“Cultura Crea” per le imprese del Sud

 

INVITALIA, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – facente capo al Ministero dell’Economia – col proposito di “dare valore all’Italia” promuove il rilancio delle aree di crisi, soprattutto nel Mezzogiorno, e gestisce incentivi sostenendo imprese e startup innovative. A settembre, in accordo col Mibact, lancia una nuova iniziativa a favore della filiera culturale e creativa delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e – buon per noi – Sicilia. “Cultura Crea” è il programma varato per realizzare e sviluppare iniziative imprenditoriali nel settore dell’industria culturale-turistica e per sostenere le imprese no profit che puntano alla valorizzazione delle risorse culturali presenti sul territorio. L’iter sembra spedito, perché in quattro mesi dalla presentazione della domanda l’impresa sarà in grado di operare sulla base di un contratto di finanziamento appositamente stipulato. Le risorse complessive, relative al finanziamento agevolato a tasso zero e al contributo a fondo perduto, possono arrivare a coprire il 90% delle spese ammesse. Le agevolazioni, concesse fino ad esaurimento delle risorse, ammontano a 107 milioni di euro: 42 per la nascita di nuove imprese, 38 per il sostegno alle imprese già attive, 27 per il terzo settore. A conti fatti non meno di 200 progetti saranno sviluppati per dare vita a servizi per la fruizione turistica e culturale, iniziative di promozione e valorizzazione, recupero di produzioni tipiche locali. Agli stalli di partenza: dal 15 settembre, su www.culturacreativa.beniculturali.it si potranno presentare le domande e informarsi sui roadshow e i vari webinar. Che dire? Il futuro appartiene a coloro che ci credono.

 

Home

 

La Parigi ereditata, romantica o del futuro?

 

La Parigi costruita dal barone Haussmann, alla fine dell’Ottocento, divenne, in breve tempo, molto copiata ovunque nel mondo. Lo stile architettonico adottato per la sua realizzazione fu quello eclettico, uno stile che doveva risultare avveniristico e nuovo per i tempi. Anche sotto il profilo urbanistico Parigi fu all’avanguardia. Non parliamo della tecnologia del ferro, tanto che quando, all’esposizione universale del 1889, fu costruita la Torre Eiffel, vanto della “modernità”, la città doveva risultare letteralmente fantascientifica, a chi, naturalmente, viveva allora e ne conosceva i linguaggi. Oggi, invece, si parla di città “romantica”. Il tempo ha capovolto le cose. Ma non sarà solo una questione di tempo a rendere il passato così romantico? 

Una mappa based che mostra (in rosso) il Streetwork haussmanniano tra il 1850 e il 1870.
Una mappa che mostra (in rosso) gli interventi viari haussmanniani tra il 1850 e il 1870.

 

Il Tema La Parigi di Haussmann
Dopo avere ottenuto l’incarico da parte del re di ristrutturare Parigi, Haussmann si ispirò ai larghi viali alberati dell’urbanistica del XVII secolo francese, che fu definito “il culto dell’asse”. Creò, quindi, strade larghe e diritte, raddrizzando anche quelle precedenti. Ecco dunque i Boulevard, viali ampi almeno 30 metri, e le Avenue strade principali tracciate a congiungimento delle importanti piazze e costruzioni del centro, quali place du Trône collegata alla Place de l’Étoile, o anche dalla Gare de l’Est all’Observatoire.

Questa soluzione urbanistica tendeva a mettere in valore grandi opere del passato come anche di nuova creazione, come l’Opéra Garnier, magnifico esempio dell’architettura eclettica del periodo. Rappresentazione massima di questa metodologia è simboleggiato proprio dalla place de l’Étoile da cui si dipartono ben 12 viali, tra cui l’avenue des Champs-Élysées. Questa valorizzazione urbanistico-architettonica diede a Parigi un’immagine moderna e grandiosa, politicamente di forte impatto. È stato calcolato che ben il 60% della città fu interessata dai lavori del barone Haussmann.

