Il museo egizio di Torino

 

Il museo egizio di Torino è d’assoluto livello internazionale. È considerato, infatti, il più importante museo egizio dopo quello del Cairo. Il suo nome completo è Museo delle Antichità Egizie di Torino.

In epoca napoleonica, al tempo delle campagne in Egitto, il console generale di Francia in loco era Bernardino Drovetti, piemontese. Poiché in Europa era scoppiata la moda delle antichità egizie, il console, nel periodo dell’occupazione, raccolse in una sua collezione privata ben 8000 pezzi, che descrivevano il complesso mondo antico dell’Egitto. Vi era di tutto: statue, sarcofaghi, mummie, papiri, statuette, amuleti e monili. In seguito, portò la sua collezione in Italia. Nel 1924, il re piemontese Carlo Felice, prendendo l’iniziativa, acquistò la collezione del Drovetti, e, unendovi quella di casa Savoia, aprì il primo museo dedicato esclusivamente all’arte egizia.

Sul finire dell’Ottocento, il direttore del museo piemontese, Ernesto Schiaparelli, spinse verso nuove acquisizioni in Egitto, con acquisti, ma anche con campagne di scavi promosse dallo stesso museo. Fu così che la collezione crebbe notevolmente, raggiungendo i 30.000 pezzi.

Il museo egizio di Torino ha la sua sede nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze (dell’omonima Accademia), costruito nel Seicento, su progetto dall’architetto Guarino Guarini. Al suo interno, fino al 2012, vi era contenuta anche la Galleria Sabauda.

Nel 2004, il museo è stato conferito, con tutti i suoi beni, ad una Fondazione di enti locali, che comprende la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT. La Fondazione è presieduta dallo scrittore Alain Elkann. È così possibile una gestione più veloce, potendo godere di finanziamenti da parte delle fondazioni bancarie. Nell’anno dei giochi olimpici invernali, ospitati da Torino, il 2006, il museo egizio è stato visitato da 554.911 persone.

 

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La reggia di Peterhof in Russia

 

Nell’elenco delle Sette meraviglie della Russia (ma, soprattutto, inserita tra i Patrimoni dell’umanità dell’Unesco) vi è la reggia dello zar denominata Peterhof, fatta costruire da Pietro il Grande. Essa si trova ai margini del Golfo di Finlandia, ad ovest di San Pietroburgo, fatta costruire tra il 1714 e il 1723. Organizzata su più palazzi, copre una superficie di 607 ettari. Attualmente, il palazzo di Peterhof è meta turistica di persone provenienti da ogni parte del mondo. La Reggia è raggiungibile via mare (con aliscafi) e via terra (con autobus e sevizi), che partono da San Pietroburgo. I vari palazzi si possono ammirare solo con visita guidata. Anche i parchi sono aperti al pubblico: ciò vale per i giardini superiori, mentre i giardini inferiori sono visitabili solo muniti di biglietto.

Peterhof in tedesco vuol dire “Corte di Pietro”. Lo fu davvero. Dalla data di costruzione, la reggia svolse il compito di residenza ufficiale degli zar. Quando, invece, nel 1918, vi fu la Rivoluzione d’Ottobre, la reggia passò all’uso di museo. Durante la seconda guerra mondiale, i mobili, i reperti e le statue vennero trasferiti per sicurezza altrove (8 000 oggetti e circa 50 statue). Appena in tempo. L’edificio, infatti, fu bombardato e la città di San Pietroburgo, fu conquistata dai nazisti, che la detennero dal 1941 al 1944. Lo scontro militare si svolse anche tra le strade e tra le costruzioni della città difesa dall’armata rossa. La guerra lasciò macerie e morti. La reggia fu stravolta.  Nel dopoguerra la pesante eredità richiese un’attenta ricostruzione, che continua tuttora. Se il Parco inferiore fu recuperato nel 1946, solo nel 1964 le prime sale vennero riaperte alle visite del pubblico. Oggi, come detto, è meta turistica.

