Il Castello di Schönbrunn a Vienna 1/2

 

Tra le tante regge europee, vi è anche quella della dinastia asburgica, che si trova, naturalmente, a Vienna. È collocata ad Hietzing, nell’attuale periferia di Vienna. Una volta si trovava in aperta campagna. Essa è denominata castello di Schönbrunn e fu residenza imperiale dal 1730 al 1918, cioè al termine della prima guerra mondiale. La leggenda vuole che l’imperatore Mattia, durante una battuta di caccia, trovò nell’area una fonte d’acque limpida. Attorno ad essa venne costruito il castello. Ed in effetti la zona del parco si distingue per la bellezza. Tant’è che i termini schön(er) e brunn, significano proprio, in tedesco “bella fonte”.

Il connubio, reggia e giardino, sono divenuti, per il valore, dal 1996, patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Certamente questo fa da richiamo di una grande quantità di turisti. È stato calcolato che, ogni anno, visitano la reggia 1,5 milioni di turisti e 5,2 milioni, esclusivamente il parco. Delle 1.441 stanze del castello, sono aperte al pubblico, oggi, 190 ambienti.

È proprio con l’imperatore Mattia, che si comincia a menzionare l’area con il nome di Schönbrunn (prima era Khattermühle), che la riconfermò come propria riserva di caccia (1576). Tra il 1638 ed il 1643, la regina Eleonora Gonzaga, in periodo di vedovanza per la scomparsa di Ferdinando II, decise di risiedervi, facendo costruire anche un castelletto. Questo, però, fu gravemente danneggiato dall’avanzata dei Turchi. Nel 1683 Eleonora Gonzaga-Nevers, vedova di Ferdinando III, diede ordine di ripristinare l’area come era prima. Nel 1687, il successore Leopoldo I pianificò una nuova residenza da donare al figlio, Giuseppe I. Venne incaricato per questo (siamo nel 1688) l’architetto Johann Bernhard Fischer von Erlach. Il progettista immaginò una reggia tale da superare in bellezza e maestosità la costruenda Reggia di Versailles. Il progetto fu approvato nel 1689.

VIDEO SULLA REGGIA DI VIENNA:
Il Castello di Schönbrunn – Vienna – Austria
Wallpapers 185-Spettacoli della Natura – (VIENNA – Il Castello di Schönbrunn)_by Load

 

 

Il Simbolismo: Segantini e la maternità

 

Nel 1886 Segantini si trasferisce in Svizzera, a Savognin, nel cantone dei Grigioni. È in questo periodo che inizia ad avvicinarsi alla tecnica della corrente divisionista, dapprima timidamente, con piccole sperimentazioni, poi completamente. Intanto il suo amico Grubicy, porta avanti una campagna informativa e promozionale. Il pittore, grazie a lui, diventa così molto conosciuto ed apprezzato anche all’estero, tant’è che nel 1888 partecipa all’Italian Exhibition di Londra. Anche il suo orizzonte culturale inizia ad ampliarsi. In questi anni, conosce il movimento Simbolista. Attraverso la presenza di allegorie i quadri composti in questo periodo si arricchiscono della nuova ispirazione.

Nel 1894, lascia Savognin e va a risiedere a Maloggia. Il piccolo paese alpino gli permette una vita più solitaria, meditativa. La maestosità delle Alpi è di forte ispirazione, sui suoi temi e sul proprio misticismo. Ciononostante, la riflessione non gli impedisce di pensare in grande, anzi. È in questo periodo che Segantini immagina un grandioso progetto pittorico per l’Esposizione Universale di Parigi, del 1900. Si trattava di decorare il padiglione dell’Engadina, un grandioso edificio circolare del diametro di 70 metri. In esso il pittore immagina di porre una rappresentazione delle Alpi. Nonostante però le buone intenzioni, difficoltà di comprensione, ma soprattutto economiche, legate all’alto costo dell’operazione, modificano il progetto, ridotto nelle dimensioni. L’operazione si conclude con la realizzazione di un trittico, detto Trittico della Natura (o, anche, delle Alpi). L’opera finisce per essere esposta nel padiglione italiano. Il piccolo fallimento non impedisce a Segantini di creare un capolavoro. Il Trittico, infatti, si rivela il punto più significativo della sua carriera. Purtroppo, non ha il tempo di creare altre opere sempre più eccelse e di affermarsi nel mondo dell’arte. Muore improvvisamente sullo Schafberg, per un attacco di peritonite, nel 1899, a soli 41 anni.