Non solo. Nei regolamenti edilizi adottati dalla città vennero fissati dei parametri molto severi. Gli edifici non potevano superare i 5 piani per le nuove costruzioni, presentando inoltre appartamenti non più bassi di 2,60 di altezza. Altresì vennero introdotte diverse forme abitative, quali l’immeuble de rapport (un edificio con più appartamenti, ma di un unico proprietario) e l’hôtel particulier, una residenza di lusso per un unico proprietario. I nuovi sistemi abitativi e l’ampiezza degli isolati voluti da Haussmann incentivarono gli interessi legati alla nuova edilizia parigina, con enormi profitti e la riorganizzazione della rendita immobiliare.

In virtù della volontà igienista, Haussmann diede il meglio di sé. Furono creati nuovi parchi urbani e valorizzati quelli già esistenti. Si diede, infatti, vita al parco delle Buttes Chaumont e Montsouris, nonché al Bois de Vincennes e al Bois de Boulogne. Ma Haussmann fece molto di più per la salute dei parigini, creando una moderna rete idrica ed un sistema di fognature adeguato alla grandezza della città.

Tra le grandi opere realizzate, vanno enumerate le Halles (i mercati generali) e le diverse stazioni ferroviarie. Sempre in questo periodo, si diede vita al piano di illuminazione pubblica, che trasformerà Parigi in una città all’avanguardia per i tempi. Non mancarono le critiche da parte dei vecchi proprietari, della stampa e delle opposizioni politiche in Parlamento, ma già a distanza di poco tempo se ne capì il significato e la grandiosità dell’intervento del barone Haussmann, passato ormai alla storia.

Home

 

Isole Eolie: Alicudi

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

 

ALICUDI

A circa 34 miglia marine da Lipari è situata verso ovest l’isola di Alicudi. Molto piccola (di 5,2 km² circa), è caratterizzata dal monte Filo dell’Arpa, che raggiunge 675 mt dal livello del mare ed è un vulcano spento dalla forma quasi perfettamente conica, che degrada fortemente verso ovest con ripidissime scogliere. Sul lato orientale la montagna presenta un andamento più dolce e vi si accentra l’unico agglomerato di case, che come l’isola prende il nome di Alicudi, con un centinaio di abitanti, chiamati Arcudari. L’isola, anticamente denominata Ericusa (cioè ricca di erica), fa parte del comune di Lipari.

Contrariamente alle aspettative, storicamente non si sviluppò mai la pesca, ma l’agricoltura, di cui si possono intravvedere gli antichi terrazzamenti sul monte, la cui origine vulcanica rendeva fertile e coltivabile la terra. Ad Alicudi le principali colture sono rappresentate da ulivi, vite e capperi. La pesca è praticata oggi, ma la risorsa principale è il turismo, anche se in misura minore rispetto le altre isole dell’arcipelago. L’isola è collegata a Lipari da aliscafo e traghetto. Si attracca ad un piccolo molo, ma esiste anche uno spiazzale per l’atterraggio di elicotteri in caso di necessità. A parte una piccola strada asfaltata di poche centinaia di metri nell’abitato, l’interno ha percorsi in terra battuta, lungo i quali ci si muove esclusivamente con asini, muli e, naturalmente, a piedi.

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.

 

 

Macerie, una volta di più

 

TERREMOTI. Prevederli non significa indicare in anticipo zona, giorno, ora, intensità. Ma avere l’idea che, prima o poi, l’evento si verificherà. Fronteggiare il problema non è mai una questione tecnica, ma politica ed economica; perché sono politica ed economia ad indirizzare i programmi. La tecnica individua solo come realizzarli. La carta della classificazione sismica non è, perciò, una figurina per illustrare i tragici resoconti di cronaca. Il livello massimo di pericolosità si estende lungo la dorsale appenninica, senza discontinuità, dall’Italia centrale fino ad attraversare lo Stretto. Studiosi e tecnici lo spiegano a chiare lettere: siamo letteralmente seduti su di una polveriera con una sigaretta accesa fra le dita. I dati sono resi più drammatici dal fatto che circa il 70% del patrimonio storico ed artistico dei nostri bellissimi centri è fatiscente. Le sopraelevazioni e persino certe sostituzioni dei vecchi impalcati in legno, con nuovi solai cementizi, premono – verticalmente od orizzontalmente – su murature in pietrame che utilizzano leganti aerei di antichissima data. Neppure gli stabili dei primi anni del Novecento, costruiti con telai in calcestruzzo armato, sono sempre del tutto sicuri, poiché le competenze dell’epoca erano empiriche e le normative ancora deficitarie. Recuperare pertanto i centri storici, per adeguare alle attuali prescrizioni antisismiche un tessuto edilizio fragile e vulnerabile, dovrebbe costituire l’obiettivo fondamentale del nostro Paese. Urge un programma di prevenzione, risanamento e restauro, che prenda in considerazione l’intero territorio italiano a rischio. Perché, una volta di più, non basterà ricostruire le aree colpite dal sisma del 24 agosto.