Più che una reggia, quella di Peterhof è un complesso reale. Esso si compone, infatti, di diversi singoli edifici. Citiamo, ad esempio: il Gran Palazzo, l’edificio di Montplaisir, Palazzo Marly, il Padiglione dell’Ermitage e il Cottage.
Il palazzo principale del complesso è il Gran Palazzo, che è anche il maggiore, in quanto a dimensioni. All’edificio iniziale vennero aggiunte, tra il 1745 ed il 1755, per volontà della zarina Elisabetta, due ali monumentali, che furono progettate dall’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli. Nell’edificio, la sala del trono risulta la maggiore dell’intero complesso, e fu realizzata, nel 1770, da Jurij Velten. L’anno successivo, fu realizzata, invece, la “stanza di Çeşme”, che si ispira all’omonima battaglia. Fu affrescata da Jakob Philipp Hackert, tra il 1771 e il 1773.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: SAN PIETROBURGO

VIDEO SU SAN PIETROBURGO:
San Pietroburgo la reggia di Peterhof I giardini
San Pietroburgo la Reggia di Peterhof Interno del Palazzo Grande
Documentario: Città Del Mondo De Agostini: San Pietroburgo
St. Petersburg – San Pietroburgo i posti da non perdere
Immagine di copertina: Fontane della Reggia di Peterhof – estratta da Wikimedia Commons

 

 

I Palazzi Reali di Bruxelles

 

Costruito nel 1788, il cosiddetto palazzo reale di Bruxelles, dal 1867, quando fu acquistato da Leopoldo II, ha rappresentato la monarchia belga, tanto che tuttora ne è la residenza ufficiale.
Già a prima vista, il Palazzo colpisce per la sua imponenza. Ciononostante sono gli interni ad essere un capolavoro di magnificenza. Ciò si deve al re Leopoldo II, che volle un arredo in stile Luigi XVI. Tuttora originale. Tutte le stanze sono ben decorate, arricchite di fregi in oro, specchi e tappeti. Presentano degli affreschi al soffitto ed opere d’arte notevoli ai muri, provenienti da tutta Europa. Cosicché, le stanze più importanti colpiscono molto, essendo ricercate sin nei particolari, come la Sala degli Specchi, la sala del Trono e le varie sale da ricevimento.

Nell’edificio, oggi, sono contenute, ovviamente, le stanze della famiglia reale, dove abitano i re, e gli Archivi Reali, che ne narrano la storia, propria e del Belgio intero. La Reggia possiede un vasto parco, che misura 13 ettari di terreno. Al suo interno, sparsi un po’ ovunque, si incontrano, passeggiando piacevolmente, piccole costruzioni, quali statue (più di 60), fontane, porte classiche e padiglioni, utilizzati ancora per feste ufficiali.

Il castello di Laeken
Se il palazzo reale di Bruxelles viene utilizzato attualmente per tutte le cerimonie ufficiali, il castello di Laeken, nella periferia di Bruxelles, è la residenza effettiva dei re del Belgio, dal 1831. Per questo motivo il palazzo, oggi,, non è visitabile dai turisti. Viceversa il grande parco accluso al palazzo è aperto al pubblico. Esso fu realizzato nel 1850, per volontà del re Leopoldo II. Da questo furono fatte costruire anche le bellissime sette serre accluse, considerate ancora tra le più grandi al mondo. A realizzarle furono gli architetti Balat ed Horta, sul finire dell’Ottocento.

L’edificio fu elevato nel 1784, in stile tardo barocco, ma ispirato allo stile Luigi XVI, del periodo storico allora contemporaneo. Subì un incendio nel 1890. Il successivo restauro portò, nel 1902, ad un parziale ampliamento.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: BRUXELLES

VIDEO SU BRUXELLES:
BRUXELLES 5 Palazzo Reale e Parco Laeken
BRUXELLES – Cosa vedere in 1 GIORNO – BELGIO VlogTour Ep.1
Bruxelles Latvdeiviaggi
Immagine di copertinaIl Palazzo Reale di Bruxelles, residenza ufficiale del Re dei Belgio – estratta da Wikimedia Commons