Il tema della maternità
Segantini dipinge, in particolare, la figura femminile, legata spesso al tema della maternità, che se già era presente nei quadri naturalistici, si mischia, nelle nuove tele simboliste, caratterizzando la sua espressione artistica (si veda il Trittico della Natura). Il tema della maternità, in effetti, ricorre spesso nella tematica segantiniana – Una madre che accoglie fra le sue braccia un bambino piccolo, a simbolo dell’uomo nella natura. Ad esempio in Ave Maria a trasbordo, del 1882, e nei due dipinti intitolati Le due madri (del 1889 e del 1899). È chiaramente espresso un forte bisogno personale, originato dalla sua stessa vita. Lo è a tal punto, che la maternità si rispecchia anche nel mondo degli animali, astraendone il concetto. Ugualmente il tema, ispirato dalle raffigurazioni storiche della Madonna col bambino, viene da lui svolto in ambiente rurale, arricchendosi, quindi, dell’allegoria della vita e della morte nella natura, simbolo, anche, di eternità. Con la stessa tendenza sono i quadri in negativo (Le cattive madri), che culturalmente si riferiscono stavolta al ciclo dantesco.
Un’altra raffigurazione simbolista, è L’amore alla fonte della vita, dipinto creato nel 1896. In esso figura femminile e maschile sono rappresentate insieme, sotto forma di amanti. In vicinanza vi è una fonte, con la presenza di un ipotetico angelo. Il simbolo, qui rappresentato, è quello dell’amore come eterna giovinezza. La figura femminile, tuttavia, non è molto considerata da Segantini, d’altra parte, siamo alla fine dell’Ottocento. Nel quadro, infatti, intitolato Vanità, una donna si specchia in un piccolo laghetto, ma da questo fuoriesce un serpente, simbolo di negatività. Se il quadro, artisticamente, è, per i tempi, all’avanguardia, nel contenuto, però, risulta figlio dei suoi tempi.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GIOVANNI SEGANTINI

VIDEO SU GIOVANNI SEGANTINI:
Giovanni Segantini
GIOVANNI SEGANTINI – La magia della luce – Trailer italiano

Fonte dell’immagine: GIOVANNI SEGANTINI – L’angelo della vita, 1895

 

 

 

Il Simbolismo, le correnti pittoriche

 

La pittura simbolista

Era un’arte dedicata ad un pubblico colto e raffinato. Infatti, con la rappresentazione fisica della realtà (quindi, di un positivismo scientifico), la pittura simbolista, portatrice di contenuti emotivi, si doveva decifrare per comprendere il significato. Il pittore simbolista andava “oltre”, cercando una possibile espressione dello spirito interiore, non visibile all’occhio nudo. La ricerca, infatti, era quella di trovare una metodologia che unisse mondo oggettivo ed emozioni soggettive. La pittura inizia a parlare allo spettatore: non più belle immagini, ma vera comunicazione artistica. Gli stessi neo-impressionisti finirono per essere contaminati da questa visione innovativa.
Ma come riuscire a “parlare” attraverso la tela? Tra le sperimentazioni dei simbolisti vi furono ad esempio: l’ideismo, dove l’oggetto esprimeva, di per sé, un’idea, cioè un simbolo che evocava dei contenuti; il soggettivismo, cioè l’idea che non deriva dal mondo oggettivo, ma piuttosto soggettivo, proveniente dalla composizione del pittore stesso. Tuttavia, l’elemento principale della pittura simbolista è l’emotività dell’artista, che vibra nella composizione pittorica, che “disturba” ma coinvolge lo spettatore.
I simbolisti cercano di rendere pittoricamente l’analisi propria della letteratura simbolista francese di quei tempi, rifacendosi, in particolare, a Stéphane Mallarmé e a Baudelaire. I pittori, alla ricerca della propria espressione ed emotività rielaborano linee e colori in maniera nuova, interpretando la realtà dell’occhio e non più oggettivamente.
Gli artisti neoimpressionisti, finirono per esserne coinvolti. In Francia troviamo Pierre Puvis de Chavannes, Gustave Moreau e Odilon Redon, principale esponente della pittura simbolista, mentre in Italia abbiamo tra gli emergenti Giovanni Segantini (portavoce anche del divisionismo) e Giovanni Marchini.
Amico di molti pittori impressionisti, Odilon Redon, rifiuta la rappresentazione della realtà così com’è. Per lui la natura è sogno, vaga e sfuggente. Il colore si fa macchia, tant’è che le sue nature morte (soprattutto fiori) abbagliano coloristicamente, divenendo quasi dei quadri astratti. Se Redon sogna il mondo, Emile Bernard (altro pittore emblema del Simbolismo) arricchisce la realtà riprodotta di poesia e musica. I suoi riferimenti, quindi, sono Baudelaire, Edgar Allan Poe e Gustave Flaubert, nella poesia, e Richard Wagner, nella musica.