Home

 

Prospettive – La Parigi del barone Haussmann

 

Prendete una cartina di Parigi e cancellatene un buon 70 per cento. A questo punto, realizzate la nuova Parigi! Sembra una sciocchezza, vero? Eppure è proprio quello che fece il barone Haussmann a metà dell’Ottocento. Pochi anni dopo, alla fine del secolo, Parigi era riedificata praticamente ex novo. Il suo fascino oggi dipende, quindi, dal visionario barone. Città pensata, città realizzata. Quando si dice che basta la volontà…

Il Tema

Molto del fascino di Parigi si deve al lavoro del barone Georges Eugène Haussmann, che dal 1852 al 1869, in qualità di prefetto del dipartimento della Senna, ristrutturò la città. Fu nominato barone da Napoleone III, proprio in virtù della sua opera. Dopo avere svolto studi in scuole di grande prestigio di Parigi (la famiglia ne aveva la possibilità), quasi subito iniziò la carriera di funzionario di Stato, che assolse con ottimi risultati in diverse prefetture di Parigi. Si mise in luce, in particolare, per le realizzazioni urbanistiche, con la creazione di strade, scuole e piantumazioni a verde, come nel dipartimento del Lot-et-Garonne. La sua vita ebbe una importante svolta nel 1853, quando Victor de Persigny, ministro dell’Interno, lo presentò a Napoleone III, che lo nominò Prefetto di Parigi e Senna.

L’attività di prefetto di Parigi fu accompagnata da altre nomine prestigiose: ad esempio, divenne membro dell’Académie des beaux-arts, nel 1867. Ma fu anche segnata da forti contrasti politici. Il deputato Jules Ferry, in particolare, lo fece mettere sotto inchiesta per i disinvolti finanziamenti dei lavori pubblici della capitale. Tanto che nel 1869 fu estromesso da prefetto con disonore, prima ancora di ultimare i lavori di trasformazione della città. Tuttavia, Haussmann continuò a ricoprire un ruolo di primo piano, nominato deputato nel 1877 e nel 1881. Il valore della trasformazione di Parigi lo mise in grande luce, tanto che gli fu richiesto, dal governo italiano presieduto da Crispi, un progetto anche per Roma, nuova capitale d’Italia. La sua stesura, tuttavia, non convinse molto. Egli aveva proposto per la città romana una “medicina” molto simile a quella francese. Strade larghe e diritte, demolizioni, ampliamento di piazze, il tutto in una soluzione planimetrica ortogonale. Accantonato per qualche anno, il progetto fu parzialmente attuato dal successivo regime fascista. Il barone Haussmann scrisse le sue memorie, in tre volumi, pubblicate fra il 1890 e il 1893. Morì nel 1891.

