Antichi mestieri: il cappellaio

 

Non tutti i cappellai sono matti. Anzi, il mestiere di cappellaio è molto interessante, soprattutto sotto il profilo ideativo. Se ormai sono pochi quelli che ne fanno uso, il lavoro perdura. I modelli per uomo sono pochi, vero, ma i cappelli da donna, oggi, sono creati direttamente dalla fantasia del cappellaio. Infatti, per una donna, in un’occasione importante, il cappello è un segno di distinzione, molto ammirato e molto commentato.
Tuttavia, ultimamente, il settore registra una strana evoluzione. Tra i giovani ha preso piede il cappellino da baseball, molto usato anche dai rapper. Il concetto è particolare: non si cambia lo stile del cappello, ma la sua decorazione e colore. Ne esistono tantissimi tipi, come è capitato per i modelli delle cosiddette scarpe da tennis (in gomma). Ugualmente, si evidenziano i cappellini fatti a maglia o a uncinetto. Lavorando, perciò, su una buona piazza, la committenza e le commissioni non dovrebbero mancare.

Il Borsalino
Se nell’Ottocento esistevano la tuba, la bombetta e la paglietta, oggi, perdura il Borsalino. Dalla fine del XIX secolo fino circa gli anni ’50, è stato molto usato. Il nome deriva dall’azienda italiana che lo produce, divenendo di uso comune. È un cappello semirigido, realizzato in feltro, con una tesa larga 6 centimetri. Se giunge ad 8 centimetri, prende il nome di Fedora. Se, invece, il bordo è più corto, il cappello è chiamato Trilby. Il borsalino è “decorato” con una fascia scura intorno alla testa. Si possono trovare versioni del cappello di ogni colore, ma, nell’uso pratico, emergono in nero, marrone e in rosso scuro.

Il borsalino venne ideato per la moda femminile, ma negli anni ’20 fu applicato a quella maschile, raggiungendo un buon uso ed evidenza tra gli uomini di una certa importanza. Andò sostituendo la Lobbia, un cappello simile nella forma, dello stesso periodo. Oltre che per moda, il cappello copriva egregiamente il capo. Inoltre, essendo semirigido, poteva essere arrotolato e messo da parte. Il Borsalino, in verità, nasce dal titolo di un’opera teatrale, del 1882, di Victorien Sardou, Questa, fu scritta appositamente per Sarah Bernhardt, che vi interpretava il personaggio principale di Fedora (da qui il nome). Il pezzo venne messo in scena in America, nel 1889.

A metà del secolo scorso, il Borsalino divenne una moda maschile. Tuttavia, più tardi, negli Stati Uniti, il cappello, in generale, perse d’importanza. Come per la bombetta, il nuovo tipo di abbigliamento e moda maschile rendeva superfluo il cappello.  La Fedora ed altri copricapi scomparvero negli anni ’70. Nelle piccole automobili del boom economico degli anni Sessanta, il cappello a larghe tese era di una scomodità evidente. Scomparve, quindi, il concetto di cappello. Solo più recentemente vi è stato un revival del Borsalino, molto utilizzato dal mondo della moda.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL CAPPELLAIO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Ma quanti cappelli hai? [la mia collezione]
Cappelli New Era Rap – Abbigliamento Hip Hop : Video
10 modelli di cappelli ai ferri gratis

 

Antichi mestieri: il guantaio

 

Il mestiere artigiano del guantaio è quanto di più improbabile ci sia. Guanti e cappelli completavano l’abbigliamento, sia maschile che femminile. Ma mentre per il cappellaio, rimane ancora uno spazio di creatività artigiana, il mestiere del guantaio ha subito tutta l’ondata dell’industrializzazione e del mercato. Come spazio operativo rimane il guanto su misura. Stoffa o cuoio, che sia, possono essere modellati su richiesta. La qualità della fattura dev’essere elevatissima, vera e propria arte. Il laboratorio deve farsi notare in città rinomate nella moda o con dei riferimenti artigiani importanti. Ciononostante, l’On Demand, alla lunga, può regalare qualche soddisfazione.