Correnti pittoriche
Emile Bernard, in particolare, fece parte del gruppo detto della scuola di Pont-Aven. Questa corrente simbolista non aveva mezzi termini, rifacendosi non più alla realtà e alla natura, ma alla memoria, nel ricordo del passato, e all’immaginazione, legata all’esotico e, quindi, alla realtà lontana ed immaginata. Per realizzare la loro rivoluzione, essi si esprimono in maniera “sintetica”. Le figure divengono essenziali. Il colore acceso, senza alcuna sfumatura od ombra, è steso su superfici piatte, contornate di nero. È la “memoria” delle antiche vetrate delle cattedrali gotiche, ovunque in Francia. Tra gli artisti collegati alla scuola, il più famoso è il nome di Paul Gauguin.
Alla fine del secolo (l’ultimo decennio), appaiono, invece, i Nabis. È la seconda generazione dei pittori simbolisti. Il loro è un movimento che anticipa l’Art Nouveau ed il futurismo, soprattutto nella sostanza: l’attenzione va alle arti applicate. La loro espressione pittorica non si conclude nella semplice pittura da cavalletto, ma va oltre, coinvolgendo lo spettatore anche in altre occasioni. I Nabis, infatti, producono marionette, manifesti pubblicitari, carte da gioco, e per la casa, paraventi, carte da parati, decorazioni d’interni, fino ai francobolli. I Nabis sono, quindi, i veri traghettatori dell’arte dall’Ottocento al Novecento.

In Italia, il simbolismo viene recepito in modi diversi: G.A. Sartorio, A. De Carolis, Marius Pictor, L. Bonazza ne incarnano il lato più eclettico; una sintesi tra grammatica divisionista e temi simbolisti caratterizza G. Previati, G. Segantini, G. Pellizza da Volpedo. In scultura, i suoi maggiori interpreti sono L. Bistolfi e A. Wildt, mentre l’illustratore A. Martini si ricollega al filone fantastico già riscontrato in ambito europeo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: DIVISIONISMO

VIDEO SUL SIMBOLISMO:
UniNettuno – Storia dell’arte contemporanea – Lez 07 – Il Divisionismo italiano
Divisionisti francesi e italiani

Fonte dell’immagine: EDVARD MUNCH – Inger sulla spiaggia (1889)

 

Le stupende isole Eolie

 

In genere si argomenta di arte, monumenti o architettura, perché l’opera materiale dell’uomo è oltremodo significativa. A volta ci capita, invece, di trattare di capolavori non dovuti all’uomo, ma alla natura. Ambienti mozzafiato, specifici ed unici al mondo. È il caso dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO che riguardano le aree naturali non antropizzate, cioè dove minore è stato l’intervento dell’uomo e, per questo, maggiore è il loro valore ambientale. Ad esempio, le isole Eolie in Sicilia. Sono “arte” creata dalla natura, dove entrare e godere di uno spettacolo grandioso, quanto primitivo. Nelle isole Eolie, infatti, coscienti di questa “architettura naturale”, si fa di tutto per conservarla. Poche sono le strade (si viaggia, per lo più, a dorso di mulo), centellinata la luce nelle vie (e per questo, si gode del cielo stellato di notte), niente fabbriche o grandi complessi edilizi, niente ville lussuose da miliardari. È come un’incredibile Disneyland, ma tutta al contrario. Per realizzarla non ci sono voluti milioni di euro, ma millenni di tempo e storia.

