Il Simbolismo: Klimt e l’Art Nouveau

 

Nel 1894, Klimt aveva ricevuto l’incarico dall’università di Vienna di realizzare i pannelli che dovevano decorare il soffitto dell’aula magna. Il tema era appropriato, trattandosi di raffigurare l’illuminismo, e, con esso, il trionfo della Luce sulle Tenebre. Un tema quindi culturale e simbolico per l’università. La commessa, però, fu rimandata di vari anni dall’artista e già questo aveva mal disposto i committenti. Quando Klimt, alla fine presentò la sua opera, i notabili si trovarono davanti corpi nudi intrecciati. Scandalo e rabbia: l’opera fu rifiutata. Klimt non badò alla polemica sorta. Proseguendo, nel 1902, per il Palazzo della Secessione compose il Fregio di Beethoven, in occasione della quattordicesima mostra secessionista. Il tema era svolto in maniera enigmatica, quanto visionaria. La raffigurazione esprimeva tutte le angosce ed i dolori, ma anche le fragili aspirazioni dell’uomo moderno, di quegli anni, verso il futuro.

Nel 1903, Klimt ebbe “l’incontro della sua vita”, ma non con una persona, ma con un’opera d’arte. In quell’anno, infatti, si recò a Ravenna ed ebbe la rivelazione dei mosaici bizantini. L’accostamento di colori puri opachi ad altri più lucidi fino ad arrivare alle superfici splendenti dell’oro, gli ispirarono un modo nuovo di esprimersi artisticamente. Tornato, ricco di un linguaggio innovativo, l’artista si avvicinò ai Wiener Werkstatte (Laboratori Viennesi), creati da poco. In questo periodo, foriero di novità, egli realizzò i quadri più conosciuti della sua carriera, espressione ufficiale della sua vita artistica: Giuditta I (1901), Le Tre Età della Donna (1905), il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907) e Il bacio (1907-08), la Danae (1907-1908) e L’Albero della Vita (1905-1909).
L’uso dell’oro caratterizza questo periodo della sua carriera, tant’è che viene denominato dai critici, come “periodo aureo”. Rifacendosi ai mosaici di Ravenna, i suoi quadri sono rigidamente bidimensionali, con campiture distinte, non sfumate, ma lineari. Prevale il simbolismo delle composizioni, e l’uso delle figure femminili, trattate in maniera sensuale ed erotica, nell’armonia dell’immagine generale.

Nel 1909, Klimt dipinse la seconda raffigurazione di Giuditta II. Con questo quadro egli apre il periodo consecutivo, che viene detto “periodo maturo”, o “terza fase klimtiana”. In quest’anno, infatti, ha inizia un totale ripensamento artistico sulla propria opera. Art Nouveau e Belle Epoque, lentamente vanno sfumando, in prossimità della Prima Guerra Mondiale. Si afferma, intanto, l’arte, più avanzata, di Van Gogh, Matisse e Toulouse-Lautrec. Mentre arriva la pittura espressionista, tornano a riproporsi i capolavori impressionisti, come quelli di Claude Monet. Klimt cerca di rispondere ai suoi dubbi, diminuendo l’uso dell’oro e delle linee, adottando una tavolozza di colori più accesi. Cerca di uscire dalle raffinatezze dell’Art Nouveau, in una maniera più intuitiva e spontanea.
Nonostante i cambiamenti l’astro artistico gli valse ancora molti riconoscimenti. Fu premiato alla Biennale di Venezia del 1910, e vinse il primo premio dell’Esposizione Internazionale di Arte di Roma, nel 1911. Pochi anni dopo (nel 1918), giunse inaspettata la morte per un attacco cardiaco.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: ART NOUVEAU

VIDEO SU ART NOUVEAU E KLIMT:
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Immagine di copertina
: Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907)

 

 

Il castello reale di Varsavia 1/2

 

Anche la monarchia polacca aveva la sua reggia grandiosa. È il castello di Varsavia, che fu sede ufficiale dei re e dell’amministrazione della corte reale. Mantenne queste mansioni fino alle spartizioni della Polonia. Successivamente divenne residenza del presidente della Polonia (1926-1945).