I guanti sono fatti per proteggere le mani. Sono un’invenzione antica, più di quanto si possa pensare. Già se ne parla nell’Odissea di Omero. Nella tomba del faraone Tutankamon ne sono stati rinvenuti degli esemplari. Erano, infatti, nella civiltà egiziana, portati come segno di alta nobiltà e ad uso liturgico. Sono stati citati, sempre in epoca classica, da Marco Terenzio Varrone nel De re rustica. Il loro uso: proteggersi dal freddo.
Con la fine dell’impero romano, essi divennero assai rari, molto ambiti e desiderati.  Naturalmente in Europa continuarono ad essere distinzione di nobiltà. Non bisogna però pensarli simili a quelli di oggi. Erano, infatti, del tipo detto a manopola (muffole) o a sacchetto, che contenevano, cioè, tutta la mano. Solo in un secondo tempo, fu permesso nella fattura l’uso delle dita separate. Erano, tuttavia, inizialmente molto scomodi e ingombranti.
Stranamente, col tempo, l’abitudine di portare i guanti (una volta diffusi) sviluppò modi di pensare e di comportarsi. Avete presente l’espressione: “gettare il guanto”? Bene, nasce dall’abitudine, tra i nobili, di gettare il guanto ai piedi dell’avversario, in segno di sfida. Se questo lo raccoglieva voleva dire che accettava il duello con la spada.
Ugualmente, nel darsi la mano, si prese l’abitudine di toglierli, altrimenti la stretta sarebbe stata giudicata da maleducati. Oggi non ci si fa più caso, anche se qualcuno mantiene l’abitudine. I guanti in Massoneria sono simbolo di onore di candore.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GUANTO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Mauro Squillace – Maestro Guantaio
Guanti Alex – Come si produce un paio di Guanti

Home

 

Antichi mestieri: la ricamatrice

 

Si parla di pizzi, merletti e lavori all’uncinetto. Il mestiere di ricamatore, che prima si imparava in famiglia, oggi è accessibile in scuole professionali, che offrono corsi specifici. Vi sono anche corsi di ricamo on-line. Essendo un lavoro artigianale non di moda bisogna sceglierlo per passione. Ci vuole pazienza e creatività. Le applicazioni non mancano. Dai tessuti ricamati per una casa raffinata, fino al restauro di antichi merletti. Se non si trova la possibilità di entrare in laboratori specializzati, è preferibile associarsi con altre appassionate del mestiere. Bisogna tener conto infatti, della grande competizione con le ricamatrici cinesi. Ecco perché il lavoro dev’essere di qualità.

Sin dalla Bibbia si parla di ricami, ma è nell’epoca normanna che si afferma l’arte del ricamo. Con tessuti e decorazioni colorate si vestivano papi, re e aristocratici. I primi laboratori di ricamatori, però, nascono in Italia, nel Trecento. Quindi, una crescita in grandezza. Successivamente, nel Cinquecento, l’arte del ricamo si trasmise tra le nobildonne nelle varie corti. La pratica era così diffusa, che in questo secolo vengono pubblicati i primi libri sul tema. Ad esempio, Il Burato: Libro de recami, redatto ed illustrato da Alex Paganino.

Nel XVIII secolo, viene fondata la Grand Fabrique, per volontà di Luigi XIV, dove il re riunì tutte le ricamatrici di Francia. L’intenzione era di possedere un abbigliamento d’altissimo livello, ma l’arte del ricamo fu impiegata anche per la decorazione degli arredi delle sue grandi e numerose Regge.
Pizzi e merletti erano molto amati nel Settecento, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento maschile. Il mestiere di ricamatore in questo periodo ebbe un momento di grande prosperità. Gli istituti religiosi lo insegnavano a giovani praticanti. Da qui presero piede, anche, le raffigurazioni a merletto che si riferivano a passi della Bibbia o del Vangelo. In epoca moderna, come ad esempio negli anni ’50 del secolo scorso, il mestiere di ricamatrice si imparava dalle suore o dalla propria nonna, dopo la scuola dell’obbligo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL RICAMO

VIDEO: I consigli di una ricamatrice: Maria Candida Cenci

 

Home

 

Antichi mestieri: il sarto

 

Il mestiere del sarto non è semplice, come potrebbe sembrare. Occorre gusto e fantasia, ma anche abilità tecnica e attenzione ai minimi particolari. Questo mestiere non si può improvvisare, ma richiede una grande esperienza lavorativa, che ci si crea soltanto lavorando nella pratica quotidiana. Insomma, per fare il sarto ci vuole stoffa.
Non è detto, però, che ci si debba interessare degli aspetti imprenditoriali, ma semplicemente, si può seguire una pratica in una buona sartoria, conquistando, col tempo, professionalità ed esperienza sul campo.
Per svolgere l’attività, oltre al proprio gusto, bisogna, infatti studiare molto per giungere fino alla cultura propria del mestiere. All’inizio, comunque, tra i requisiti, bisogna avere sensibilità, abilità pratiche, inventiva, disposizione alle innovazioni tecniche ed artistiche, ma anche la conoscenza del mondo della moda nelle sue evoluzioni.