Ecco perché se impieghiamo un po’ di tempo a descrivere le isole Eolie, ne vale la pena. Perché madre natura insegna a non stravolgere la sua eredità. Il pianeta Terra, va conservato e tutelato e non inquinato. Evidentemente, la ragione di questo si capisce visitando proprio le Eolie o godendo delle immagini di questo paradiso terrestre. Il nostro e-book serve anche per questo.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: ISOLE EOLIE

VIDEO SULLE ISOLE EOLIE
Eolie, isole dolci del Dio
Volando sui tramonti estivi di Lipari – Isole Eolie in 4k
Le isole Eolie come non le avete mai viste….


PATRIMONI DELL’UMANITA’, Le isole Eolie, formato e-book, costo 1,60 euro

 

 

Il Simbolismo: i pittori, Odilon Redon

 

Jean-Bertrand Redon, detto Odilon, dopo aver studiato pittura ed aver esposto al Salon des Amis des Arts di Bordeaux, dove era nato, nel 1864 si trasferì a Parigi. Qui entrò in contatto con Gustave Moreau e attraverso lui con gli artisti del nascente Simbolismo. In realtà, in quel periodo era in auge l’Impressionismo, che era stato vincente, a sua volta, sulla pittura accademica precedente. Lo affascinava evidentemente il ruolo dell’avanguardia. La sua ricerca personale lo portò nelle sue prime opere ad utilizzare nella composizione pochi colori (a differenza degli impressionisti), preferendo quelli classici, tutt’altro che squillanti, oltre all’essenzialità nei disegni e nelle litografie.
Era, comunque, una ricerca aperta, all’insegna dei contenuti del decadentismo. A Parigi aveva la possibilità di incontrare e colloquiare con l’arte e gli artisti del suo tempo, portando avanti la sua ricerca personale. In effetti, ebbe molti amici. Tra cui ammirava Edgar Allan Poe, Francisco Goya, Charles Baudelaire, frequentava Paul Gauguin, André Gide, ma soprattutto Stéphane Mallarmé, con cui strinse un’affettuosa amicizia.
A quasi cinquant’anni, Odilon focalizzò l’attenzione sulla pittura (mettendo da parte disegni e litografie). Cercò, infatti di estrarre dalle rappresentazioni l’emotivo, l’irrazionale ed il misterioso. Questo utilizzando semplicemente tecniche come l’olio, i pastelli e gli acquerelli. Tra i temi preferiti, Odilon, dipinse composizioni di fiori. Il suggerimento gli venne dal botanico inglese Armand Clavaud, che lo introdusse nel settore delle piante e dei fiori. Tuttavia, i suoi quadri non rappresentano il soggetto in maniera realistica. I suoi fiori provengono dalla memoria. Egli la richiama e ne dà una versione del tutto personale, rimanendo, così nell’ispirazione simbolista, e non semplicemente figurativa. Poi dai fiori alle nature morte floreali il passo fu breve. Attraverso di esse, veicolava la fantasia, l’immaginazione ed il sogno. Secondarie per gli altri, le nature morte divennero per lui, col tempo, essenziali, tanto che dal 1900, furono il suo cavallo di battaglia con cui si presentava alle esposizioni. Ironia della sorte, Odilon iniziò ad essere conosciuto e a vendere, al di fuori della ristretta cerchia degli esperti. Mettendosi in luce, cominciò ad essere conosciuto e apprezzato. Quando Paul Gauguin partì per la Polinesia, il gruppo dei pittori Nabis gli chiese di divenire il caposcuola della loro corrente artistica. Negli ultimi anni della sua vita partecipò a molte mostre, incluso quelle del gruppo Les XX a Bruxelles.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: ODILON REDON