 

 

Napoli e la Reggia di Capodimonte

 

La lunga storia della Reggia di Capodimonte, a Napoli, ha inizio nel 1738, quando venne commissionata da parte di Carlo di Borbone. Vi fu allocata la collezione Farnese e diverse opere d’arte già a partire dal 1758. Tuttavia, il palazzo fu utilizzato soprattutto come residenza dei re borbonici, ma nel tempo ospitò Napoleone Bonaparte e Murat, altro re napoletano. Dopo l’Unità d’Italia divenne proprietà dei Savoia. A partire dal 1957, vi ha sede, valorizzandola (se mai ce ne fosse stato il bisogno), il Museo nazionale di Capodimonte. La Reggia (in parte ricostruita) mostra arredi delle varie famiglie dinastiche che vi hanno abitato, ma anche dipinti e sculture di pregio, realizzate da artisti, anche europei, del XVIII e XIX secolo.

Nel secolo scorso inizialmente la Reggia di Capodimonte, fu dimora di Vittorio Emanuele III di Savoia, quando si recava a Napoli. Benché divenuta proprietà del demanio nazionale nel 1920, la reggia continuò ad ospitare il duca di Aosta. Questo almeno fino al 1946, quando, al termine della seconda guerra mondiale, il duca la lasciò allo Stato italiano; ma in particolare, nel 1949, quando fu deciso di trasformarla in museo. La complessa opera di restauro del fabbricato storico iniziò nel 1952 per concludersi nel 1957, con l’apertura al pubblico del museo di Capodimonte. Purtroppo, il terremoto dell’Irpinia, comportò danni alla struttura. Si rese necessario un ulteriore restauro. Dal 1995 al 1999, vennero aperti, in successione, i tre livelli (primo piano, secondo e terzo).

Il museo di Capodimonte
Nel museo della Reggia, oltre agli appartamenti reali, trovano sede una galleria di arte antica e una di arte contemporanea. La prima si distingue per l’importanza dei dipinti custoditi, con autori del calibro di Raffaello, Tiziano, Parmigianino, ma anche Bruegel il Vecchio, El Greco, Guido Reni e Ludovico Carracci. Ma non basta. Nella Reggia, infatti, è aperta la cosiddetta Galleria Napoletana, che racchiude dipinti salvati dalla distruzione, con composizioni di Simone Martini, Colantonio, Caravaggio, e Francesco Solimena, Ribera e Luca Giordano. Nella galleria di arte contemporanea spicca, fra gli altri, una composizione di Andy Warhol.

L’UNESCO
Nella sessione che si è svolta a Doha nel Qatar (la 38a), l’area di Napoli, già individuata come Patrimonio dell’Umanità, si è arricchita di diverse zone di protezione e tutela. Ciò ha permesso l’allargamento del perimetro di tali protezioni, già comprensivo di tutti gli edifici monumentali inseriti nell’elenco della 35a sessione di Parigi del 2011. La Reggia e il parco di Capodimonte sono le aree principali, ma ve ne sono individuate nella stessa città di Napoli come Villa e Parco Floridiana, Villa Rosbery, Villa Comunale, Castel Sant’Elmo, la Certosa di San Martino e il Real Orto Botanico. Nel 2014, è stato deciso di avviare i lavori di messa in sicurezza degli edifici relativi alla Reggia di Capodimonte e al complesso monumentale di Santa Chiara.

Il parco
Il grande parco della reggia di Capodimonte fu utilizzato dai re borbonici per battute di caccia e per lo svolgimento di feste per la corte napoletana.

L’area a verde fu realizzata, nel 1743, su progetto di Ferdinando Sanfelice, che immaginò il parco come un grande giardino barocco. Nell’Ottocento venne restaurato da Federico Dehnhardt, che gli diede, invece, l’aspetto di un parco all’inglese. Nato nel periodo in cui venivano aperti gli orti botanici europei, il parco della reggia di Capodimonte possiede oltre 400 varietà di piante secolari. Ad esse vennero aggiunti alberi da frutto, specie esotiche e palme. Queste ultime, in particolare, negli anni Cinquanta.