Il mestiere del sarto è esistito sin dall’antichità, ma con un concetto diverso: quello di “rappezzatore” (dal termine latino), per poi raggiungere nel tempo il valore di un vero e proprio artigianato specialistico. Il sarto si occupa, sostanzialmente, del confezionamento degli abiti maschili e femminili. Il suo mestiere è andato crescendo di valore, tanto da aver segnato la storia del costume, sia in Italia che all’estero. Da noi, nel primo dopoguerra (tra gli anni ’50 e ’60), è arrivato ad una grande affermazione con la nascita progressiva dell’abbigliamento pronto, per evolversi oggi nell’Alta Moda italiana. Questa si è sempre distinta per fantasia e creatività, nonostante l’industrializzazione tenda sempre di più alla meccanica ed alla essenzialità.

Il mestiere richiede una grande sensibilità e gusto, tanto da consigliare il cliente sull’abito da realizzare e poi vestirlo nel modo migliore, secondo la necessità. Inizialmente (ma anche ora), l’attività consisteva nella creazione di un abito su misura seguendo la moda corrente (stile, taglio e tessuti). Oggi, con il “pret a porter”, il sarto compone vestiti per tutti e spesso ne crea la moda. Con l’industrializzazione del settore tessile, infatti, egli segue la filiera delle attività. Il suo lavoro spesso è di controllo delle singole fasi: il disegno dello stilista, la modellista, che realizza il cartamodello ed i sarti che tagliano e cuciono la stoffa, oltre alla modella che lo indossa. Seguono poi le fasi tecniche della produzione, diffusione, e, naturalmente tutte le fasi economiche legate al mestiere.

Nonostante, la diffusione delle confezioni industrializzate e non più individuali, il mondo dell’alta moda oggi conferma la sia capacità trainante, benzina per le grandi sartorie. Resiste, però, nell’Italia centro meridionale la pratica delle piccole botteghe artigiane, che continuano a vivere offrendo la fattura di capi per occasioni cerimoniali, realizzazioni per vestiti con taglie alte, e per riparazione di abiti precedentemente acquistati.


ENCICLOPEDIA TRECCANI: ABBIGLIAMENTO
ENCICLOPEDIA TRECCANI: LA MODA

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Il sarto Agostino
Vitale Barberis Canonico
Corso alta sartoria

 

Giovan Battista Moroni, il tagliapanni

Home

 

Antichi mestieri: il tappezziere

 

Anche il mestiere del tappezziere ha un’origine storica. Per ritrovare lavori di tappezzeria, bisogna risalire all’epoca dei Babilonesi e degli Egizi. Insomma, in Oriente. Da noi, in Europa, le prime avvisaglie si hanno nella Francia dell’VIII secolo. Ma è all’epoca delle crociate, che si diffonde veramente la pratica tessile. Questa col passare del tempo, trovò applicazioni nelle case signorili, ma, in particolare, nelle chiese. Oggetto: tende, sofà e sedie imbottite. Tuttavia, il vero successo del mestiere arriva dal XIX secolo con l’invenzione dei mobili imbottiti, quali poltrone e divani. La loro strumentazione, per lo più d’origine storica, ne di mostra la complessità. Per fare qualche esempio: il martello “da tappezziere”, il tirachiodi, le tenaglie, il punteruolo, il “tiracinghie”, taglierine, oltre agli strumenti per il cucito, le forbici da sartoria, forbici curve, e altri strumenti.