Cenni storici
La parte originaria della costruzione risale al XIV secolo e si deve ai duchi di Masovia. Dal castello, nel corso dei secoli, è andata formandosi intorno tutta la città di Varsavia. Quest’ultima nel 1596 fu scelta come capitale del regno da re Sigismondo III Wasa e di conseguenza il palazzo divenne sede istituzionale del re e della sua corte. Venne, quindi, ristrutturato per la nuova funzione amministrativa, tra il 1598 e il 1619. Il castello prese una forma poligonale. A sua volta la parte orientale (detta “ala sassone”), fu rinnovata, tra il 1740 e il 1752, su ordine del re Augusto III.

Durante la seconda guerra mondiale, la città ed il castello vennero pesantemente bombardate dagli aerei tedeschi, sia nella fase della conquista della Polonia, nel 1939, sia nel 1944, durante la Rivolta di Varsavia. Le opere d’arte che il palazzo conteneva, vennero, nel 1939, trasferite in un luogo nascosto, prima dell’arrivo dei tedeschi. Al termine della guerra furono di nuovo esposte al pubblico. Dopo la guerra, il castello è stato restaurato, con donazioni private, tra il 1970 ed il 1974. L’opera fu completata nel 1988.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: POLONIA

VIDEO SULLA REGGIA DI VARSAVIA:
castello reale varsavia 28
Polonia Varsavia La Città Vecchia, Castello Reale di Varsavia, Palazzo della Cultura e della Scienza

 

Il superamento del Simbolismo: Klimt e la Secessione

Il padre era un orafo della Boemia, la madre colta ed appassionata di musica lirica, cosicché gran parte della famiglia dimostrò doti artistiche. Infatti, oltre a Gustav, anche i suoi due fratelli, Ernst e Georg, divennero pittori. Nonostante le non floride condizioni economiche, Gustav Klimt riuscì ad iscriversi e a seguire le lezioni della scuola d’arte e mestieri di Vienna. Gli studi di arte applicata e le conoscenze personali lo portarono, ben presto, a possedere abilità in diverse tecniche artistiche, del mosaico e della ceramica.

Molto impegnato sul lavoro, Klint iniziò, sin da subito, a farsi conoscere. Già tre anni dopo la fine degli studi, ebbe il suo primo incarico: la decorazione, su progetto di Laufberger (che era stato suo maestro), del cortile del Kunsthistorisches Museum. Giunsero altre commesse (le quattro allegorie del Palazzo Sturany a Vienna ed il soffitto della Kurhaus di Karlsbad). Successivamente, per affrontare i nuovi incarichi, formò un gruppo, con un fratello ed un amico. La nuova squadra si dimostrò subito molto efficace. Con essa realizzò (tra le altre opere) la decorazione del Burgtheater. Conclusione: col successo, guadagnarono molto e divennero di condizione agiata. La fama raggiunta è testimoniata dai frequenti premi ottenuti. Nel 1888, infatti, Klimt conseguì dall’imperatore Francesco Giuseppe, un riconoscimento ufficiale.  Nello stesso periodo, le università di Monaco e Vienna fecero altrettanto.

Tutto andava perfettamente bene, ma il destino era in agguato. Nel 1892, improvvisamente gli morì il padre, e da lì a poco, perse anche il fratello Ernst. Il colpo per Klimt fu tremendo, tanto da fermarlo per sei anni dall’attività lavorativa. Tutto il dolore di questi lutti segneranno la sua successiva opera. Un po’ di sollievo gli venne dall’incontro con Emilie Flöge, che sarà la donna della sua vita e che sopporterà i suoi numerosi tradimenti con altre donne (qualcuno ha calcolato che nella sua vita Klimt ebbe almeno quattordici figli).