Quando, nel 1957, la Reggia è divenuta museo, il parco si è trasformato in area verde aperta al pubblico. Al suo interno sono sparse varie statue e fontane. Vi si trovano anche piccole costruzioni, come la casina dei Principi (utilizzata per le feste), e piccole chiese come quelle di San Gennaro e dell’eremo dei Cappuccini.
Essendo Capodimonte famosa nel mondo per le sue ceramiche, volute dai Borbone, all’interno del parco si trovano alcune costruzioni utilizzate come fabbriche, ma anche per scuole di ceramica in stile napoletano. Nel 2012 si è ritenuto interessante accludere al parco una zona dedicata ad orto, per piante alimentari proprie dell’area campana.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: NAPOLI

VIDEO SU NAPOLI:
Museo di Capodimonte- Le collezioni ed appartamenti
La Reggia di Capodimonte
Vedi Napoli e poi muori (Magnifica Italia)
Napoli Borbonica vista da Philippe Daverio

Fonte immagine: Reggia di Capodimonteda Wikimedia Commons

 

La Reggia di Venaria Reale a Torino

 

Venaria Reale è un comune della brughiera torinese, posto nei dintorni della città. La Reggia omonima fu, in realtà, costruita prima dell’abitato, a cui si unirono successivamente le costruzioni private. La Reggia fu voluta, infatti, dal duca sabaudo Carlo Emanuele II, come dimora di caccia. Dall’uso del palazzo, la caccia, scaturì il nome del nascente borgo: da Venatio Regia, cioè reggia venatoria (di caccia).

Il complesso architettonico si lega al nucleo storico, che lo circonda, ad ispirazione del collare della Santissima Annunziata, presente nel simbolo sabaudo. Tutt’intorno sono il parco e i boschi, che ascendono gradualmente verso i rilievi alpini. Una zona ottima proprio per la caccia.

Cenni storici
La Reggia di Venaria di Carlo Emanuele II fu ideata, in verità, ad imitazione del Castello di Mirafiori, voluto, precedentemente, da Carlo Emanuele I di Savoia, per la moglie Caterina Michela d’Asburgo. Anche qui, il celebre quartiere prese il nome dal castello.
Anche il duca voleva condividere la costruzione con la propria sposa Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Per farlo, egli acquistò i due piccoli nuclei di Altessano Superiore ed Inferiore. Il progetto della Reggia fu commissionato, nel 1658, agli architetti Amedeo di Castellamonte e Michelangelo Garove. Nel 1675, quando fu realizzato il borgo, la Reggia doveva essere quasi pronta, essendo l’abitato costruito a collare della residenza stessa. Alla lentezza, comunque dei lavori si aggiunse, nel 1693, l’opera distruttiva dei militari francesi. L’edificio fu poi ricostruito con tecniche e stile proprio francesi.
La storia della Reggia da questo periodo in poi si colora di guerre e azioni militari. Danneggiata durante l’Assedio di Torino (1706), dai francesi capitanati da Louis d’Aubusson de la Feuillade, venne ricostruita da Vittorio Amedeo II di Savoia, con progetto dell’architetto messinese Filippo Juvarra. Ma un secolo dopo, durante le guerre napoleoniche, il giardino fu trasformato in piazza d’armi e la costruzione in caserma. Tale funzione fu mantenuta anche successivamente. Nell’Ottocento, infatti, divenne caserma della Cavalleria sabauda, quindi caserma di un corpo d’élite dell’esercito piemontese. L’uso per fini militari, purtroppo, si mantenne fino al 1978, causando danni e trascuratezze alle strutture architettoniche.