La Parigi del Re

L’input per il rinnovamento della capitale francese non venne da Haussmann, bensì dal re Napoleone III. Infatti, nel corso della sua permanenza a Londra, ebbe modo di apprezzare le trasformazioni della città in conseguenza della ricostruzione dovuta all’incendio del 1666 che l’aveva annientata. La città riedificata, aveva seguito principi innovativi d’igiene e di urbanistica, con strade larghe ed edifici non più in legno, ma in muratura. Al suo ritorno la capitale francese, al contrario di quanto veduto in Inghilterra, gli apparve caratterizzata da strade strette e malsane, eredità del periodo medievale. Il re aveva, perciò, più di un motivo per cambiare volto alla città. A cominciare proprio da quello igienico, desunto dal pensiero illuminista del secolo prima e, soprattutto, dopo l’epidemia di colera, registrata in città, nel 1832. Sotto il suo slogan “Parigi abbellita, ingrandita”, si nascondeva, però, una precisa volontà politica. Per superare la coabitazione con il popolo, Luigi XIV (il famoso Re Sole), aveva fatto costruire Versailles. Dopo più di un secolo, Napoleone III fece la scelta opposta: trasferire il popolo fuori da Parigi. La corona non si sentiva tranquilla, soprattutto dopo le rivolte parigine del 1830 e del 1848.

 

Home

 

 

 

 

 

Come Orione, costruire la città della città

 

L’AREA FALCATA rappresenta uno degli ambiti più critici di Messina. Vi si concentrano tutte le incoerenze che nel tempo hanno caratterizzato questo sito di fondamentale importanza. Le strutture, tra mito e storia, hanno sempre svolto funzioni integrative di quelle urbane. Funzioni particolari: religiose, cimiteriali, sanitarie, difensive, militari, produttive, economiche, portuali e ovviamente di collegamento fra le due sponde dello Stretto. Gli ultimi interventi industriali dismessi hanno provocato fenomeni di marginalizzazione tangibile. Per fronteggiare tale situazione nel recente passato la Soprintendenza ha incaricato il prof. Massimo Lo Curzio di redigere un progetto per la realizzazione del Centro di Documentazione Arti Contemporanee (CDAC), con l’idea di recuperare e valorizzare ciò che rimane della Real Cittadella. È noto che il finanziamento regionale, accordato per un importo di oltre 11 milioni di euro, è andato perduto. Qualcuno nel backstage ha macchinato contro ma è possibile recuperare e rilanciare il progetto, ha evidenziato il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone alla conferenza promossa dal Kiwanis Club di Messina, presieduto dal prof. Cosimo Inferrera. La realizzazione di un Master Plan propositivo sulla Zona Falcata, sarà l’impegno che il Club ha preso per l’autunno e ha affidato il coordinamento del tavolo tecnico all’arch. Vittorio Potestà. Restauro, conservazione, servizi attinenti alle attività pubbliche e culturali, punteranno a considerare la massima fruizione della Falce, dando vita ad una «città… della città». Sarebbe un modo per riscattare – partendo come Orione dal suo luogo identitario – anche una Messina senza più un’anima, che questo luogo ha sempre negato.

Home

 

La lingua sciatta della consuetudine

 

SULL’ORATORE. Quanti approdano a Messina, ricevono la benedizione della Madonnina del porto: «Vos et ipsam civitatem benedicimus». Ma pochi di loro sanno che la Vergine parla la lingua della Chiesa e non quella di Cicerone. Lo studente del Classico sa, invece, che il verbo “benedire” regge il dativo e che la sua professoressa correggerebbe “vos” con “vobis”. Lo stesso studente ha imparato che quello insegnato nei licei è il “latino letterario”, che persino Dante usava maldestramente se Petrarca lo bacchettava a dovere. Adoperava il latino della “consuetudo”, che burocrazia, giurisprudenza, scienza, continueranno ad utilizzare. Cioè il latino della “rusticitas”, la rozzezza del campagnolo; mentre Cicerone promuoveva la lingua della città che nella sua “urbanitas” addensava le regole della Roma repubblicana. «Caratteristiche precipue di questo “latino nuovo” sono la regolarità, l’uniformità ortografica, la chiarezza semantica e la complessità sintattica, la cosiddetta ipotassi, in cui il congiuntivo la fa da principe e gli utilizzi di questo sono dettati da criteri convenuti». Chi parla è Nicola Gardini, docente di Letteratura comparata a Oxford. Con “Viva il latino”, spiega come tale lingua, non più parlata, sia testimoniata da una miriade di manoscritti quanto di testi a stampa. Permane nella forma scritta, quella più elaborata e monumentale, «più durevole del bronzo» (Orazio). Per cui, Dante non avrebbe concepito “La Commedia” senza Virgilio e Machiavelli i “Discorsi” senza Livio. Nel “De Oratore” Cicerone affermava: «La lingua deve portare luce alle cose». Scopriremmo quanto è scritto sulla vanità. Impareremmo a misurare le parole e non ci sogneremmo di blaterare a sproposito. Vero Di Maio?

