum of Ethnology (2001), l’Archivio Neil Goedhals (1993), l’Archivio delle stampe di Robert Hodgins (2007), la Collezione Sekoto (2010), gli archivi di Walter Battiss (2017) e Judith Mason (2017). Attualmente il museo include anche il Jack Ginsberg Centre for Book Arts che ospita oltre 3000 libri d’artista, di cui 400 sudafricani, nonché un archivio unico di 3000 oggetti sulla storia e lo sviluppo di genere dell’arte del libro, oltre a una vasta biblioteca di monografie sull’arte sudafricana. L’edificio in cui si trova il Wits Art Museum è stato progettato dagli architetti Nina Cohen, Fiona Garson e William Martinson che sono stati premiati con il Visi Magazine Architecture Award 2012 proprio per il loro lavoro per WAM.


Contatti per la stampa
Studio ESSECI
di Sergio Campagnolo s.a.s
Ufficio Stampa, Pubbliche Relazioni e Progetti di Comunicazione
 
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Padova: Lo scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900

LO SCATTO DI GIOTTO.
La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900

Dal 28 ottobre 2023 al 7 aprile 2024

Museo Eremitani, Padova

Dal 28 ottobre 2023 al 7 aprile 2024, il Museo Eremitani di Padova propone la mostra Lo Scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900. Curata dai Musei Civici, Biblioteca Civica e Ufficio Patrimonio Mondiale e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, la mostra ricostruisce attraverso un percorso espositivo composito la straordinaria fortuna visiva della Cappella degli Scrovegni.

Nota in tutto il mondo per essere il capolavoro assoluto affrescato da Giotto, pochi sanno però che Cappella degli Scrovegni è stata fra i primi monumenti italiani a essere riprodotto in fotografia in modo sistematico e puntuale: fu Carlo Naya, uno dei pionieri italiani della fotografia, a ammortarla per la prima volta nell’estate del 1863, a meno di venticinque anni dall’invenzione ufficiale di questa tecnologia.  Il percorso espositivo de Lo scatto di Giotto parte dalle prime riproduzioni degli affreschi giotteschi, in uno scenario in bianco e nero creato grazie alle rare e preziose lastre fotografiche realizzate da Luigi Borlinetto a partire dal 1883, patrimonio della Biblioteca Civica di Padova. Queste portano il visitatore a scoprire dettagli poco noti e punti di vista inconsueti, restituendo all’osservatore contemporaneo l’esperienza di un visitatore della seconda metà dell’Ottocento.

La mostra si affaccia poi al Novecento attraverso le celebri campagne fotografiche Alinari e di Domenico Anderson, il cui valore si intreccia con quello dell’editoria d’arte e di divulgazione. Sarà proprio grazie alle campagne fotografiche della Casa Editrice Alinari di Firenze che le immagini di Cappella degli Scrovegni verranno inserite nei cataloghi d’arte a partire dal 1906 e faranno il giro del mondo grazie alle edizioni tradotte in lingua inglese e francese. Ad Alinari si deve anche la prima campagna di fotografie della Cappella degli Scrovegni a colori: siamo nel 1952 e il capolavoro di Giotto è già diventato soggetto di un’opera cinematografica.

Nel 1938 il giovanissimo regista Luciano Emmer realizza il primo film sulla Cappella degli Scrovegni: Racconto da un affresco. Girato in 35 mm utilizzando una vecchia macchina da presa Pathé del 1913 e una truka artigianale, utilizzata per realizzare animazioni, riprese speciali, effetti particolari, Emmer eseguì lo storyboard disegnando a carboncino sulle fotografie e riprendendo poi fotogramma per fotogramma, ammettendo che “il film su Giotto può essere considerato il primo film neorealista italiano perché a ben vedere le pareti della cappella degli Scrovegni sono di fatto una specie di storyboard: mi sono limitato a filmarlo”. Più tardi anche Pier Paolo Pasolini fece suo il capolavoro di Giotto, utilizzandolo esplicitamente nelle scene del Decameron del 1971.