La Secessione Viennese
Gli anni conclusivi dell’Ottocento furono, per Klimt, forieri di passi fondamentali. Nel 1897, infatti, egli fondò (unitamente ad una ventina di artisti, pittori ed architetti) la Wiener Sezession (cioè, la “secessione viennese”). Alla base del movimento un’intenzione rivoluzionaria: quella di rifondare l’arte, superando l’accademismo imperante ed asfittico. Volevano raggiungere in maniera nuova le arti plastiche, il design (cioè, le arti applicate), e tutto questo per ridare vita alle arti ed ai mestieri, ma anche per creare una nuova architettura. Il movimento viennese girava intorno ad una specifica rivista: Ver Sacrum (tradotto, “Primavera sacra”). Di questa ne vennero pubblicati 96 numeri (l’ultimo uscì nel 1903). Intorno alla Secessione si riunirono artisti provenienti da altre correnti, come simbolisti, naturalisti ed i modernisti di varia origine. Se la rivista Ver Sacrum era la voce della Secessione, Klimt ne realizzò l’icona visiva, con il quadro della Pallade Atena (nel 1898), cioè la dea greca della saggezza e del sapere (l’immagine realizzata ottenne anche un buon successo).

Tra gli obiettivi della Secessione vi era quello di raggiungere l’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk), in tutti i campi dell’espressione artistica o tecnica (come architettura ed arti applicate). Tra le creazioni del gruppo vi fu il Palazzo della Secessione Viennese, divenuto simbolo del movimento e molto copiato in architettura. La Secessione registrò una grande affermazione sia in Germania che in Austria. I pittori ed architetti, che la composero lavorano in tutti i settori, per ottenerne una fusione totale delle tendenze e di un nuovo stile. I viennesi non furono gli unici nell’intento. Nacquero associazioni di artisti in tutta Europa, con il medesimo obiettivo. Il movimento diede origine ad Art Nouveau e Modernismo, nel Vecchio Continente
Tra i nomi altisonanti del gruppo, oltre a Gustav Klimt, vi furono: Egon Schiele, Koloman Moser, Joseph Maria Olbrich, Josef Hoffmann e Otto Wagner. 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GUSTAV KLIMT

VIDEO SU GUSTAV KLIMT:
P.Daverio – Klimt e la Secessione
Klimt: vita e opere in 10 punti
Gustav Klimt opere dal 1883 al 1918 – ‘Art Nouveau – Stile Liberty – Loreto Arte

Immagine di copertinaFoto di Gustav Klimt

Il Simbolismo: i pittori, James Ensor

 

James Sidney Edouard, Barone di Ensor nacque in Belgio, ad Ostenda nel 1860 (morì nel 1949). Introverso come carattere, non si mosse quasi mai da Ostenda. Eppure i suoi quadri, a cui si occupava ogni giorno, divennero un’icona del Simbolismo nell’arte, di fine Ottocento. Dal 1877 al 1880, frequentò l’Accademia di belle arti di Bruxelles. Al compimento del corso, nel 1881, realizzò la prima mostra personale. I suoi quadri iniziali si ispirano al naturalismo belga, che caratterizzava la pittura fiamminga all’epoca. Questo periodo della carriera di Ensor viene definito, dalla critica, “periodo scuro”. Le raffigurazioni, infatti, sono contraddistinte da colori scuri, luci deboli e radenti, che fanno vibrare le composizioni. Essi si rifanno alla tecnica del pittore francese Gustave Courbet. Il periodo scuro di Ensor si concluderà nel 1885.

Tra i nuovi spunti, a quella data, subentrano i riferimenti alla rivoluzione impressionista, con i suoi colori accesi e i suoi soggetti innovativi. Non mancano, tuttavia, i riferimenti alla pittura storica del periodo classico, come a Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel il Vecchio. Ne inizia una nuova analisi personale, dove finisce per ritrovare tali temi (la crisi del rapporto tra l’uomo e la natura) nell’avanguardia francese. Viene affascinato, in particolare, dai movimenti Simbolisti e Decadentisti. Con la sua adesione al loro pensiero, Ensor si inserirà al centro del cambiamento europeo post-impressionista.

Ciononostante, le sue opere non ebbero un grande successo. Spesso venivano rifiute dalle esposizioni del tempo. Ensor era critico contro i suoi critici, e lo dimostrò con i suoi articoli. Si unì al gruppo di Les XX, ma oltre di questo non fece. Fu collaterale alla sua cultura contemporanea. Ma come succede per i maestri che portano avanti dei contenuti, egli divenne anticipatore di movimenti, come per l’espressionismo, con la tua tavolozza e la sua tecnica di stesa dei colori, ma, soprattutto, anticipatore del surrealismo e del dadaismo, del XX secolo, che a lui si ispireranno. Tant’è che nel nuovo secolo fu rivalutato ed apprezzato, quando, però, il pittore era nella sua parabola discendente.
Come successo per Munch (il museo a lui dedicato), dopo la sua morte), anche la sua casa, ad Ostenda (dove soggiornò principalmente), è divenuta il suo museo, il museo di James Ensor.

