La poesia visiva di Apollinaire

Ne abbiamo già parlato: Stephane Mallarmé pubblicò “Un coup de dés jamais n’abolira le hasard” nel 1897, anche se l’edizione definitiva si ebbe nel 1914 per le Editions de la Nouvelle Revue Francaise. Nel 1918, a conclusione del primo conflitto mondiale, Guillaume Apollinaire fa invece uscire “Calligrammes. Poèmes de la paix et de la guerre 1913-1916”. Fortuna per noi, esiste internet, cosicché con un semplice gesto del dito indice potrete vedere e sfogliare l’edizione originale pubblicata per i tipi del Mercure de France. È impreziosita da un ritratto dell’autore, inciso su legno da René Jaudon, che riproduce un disegno di Pablo Picasso. Apollinaire è rappresentato con la testa bendata e la medaglia, essendo stato ferito nel corso della guerra.

Assegnato, quale sottotenente, alla 45.ma batteria del 38° Reggimento di artiglieria, è di stanza a Champagne. A partire da maggio 1915, sotto il fuoco degli obici, programma una piccola raccolta delle sue poesie più recenti e riesce persino a stamparne alla bene in meglio una sessantina di copie col titolo di “Case d’Armons”. Il processo tipografico lascia a desiderare, per cui costringe i compagni d’arme a ritoccare a mano le imperfezioni di ogni copia. Lui interviene con aggiunte e ripensamenti. Queste poesie, anticipano l’opera vera e propria che vedrà la luce nel 1918, lo stesso anno in cui Giuseppe Ungaretti lo troverà in fin di vita nel suo appartamento.

Apollinaire, come Ungaretti, è un poeta, non un artista. I suoi rivoluzionari componimenti non sono ancora l’esempio di un Libro d’artista, ma scuoteranno il mondo delle arti visive quanto quello della letteratura. I “Calligrammes” segnano il limite valicato tra poesia e arte. In una lettera indirizzata ad André Billy, Apollinaire commenta «Per quanto riguarda i Calligrammes, sono una idealizzazione della poesia dai versi liberi e una precisione tipografica nel momento in cui la tipografia è in procinto di concludere brillantemente la sua carriera, all’alba dei nuovi mezzi di riproduzione che sono il cinema e il fonografo». Per la verità la tipografia, con le veloci linotype, si sta aprendo anch’essa alla tecnologia, ma il poeta ignaro di ciò si mostra irretito da altre innovazioni industriali che legano parola, suono, immagine. E pensa che questi nuovi mezzi espressivi possano influenzare la sua stessa poesia, attraverso artifici come l’eliminazione della punteggiatura, l’abolizione della metrica, l’esultanza del verso libero, la meraviglia grafica del calligramma.

Così il suo componimento poetico utilizza il verso per formare un disegno ispirato al soggetto della stessa poesia. Parole che divengono immagini o immagini che divengono parole. Intendiamoci, Apollinaire non ha inventato il calligramma, perché il “carmen” figurato dei latini o la “τεχνοπαíγνια” (technopaignia) dei greci hanno precorso le attuali sperimentazioni della “poesia visiva”, della “poesia concreta”. Le avanguardie del primo Novecento – con particolare riferimento al cubismo letterario e poi alle correnti spagnole del creazionismo e dell’ultraismo – hanno il merito di avere rilanciato pratiche utilizzate in passato, ma in modo discontinuo.

Apollinaire lo fa a ridosso degli anni Venti e, come il Futurismo, esalterà il “movimento” quale parola chiave della sua poetica. Non certo il movimento di Baudelaire, a metà del secolo precedente, che lasciava al suo “flâneur” la scoperta della moderna Parigi. Piuttosto il movimento come simultaneità dei punti di vista che può offrire un foglio bidimensionale. La parola e il senso del discorso si scompongono e si ricompongono in una immagine dalla forma compiuta. Non occorre spiegare alcunché, perché il rapporto con il lettore è istantaneo. L’immagine è già nei suoi occhi perché il libro espone raffigurazioni. Gli artisti, che seguiranno, coglieranno interamente la lezione.