VIDEO SU ODILON REDON:
Odilon Redon

Fonte dell’immagine;: ODILON REDON, natura morta floreale

 

 

Il Simbolismo: le influenze dei Preraffaelliti

 

In Gran Bretagna durante l’età vittoriana (a metà del XIX secolo), nacque, si sviluppò e si concluse, la corrente dei Preraffaelliti. Ebbe origine esattamente nel 1848, dalle opere di Johann Heinrich Füssli e William Blake, che a loro volta sostenevano la pittura romantica. È l’icona dell’Inghilterra dell’Ottocento e della sua società borghese e dei suoi valori. Il mondo artistico coincide con le tematiche e lo stile dei Nazareni e del purismo pittorico. Ad importare in Inghilterra questi riferimenti fu Ford Madox Brown, che, in un viaggio a Roma, nel 1845, entrò in contatto con essi.

Fu il famoso critico inglese John Ruskin, a valorizzare e promuovere il movimento dei Preraffaelliti, a partire dal 1851, quando si aprì un dibattito sulle colonne dei giornali britannici tra il critico e Charles Dickens, che scriveva sul Times. Ruskin indicò, la come arte veramente moderna, per poi comporre un saggio apposito dal titolo, per l’appunto, Preraphaelitism, dove si confrontano tecnica e stile con quella di William Turner. I Preraffaelliti vanno messi in rapporto con il lavoro dello scrittore inglese Oscar Wilde, artista decadentista. Figlia del suo tempo, la corrente preraffaellita si può ascrivere, dunque nel più generale decadentismo e da esso fino al simbolismo. L’influenza della loro pittura giungerà, addirittura, al movimento dell’Art Nouveau, di inizio Novecento.

Gli storici dell’arte considerano il fondatore del movimento il pittore Dante Gabriel Rossetti, tra gli altri: William Trost Richards, William Hunt, Ford Madox Brown, John Everett Millais, Edward Burne-Jones, ed il grande William Morris, fondatore successivamente delle Arts and Craft (che vedremo in seguito).

Il termine esatto è Confraternita dei Preraffaelliti. Esso ha origine dall’opposizione dei pittori al lavoro svolto da Raffaello Sanzio, colpevole, a loro dire, di aver dato origine all’Accademismo a lui successivo. Essi, quindi avevano come riferimento gli artisti precedenti a Raffaello, virtuosi operatori di un mondo nostalgico, quanto immaginario. In realtà, i Preraffaelliti contestavano gli stilemi accademici a loro contemporanei, affermazione della società borghese. Essi cercavano di raggiungere l’essenza di vita, arte, e bellezza al di fuori dalle “regole” artistiche, vigenti allora. Ecco quindi estrarre dalla cultura riferimenti colti, come i contenuti biblici (episodi della Bibbia, in particolare, l’Annunciazione), danteschi, leggendari e storici. Nel loro mix trova spazio anche il riferimento a William Shakespeare. Di questo colpirono la loro fantasia i drammi di Re Lear, il Macbeth e l’Amleto, dove prevale la figura tragica ed emblematica di Ofelia. L’ispirazione shakespeariana e altri temi di storia inglese trovano interpretazione e causa nel loro forte patriottismo e nazionalismo.
La pittura di paesaggio, pur svolta, non trova grande eco all’interno del movimento. Ciononostante questo genere ispirerà i pittori francesi successivi della scuola di Barbizon (Corot). Da rilevare, invece, è la particolare attenzione dei Preraffaelliti nei confronti della figura femminile, probabilmente più evocatrice di quella maschile. Il mondo al femminile verrà ripreso dalla successiva corrente Art Nouveau, che la declinerà con sinuose fanciulle, fiori, volute e rameggiati, divenendo linguaggio caratterizzante della corrente ed espressione artistica.