La data del 1978 rappresenta uno spartiacque storico. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte inaugurò un piano di restauro non solo dell’edificio, ma dell’intera zona, comprensiva dei giardini, del borgo storico, del Borgo Castello della Mandria, delle infrastrutture e del parco. In realtà il progetto di restauro della Reggia venne incentivato da una trasmissione televisiva. In essa il famoso critico dell’arte Federico Zeri denunciò (mostrandolo al pubblico) lo stato disastroso dell’edificio storico. Si avviò la progettazione dell’intervento. Dal 1998 al 2007 venne eseguita l’imponente opera di recupero consistente in 250.000 m² di fabbricati, più un enorme superficie destinata a giardini e parco. Successivamente, nel 2009, sono stati riaperti al pubblico altri spazi, come le Citronière e le Scuderie.

La Reggia e i giardini sono stati la location di festeggiamenti, con mostre ed eventi, in occasione del 150º Anniversario dell’Unità d’Italia. Nella Venaria Reale è stata aperta una scuola di restauro. Oggi la Reggia è impiegata come museo e, in quanto tale, visitato da circa un milione di persone ogni anno. È il quinto museo come numero di visitatori in Italia

 

La reggia di Venaria Reale è una delle Residenze Sabaude, iscritto dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’umanità ed è il quinto sito museale italiano più visitato.

La reggia di Venaria -Torino

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Fonte immagineReggia di Venaria Reale – Corpo centrale e vasca del Parco Basso –  da Wikimedia Commons

 

 

Il Museo dell’Ermitage

 

Il Museo statale Ermitage (o Hermitage), situato a San Pietroburgo in Russia, espone una delle più significative collezioni d’arte al mondo. L’edificio del museo faceva parte
della molto più grande residenza degli zar della famiglia dei Romanov, che qui risiedevano. L’imperatore decadde nel 1917, con la Rivoluzione d’Ottobre.

L’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli, che lo realizzò, giunse in Russia nel 1716. Le sue realizzazioni lo misero in luce, tanto che divenne architetto di corte nel 1738. Messosi al servizio dello zar Pietro il Grande e della zarina Elisabetta, realizzò nel suo stile barocco assai sfarzoso diverse opere, tra le quali il Palazzo d’Inverno nel 1762. Cessò l’attività in Russia, nel 1763, con la salita al potere di Caterina la Grande, che preferiva lo stile neoclassico, più essenziale e rigoroso. Gli interni furono in effetti rifatti, nel 1806, da un altro architetto italiano Giacomo Quarenghi, coadiuvato dal collega Giuseppe Lucchini. Nel 1837, un terribile incendio distrusse in gran parte l’interno del palazzo, salvandone solo la parte esterna di Rastrelli, che si può ammirare ancora oggi. L’interno dell’edificio fu invece ricostruito in seguito.

Su suggerimento di Diderot, Caterina la Grande acquistò in Europa più di 2000 dipinti. Seguirono donazioni e acquisti da parte dei successivi zar. L’Ermitage fu aperto al pubblico, per la prima volta, nel 1852 (anche se per una cerchia ristretta di persone). Fu aperto, realmente, a tutto il pubblico dopo la Rivoluzione. Successivamente, il governo sovietico per finanziarsi vendette opere d’arte dell’Ermitage a musei di New York, Washington e Amsterdam.

Oggi il museo possiede tre milioni di opere, di cui sessantamila esposte. Il ricchissimo palazzo presenta al suo interno opere dei migliori artisti, quali Caravaggio, Tiziano, Francesco Casanova, Leonardo da Vinci, Jacques-Louis David, gli impressionisti Edgar Degas, Claude Monet, Paul Gauguin, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Vincent Van Gogh, oltre a Rembrandt, Pieter Paul Rubens, Diego Velázquez, Henri Matisse, Jacob Van Ruisdael, Paolo Pagani e Pablo Picasso. Oltre alle collezioni pittoriche, il museo ha delle sezioni archeologiche di pezzi egizi, greci e romani, e, in particolare, reperti dell’arte Sasanide e dell’arte Scita. Esiste, inoltre, una specifica collezione di argenti russi. Nel campo della scultura, l’Ermitage espone opere di Pietro Bracci, l’autore italiano che realizzò, in patria, la scultura del Nettuno nella Fontana di Trevi e il monumento a papa Benedetto XIV nella Basilica di San Pietro.