Pratt e l’avventura sudamericana – 2/5

 

PITTORI DI CARTA.

Gli anni passanti in Argentina ebbero un grosso impatto su di lui e sulla sua opera. Dopo la collaborazione con la Editorial Abril, Pratt passò alla Editorial Frontera di Héctor Oesterheld. Nacque con quest’ultimo una importante collaborazione. Egli illustrò magistralmente delle storie scritte da Héctor Oesterheld, quali Sgt. Kirk, Ernie Pike e Ticonderoga (Junglemen, fu realizzato, invece, su testi di Ongaro). 

I suoi disegni, così caratteristici, non passarono inosservati, tanto che fu invitato a tenere lezioni alla Escuela Panamericana de Arte diretta da Enrique Lipszyc. Pratt si divise, così, tra la professione e la didattica, non mancando di intraprendere dei viaggi esplorativi, come quelli in Amazonia, nel Mato Grosso o in tutti quei luoghi che ispiravano la sua voglia d’avventura.
Dalle esperienze africane della sua adolescenza e queste sudamericane, la fantasia di Hugo Pratt iniziò a produrre opere del tutto personali. È il caso di Anna della Jungla (che ancora risente del taglio di Oesterheld) che fu il suo primo romanzo a fumetti completo, in quattro singole storie. Successivamente, videro la luce opere molto originali, Capitan Cormorant e Wheeling ad esempio, che avevano il sapore dei romanzi letti in giovinezza, come quelli di Kenneth Roberts e Zane Grey. 
Tra il 1959 e il 1960, la sua voglia di mondo lo porterà a tentare strade nuove in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma senza grande successo. 

Nel 1962, troviamo Pratt di nuovo in Italia. Collabora con Il Corriere dei Ragazzi. Realizza per questo periodico diverse opere, tra le quali la riduzione a fumetti, con la sceneggiatura di Mino Milani, di romanzi per ragazzi, come L’isola del tesoro e Il ragazzo rapito scritto da Robert Louis Stevenson. Con la collaborazione di Alberto Ongaro, nasce il suo secondo supereroe: dopo Asso di Picche, ecco il giustiziere de L’Ombra.

 

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Mallarmé gioca a dadi

 

LIBRI D’ARTISTA.

Abbiamo scorso sommariamente alcuni esempi che anticipano di secoli il Libro d’artista, pur sempre rimanendo dei libri illustrati. Ma per un approccio ad esempi più recenti, pur semplificando notevolmente le possibili influenze, potremmo citare due poeti come Mallarmé e Apollinaire. L’uno a distanza di tempo dall’altro, infrangono la linearità del testo stampato e sperimentano una poesia visiva e un modo differente di leggere la composizione poetica. Mallarmé prelude “d’un colpo” alla surreale scrittura automatica, mentre Apollinaire, con i suoi ideogrammi, prende a disegnare oggetti che scaturiscono dal testo poetico. Sono gli anni legati al primo conflitto mondiale e l’opera di Apollinaire ne è un riferimento esplicito già dal titolo “Calligrammes. Poèmes de la paix et de la guerre 1913-1916” che uscirà a conflitto ultimato nel 1918.

Cominciamo però da Stephane Mallarmé, del quale nel 1914 è pubblicato in volume, per le “Editions de la Nouvelle Revue Francaise”, la versione definitiva di un’opera apparsa in via sperimentale sulla rivista “Cosmopolis” nel 1897, un anno prima della sua morte. Il titolo è “Un coup de dés jamais n’abolira le hasard“ (Un colpo di dadi mai abolirà il caso). Questo componimento poetico è un vero e proprio poema tipografico, tale da rivoluzionare la letteratura francese, poiché i versi rompono l’impostazione grafica tradizionale. Assumono nello spazio della pagina uno sviluppo libero. Ora a destra, ora a sinistra rispetto alla linea mediana. Con pause frequenti, rappresentate da più o meno ampi spazi bianchi, salti a gradini, per poi riunire le parole in blocchi. Potrete vedere (cliccando qui) l’effetto suggestivo nella riproduzione dell’originale conservato nella Biblioteca nazionale di Francia. Del poema di Mallarmé il 10 luglio 1914 furono tirate a Bruges cento copie numerate. Dieci esemplari non in vendita, su carta della “Papeterie de Monyal”, contrassegnate da numeri romani e le rimanenti 90 su “Vélein d’Arches”.