L’affascinante immaginario della Cappella degli Scrovegni sviluppatosi nel corso dei secoli è anche tema delle più avanzate tecnologie di riproduzione fotografica. La mostra invita infatti l’osservatore anche ad immergersi nella ricostruzione digitale del capolavoro di Giotto, concretizzando in un’esperienza nuova la proposta più innovativa avanzata da Giotto nel quattordicesimo secolo: che l’osservatore potesse entrare nel racconto che egli stesso aveva realizzato, così come fra Ottocento e Novecento avevano già fatto quanti si dedicarono alla riproduzione dei suoi affreschi.

La mostra, che resterà aperta fino al 7 aprile 2024, è realizzata grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di AcegasApsAmga S.p.A.  in collaborazione con Scripta Maneant Editori, Factorcoop S.p.A., Emilro Service e con il patrocinio di Commissione Nazionale Italiana UNESCO, Ministero della Cultura, ICOMOS, ICCROM.


Da Studio ESSECI info@studioesseci.net ù

Messina, Biblioteca Regionale: “Granelli di Polline” di Lia Savarino, studiosa di Imenotteri

Presentazione del LIBRO
“GRANELLI DI POLLINE”
di Lia Savarino

29 OTTOBRE 2023 ore 10:30
Sala Lettura
via I Settembre,117-Palazzo Arcivescovile

Domenica 29 ottobre 2023, alle ore 10:30, presso la Sala Lettura della Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, si terrà la presentazione del libro “Granelli di Polline”, opera prima della Studiosa Lia Savarino, EBS Print, 2023.

L’iniziativa culturale si aprirà con i Saluti Istituzionali e l’Introduzione della Direttrice della Biblioteca Regionale Avv. Tommasa Siragusa, che fungerà poi da Moderatrice. Seguirà l’importante relazione del Dott. Guido Bissanti, Agronomo e Presidente del Coordinamento Agroecologia Sicilia. Sarà presente l’Autrice.

Nel 2017, l’ONU ha deciso di dedicare all’insetto pronubo per eccellenza un giorno tutto suo. Il 20 maggio ricorre dunque la Giornata mondiale delle api. È un’occasione per far conoscere questa specie protetta e il ruolo fondamentale che svolge per il benessere del nostro pianeta, e volta a sensibilizzare sull’importanza basilare nella sopravvivenza dell’uomo sulla terra.

La Biblioteca “Giacomo Longo”, come sempre assecondando opportune testimonianze e studi su argomenti di interesse socio-ambientale, intende sollecitare un approfondimento della tematica intorno alle api, per mettere il focus sulla loro centralità nella perpetuazione delle specie, con le connesse minacce incombenti a seguito della loro progressiva scomparsa, attraverso la preziosa pubblicazione di Lia Savarino, unica nel suo genere.

Studiosa di Imenotteri, la Savarino propone, infatti, con il testo un vero e proprio viaggio alla scoperta del mondo delle api. Gli insetti sono per Lei più che una passione, a loro si dedica con spirito di abnegazione, perfezionando vieppiù la sua ricerca. Ha partecipato a numerose giornate di studio e di incontro, coinvolgendo i partecipanti e favorendo l’approccio delle nuove generazioni al mondo meraviglioso della “dimensione Apoidei”.

La Scrittrice si accosta da adolescente alla tradizione contadina, anche a seguito di contingenze familiari, le cui vicissitudini la conducono in terra di Sicilia, a San Biagio Platani (Ag), luogo d’origine dei genitori. “La tenuta del padre, -come l’autrice rivela- un appezzamento di terreno esteso e fertile, le apre un mondo a lei sconosciuto: alberi, piante, colture, fiori selvatici di ogni tipo e piccoli insetti alati di varie fogge. Si appassiona così agli Apoidei il cui ronzio le arriva alle orecchie e le accarezza il cuore.”