Eppure alcuni di essi (ad esempio, Ford Madox Brown), raccontarono anche la loro società contemporanea. È svolto, infatti, il tema spinoso dell’emigrazione verso altri continenti, in particolare verso l’Australia, in cerca di occupazione. Tant’è che viene sviluppato anche il tema del lavoro stesso, nel quadro della rivoluzione industriale, la borghesia e le manchevolezze del nascente capitalismo. Questi fattori erano visti come causa della volgarizzazione e decadenza dei costumi e dell’arte moderna.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: PRERAFFAELLISMO

VIDEO SUI PRERAFFAELLITI:
Preraffaelliti l’utopia della bellezza
Preraffaelliti: l’utopia della bellezza

Fonte dell’immagine: JOHN WILLIAM WATERHOUSE – I’m half-sick of shadows, said the Lady of Shalott 

 

 

Buckingham Palace, dalla guerra ad oggi 5/5

 

Durante la seconda guerra mondiale, il Palazzo fu bombardato, come tutta Londra, dagli aerei tedeschi. Venne colpito non meno di sette volte, perché i nazisti, bersagliando il simbolo britannico, intendevano fiaccare l’orgoglio nazionale del Regno. Una bomba colpì l’edificio mentre la famiglia reale era in visita al Palazzo. Nessuno fu, però, ferito. Le immagini del Palazzo bombardato furono trasmesse nei cinema, ottenendo il risultato opposto: l’unità della nazione. Gli aerei inglesi, come noto, vinsero la “battaglia d’Inghilterra”, contenendo e sconfiggendo la furia nazista.
Forse l’immagine più importante del famoso balcone di Buckingham Palace fu ripresa quando, nel giorno della vittoria (8 maggio 1945), tutta la famiglia reale salutò la folla straripante riunita sul Mall. Nella famiglia “vittoriosa” di quel giorno, vi era anche la futura regina Elisabetta, allora bambina.

Visitare Buckingham Palace, oggi
Non essendo Buckingham Palace di proprietà della regina (e del castello di Windsor), ma dello Stato, il palazzo ospita funzionari pubblici di alto rango. Il Governo del Regno Unito, vi possiede una sede distaccata.
Attualmente Buckingham Palace offre lavoro a 450 persone. È luogo di visite turistiche e si può avere la fortuna di partecipare a feste, udienze e banchetti, che vi si svolgono. Infatti dal 2002 persone comuni possono aggregarsi a personalità e nobiltà inglesi. In quell’occasione vi si svolse un concerto di musica classica e musica Pop. Una ventina di anni fa, invece, vennero aperte al pubblico le stanze di rappresentanza, in particolar modo nel periodo estivo. Anche tutte le Collezioni Reali, preziosissime (Non solo gioielli, ma anche arredamenti originali, dipinti e suppellettili varie), anch’essi di proprietà statale, possono essere visionati dal pubblico.
Tutti i giorni, inoltre, i turisti possono ammirare il famoso cambio della guardia all’edificio, e vi sono una serie di occasioni dove si può assistere a delle parate militari, quali: le visite dei capi di Stato, l’apertura annuale del Parlamento e varie manifestazioni legate alla monarchia britannica. Si può continuare con tutta l’ala ovest del palazzo e col grande parco della Reggia, il Buckingham Palace Gardens.

 

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Cambio della Guardia Londra Buckingham Palace
Cambio della Guardia in un ingesso secondario a Buckingham Palace

 

Il Simbolismo: i pittori, Giovanni Segantini

 

Nel 1891, alla Triennale di Milano, viene esposto il quadro “Le due madri” realizzato da Giovanni Segantini. È l’inizio della pittura divisionista. Questa ha molto in comune con il Puntinismo. Tuttavia ambedue le correnti non avendo mai pubblicato un Manifesto, non possono essere considerate dei movimenti artistici, veri e propri. Piuttosto, sia il Divisionismo che il Puntinismo, possono essere ritenuti delle tecniche di raffigurazione. Si tratta di rendere l’immagine generale rappresentandola con un insieme fitto di punti o piccoli tratti, che scompongono, altresì, i colori. Tuttavia alcuni studiosi ritengono come esponente principale del divisionismo, Pellizza da Volpedo. Il puntinismo, come il divisionismo (il ramo italiano), si rifanno ambedue al neo-impressionismo.