Per tratteggiare “Un coup de dés” affidiamoci alle parole di un commentatore d’eccezione, Paul Valery, che dopo aver veduto lo strabiliante testo, entusiasticamente scriveva: “…Mallarmé mi fece finalmente vedere come le parole erano sistemate sulla pagina. Mi sembrò di avere di fronte la forma ed il modello di un pensiero, posto per la prima volta in uno spazio circoscritto. Qui era lo spazio stesso che parlava, sognava, dava vita alle forme temporali. Aspettativa, perplessità, concentrazione, tutte erano cose visibili. Con i miei propri occhi ho potuto vedere i silenzi che le forme assumevano… Il mio sguardo si trovava di fronte a silenzi che stavano per materializzarsi… Mormorio, insinuazioni, folgore per gli occhi, era tutta una tempesta spirituale spinta di pagina in pagina fino al limite del pensiero, fino a un punto d’ineffabile rottura: là avveniva il prodigio; là proprio sulla carta, un indefinito bagliore di ultimi astri fremeva di infinita purezza in quel medesimo vuoto infracosciente in cui, come materia di specie nuova, suddivisa in gruppi, in file, in sistemi, ’coesisteva’ la Parola!”.

Il manoscritto del “Coup de dés” mostrato a Paul Valery era composto da grandi pagine quadrettate, al fine di poter disporre i versi nella precisa posizione che l’autore aveva indicato. Mallarmé coltivava il progetto di un’edizione di lusso della sua opera. Abbozzò a mano i caratteri che voleva fossero riprodotti nel testo a stampa. Dopo estenuanti ricerche di tipografia in tipografia, da Didot trovò finalmente il carattere in piombo che maggiormente si avvicinava alla sua idea. Interpellò, anche, l’amico Odilon Redon – precursore del simbolismo pittorico – perché si occupasse delle illustrazioni.
Il quale, in una lettera del 28 aprile del 1898 gli scriveva: “Vollard mi ha fatto vedere una carta eccezionale: credo che potremmo tentare la stampa delle litografie su carta bianca, cioè sulla carta stessa del testo; voglio usare un tratto leggero, biondo pallido, per non contrastare l’effetto dei caratteri tipografici né la novità del loro impiego. Ho delle lastre già trattate, questo per farvi capire che mi metterò molto presto all’opera…”

Nonostante ciò la splendida edizione di rottura, rispetto a tutte le convenzioni consolidate, non vide mai la luce e gli estimatori dovettero accontentarsi di acquistare all’asta i fogli delle bozze tirate a stampa. Tuttavia quanto è stato pubblicato tra il 1897 e il 1914 è bastato affinché le avanguardie del primo Novecento potessero svolgere le loro sperimentazioni, tanto da aprire la strada alla “poesia visiva” e alla “poesia sonora”.

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Hugo Pratt, tra Conrad e Melville – 1/5

 

PITTORI DI CARTA.

Hugo Pratt nacque a Rimini nel 1927, con il nome Hugo Eugenio. Nella sua vita non si è limitato ai fumetti, anche se è per quello che è conosciuto maggiormente, ma ha scritto anche romanzi e saggi. È, con il suo Corto Maltese, tra i fumettisti italiani più conosciuti in ambito internazionale ed è apprezzato e considerato tra i maggiori di tutti i tempi. Suo padre Rolando Pratt, pur romagnolo, era di origine inglese, mentre la madre, Evelina Genero, era figlia del poeta dialettale veneziano Eugenio Genero. Hugo Pratt, pur avendo soggiornato per sei anni in Africa Orientale Italiana, con la famiglia, si legherà maggiormente alla Venezia della madre. La città lagunare, di fatto, gli rimase sempre nel cuore, tanto da divenire la location di ben due fumetti: L’angelo della finestra d’oriente e Favola di Venezia (Sirat Al-Bunduqiyyah).