(a cura di Maria Rita Morgana)


Post dell’iniziativa culturale saranno presenti sulle pagine social della Biblioteca:

Chi non potrà prendere parte all’evento in presenza, potrà scrivere sui social commenti e domande da rivolgere ai Relatori durante l’incontro.
Nei giorni a seguire sarà disponibile il video.

Per INFO:     Ufficio Relazioni con il Pubblico
                       tel.090674564
                       urpbibliome@regione.sicilia.it
                                 (A cura di Ufficio Relazioni con il Pubblico. Maria Rita

Lugano (Svizzera), MUSEC | Museo delle Culture: LUCA PIGNATELLI. ASTRATTO

Luca Pignatelli, Corpo di fabbrica, 2019. 171×146 cm © Luca Pignatelli. Ph. Michele Sereni

LUGANO (SVIZZERA)

MUSEC | MUSEO DELLE CULTURE

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 12 MAGGIO 2024

Luca Pignatelli Astratto

LA PRIMA GRANDE MOSTRA DEDICATA ALLA RICERCA SULL’ASTRATTISMO DEL CELEBRE ARTISTA MILANESE.

L’esposizione, nuovo appuntamento del progetto Global Aesthetics del MUSEC, presenta 49 opere di grandi dimensioni, per lo più inedite.

Dal 28 ottobre 2023 al 12 maggio 2024, il MUSEC | Museo delle Culture di Lugano (Svizzera) ospita una iniziativa dal grande valore storico-artistico.
Le sale del museo svizzero accoglieranno infatti la prima personale di Luca Pignatelli (Milano, 1962), dedicata esclusivamente alla sua ricerca astratta, a cui si è dedicato nell’ultimo decennio di attività.

L’esposizione, dal titolo Astratto, è nata da un lungo e continuo dialogo, iniziato due anni fa, tra l’artista milanese e Francesco Paolo Campione, curatore della mostra e direttore del MUSEC, condotto su un filo dialettico che univa ricordi e riflessioni direttamente suscitati dalle opere, dai libri, dalle fotografie e dagli oggetti che riempiono e animano il grande atelier di Luca Pignatelli.

Un confronto che ha permesso di far emergere il senso che assume per Pignatelli il lavoro sull’astrazione, che porta verso nuovi territori la sua personale e distintiva relazione alla materia e al tempo che caratterizza fin dagli inizi tutta la sua vasta ricerca.

La rassegna presenta quarantanove opere, per lo più inedite, di grandi dimensioni, ricavate da larghe porzioni di teloni ferroviari dismessi, giuntati, cuciti, forati, bruciati, e poi dipinti e lavorati con inserti di diversa natura. Una materia esausta e ulteriormente ridotta ai minimi termini per restituire, secondo le modalità espressive dell’astrazione, il sapore di un universo costruito da una molteplicità di significati.

Il percorso espositivo è ritmato da undici parole – persona, ricordo, memoria, impronta, frammento, relitto, abisso, grotta, spiaggia, terra, origine – che riassumono e puntualizzano i valori delle scelte espressive di Pignatelli; a ogni voce è associato un breve testo scritto dall’artista che conduce il visitatore lungo le varie sezioni della mostra.

Ogni termine è collegato a quello successivo – e l’ultimo al primo – per creare un itinerario a spirale che si estende verso un’infinita profondità spirituale.

“La ricerca di Luca Pignatelli – sottolinea Francesco Paolo Campione – permette infatti di comprendere come l’arte, prima di essere rappresentazione e decoro, sia tensione fondamentale verso il mondo spirituale, strumento primario di conoscenza che procede dal tutto verso le sue parti, compagna fedele dell’esercizio mitopoietico che traduce agli uomini la complessa struttura del cosmo, dando loro l’illusoria certezza di essere padroni del proprio destino”.