La sua espressione
Colori e tematiche collaborano nella pittura di Ensor. I colori stesi velocemente sulla tela con colpi rapidi di pennello, dove i toni chiari sono stridenti tra l’oro, creando una dimensione inquietante. Il suo mondo si evidenzia come ambiguo ed ossessivo. Tra sogno e realtà, prevale l’incubo. Mostri, scheletri, esseri dell’oltre tomba, smorfiano e minacciano una condizione sociale scomoda quanto ipocrita. È la sua ironia verso il mondo borghese. Egli rappresenta la morte che incombe su tutte le vanità borghesi. La società del tempo, infatti, gli appare stupida, inutile e ripugnante, quanto la smorfia di una creatura mostruosa o una maschera di carnevale. In questa crisi che diventa critica, il suo mondo diventa rappresentativo, quanto simbolico. Anticipando il surrealismo, Ensor si dichiara con la sua opera, a tutti gli effetti, simbolista, il suo movimento di piena appartenenza.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: JAMES ENSOR

VIDEO SU JAMES ENSOR:
James Ensor part1
Le sorprendenti maschere di James Ensor

Fonte dell’immagine
JAMES ENSOR – Natura morta con maschere

 

 

Il Castello di Charlottenburg a Berlino

 

Dei diversi palazzi reali di Berlino, l’unico sopravvissuto alla seconda guerra mondiale è quello di Charlottenburg, che si trova nell’omonimo quartiere. È definito Schloss, traducibile come palazzo o castello. Originariamente l’area era identificata con il nome di Lietzenburg e si trovava in campagna nella periferia di Berlino. Nacque infatti come residenza estiva. A volere la costruzione del palazzo fu la regina Sophie Charlotte, moglie di Federico III di Brandeburgo, salito al trono come Federico I di Prussia, nel 1701. Dopo la prematura morte della regina, avvenuta nel 1705, il re Federico cambiò il toponimo della zona in Charlottenburg, in onore alla moglie scomparsa.

Il primo architetto incaricato da Carlotta fu Arnold Nering, che lo realizzò in stile barocco italiano. Seguentemente, dal 1709 al 1712, furono operati lavori di ingrandimento della struttura, ad esempio, con l’inserimento delle torrette, che tanto lo caratterizzano.
Il successivo re tedesco Federico II di Prussia, nel 1740, diede l’incarico della realizzazione dell’Ala Nuova, ad est del palazzo, all’architetto Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff. Poi, sotto Federico Guglielmo II, il progettista Carl Gotthard Langhans, aggiunse anche la mancante Ala ovest.

Se l’edificio, inizialmente, era costruito in stile barocco, gli interni, differentemente, sono in stile rococò (lo stile seguente). L’edificio possiede moltissimi ambienti. Caratteristica è la successione di quelle cerimoniali, aperte l’una nell’altra. Tra le sale più rilevanti (e curiose) del Palazzo di Charlottenburg vi è quella detta “Camera della Porcellana”, perché presenta alle pareti antiche porcellane cinesi, risalenti al XVII e al XVIII secolo. Rilevante è pure la sala dei balli e dei ricevimenti, lunga 42 metri e denominata “la Galleria dorata”. Una terza è la “camera d’ambra” realizzata nel 1716, per decisione del seguente re tedesco Federico Guglielmo I (re Federico era morto nel 1713). Questa fu dedicata appositamente allo zar di Russia, Pietro I. L’immancabile giardino circostante alla Reggia fu ideato. nel 1697, da Siméon Godeau. Inizialmente era in stile francese, ma nel seguente secolo venne in parte modificato in stile inglese. All’interno, come si deve, sono distribuiti numerosi piccoli edifici e fontane.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GERMANIA
ENCICLOPEDIA TRECCANI: BERLINO

VIDEO SU BERLINO E LA SUA REGGIA:
BERLINO CASTELLO DI CHARLOTTENBURG~1
Berlin-Charlottenburg
Viaggio a Berlino Cosa Vedere in un Weekend a Berlino – Documentario –

 

 

Le uova nei riti pasquali

 

L’uovo di Pasqua, insieme alla colomba, sono divenuti il simbolo della Pasqua cristiana. Se l’invenzione dell’uovo di cioccolato è relativamente recente, lo scambio a Pasqua di uova vere decorate è d’origine medievale. Nella cristianità le uova sono l’icona della resurrezione del Cristo.