Il periodo della Seconda guerra mondiale, che segnerà un momento importante della sua generazione, fu anche per lui ricco di avvenimenti e molto “avventuroso”. Con la caduta, nel 1942, dell’Africa Orientale Italiana, l’intera famiglia Pratt fu internata nel campo di concentramento in Francia. dove il padre morì nel 1942. Grazie all’intervento della Croce Rossa, la famiglia fu liberata e poté tornare in patria. A Città di Castello Hugo frequentò, per un breve periodo, un Collegio militare. Quando, nel 1943, fu firmato l’armistizio di Cassibile, entrò nell’esercito della Repubblica sociale, addirittura nel battaglione Lupo della Xª Flottiglia MAS. Ma non vi rimase a lungo. Nell’autunno del 1944 stava per essere fucilato dalle stesse SS, che lo sospettavano di doppio gioco con il nemico. Pratt riuscì a sfuggire, rifugiandosi nell’Italia meridionale, già liberata. Per la sua ottima conoscenza sia dell’italiano che dell’inglese, venne impiegato come interprete dall’esercito alleato fino al termine della guerra.

Hugo Pratt, cresciuto con i romanzi di James Oliver Curwood, Zane Gray e Kenneth Roberts, aveva una buona conoscenza del fumetto americano. Grande era la sua voglia di narrare storie e di rappresentarle graficamente. Così con degli amici, Mario Faustinelli e Alberto Ongaro, fondò a Venezia la rivista “Albo Uragano”, che, nel 1947, si chiamò “Asso di Picche – Comics”, dal nome del personaggio (Asso di Picche) inventato dallo stesso Pratt. Il buon successo dell’albo, che catalizzava giovani autori, gli permise di conoscere e collaborare con Dino Battaglia, Rinaldo D’Ami e Giorgio Bellavitis. La rivista intanto realizzò un buon risultato di vendite soprattutto in Argentina, tanto che Pratt si trasferì (insieme ad un piccolo gruppo di amici collaboratori) nel paese sudamericano, invitato dalla Editorial Abril di Cesare Civita di Buenos Aires, dove risiedette per 13 anni.

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Manifesti d’arte, il futurismo

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IL FUTURISMO

Movimento letterario, artistico e politico, fondato nel 1909 da F.T. Marinetti. Attraverso tutta una serie di ‘manifesti’ e di clamorose polemiche, propugnò un’arte e un costume che avrebbero dovuto fare tabula rasa del passato e di ogni forma espressiva tradizionale, ispirandosi al dinamismo della vita moderna, della civiltà meccanica, e proiettandosi verso il futuro fornendo il modello a tutte le successive avanguardie. >>> Continua e leggi

 

DIZIONARIO DI STORIA (2010)

IL LIBRO DELL’ANNO 2009 (2009)

ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI (2005)

ENCICLOPEDIA DEL CINEMA (2003)

 

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Là dove l’arte si evidenzia

 

LIBRI D’ARTISTA.

Ruscha con Twenty-six gasoline stations (1963) o Every Building on the Sunset Strip (1966) oppure Dieter Roth con Daily Mirror (1970), danno avvio al nuovo genere contemporaneo di espressione artistica. Seguono a ruota le prime pubblicazioni del movimento internazionale che sotto la denominazione Fluxus riunirà oltre ad artisti, anche architetti, compositori o designers. Si hanno così i libri di George Maciunas che di Fluxus è il fondatore, o le opere del Minimalismo di Solomon “Sol” LeWitt o del Concettualismo espresso da Joseph Kosuth o Timm Ulrichs.