 

Home

 

Primi passi per l’economia culturale

 

IO SONO CULTURA. Quest’anno la faccina demodé in copertina al rapporto annuale di Fondazione Symbola e Unioncamere, alla 6ª edizione, zittisce le malelingue. Cultura e creatività, nello scenario internazionale, sono considerati uno dei motori primari delle economie avanzate. “Cultura e istruzione” sono l’undicesima priorità del programma Juncker e Silvia Costa che presiede la Commissione Cultura del parlamento Europeo afferma che «è arrivato il momento per rimettere al centro i valori della cultura, della creatività, dell’educazione e del dialogo interculturale». I pilastri fondanti sono presto detti: il patrimonio culturale, le imprese creative e culturali, il Digital Single Market e il capitale umano. Quando si affrontano simili argomenti la mente dei più corre alla cultura scolastica, ma il perimetro di attività è ben più complesso. Il Rapporto 2016 prende in considerazione due dimensioni. Il “core cultura”, cioè il nucleo di elaborazione vera e propria, e l’area circostante di attività “creative driven”, l’unica in crescita, ossia il manifatturiero “evoluto” e l’artigianato artistico. Ora bisogna sviluppare il cuore centrale del sistema, composto da quattro macro-domini: industrie creative (architettura; comunicazione e branding; design) industrie culturali (film, video, radio-tv; videogiochi e software; musica; libri, stampa ed editoria) patrimonio storico-artistico, performing arts e arti visive. Si aprono spazi enormi di elaborazione e d’impegno; ma necessita una considerazione. Se l’economia culturale e creativa può mobilitare i giovani, occorre evitare formule di lavoro tanto flessibili da trasformarsi in precariato ad oltranza. Il capitale umano è la più grande risorsa che abbiamo.

Home

 

Il tempo. Come guadagnarlo piuttosto che sprecarlo – 3/3

di Sergio Bertolami

Per dare una soluzione concreta all’agire dovremmo, dunque, comprendere la vera natura delle nostre attività. Se siamo capaci di affrontare una grande quantità di impegni possiamo definirci efficienti; ma quante volte riusciamo a completarli nei tempi giusti, così da definirci anche efficaci? La maggior parte di persone, in verità, tranquillizza la propria coscienza facendo solo un mucchio di cose, poco importa se siano produttive o meno. Sicuramente saranno importanti oppure urgenti, perché questi sono i due fattori principali che definiscono le attività. Ma solo l’urgenza è direttamente connessa al tempo, poiché l’importanza è sempre soggettiva: è legata cioè ad una attribuzione di valore. Il valore, scrive Franco Archibugi, «non è una proprietà fissa e inerente delle cose. È piuttosto una proprietà variabile la cui grandezza non dipende dalla natura della cosa in sé, ma da chi la valuta e dalle circostanze in cui è valutata». In altre parole sta ad ogni persona distinguere tra l’essenziale e il superfluo, così da definire le priorità. A questo proposito vale ricordare il principio di Pareto, che qualcuno conoscerà come “Legge 80/20”. Vilfredo Pareto afferma che «la maggior parte degli effetti è dovuta ad un numero ristretto di cause». L’80% degli effetti, vale a dire, è determinato solo dal 20% delle cause. È un principio essenzialmente economico, ma è stato riformulato ed applicato a diverse situazioni. Nel nostro caso possiamo asserire che se il 20% della risorsa tempo genera l’80% del valore, escludendo le ore di sonno, solo per poco più di tre ore al giorno siamo davvero efficienti ed efficaci.