L’allestimento, pensato per i due piani dello Spazio mostre di Villa Malpensata a Lugano, sede del MUSEC, oltre a dare respiro alle grandi opere, trasferisce in alcune sale veri e propri angoli dello studio milanese dell’artista: tavoli, sedie, poltrone, divani e carrelli sopra o accanto ai quali, esattamente come nel loro ambiente originario, si trovano fotografie, carte, disegni, immagini ritagliate dai giornali, telai, mucchi di teloni ferroviari, cocci, chiodi, barrette di metallo, cordame, pennelli e latte di pittura. È questo il modo forse più semplice per mettere in evidenza la dimensione antropologica e il contesto sociale che fanno parte delle condizioni primarie di ogni creatività, anche la più astratta.

Luca Pignatelli, Parete ipogea, 2019. Dittico, 260×360 cm © Luca Pignatelli. Ph. Michele Sereni

L’iniziativa è il nuovo capitolo del ciclo «Global Aesthetics», con il quale il MUSEC esplora le varie forme e i diversi linguaggi della creatività contemporanea, “con l’ambizione – afferma Francesco Paolo Campione -, di andare controcorrente rispetto a una tendenza sempre più diffusa che trasforma l’arte contemporanea innanzitutto in un fenomeno di moda, per riportare al centro dell’attenzione le ragioni profonde e il contesto dei processi di creazione artistica e per porre il visitatore nelle condizioni ideali per vivere una esperienza estetica ricca di sfumature”.

Accompagna la mostra un catalogo in due edizioni, in italiano e in inglese di grande formato, a cura di Francesco Paolo Campione (Luca Pignatelli. Astratto Global Aesthetics/4, SKIRA Editore, pp. 164).

La Fondazione culture e musei pubblica inoltre un prezioso libro d’artista a cura di Francesco Paolo Campione intitolato Genesi e astratto, in 149 esemplari firmati e numerati, ciascuno corredato da un frammento di un’opera originale di Luca Pignatelli.

Il libro contiene la riproduzione su carta pregiata di tutte le opere in mostra più una selezione di altre opere, accompagnate da una conversazione tra Luca Pignatelli e Francesco Paolo Campione.

Note biografiche

Luca Pignatelli ritratto in studio © Luca Pignatelli.
Ph. Giuseppe Anello

Luca Pignatelli è nato nel 1962 a Milano, dalla psicologa Carla Autelli (1935-2022) e da Ercole Pignatelli (n. 1935), pittore e scultore di origini leccesi, nel cui atelier, sin da giovanissimo, egli ha mosso le sue prime esperienze. Completati gli studi superiori, nel 1981 si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dove l’interesse costante nei confronti di ciò che con il tempo egli definirà «crescita sedimentaria della storia» lo porta in particolare a confrontarsi con gli scritti e le visioni di Adolf Loos e Aldo Rossi. In particolare, Pignatelli sente forte il richiamo dell’idea di edificio e di città come sommatoria organica degli stili e delle epoche che si sono succedute, un’idea che non porta al rifiuto, ma al dialogo con il passato e al tentativo di integrarlo attraverso forme ricorrenti: gli «archetipi», incessantemente capaci di sintetizzare la tradizione e la modernità.

Dai disegni su carta e su masonite, esposti per la prima volta nel 1987 alla galleria di Antonia Jannone a Milano, la sua produzione si è sviluppata attraverso l’uso eterodosso e la diversificazione sperimentale di materiali e di tecniche, indirizzandosi sempre più verso opere di grande formato.