Eppure mi piace mostrare come questo interesse per il libro, quale medium artistico, è suggerito da una chiara serie di antecedenti che riscontriamo nella storia più remota. Perché c’è sempre un prima nelle cose e nulla si origina all’improvviso, ma da opportunità latenti d’ispirazione. Potremmo in questo modo essere ricondotti ai pittogrammi rupestri preistorici, alle tavolette cuneiformi sumere o a quelle cerate romane, oppure ai papiri egiziani, ai libri aztechi o tibetani. Senza spingermi tanto indietro nel tempo, mi basta citare certi libri che, pur mantenendo la loro qualità di “opere di contenuto”, ne ricercano una forma differente giustificando una vera e propria indagine sulle altrettanto valide “qualità fisiche”.

Tale ricerca è parte della storia dell’arte, dal momento che le raffigurazioni del libro divengono tanto importanti quanto il testo. È vero, si obietterà che la loro unica funzione era quella di decorare il documento che accompagnavano. Ma non stiamo parlando ancora di veri e propri libri d’artista, ma di avvertimenti, di segnali, che si svilupperanno nel tempo, quando una sensibilità matura riuscirà a coglierli. Un chiaro esempio è riscontrabile nei libri di canti gregoriani, miniati dai monaci nel corso del Medioevo. Capilettera ornati da fiori o da scene, bordi decorati da “ramage”, tutti con la stessa funzione decorativa.

Ma la ricerca e l’osservazione si spingono oltre il margine del foglio e incidono sulla struttura. Nel Codex Rotundus (o codice rotondo) la forma si fa circolare e – rispetto ai grandi codici sacri da deporre su imponenti leggii d’altare – questo libro riduce le dimensioni, giacché la sua funzione primaria è quella di essere trasportato facilmente. È infatti un “Libro d’Ore”, composto nel 1480 a Bruges e conservato nella Biblioteca della Cattedrale di Hildesheim in Germania. Ha solo nove centimetri di diametro ed è riccamente illustrato per scandire le ore liturgiche ricorrenti nei diversi momenti dell’anno. Libri come questo erano imprescindibili nelle comunità religiose e nelle famiglie abbienti che potevano sostenere l’onere di acquistarne un esemplare. Ma l’Europa più colta del tempo annovera anche opere manoscritte, come quella del Beato di Liébana i cui “Commentari” furono miniati a partire dal secolo IX in vari monasteri spagnoli. Oppure il Libro d’Ore di Maria di Navarra (sec. XIV) dipinto da Ferrer Bassa o il bellissimo “Très Riches Heures du Duc de Berry”, capolavoro della pittura franco-fiamminga del XV secolo, opera dei Fratelli Limbourg.

Tutti libri artistici, dunque, e non ancora d’artista. Ma seguite il mio ragionamento e presto ci arriveremo.

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Disegnare oggi – 3/3

 

Il titolo che accomuna questa serie di articoli è: “Tela o carta: qual è la differenza?”. In effetti la differenza c’è ed è legata al “numero di copie”. Nell’arte i quadri sono pezzi unici, tant’è che le copie di altri pittori non hanno il valore dell’originale.

Nell’industria moderna, la replicazione dei prodotti poteva mantenere il valore e la qualità dell’originale? E quale era l’originale? Lo stampo che li replicava? È il problema delle arti applicate. Considerate, da sempre, inferiori. Nel design, come in pubblicazioni a stampa, si raggiunge un numero elevatissimo di copie. Un tempo, più si progrediva, più le copie aumentavano, mentre, all’opposto, il loro valore scendeva vertiginosamente. Più copie, meno valore. Perciò le Illustrazioni su libri, giornali, pubblicità e manifesti – tutti realizzati su carta – si deprezzerebbero per l’elevata tiratura. Al contrario, le bassissime tirature (magari numerate) farebbero crescere il valore degli esemplari. Figuriamoci, quindi, un fumetto, distribuito ovunque, quanta considerazione possa avere.

Ciononostante, con la moda odierna delle “firme” – nell’abbigliamento come nel design industriale – artisti, creatori e progettisti, raggiungendo notorietà sempre maggiori, hanno aumentato richieste e considerazione. Ad esempio, Fellini chiedeva consulenze a Milo Manara, fumettista, per i suoi film, fosse quasi un secondo Direttore della fotografia.