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Il museo di Palazzo Abatellis a Palermo 2/2


Durante la seconda guerra mondiale, in un bombardamento di Palermo del 1943, il Palazzo Abatellis venne colpito e distrutto. Negli anni seguenti, le autorità decisero il suo completo restauro, nella prospettiva di inserirci una Galleria d’Arte per le collezioni d’arte medievale”. La Soprintendenza ai Monumenti iniziò il consolidamento della struttura. A dirigere l’operazione vennero chiamati, prima, l’architetto Mario Guiotto, e, poi, l’architetto Armando Dillon. Per primi furono ricostruiti il portico, la loggia e il salone centrale danneggiati dal bombardamento. Riparati i soffitti crollati. Poi vennero tolte le superfetazioni e gli elementi aggiunti, tanto da “ripulire” il contenitore. A questo punto, terminati i lavori, nel 1953, fu chiamato l’architetto Carlo Scarpa per redigere il progetto d’interni e degli allestimenti futuri. Nel 1954, il museo venne aperto al pubblico.
Rispettando il prezioso lavoro dell’architetto Carlo scarpa, nel 2009, il museo di Palazzo Abatellis è stato ampliato con l’apertura delle sale rossa e verde al piano superiore e si ottenne anche l’agibilità della terrazza sovrastante.

Le collezioni esposte nella Galleria provengono inizialmente dalla Pinacoteca della Regia Università, e, successivamente, dagli enti religiosi chiusi in Sicilia, nel 1966. Vi furono anche donazioni e lasciti di collezioni private. Tutto il materiale fu incamerato in principio dal Museo Nazionale di Palermo, poi divenuto di competenza regionale. Le opere d’arte in esposizione sono d’altissimo livello sia storico che artistico. Tra le altre: le realizzazioni lignee intagliate del XII secolo, numerose sculture del Trecento e del Quattrocento, capolavori di Domenico e Antonello Gagini (come la Madonna del latte, l’Annunciazione ed il Ritratto di Giovinetto), il Busto di gentildonna di Francesco Laurana (XV secolo), il Trionfo della Morte (databile al 1445), e la bellissima Annunziata di Antonello da Messina (sempre del XV secolo).

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Il museo di Palazzo Abatellis a Palermo 1/2


Il Palazzo Abatellis, detto anche Palazzo Patella, è un edificio storico del XV secolo, posto in via Alloro, nel famoso quartiere della Kalsa di Palermo. In esso trova luogo l’omonima Galleria Regionale. L’edificio, fu costruito nel Quattrocento, in stle gotico-catalano, su progetto di Matteo Carnilivari, che in quel periodo lavorava a Palermo, edificando anche palazzo Aiutamicristo. Il proprietario dell’immobile era Francesco Abatellis, maestro Portulano del Regno. Non avendo figli, stilò un testamento dove il grande edificio, alla morte della moglie, passasse in proprietà ad un monastero di suore con il nome “di Santa Maria della Pietà”. Effettivamente, nel maggio 1526, vi venne a risiedere un gruppo di suore dell’ordine domenicano, giunte dal Monastero di Santa Caterina. Per ospitarle, il palazzo subì ingenti lavori di ristrutturazione per trasformarlo in convento, frazionandolo in celle e corridoi con il rifacimento delle finestre. Fu denominato “Monastero del Portulano”. Per il corretto funzionamento dell’istituto, mancava, però, una cappella per pregare. La costruzione fu manomessa con la costruzione di una piccola chiesa posta sul lato sinistro del palazzo. Ebbe il nome di “Chiesa di S. Maria della Pietà”.
Nel Seicento fu edificata sul lotto una nuova chiesa, molto più grande, ma con uguale nome, con ingresso su via Butera (si può ammirarla tuttora). La vecchia chiesetta finì per essere suddivisa in più vani e messa, sull’abside, in comunicazione col convento. Vi fu ricavato un parlatorio e alcuni magazzini.