I luoghi privilegiati della sua ricerca sono le fabbriche, gli arsenali militari e i depositi anonimi delle città portuali che si integrano, accomunati dal fascino di un’infinita aggregazione di contenuti, ai grandi edifici – templi, cattedrali e monumenti – che hanno definito il paesaggio antropico della storia europea. A partire dagli anni Novanta, Pignatelli ha introdotto l’uso, come supporti, di materiali che hanno esaurito la loro precedente destinazione d’uso, e già di per sé pittorici, come la tela di canapa dei convogli ferroviari e, successivamente, le carte assemblate, i tessuti, le vecchie tavole di legno, le lastre di ferro zincato e i tappeti persiani. Al contempo, è emersa inoltre una pratica artistica fondamentalmente seriale. Hanno così preso vita veri e propri cicli concepiti in occasione di esposizioni personali e installazioni specifiche di un sito, come: Arazzi italiani (2007-2008), Atlantis (2009), Schermi (2009), Analogie (2010), Cosmografie (2014); Sculture (2010), Standard (2014), Migranti (2015), Imperatori (2017) e Persepoli (2017).

Per quanto riguarda la sua estetica, si è affermato da un lato un interesse precipuo al dialogo con la storia e con la natura, dimensioni incarnate da immagini della statuaria classica (muse, eroi e imperatori), dalle memorie archeologiche dell’antichità, da orme di paesaggi naturali e urbani, da calligrafie e da caratteristiche allegorie della modernità come i dirigibili,  gli aeroplani, le navi e i treni a vapore; dall’altro lato si è fatto via via strada un linguaggio astratto, fatto di porzioni di materia che si stratificano su supporti di recupero.

Fra le principali esposizioni temporanee che hanno consacrato a livello internazionale il lavoro di Luca Pignatelli ricordiamo: la XII Quadriennale d’Arte di Roma (1996), la 53a Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Italia (2009) e le personali tenute al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2009); al MAMAC – Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizza (2009); all’Istituto nazionale per la grafica di Roma (2011); al Museo di Capodimonte di Napoli (2014); alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (2014); alla Galleria degli Uffizi di Firenze (2015); al Gran Teatro La Fenice di Venezia (2017); al Museo Stefano Bardini di Firenze (2019); alla New York Historical Society (2022); e al MUSEC – Museo delle Culture di Lugano (2023).

Oltre che in prestigiose collezioni private europee ed americane, le opere di Luca Pignatelli sono conservate da importanti istituzioni museali, fra le quali ricordiamo: la New York Historical Society di New York; la Galleria degli Uffizi di Firenze; il Museo di Capodimonte di Napoli; la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; il CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma; il PART – Palazzi dell’Arte di Rimini.

Studio dell’artista © Luca Pignatelli. Ph. Giuseppe Anello

Castello di Rivoli: Michelangelo Pistoletto. Molti di uno

Michelangelo Pistoletto
Venere degli stracci, 1967 Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT
in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Foto Paolo Pellion
Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Michelangelo Pistoletto. Molti di uno
a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria
2 novembre 2023 – 25 febbraio 2024
Manica Lunga
Inaugurazione: 1° novembre 2023

Il Castello di Rivoli presenta una grande mostra dedicata a Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) in occasione del suo novantesimo compleanno. Allestita negli spazi della Manica Lunga, il progetto dell’artista Molti di uno reinventa l’architettura ortogonale della Manica Lunga trasformandola in uno stupefacente groviglio armonioso, un dispositivo urbano irregolare e libero attraverso il quale raccogliere e rileggere tutta la sua arte in un gigantesco autoritratto che funziona come la mappa di una Città ideale dell’avvenire.
 
“Pistoletto è una delle figure dell’arte contemporanea a livello globale più poliedriche, innovative, creative e aurorali”, afferma Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. “Attivo già nella seconda metà del ventesimo secolo, è capace di reimmaginare il mondo nel ventunesimo secolo attraverso la sua ‘formula della creazione’, all’insegna di un nuovo equilibrio trinamico tra naturale e artificiale che egli chiama Terzo Paradiso”.
 