Oggi le arti applicate hanno il loro merito. Il Victoria and Albert Museum di Londra lo ha dimostrato. Tale museo, infatti è dedicato alle arti applicate e alle arti minori; ma sono presenti anche sezioni sulla pittura (soprattutto il disegno nelle sue tecniche di riproduzione), la scultura e l’architettura.

Bisognerebbe fermarsi e riflettere un attimo. Inquadrare, comunque, un effetto legato alla modernità. Le macchine e la riproduzione in serie hanno raggiunto la loro importanza. Persino Internet non cancella la vecchia comunicazione, ma anzi, la arricchisce. La maggiore diffusione è un plus dei nostri tempi, proiettati verso un futuro che conquisterà “nuovi” valori. È un dato di fatto!

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Depero e la creatività del Futurismo

 

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FORTUNATO DEPERO

Depèro, Fortunato. – Pittore italiano (Fondo 1892 – Rovereto 1960). Aderente al movimento futurista, fu tra i firmatarî del manifesto dell'”aeropittura” (1926) e, con E. Prampolini, tra i più vivaci rappresentanti del “secondo futurismo” (La rissa, Roma, Galleria d’arte moderna; Nitrito in velocità, 1932, Genova, collezione Della Ragione). Egli apportò al futurismo un gusto spontaneo per la battuta sapida, di carattere popolare e più precisamente radicato nel folclore dell’Alto Adige (Sbornia monumentale, 1946, Milano, collezione A. Palazzolo) e con Balla e Prampolini studiò le applicazioni del futurismo alle “arti applicate” (tipografia, pubblicità, e, soprattutto, arazzi, cui si dedicò per venti anni). Esercitò anche con successo la scenografia.
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DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI – VOLUME 39 (1991)

ENCICLOPEDIA ITALIANA (1931)

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Cos’è un libro d’artista?

 

LIBRI D’ARTISTA.

Risponderei: il libro d’artista è il mezzo espressivo di un lavoro artistico. Tutti saprebbero identificare un lavoro artistico guardando un quadro. Nel nostro caso specifico il mezzo prescelto per esprimere un’idea è il libro. Col progetto Black & White di Experiences, ad esempio, il libro è pubblicato in edizione limitata e numerata, ma abbiamo tanti altri autori che hanno prediletto la medesima strada. La maggior parte, però, ha preferito il libro come esemplare singolo, per questo motivo si usa indicarlo con l’espressione francese di “unique”. Sull’oggetto libro, l’autore ha, quindi, lavorato per dare vita ad un’opera d’arte che ha valore “di per sé stessa”.

In realtà gli artisti si sono occupati per secoli di libri unici come i manoscritti o multipli come quelli prodotti a stampa. Ciò nonostante il libro d’artista si è imposto come un nuovo genere legato alle “Belle Arti” solo nella seconda metà del XX secolo. Il libro d’artista è, perciò, l’opera d’arte di un artista visivo che usa, nella preparazione dei suoi lavori, un formato standard di libro oppure un supporto ispirato a qualsiasi mezzo di trasmissione scritto, come è possibile ritrovarlo nella storia. Basti pensare a tavolette d’argilla, a materie vegetali, a conchiglie, ossa, pergamene, carta, metalli. Un esempio di questa usualità con i supporti storici potrebbe essere la ricerca di Gerard de Brénnel, artista che assomma nei suoi lavori influenze, spagnole e francesi, tratte dalla plastica, dall’incisione o dalla serigrafia. Uno dei suoi lavori è nella immagine che accompagna questo articolo.

Una cosa è certa, a metà del XX secolo, gli artisti hanno iniziato a sperimentare mezzi, formati, nonché materiali, meno usuali, così da trovare strade alternative ai tradizionali generi di espressione, quali pittura, scultura od opere grafiche. Interessati dal supporto “libro”, hanno iniziato a utilizzare questo mezzo antico (legato fino ad allora ai testi letterari) per un uso assolutamente nuovo di sperimentazione artistica. Vedremo – se mi seguirete – qualche esempio antico e moltissimi esemplari della produzione contemporanea.

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