Nell’antichità
Tuttavia, l’uovo, di per sé, ha sempre rappresentato la vita e la sua sacralità, sin dai tempi più antichi. Gli Egiziani lo consideravano il fulcro dei famosi quattro elementi in cui era costituito l’universo, cioè acqua, aria, terra e fuoco. Successivamente, nelle religioni pagane e mitologiche, l’uovo rappresentava il rapporto tra i due emisferi, cielo e terra. Tra i Persiani era uso scambiarsi semplici uova di gallina, beneaguranti, all’inizio della primavera, periodo che gli egizi consideravano una sorta di primo dell’anno. Tra i Greci e, perfino i cinesi, avveniva uno scambio di uova decorate. Praticamente, in tutte le civiltà antiche del pianeta, l’uovo era simbolo della cosmogonia. Nelle tombe spesso si trovano uova di creta, come augurio di un ritorno alla vita.

Questo significato fu ripreso dai cristiani dei primi secoli, interpretandolo, però, come il simbolo del ritorno alla vita dopo la morte del Cristo, cioè il simbolo della resurrezione di Gesù. Quindi, l’uovo da simbolo della rinascita della natura in primavera, divenne segno della rinascita dell’uomo in Cristo. Durante il medioevo lo scambio delle uova era tradizionale. Se spesso i nobili le regalavano alla propria servitù, gli aristocratici medievali se le scambiavano anche tra di loro, ma rese preziose da un rivestimento di oro, argento o platino. Edoardo I, re d’Inghilterra, arrivò ad ordinare circa 450 uova di valore.

Le moderne uova di cioccolato
In genere, durante la quaresima, se si è a digiuno, si evita di mangiare uova sode, che però, messe da parte, arricchiscono la successiva tavola pasquale. L’uovo mantiene un ruolo principale, in moltissimi paesi e tradizioni. È il caso delle festività nei Balcani, dove si professa la religione greco ortodossa, in cui ci si scambia uova colorate di rosso (simbolo della Passione del Cristo). I colori, comunque, in altre zone possono essere diversi. Questi nel passato erano d’origine vegetale, mentre ora si usano coloranti alimentari frequenti in pasticceria. Nel giorno del giovedì santo, in particolare (data la commemorazione dell’Ultima Cena), e nei giorni specifici della Pasqua, si donano e si consumano molte uova sode, ricche di significati.

Attualmente
Nell’ultimo secolo l’uovo maggiormente diffuso è quello di cioccolato, amato dai bambini soprattutto per la sua sorpresa chiusa all’interno. Tuttavia l’invenzione della sorpresa nell’uovo non è recentissima. Fu l’orafo Peter Carl Fabergé che la ideò nel 1883, quando lo zar russo gli commissionò un regalo “speciale” per la zarina Maria. Ispirandosi forse alle famose bambole Matriosca, egli creò un uovo particolare. Era realizzato in platino smaltato di bianco, al cui interno ve n’era un altro in oro, il quale, aperto, rivelava due sorprese: il facsimile della corona imperiale ed un piccolo pulcino, immancabilmente, d’oro. Era nato il primo “uovo di Fabergé”.