Nelle nostre città i tappezzieri sono ovunque, ma il loro è un lavoro che richiede grandi capacità artigianali e attenzione nei particolari. Se si vuole avere successo, il tirare a campare o la superficialità devono essere bandite. Lavorano principalmente sul rifacimento ed il restauro di vecchi mobili. L’alternativa è trovare impiego nel settore della produzione di nuovi mobili in grandi aziende.
Il loro mondo è, quindi, quello delle stoffe nell’arredamento, cioè mobili con sedute soffici, tende, ma anche tappeti. Tuttavia l’occupazione principale è la pratica artigiana, quella del fare. Spesso si appoggiano a negozi specializzati nella vendita dei tessuti d’arredo, che non mancano certamente. Bellezza, cura del dettaglio, comodità e morbidezza sono il loro sinonimo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: TAPPEZZERIA

Salotto, Wallace Collection, Londra

Home

 

Antichi mestieri: il tintore

 

Il mestiere del tintore

Il tintore si occupava di tingere direttamente i filati o le stoffe grezze tessute a completamento della lavorazione. Con l’evoluzione della gamma coloristica, si perfezionò il lavoro. Questo fino alla meccanizzazione del settore tessile. Tuttavia, negli anni ’50 e ’60 del Novecento, le ristrettezze economiche del dopoguerra, portarono le persone a rinnovare i propri abiti con l’uso di tingerli diversamente. Oggi non è più così. Ma, se con l’industrializzazione la produzione di stoffe ormai è un discorso automatizzato, che comprende anche la fase coloristica, la tintura continua ad esistere. È divenuta, infatti, una pratica propria delle lavanderie (e tintorie), che, oltre al lavaggio e la stiratura dei capi, alcune di esse offrono anche il servizio di tintura dei vestiti. Ma non è divenuto per questo, un lavoro semplice, perché è caratterizzato da diverse insidie tecniche, che mettono in pericolo la perfezione dell’operazione. Si conferma, quindi, nel piccolo, l’abilità artigiana dell’ex mestiere di tintore.

Il mestiere del tintore si applicava principalmente, alle fibre tessili, i filati ed i tessuti, in genere. Ma non basta, perché si dava (e si dà) colore anche al cuoio, alle pelli, al legno, ma anche ai capelli, cosa di cui si occupano attualmente i parrucchieri. Tintoria e tessitoria hanno sempre proceduto in coppia nella Storia. Anche oggi, la loro applicazione si lega all’industria dell’abbigliamento, e, quindi, direttamente al campo della moda.

La tintura consiste, in pratica, in un bagno del tessuto, in cui sono stati disciolti dei coloranti. L’evoluzione dei coloranti ha permesso l’ampliamento della gamma dei colori, e quindi indirettamente lo sviluppo dell’abbigliamento, maschile e femminile.

Le origini della tintura

Si fa risalire la coloritura degli indumenti, addirittura, al neolitico, grazie al ritrovamento di rarissimi vestiti dell’epoca, che ne portano il segno, e di pesi da telaio. Inizialmente, i coloranti erano tutti di origine vegetale o animale. Tra i primissimi, quelli estratti dalla robbia, il guado e l’uva. Al tempo degli Egizi si utilizzavano l’henné, il cartamo, lo zafferano e la curcuma e come mordente l’allume. Tutti materiali prodotti localmente. Tra i Babilonesi ed i Caldei, in Mesopotamia, venivano applicati colori alla lana, anche in una fase di filatura. Tutti dal tono molto acceso, quali i rossi ed i gialli. Il nero, presso gli Ebrei, si otteneva dal bitume, recuperato nell’area del mar Morto. I mirtilli davano il colore violetto, mentre altri colori si ottenevano dalle galle di quercia e dai suoi parassiti (il kermes).

Con i Fenici, nel XV secolo a.C., il colorante era estratto dal mollusco dei murex e si otteneva un bellissimo colore porpora. Con la vendita dei tessuti colorati, nacque, la prima pratica commerciale tra le altre popolazioni nel Mediterraneo.

Nel III millennio a.C., in India si utilizzava per il cotone il colore indaco, che risultava anche il più esportato. I colori tessili, in Giappone, erano ottenuti dalle alghe, molto utilizzate nel confezionamento dei Kimono femminili. Contemporaneamente, in Cina, dove era sviluppata la bachicoltura, si colorava la seta attraverso un metodo tenuto, per secoli, segreto dalla corte imperiale, che si arrogava il diritto di produzione e vendita.