Giovanni Segantini ebbe una vita molto breve e travagliata, morendo a soli 41 anni (1858-1899). Gli bastarono per dimostrare le sue qualità. Nasce (nel 1858) in una famiglia povera. Alla morte della madre, avvenuta nel 1865 (quindi a soli sette anni), inizia una giovinezza troppo affrettata. Verrà custodito prima dalla sorellastra, poi dal fratellastro, ma soprattutto, per il suo carattere infelice, girò diversi riformatori, trovando pace solo quando si iscrisse a Milano ai corsi serali dell’Accademia di belle arti di Brera. Sostenendosi economicamente con piccoli lavori, dal 1878 al 1879 riesce a partecipare ai corsi regolari dell’Accademia di belle arti di Brera. Riuscì a farsi notare dalla critica d’arte, che da qui in poi, l’attenzionò. A Milano conobbe artisti, ma anche professori di pittura. Inizialmente, le sue raffigurazioni mostravano influssi dal verismo lombardo dell’epoca.

Dopo il trasferimento in Brianza (a Pusiano) e la conoscenza della donna della sua vita, Luigia Bugatti, sorella di Carlo Bugatti, inizia ad operare come pittore, con il sostegno di Grubicy, con cui redasse un contratto. La sua ispirazione si rivolge al mondo contadino della Brianza. Bisogna dire che in questo primo periodo (inizialmente), la sua pittura rimane troppo legata all’Accademia, non riuscendo ancora a trovare la propria strada creativa. Tuttavia, nelle sue raffigurazioni si riescono a cogliere le avvisaglie delle sue future reinterpretazioni personali. Cominciano i primi riconoscimenti da parte della critica (fu premiato ad Anversa). Questo gli diede la volontà di impegnarsi sul serio. Nelle campagne di Caglio, ci vollero sei mesi di lavoro all’aperto per realizzare la composizione di Alla stanga. Ne valse la pena. Il quadro, presentato alla Permanente di Milano (del 1886), ottenne un successo strepitoso. Con esso vinse la medaglia d’oro ad Amsterdam, ma soprattutto, la creazione fu acquistata, addirittura, dallo stato italiano. L’opera fu esposta (e lo è tuttora) nella Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma.
L’opera de Alla stanga, non è la semplice raffigurazione di un paesaggio, ma un montaggio di vedute agresti. Dall’erba, alle vacche alla stanga, agli alberi in lontananza, il paese e la maestosità delle montagne sullo sfondo: non è un pezzo di campagna della Brianza, ma la rappresentazione ideale dell’infinito. Nella tela, inoltre, si percepisce l’ispirazione colta alle opere di Millet e alla scuola di Barbizon.

Se il naturalismo agreste, però, gli aveva portato tanta fortuna, dopo questi riconoscimenti, Segantini ebbe un ripensamento artistico. Inizia la sua fase simbolista. Approdò anche a nuove tecniche pittoriche, come quella divisionista (con i colori puri sulla tela e non più mischiati sulla tavolozza). Cambiano anche i soggetti rappresentati, non più legati alla realtà contadina. Siamo nel 1886.

 

Se vuoi approfondire, clicca:
ENCICLOPEDIA TRECCANI: GIOVANNI SEGANTINI

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GIOVANNI SEGANTINI

Fonte dell’immagine: GIOVANNI SEGANTINI – Il Naviglio a Ponte San Marco, 1880

 

Il Simbolismo: la “ricerca” di Baudelaire

 

In un periodo di grande cambiamento, quale fu la fine dell’Ottocento, l’anima poetica di Baudelaire vibra di istanze diverse e dirompenti. Innanzi tutto, nel suo simbolismo, la ricerca di uno status interiore come luogo d’origine, ma ancora necessario, quale fu il rapporto tra uomo e natura precedente all’epoca industriale. Egli cerca di esprimere il malessere con la figura retorica della sinestesia, cioè, l’accostamento di due parole che uniscono due sensazioni sensoriali diverse. Attraverso l’allegorismo, invece, Baudelaire, critica la nuova realtà industriale e sociale, tentando di far riflettere razionalmente il lettore sul cambiamento in atto. Tuttavia, per ottenere ciò nega l’oggettivismo scientifico, alla base dei nuovi sviluppi. Egli reclama più spazio per la fantasia e l’immaginazione, messi a rischio dalle regole oggettive della nuova società. La libertà della fantasia è, per Baudelaire, un bisogno imprescindibile dell’uomo.