Tale esiguo valore dipende proprio dal modo in cui affrontiamo le attività. Quelle imposte dal sistema in cui agiamo e dagli imprevisti che dovremmo essere capaci di affrontare. Quelle, ben più importanti, inerenti alle scelte cui dare una risposta giusta e adeguata. Per aiutarci a gestire tutto ciò, potremmo richiamarci alla matrice di Dwight Eisenhower, che rappresenta il modo usuale d’impiegare il tempo. Ideata proprio da Ike, il presidente americano, che affermava risoluto: «Ciò che è importante raramente è urgente». La sua analisi si riferisce proprio all’urgenza e all’importanza delle attività. Collocando le urgenze sulle ascisse di una matrice righe per colonne e le rilevanze sulle ordinate, ne scaturiscono quattro criteri guida. Cose importanti e urgenti; cose importanti ma non urgenti; cose non importanti ma ritenute urgenti; cose per nulla importanti e niente affatto urgenti. Queste ultime, va da sé, sono da eliminare, poiché, pur rappresentando un’alta tentazione, producono perdita di tempo che si ripercuote su efficienza ed efficacia. Le urgenti-non-importanti generano solo “rumore”, per cui vanno gestite attribuendo loro il tempo giusto nel momento giusto. Sono materia da negoziare.

Le prime e le seconde attività costituiscono, dunque, quell’ottanta per cento del nostro tempo che non genera valore, ma che brucia quanto di meglio si ha nella vita. A ciò che invece conta davvero dedichiamo solo il venti per cento del tempo. Con un aggravante, determinato dall’urgenza piuttosto che dall’importanza. Per cui siamo immediatamente presi dalle cose urgenti ed importanti, e subito dopo dalle cose urgenti ma non importanti. Terzo interesse è toglierci di torno tutto ciò che in qualche modo crea fastidio. Solo in ultimo dedichiamo attenzione alle cose importanti della vita, le quali, come osserva Ike, non sono affatto urgenti. Queste attività che siamo portati a trascurare rappresentano tutto ciò che dovrebbe essere pianificato nei tempi lunghi. Ma proprio per questo rimandiamo continuamente ogni programma, poiché l’immediato è sempre più assillante. In realtà fare progetti non è avere la testa fra le nuvole, come la maggior parte di persone pensa, ma sapere quale direzione scegliere per costruire il futuro. Perché, senza ricorrere alla chiaroveggenza, questo è l’unico modo per prevederlo. Chi progetta e costruisce sa bene quanto la programmazione sia alla base delle soluzioni corrette. Persino Dio, architetto dell’universo, creò il mondo e tutto ciò che seguì «nel tempo che aveva fissato». Così è scritto nella Genesi. Come, più che scritto, è sottinteso che non solo il lavoro dovrà occupare tutto il nostro tempo. «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto».

Eolie, le isole dal magnifico orizzonte

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

LE ISOLE EOLIE.

Si racconta che un principe greco trovò riparo sulle isole dell’arcipelago. Questi era talmente bravo a prevedere il tempo grazie all’osservazione delle nuvole e dal movimento dei fumi provenienti dai vulcani del luogo, che gli isolani, che vivevano per lo più di pesca, lo mitizzarono a tal punto da farne una figura del tutto superiore.. Il principe si chiamava Eolo, fu facile confonderlo con Eolo, il dio greco dei venti. L’arcipelago prese perciò il nome di Eolie, ossia isole dei venti.

L’arcipelago situato di fronte a Milazzo, sulla costa tirrenica della provincia di Messina, è d’origine vulcanica e presenta due vulcani in attività come Stromboli e Vulcano. Per la sua unicità, le Eolie sono state nominate Patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO. Sono visitate ogni anno da più di 200.000 turisti per la loro bellezza. Le isole dell’arcipelago sono sette (a cui si aggiungono isolotti e scogli affioranti dal mare) e per la precisione:
Alicudi
Filicudi
Lipari
Panarea
Salina
Stromboli
Vulcano

Sono raggiungibili tramite aliscafi e traghetti, oltre che da Milazzo, Sant’Agata di Militello e Messina, anche da Palermo, Reggio Calabria e Napoli. Esistono anche collegamenti a richiesta con elicottero dagli aeroporti di Catania e Reggio Calabria

.logo_patrimoni_4

Home

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.