Nel Sud America, le popolazioni delle civiltà dei Maya, Aztechi, Toltechi ed Inca, per tingere i propri vestiti, vi applicavano estratti da radici, cortecce e legno, ma anche dalle cocciniglie, che davano un rosso molto acceso ai capi. Quando fu scoperta l’America, le tecniche importate in Europa diedero una grande scossa all’abbigliamento del Vecchio Continente, rivoluzionandolo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: TINTURA:

 

Rappresentazione dell'arte del tintore, antica stampa
Rappresentazione dell’arte del tintore, antica stampa

 

Home

Antichi mestieri: il tessitore

 

Il mestiere del tessitore

Carlo di Borbone, oltre che re, fu un grande imprenditore. Egli diede vita in prossimità della sua Reggia di Caserta, gli stabilimenti reali di San Leucio, una tra le più antiche fabbriche tessili, dove si creavano stoffe per l’abbigliamento e per le varie tappezzerie del tempo. Mandò persino dei napoletani in Francia, a studiare le tecniche della tessitura. Ciononostante, anche queste tecniche, nella loro evoluzione, approdarono alla meccanizzazione dei processi lavorativi. Con Joseph-Marie Jacquard, inventore del telaio omonimo, le procedure si semplificarono ulteriormente. Il telaio Jacquard, infatti, era mosso da una semplice scheda perforata. Il telaio era controllato da un solo dipendente. Erano gli albori della moderna informatizzazione. Vi possiamo dire che questi telai di San Leucio sono stati ripristinati ed oggi sono funzionanti, da quelli più antichi e casalinghi (che i tessitori tenevano in casa ad uso familiare) al telaio Jacquard con le sue schede.

Anche il lavoro del tessitore è, quindi, tra i mestieri che sono andati scomparendo. Ma c’è da chiedersi: ovunque? Forse in Iran o Afghanistan, non sono stati avvertiti dell’arrivo dell’industrializzazione, perché continuano a produrre i loro tappeti con il telaio (se non a mano). Tappeti che sono da noi apprezzati e comprati. Esiste, quindi, ancora una nicchia di mercato, forse piccola, ma molto valutata.

 

Per saperne di più: Complesso monumentale del Belvedere di San Leucio.

TESSITURA: ENCICLOPEDIA TRECCANI
http://www.treccani.it/enciclopedia/tessitura/

Home

 

I nostri calendari lunari 3/3

 

Non tutti sanno dell’esistenza del calendario lunare e del calendario luni-solare. Il primo ha una durata di circa 354 giorni ed è legato alle dodici lunazioni (le rotazioni della luna intorno alla Terra). Il secondo tipo cerca di fare coincidere l’anno lunare con quello solare (che è di 365 giorni), applicando degli espedienti.
L’uso del calendario lunare è antichissimo. Arcaiche popolazioni, come i babilonesi, ma anche gli indù o i cinesi, lo utilizzavano. Il loro però era un calendario luni-solare, data la necessità di armonizzare le coltivazioni con il cambiamento delle stagioni. Tra i calendari luni-solari il più famoso è quello cinese, in vigore da tempi remotissimi, adottato in tutto l’impero (che era molto vasto). L’uso permetteva alle popolazioni di utilizzare l’astrologia, allora molto importante (se non essenziale). Anche il calendario ebraico è del tipo lunare, ma nella necessità di farlo coincidere con quello solare, gli ebrei aggiungono un mese intercalato, chiamato embolismico.

Senza rendercene conto anche noi utilizziamo un calendario lunare. Infatti, poiché la chiesa cattolica adotta ancora il calendario ecclesiastico (lunisolare) la data della Pasqua è stabilita con quello. Ecco perché il giorno di Pasqua varia tutti gli anni. Il calendario ecclesiastico non considera, quindi, le reali irregolarità del moto lunare, ma ne fa una media, basandosi su una luna ipotetica.

Il calendario islamico
Il più importante calendario lunare è quello islamico. Anch’esso è di tipo luni-solare, detto “Hijri”. Si basa su 12 mesi lunari, di 29-30 giorni. Tuttavia, la regolarità dei mesi non permette una sincronizzazione con i noviluni, né con le stagioni. I musulmani perciò aggiungono ogni tanto un giorno in più ad un mese di 29 giorni, detto di Ramadan. Questo permette loro di ottenere un anno di 355 giorni. Il ritardo che si crea con l’anno solare, viene risolto con l’aggiunta di una decina di giorni ogni 33 anni, permettendo un collegamento perfetto con i vari calendari solari e luni-solari.