Una volta le uova di cioccolato venivano realizzate da mastri pasticceri. Negli ultimi decenni quest’uovo è prodotto industrialmente da grandi ditte dolciarie. Nei banchi dei supermercati vengono esposte uova di cioccolato di tutte le dimensioni, già un mese prima della Pasqua. Ciononostante, le uova di cioccolato, confezionate da pasticceri, mantengono un proprio mercato un po’ ovunque. Ultimamente si sono diffuse anche uova decorate a tema. Nel giorno di pasquetta, poi, di uova se ne mangiano nei picnic, con gran gioia dei bambini.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: RESURREZIONE

VIDEO SULLE UOVA DI PASQUA
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Uno dei significati della Pasqua

 

È Pasqua. Resurrezione o risurrezione, sappiamo tutti di che cosa stiamo parlando: della resurrezione di Gesù Cristo. Nell’antichità la morte era la fine della vita. Nella mitologia greca solo gli dei erano immortali. Gli uomini rimanevano ombre nell’Ade. Nella Bibbia, l’uomo ritornava polvere. Se si moriva prematuramente, l’accadimento era giudicato come punizione divina. Solo a livello di comunità salvata, si concepiva la morte del singolo. Il concetto di resurrezione appare, per la prima volta, nella Bibbia con Isaia e Daniele. La morte poteva essere superata solo per volontà divina. Altrimenti la resurrezione avveniva alla fine dei tempi, nel Regno di Dio, con la vittoria finale sul peccato.

Il nostro concetto di resurrezione, viene spiegato da Gesù Cristo stesso, per più volte e in contrasto con le credenze dei Sadducei. Questo si ritrova nei vangeli, gli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di S. Paolo (ai Romani). L’evangelista Marco usa, a questo proposito, un termine greco ad indicare l’atto di “rialzarsi” per acquisire un altro corpo, Gesù ammonisce gli apostoli a parlarne solo dopo la sua resurrezione. Nelle lettere di S. Paolo (agli Ebrei), ammettendo il controllo della morte al diavolo, S. Paolo afferma che solo Dio salva, dà la vita o ridà la vita. Il Cristo ha liberato dalla schiavitù e ha reso l’uomo una nuova creatura, regalandogli una nuova vita. La sua venuta, morte e resurrezione è fondamentale per l’uomo. Tanto che Marco scrive: Non avere paura, abbi solo fede.

Col tempo, la Chiesa ha posto il tema della resurrezione come fondamentale, essenziale. Mentre, infatti, agli inizi del Cristianesimo, il destino delle anime veniva toccato di passaggio. Si attendeva la seconda venuta (l’arrivo di Parusia, la presenza del Divino) e la salvezza dell’umanità. Il tema dello Sheol (il “mondo delle anime”) divenne poi centrale. Nel corso dei secoli, si è rivalutata, non solo la resurrezione di Gesù Cristo, ma anche quella di Lazzaro di Betania (Vangelo di Giovanni) e le altre presenti nei racconti evangelici (ad esempio in Matteo). Anche S. Paolo si dichiara sicuro della risurrezione dei morti (negli Atti): “nutrendo in Dio la speranza (…) che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti”. Altre citazioni si ritrovano nei Tessalonicesi e nell’Apocalisse.

Non essendo prossima la Parusia (o ritorno del Cristo) si modulò il concetto di resurrezione. Nell’ebraismo i giusti erano accolti nel “seno di Abramo” (viene citato anche nel Vangelo). Nel Cristianesimo, questo venne denominato “Paradiso”, che sarebbe giunto dopo un eventuale periodo di purificazione (in Purgatorio). Ecco che diventa fondamentale la preghiera per la salvezza delle anime scomparse, soprattutto nei primi tre giorni dopo la morte e, naturalmente, anche dopo. La sostanza e l’importanza della preghiera, la ritroviamo nella Chiesa Cattolica e in quella Greco-Ortodossa. Alla fine del mondo ecco il Giudizio universale, per i giusti e gli ingiusti, con la resurrezione della carne e la vita eterna nel Regno di Dio, come premio o per punizione.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: PASQUA

VIDEO SULLE PROCESSIONI DI PASQUA
Lipari, la processione di Pasqua 2016
Processione Pasqua Noto 2015
Processione di Pasqua a sulmona
Domenica di Pasqua – Processione di Cristo Risorto a San Ferdinando di Puglia – 27/03/2016

Fonte dell’immagineAntonello da Messina, Crocifissione, 1475 circa, Anversa.