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Gli Uffizi dopo i Medici 4/4

 

Con la fine della dinastia della famiglia dei Medici, avvenuta nel 1737, dopo la morte di Gian Gastone Medici, si aprì un grosso problema sulla fine delle collezioni degli Uffizi. Oculatamente, Anna Maria Ludovica, la sorella di Gian Gastone, stipulò una convenzione con la dinastia dei Lorena. Si impegnava a cedere tutte le collezioni ai Lorena, con la clausola che le opere rimanessero a Firenze, inalienabili, escludendo così i pericoli di frazionamento e dispersione in altri luoghi. Il patto fu rispettato dai Lorena, tanto che oggi possiamo ammirare la Galleria degli Uffizi con tutte le sue opere d’arte. Purtroppo non avvenne altrettanto per le collezioni di Mantova e di Urbino.

Superato l’incendio, del 1762, che distrusse il corridoio orientale, anche se soltanto in parte, nel 1769, la Galleria fu aperta al pubblico, grazie a Pietro Leopoldo di Lorena. Per questo motivo, venne attivato un nuovo ingresso, ideato dall’architetto Zanobi del Rosso, e la direzione degli Uffizi fu affidata a Giuseppe Pelli Bencivenni. La nuova situazione comportò anche un ripensamento generale di tutte le collezioni del museo e delle loro esposizioni. Ripensamento che fu affidato all’illuminista Luigi Lanzi, che riorganizzò le esposizioni seguendo un principio razionalistico e pedagogico. Per razionalità, il Lanzi fece rimuovere dal museo l’armeria, traslò la collezione degli strumenti scientifici nella Specola e vendette la raccolta di maioliche. Tutto questo per concentrare la Galleria sulle opere d’arte. Le arti minori vennero, però, sottovalutate.

Nel 1779, giunse da Villa Medici a Roma, Niobe e i suoi figli. L’opera, insieme ad altre sculture antiche, fu inserita nell’omonima Sala della Niobe, realizzata da Gaspare Maria Paletti. Nel 1793, fu eseguito uno scambio tra gli Uffizi e la Galleria Imperiale di Vienna. Alcune produzioni fiorentine appartenenti ai secoli XVI e XVII, lasciarono l’Italia. Tra queste i lavori di  Fra Bartolomeo. In compenso arrivarono a Firenze quadri di Tiziano, Giovanni Bellini, Giorgione e Dürer.

Le 28 statue di marmo presenti nelle nicchie dei pilastri esterni, che raffigurano persone toscane importanti, che vanno dal Medioevo all’Ottocento, furono inserite nella prima metà del XIX secolo. Con l’Unità d’Italia ed il trasferimento della capitale a Firenze, il Senato si riunì più volte proprio nel Teatro mediceo degli Uffizi (tra i senatori anche il Manzoni). Il Teatro fu eliminato nel 1889. Alla fine dell’Ottocento, alcune opere lasciarono la Galleria a favore del Museo del Bargello (statue rinascimentali) e del Museo Archeologico (statue etrusche). Con una ristrutturazione di Mariano Falcini, nel 1866 trovarono sede nel palazzo le Regie Poste. Oggi l’area è utilizzata per delle esposizioni a rotazione di materiale dei depositi.

All’inizio del 1900, si iniziarono ad acquistare opere da istituti religiosi, come il Trittico Portinari (dalla chiesa di Sant’Egidio) e la quadreria appartenente all’arcispedale di Santa Maria Nuova, L’area dei due piani ricavati dalla soppressione del Teatro mediceo, fu oggetto, nel 1956, di restauri ed allestimento da parte di illustri architetti del calibro di Giovanni Michelucci, Carlo Scarpa, Ignazio Gardella. Nel 1969 è stata acquistata la Collezione Contini Bonacossi.

Con lo spostamento dell’Archivio di Stato, il primo piano è tornato a disposizione della Galleria. Oggi è occupato dall’esposizione di opere del Seicento (anche con dipinti di Caravaggio), e da mostre temporanee di grande richiamo.