Ma non è una generica posizione di nostalgia verso il passato perduto. Anzi, egli cerca di capire il rapporto tra spirito poetico libero e una società tecnologica proiettata verso il futuro. Egli, quindi, cerca di capire (o di intuire) il senso del futuro che arriva, la sua bellezza. Non per nulla, infatti, è stato definito il padre della “modernità”.

Per farlo, Baudelaire, non si perde nell'”ebbrezza del cuore”. Egli ricerca la via trattando pochi temi, molto mirati e poco autobiografici. Pezzo dopo pezzo, egli crea la sua architettura poetica. Ne è un esempio la costruzione tematica del suo libro più famoso, Les Fleurs du Mal. Si organizza in sei gruppi di poesie, che trattano ognuno un tema. È un percorso meditativo che va dall’uomo alla modernità, che si incontra nelle strade di Parigi. Il fallimento della ricerca porta al conseguente ripiegamento su sé stesso e la morte. È il tentativo di individuazione del significato del modernismo e delle sue trasformazioni. È la “fotografia di un momento di evoluzione storica. Baudelaire conia i termini “modernità” e “avanguardia”. Sono le evoluzioni emotive ed esperienziali della vita, che si percepiscono nella metropoli contemporanea. Dimensioni nuove per esperienze nuove. La sua opera, sostanzialmente, ha un’importanza storiografica e terminologica. Ciononostante, Baudelaire, individuato il campo, non sa dare risposte. Saranno i suoi seguaci a continuare il viaggio intrapreso, come Rimbaud e Mallarmé. Il movimento prenderà le mosse proprio dal mondo emotivo del poeta. La decadenza del movimento simbolista porterà all’espressionismo ed al surrealismo, questo fino al postmodernismo e, con il XX secolo, all’inizio dell’età contemporanea.

Se vuoi approfondire, clicca:

http://www.treccani.it/enciclopedia/charles-baudelaire

Se vuoi seguire un video, clicca:
Charles Baudelaire e I Fiori del Male
Il Viaggio – Charles Baudelaire

Se vuoi studiare l’argomento, scaricando un pdf, clicca:
Baudelaire I fiori del male

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LiberLiber: Opere

 

Buckingham Palace e il Novecento

 

Dopo la morte della Regina Vittoria, nel 1901, il nuovo re Edoardo VII e sua moglie, la regina Alessandra, tornarono a risiedere nel Palazzo. Avendo conosciuto e praticato la migliore società londinese, si avviarono danze e feste. Per rendere più attraente la sobria reggia, nelle stanze di rappresentanza fu aggiunta una decorazione, color crema con tocchi di oro, in stile Belle époque, che attirò non poche critiche. Lo si considerò un tradimento dello stile utilizzato da Nash nella sua progettazione.

Con l’ascesa al trono di Giorgio V (1910) anche la facciata dell’ala est di Buckingham Palace venne ristrutturata nel 1916, con un rifacimento nel quale si utilizzò pietra di Portland. La composizione si armonizzava con il Lyme Park dello Cheshire (ideato da Giacomo Leoni) e fu esaltata dalla prospettiva di una grande statua, fuori della residenza, in onore della regina Vittoria, che fu chiamata Victoria Memorial.
Giorgio V, a differenza del padre, non amava feste e banchetti. Si occupò, invece, di sottolineare l’ufficialità del suo compito. La regina Maria, sua moglie, intenditrice d’arte, si applicò nella ricerca di mobili e complementi d’arredo. Altri ne fece fare di nuovi. Tra i possibili esempi, i due camini in stile impero del 1810 di Benjamin Vulliamy, sistemati nella grande Bow Room. Furono anche revisionati tutti gli impianti dell’edificio. Nel 1938, il padiglione di nord-ovest, fu trasformato in piscina.

Buckingham Palace

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CERIMONIA A BUCKINGHAM PALACE