Pistoletto è tra gli artisti che hanno ridefinito il concetto di arte a partire dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso attraverso l’Arte povera. Già dalla prima metà degli anni cinquanta, l’artista si interroga sul concetto di identità personale e intraprende la via dell’autoritratto come espressione emblematica del suo pensiero secondo il quale il soggetto individuale prende vita in relazione agli altri divenendo un soggetto plurale. Dal 1962 realizza quadri specchianti, nei quali chi guarda e il mondo entrano nell’opera. Il superamento delle frontiere segnate dalla dimensione solo pittorica ha rappresentato per Pistoletto l’apertura a un paesaggio che si affaccia sulla contemporaneità dell’esistenza.
 “Ideata per la Manica Lunga”, afferma Marcella Beccaria, “Molti di uno è una città dell’Arte strutturata come architettura percorribile e composta da 29 Uffizi o stanze. Disegnati come spazi aperti e collegati tra loro, gli Uffizi includono metaverso, arte, scienza, filosofia, legge, diritto, architettura, comunicazione, politica, ecologia, sorveglianza, sport, matematica, spiritualità, religione, mitologia, formazione, nutrimento, simbologia, cosmologia, design, sepoltura, storia, urbanistica, moda, spazio, scrittura, salute, informatica, natura. I 29 Uffizi espongono la struttura che secondo l’artista è alla base della vita civile e sociale proponendo una vasta rete di interrelazioni e una propositiva condizione dinamica tesa ad abbattere muri e separazioni”. 

I 29 Uffizi sono tra loro comunicanti e interconnessi attraverso una serie di porte, ciascuna recante sull’architrave l’indicazione dell’attività specifica. La forma delle porte riprende il Segno Arte. Concepito dall’artista nel 1976, il Segno Arte è dato dall’intersezione di due triangoli, inscrivendo idealmente un corpo umano con braccia alzate e gambe divaricate. Il primo concetto di una architettura nell’architettura risale a Porte – Uffizi al MuHKA – Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen di Anversa. Riprende e sviluppa un precedente (Le Porte di Palazzo Fabroni) del 1995 ed è un dispositivo espositivo utilizzato più volte da allora, ma sempre rispecchiando una classificazione che si potrebbe dare alla società di quel momento e proponendo contemporaneamente una città ideale. L’articolazione della città in Uffizi riprende una riflessione alla quale l’artista ha dedicato spazio in La Formula della Creazione, 2022, libro nel quale egli esamina il proprio percorso, identificando 31 passi che, conducendo alla genesi di una nuova società, diventano punti cardinali alla base della Formula della Creazione.

Terzo Paradiso “1+1=3”, 2003-2023
Polistirene, tessuti, legno, acrilico
35 x 300 x 135 cm
Foto: Andrea Rossetti

La mostra svelerà una nuova opera-azione partecipativa nell’Uffizio Sorveglianza.
“Ma questa città futura è anche una città tecnologica, dei social media, e dell’intelligenza artificiale,” afferma Christov-Bakargiev, “è un mondo in cui lo specchio di un controllo costante, invisibile e ubiquo può portare alla necessità di reimmaginare la nozione di libertà. Cosa significa un mondo di homo cellularis, i cui gesti minimi sono registrati, misurati, archiviati, “estratti” a scopi predittivi? Uno specchio tecnologico che può rendere gli umani schiavi delle macchine AI, oppure capaci di crescere verso paradisi inattesi, a seconda di come, più o meno responsabilmente ed eticamente, verranno usati questi strumenti dai nostri discendenti? A questo Pistoletto ci fa riflettere, più che umanamente”.
 All’interno della visione di una nuova comunità eticamente responsabile, la mostra è anche un dispositivo per coinvolgere le persone, a partire dai lavoratori che a vario titolo operano all’interno e orbitano attorno al Museo rendendolo un microcosmo di una possibile città ideale. Ogni giorno, una persona dotata di un sapere e di una prassi specifica in un’area per la quale esiste uno dei 29 Uffizi sarà il responsabile catalizzatore della giornata: ad esempio un addetto stampa sarà responsabile dell’Uffizio Comunicazione, mentre il medico competente potrebbe collaborare in una giornata dedicata all’Uffizio Salute, tanto quanto un’Artenauta potrebbe condurre una giornata sull’educazione, così come un responsabile della caffetteria potrebbe seguire la giornata dedicata all’Uffizio Nutrimento, il giardiniere essere responsabile dell’Uffizio Ecologia e un curatore quello dell’Uffizio Arte, mentre una bibliotecaria potrebbe occuparsi della giornata dedicata all’Uffizio Scrittura. In questa maniera l’artista revitalizza e reinventa il concetto di mostra temporanea e contribuisce a realizzare pragmaticamente un nuovo mondo basato sulla Demopraxia.