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Uffizi: l’arte e l’edificio museale 3/4

 

A metà del 1572, pur non essendo terminata la costruzione, si trasferirono nel palazzo degli Uffizi tutte le magistrature dalla parte di San Pier Scheraggio. Con la successione di Francesco I, tuttavia l’edificazione passò nelle mani di Bernardo Buontalenti, coadiuvato da Alfonso Parigi il vecchio. La fabbrica fu ultimata nel 1580. In questi anni, si iniziò anche il lavoro negli interni. Si affrescarono a “grottesca” le volte della Galleria, dipinte da Antonio Tempesta e poi da Alessandro Allori.  L’anno seguente l’ultimazione dei lavori, il duca Francesco, decise di riservarsi la loggia superiore, ospitandovi la collezione di famiglia, in particolare, quattrocentesca. La preziosa raccolta comprendeva dipinti (ed anche ritratti della famiglia Medici), statue antiche e moderne, ma pure oreficerie, cammei, medaglie, bronzetti, armature, miniature, strumenti scientifici e rarità naturalistiche.

Quella dei Medici è la prima raccolta ospitata dalla Galleria degli Uffizi, e ne costituisce il nucleo fondativo. Nel 1583, il duca fece trasformare il terrazzo sopra la loggia, in un giardino pensile, dove si intratteneva la sua corte. Con il tempo, il giardino è scomparso. Bernardo Buontalenti realizzò, su indicazione del duca, alcuni elementi speciali. Dopo la Tribuna nella loggia, nel 1586, costruì un vero e proprio teatro all’interno del palazzo. Fu pensato a doppia altezza, posto tra il primo e il secondo piano, presentava gradinate sui tre lati di un grande rettangolo. Nella parte centrale era collocato il palco dei principi. Nell’Ottocento il grande vano venne ridiviso in due piani: sopra attualmente sono situate delle sale espositive, mentre nel piano inferiore è ospitato il Gabinetto Disegni e Stampe. Della costruzione rimane il vestibolo e il portale d’ingresso (al teatro), oggi al Gabinetto Disegni.

Il duca Ferdinando I de’ Medici, nel 1587, fece chiudere un terrazzo vicino alla tribuna, ricavandone la sala chiamata “delle carte geografiche“, con affreschi di Ludovico Buti. Nella sala si dispose la “Serie Gioviana“, una collezione che comprendeva i ritratti di uomini importanti, raccolta da Paolo Giovio, vescovo di Como. Sempre Ferdinando I, oltre a far giungere agli Uffizi la sua la collezione di armi e armature, vi fece trasferire nel 1588 l’Opificio delle Pietre Dure, una manifattura di Stato, e, costruendo, nell’ala di ponente del palazzo, lo scalone (oggi detto del Buontalenti)accolse laboratori di scultori e pittori, ma anche di orafi, gioiellieri, miniatori, giardinieri e ceramisti di preziose porcellane. Nel 1591, fu aperta la visita alle collezioni, da effettuarsi su richiesta.

Dopo una cinquantina d’anni, alla morte di Ferdinando I, la Galleria risultava inalterata. Verso la metà del Seicento, Vittoria della Rovere, andata in sposa a Ferdinando II de’ Medici, portò in dote la splendida collezione dei Rovere di Urbino, che comprendeva opere del Tiziano, Piero della Francesca, Raffaello, Federico Barocci e molti altri artisti. Dal cardinale Leopoldo de’ Medici, inoltre, si accluse una collezione di quadri di scuola veneta, e ulteriori disegni e miniature, ma anche autoritratti.

Sotto il Granducato di Cosimo III de’ Medici, tra il 1696 e il 1699, fu ampliato il braccio di ponente della Galleria e decorato quello sull’Arno, con raffinati stucchi di Giuseppe Nicola Nasini e Giuseppe Tonelli. Cosimo III, che intanto raccoglieva rarità e stramberie naturalistiche (come voleva la moda dell’epoca), comprò una serie di quadri di scuola fiamminga, tra cui alcuni Rubens. Sempre dal mercato acquisì alcune statue romane, tra cui la celebre Venere Medici, che risultò un rarissimo originale d’epoca greca. La Venere è divenuta in seguito un’icona del museo degli Uffizi.

 

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