 

 

Il nostro calendario solare 2/3

 

Il calendario gregoriano ed il calendario giuliano sono due calendari solari. La Terra, infatti, nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole impiega circa 365 giorni per una rotazione completa, cioè, la durata del nostro anno. Questo è diviso in 12 mesi, di durata diversa. Ciononostante, i mesi non seguono precisamente le fasi lunari. Da qui la differenza con i calendari lunari. Gli anni bisestili (ogni quattro anni) rendono preciso il calcolo astrale. Grazie alla rotazione delle quattro stagioni, è possibile organizzare l’anno in funzione dei lavori agricoli. Le stagioni non mutano mai la data di inizio e sono legate ai solstizi ed agli equinozi.

La scansione del nostro calendario, fu adottata il 15 ottobre 1582 per volontà di Papa Gregorio XIII (da cui il nome), attraverso l’emanazione di una specifica bolla papale. Fu adottato in tutta l’Europa cattolica. In quella protestante posteriormente, nel XVIII secolo. In Svezia, anche se paese europeo, il cambiamento avvenne solo nel 1753. Le Chiese ortodosse russa e serba mantengono attualmente il calendario giuliano.
Nel resto del mondo molti paesi di altre confessioni hanno adottato il calendario gregoriano abbastanza recentemente, come il Giappone (nel 1873), la Cina (nel 1912), l’Egitto (nel 1875) e la Turchia nel 1924.

Nel 1923, in Russia, fu creato il Calendario rivoluzionario sovietico, che non ebbe, però, grande fortuna, dato che fu abbandonato nel 1940, per tornare al gregoriano. Anche alcune Chiese ortodosse stanno verificando l’ipotesi di lasciare il loro calendario (che differisce attualmente di 13 giorni rispetto al nostro) e allinearsi al resto dell’Europa cristiana.

Tu, che calendario usi? 1/3

 

Il Capodanno è passato da poco, siamo quindi all’inizio del nuovo anno, il 2017, ed è da noi inverno. In realtà, nell’emisfero meridionale sono in piena estate e, inoltre, per culture come quella musulmana e quella cinese, il capodanno arriverà in altre date. Anche la datazione degli anni non è la stessa. Sempre i musulmani non sono nel 2017. Questo perché il loro calendario è quello lunare e non solare come il nostro. Ancor più la nostra datazione ha inizio dalla nascita di Gesù Cristo, mentre il loro è riferito alla posteriore Egira.

Tutte queste differenze esistono perché il calendario, in realtà, è una convenzione dell’uomo per calcolare il passaggio del tempo e delle stagioni (importanti soprattutto in campo agricolo). Esso quindi non esiste in assoluto, ma è legato alle diverse culture esistenti sul pianeta (siamo in pieno campo antropologico). Tant’è che esistono diversi calendari ufficiali, diversi per nazione, con feste e ricorrenze legate alla propria cultura. Diciamo che generalmente si organizzano in settimane (circa quattro al mese), in mesi (per lo più dodici l’anno) ed anni (ma di diversa lunghezza).
Il nostro calendario è denominato “calendario gregoriano”, ed è adottato della maggioranza della popolazione mondiale. Tuttavia, sul pianeta esistono, oltre al nostro, Il calendario cinese, il calendario islamico, il calendario nazionale indiano, quello della Thailandia, il calendario persiano (in Iran e Afghanistan) ed infine in Israele si riferiscono al calendario ebraico.

Una curiosità: le diverse Chiese ortodosse usano ancora, per motivi liturgici, il calendario giuliano, precedente a quello nostro gregoriano. Quest’ultimo, infatti, fu adottato nel 1582, quando, dato il caos creato da quello giuliano, costrinse il papa a promulgare un calendario unico per tutti. Nel medioevo, infatti, anche se molti paesi seguivano il calendario giuliano, la numerazione degli anni cambiava, in conseguenza della data del capodanno. Così vi erano anni che partivano dal 1º marzo, il 25 marzo (il giorno di Pasqua), o, addirittura, il 1º settembre. Nella sostanza, ci volle un Papa che stabilisse il capodanno alla data del 1º gennaio.

È risaputo che la numerazione che seguiamo è collegata all’anno di nascita di Gesù Cristo. La data della nascita fu calcolata dal monaco Dionigi il Piccolo, nel VI secolo. I due calendari seguenti, il giuliano ed il gregoriano, partivano, quindi, per i cristiani da questa data. Gli anni antecedenti portano la sigla a.C., mentre quelli successivi portano quella d.C., anche se si omette per i periodi storici più recenti. Per gli antichi romani la numerazione iniziava dalla presunta fondazione di Roma. Il calendario ebraico parte, addirittura, dalla creazione del mondo (calcolata sulla Bibbia).