 

 

Il via ai lavori della reggia austriaca 2/2

 

I lavori, iniziati nel 1696, andarono per le lunghe (a causa delle guerre di successione). Nel frattempo, l’edificio si ridimensionò, in quanto ad imponenza e maestosità. Per la base di Schönbrun fu adottata la “pietra dell’Imperatore”, una varietà gialla, molto compatta e dura, caratteristica della zona. I lavori proseguirono, ma con lentezza. Nel periodo dell’imperatore Carlo VI, l’attenzione per la “piccola” residenza crebbe maggiormente. Questo decise di destinare la costruzione a residenza estiva della famiglia asburgica. Tuttavia, i lavori di ampliamento della struttura, morto lui, furono curati dalla figlia Maria Teresa d’Austria, che, tra il 1743 ed il 1749, dette la direzione all’architetto Nicolò Pacassi, il quale stravolse l’aspetto della costruzione portandola da piccolo palazzo di caccia a Reggia, vera e propria. Durante il regno di Maria Teresa, fu realizzato gran parte dell’arredo in stile rococò austriaco, che è una caratteristica saliente.

Nel 1747 venne eretto il teatro di corte, dove si eseguirono pezzi di Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, eseguiti dagli stessi autori. Nel 1765, Johann Ferdinand Hetzendorf von Hohenberg, architetto neoclassico, mise a punto l’immagine della reggia e dal 1772 realizzò nel parco l’edificio della Gloriette, che costituisce la grande prospettiva del giardino imperiale. Maria Teresa d’Austria riuscì a vedere, poco prima della sua morte, l’ultimazione dei lavori di costruzione della reggia austriaca. Era il 1780; ma, tra il 1817 ed il 1819, vennero eseguiti nuovi lavori di ristrutturazione dell’aspetto della residenza.

Nel 1830, nella reggia di Schönbrun, nacque l’imperatore Francesco Giuseppe, dove regnò e morì nel 1916. Con la sconfitta nella prima guerra mondiale, si spense, così, la lunga storia secolare degli Asburgo. Si concluse anche l’epoca monarchica in Austria. Successivamente, una parte della reggia fu trasformata in scuola per bambini orfani di guerra o dalle famiglie povere. In essa trovarono spazio ben 350 bambini. Dopo le vicende della seconda guerra mondiale (le bombe caddero anche sulla reggia), l’edificio fu rapidamente restaurato. Già nel 1948, in parte fu aperto al pubblico.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  VIENNA

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Vienna – Itinerari in 3 giorni
Austria da amare: la Vienna di Sissi, breve storia degli Asburgo.

 

 

Il Simbolismo: i pittori, Edvard Munch

 

Il Simbolismo ebbe grande seguito nell’Europa settentrionale. Un esempio ne è Edvard Munch, pittore norvegese (1863-1944). La sua vita fu molto travagliata. A peggiorarla una sopravvenuta malattia mentale, che ne caratterizzerà la carriera. Curiosamente, sull’altra sponda del mare, in Olanda, nacque un suo quasi contemporaneo, quale Vincent Van Gogh, anche lui con problemi psichici. Così come nei Paesi Bassi esiste oggi un museo interamente dedicato a Van Gogh, anche in Norvegia (ad Oslo) si trova un museo esclusivo su Eduard Munch.

Se ogni artista ha la sua ricerca interiore, Munch, nella sua, esplora grandi emozioni legate alla vita, quali amore, paura, angoscia, morte, malinconia ed ansia. È una grande visione esaustiva della comunicazione voluta dal pittore. Il suo Simbolismo è diretto ed efficace, mai oscuro. Questo perché egli parte da una specie di autoanalisi, e da qui la ricerca di una condivisione con lo spettatore. È un approccio moderno ai problemi. Egli infatti scrive “Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore”.

La sua ispirazione è del tutto privata e particolare. Carica di simbolismi (fu partecipe della corrente Simbolista, insieme a pittori come Gustave Moreau e James Ensor), seppe contagiare i contemporanei, risultando di riferimento a correnti, tipo l’espressionismo tedesco e nord-europeo. Risulta avere, infatti, una carica intensa e pregnante.