Biografia di Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto. Foto Pierluigi Di Pietro
Courtesy Cittadellarte

Michelangelo Pistoletto nasce a Biella nel 1933. Inizia a esporre nel 1955 e nel 1960 tiene la sua prima personale alla Galleria Galatea di Torino. La sua prima produzione pittorica è caratterizzata da una ricerca sull’autoritratto. Nel biennio 1961-1962 approda alla realizzazione dei Quadri specchianti, che includono direttamente nell’opera la presenza dello spettatore, la dimensione reale del tempo e riaprono inoltre la prospettiva, rovesciando quella rinascimentale chiusa dalle avanguardie del XX secolo. Con questi lavori Pistoletto raggiunge in breve riconoscimento e successo internazionali, che lo portano a realizzare, già nel corso degli anni Sessanta, mostre personali in prestigiose gallerie e musei in Europa e negli Stati Uniti. I Quadri specchianti costituiranno la base della sua successiva produzione artistica e riflessione teorica. Tra il 1965 e il 1966 produce un insieme di lavori intitolati Oggetti in meno, considerati basilari per la nascita dell’Arte Povera, movimento artistico di cui Pistoletto è animatore e protagonista. A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che rappresentano le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che Pistoletto svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Tra il 1975 e il 1976 realizza nella Galleria Stein di Torino un ciclo di dodici mostre consecutive, Le Stanze, il primo di una serie di complessi lavori articolati nell’arco di un anno, chiamati “continenti di tempo”, come Anno Bianco (1989) e Tartaruga Felice (1992). Nel 1978 tiene una mostra nel corso della quale presenta due fondamentali direzioni della sua futura ricerca e produzione artistica: Divisione e moltiplicazione dello specchio L’arte assume la religione. All’inizio degli anni Ottanta realizza una serie di sculture in poliuretano rigido, tradotte in marmo per la mostra personale del 1984 al Forte di Belvedere di Firenze. Dal 1985 al 1989 crea la serie di volumi “scuri” denominata Arte dello squallore. Nel corso degli anni Novanta, con Progetto Arte e con la creazione a Biella di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto e dell’Università delle Idee, mette l’arte in relazione attiva con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Nel 2003 è insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia. Nel 2004 l’Università di Torino gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze Politiche. In tale occasione l’artista annuncia quella che costituisce la fase più recente del suo lavoro, denominata Terzo Paradiso. Nel 2007 riceve a Gerusalemme il Wolf Foundation Prize in Arts, “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d’arte premonitrici che contribuiscono a una nuova comprensione del mondo”. Nel 2010 è autore del saggio Il Terzo Paradiso, pubblicato in italiano, inglese, francese e tedesco. Nel 2012 si fa promotore del Rebirth-day, prima giornata universale della rinascita, festeggiata ogni anno il 21 dicembre con iniziative realizzate in tutto il mondo. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, année un – le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura. Nel 2017 viene pubblicato il suo testo Ominiteismo e Demopraxia. Manifesto per una rigenerazione della società. Nel 2021 viene inaugurato a Cittadellarte l’Universario, spazio espositivo in cui l’artista presenta le sue più recenti ricerche, e nel dicembre del 2022 è pubblicato il suo ultimo libro, La formula della creazione, in cui ripercorre i passi fondamentali e l’evoluzione del suo intero percorso artistico e della sua riflessione teorica.


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