L’urlo di Munch
Camminando con degli amici in una lunga passeggiata, Edvard Munch si fermò stanco, ammirando un incredibile tramonto norvegese. Il cielo era diventato improvvisamente rosso sangue sulla città. Scriverà: “I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. Così nacque quello che sarà il suo capolavoro, L’urlo, che ancora oggi, colpisce per la sua sintesi emotiva dell’angoscia dell’uomo. È un messaggio lancinante inviato dalla tela. Il tutto trasfuso grazie al suo stile pittorico, senza fronzoli e crudo. Ma se il messaggio è chiaro allo spettatore, non lo è alle due piccole figure ai margini del quadro. È la vera impossibilità di comunicazione tra noi esseri umani. È un fragile modo di guardarsi dentro nelle nostre domande senza risposta. Su tutto incombe la natura. Veramente un’opera senza tempo.

Munch seppe coltivare anche la propria memoria. Alla sua morte, infatti, donò tutte le sue opere in suo possesso alla città di Oslo. Questa ne fece buon uso. Tant’è che fu aperto un museo, costruito ex-novo, denominato Museo Munch, dove si trovano, ora, tutte le opere ereditate dalla cittadinanza. È stato inaugurato nel 1963. Tutto da visitare.
Oggi inoltre, tale museo è proprietario del copyright dell’opera artistica del pittore e ne gestisce il marchio in tutto il mondo. Lo stato norvegese lo ha evidenziato in maniera eccellente. Ad esempio, la banconota da 1000 kroner (la più alta), ne riporta l’effige. Ugualmente le Poste norvegesi hanno stampato un francobollo commemorativo del centocinquantesimo della sua nascita.

A testimoniare ulteriormente, la valenza dell’arte di Munch, basta citare una delle versioni de “l’urlo”, realizzate dal maestro, venduta dalla londinese Sotheby’s, per una cifra totale di 119.9 milioni di sterline, tra le somme maggiori mai registrate da una casa d’aste.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: EDVARD MUNCH

VIDEO SU EDVARD MUNCH:
Pittori del ‘900 – Edvard Munch
“L’Urlo” di Munch – Spiegazione del quadro

Fonte dell’immagine: EDVARD MUNCH – L’urlo, 1893

 

Il Simbolismo: i pittori, Giovanni Marchini

 

Nato a Forlì, Giovanni Marchini si trasferì da piccolo in Argentina, nel 1890, seguendo la famiglia a Buenos Aires. Rientrò in Italia nel 1896. Dopo aver imparato i rudimenti del disegno e della pittura in Sud America, tornato in patria proseguì la carriera, studiando belle arti prima a Firenze, dove insegnava Giovanni Fattori, poi a Venezia, infine all’Accademia di Belle Arti di Roma (grazie ad una borsa di studio offertagli dal comune di Forlì).

A differenza di Odilon Redon, non dovette aspettare la maturità per ottenere i primi consensi. Nel 1903, espose a Milano il quadro Il cavallo narratore, ottenendo un discreto successo, anche grazie alla sua ispirazione letteraria. Si era ispirato ad un racconto di Leone Tolstoj. È ritenuto il quadro migliore del suo periodo Simbolista. L’anno seguente, a Napoli, poté apprezzare le opere dei pittori della scuola di Posillipo.

Dopo aver realizzato degli affreschi in palazzi o Chiese (nel palazzo Paganelli Rivalta a Terra del Sole e nella Chiesa di San Francesco a Forlì), Marchini partì volontario per la Prima Guerra Mondiale. Tornato alla vita civile realizzò diversi affreschi, come nella villa Masini a San Pietro in vincoli, altri per la villa Dettoni a San Pietro in Cariano (nel 1928), per la Cattedrale di San Pietro apostolo di Senigallia, presso Verona (nel 1931).

Le sue opere si incentrano in particolare sul tema del rapporto dell’uomo con la natura, soprattutto nei paesaggi. Ebbe anche un occhio di riguardo con il mondo dei poveri e degli ultimi. Fu pittore, quindi simbolista ma stranamente in questo tema contaminato dall’influsso verista. Presentò dei suoi quadri all’Esposizione Permanente di Milano (nel 1922) ed all’Esposizione Biennale di Roma (nel 1925). Realizzò molte altre opere, che, tuttavia, sono andate perdute o danneggiate.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  GIOVANNI MARCHINI

Fonte dell’immagine: GIOVANNI MARCHINI – I vecchi del ricovero, 1899