Antichi mestieri: il ferraiolo

 

Se frequentate il mondo delle costruzioni, sicuramente conoscerete un bravo ferraiolo. Con l’introduzione della tecnologia del cemento armato (circa un secolo fa) è nato il mestiere del ferraiolo, da una “costola” del fabbro ferraio. Tant’è che il mestiere di ferraiolo è quello di un artigiano edile. La sua opera nell’edilizia si trova dappertutto: dalle armature strutturali create con i tondini alle ringhiere dei balconi o di quelle delle scale, o a tutti quegli elementi realizzati in metallo, ove necessitassero. A differenza del mastro ferraio, che si segnala per la sua caratteristica artistica, l’opera del ferraiolo si basa sulla professionalità e sulla quantità del materiale prodotto. Ha il vantaggio d’essere un mestiere con un riferimento chiaro: l’edilizia, quindi per gli edifici od i complessi abitativi. Si parte da una buona preparazione sul campo (sul cantiere), cognizioni di scienza delle costruzioni e dalla conoscenza di piccole o grandi società edili. Poiché il mestiere ha dei riferimenti, chiari, anche se complessi, c’è solo da calarsi in questa professionalità di grande responsabilità. Perché anche il fascino del costruire può divenire una missione non da poco.

Il mestiere
Chi è il ferraiolo? È una figura professionale nel campo edile, di solito, poco citata. In realtà è colui che si occupa della sagomatura delle armature metalliche per la realizzazione delle strutture in cemento armato. Naturalmente, sulla base dei disegni fornitegli dal progettista o dallo strutturista.
Il ferraiolo opera, quindi, nella realizzazione della struttura metallica fatta di tondini (barre di ferro) e staffe, che vengono collegate con l’ausilio di fil di ferro (fornito a rotoli, a legacci o a bobina). Il tutto verrà, a sua volta, annegato nel getto di calcestruzzo della betoniera. Per collaudare, però, la struttura di ferro, il ferraiolo la “verifica” prima, camminandoci sopra. Verificata la buona esecuzione, il ferraiolo passa la mano ai muratori che eseguono le casseforme, che verranno riempite di calcestruzzo dal pompista, ottenendone la struttura dell’edificio, al grezzo.

Pur essendo un mestiere di recente invenzione, anche il settore del ferraiolo ha conosciuto un “ammodernamento”. Oggi, l’artigiano può realizzare il suo lavoro direttamente nel suo laboratorio e non più in cantiere. Il ferraiolo, comodamente, esegue la sagomatura, con l’utilizzo di tondini di ferro di vario spessore, fornitegli dall’acciaieria in rotoli, con le misure e caratteristiche dovute. Ciò aumenta la cura e l’attenzione sul lavoro, e l’opportunità di servirsi di piccoli macchinari specialistici. Oltre ad un lavoro ben fatto, i tempi di sagomatura vengono ridotti in officina e sul cantiere con un montaggio più veloce in opera.

Il tecnico, così, da semplice artigiano può trasformarsi in imprenditore di piccole aziende, con l’uso di soci e lavoranti. In questo modo, il ferraiolo può servirsi di macchinari costosi, comprare il materiale direttamente dalla produzione, e rivendere il proprio lavoro come semilavorato. Tali aziende, attualmente, sono state riconosciute dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici”, come “Centri di pre-sagomatura”. A questi Centri sono richiesti determinati standard tecnici e sono sotto il controllo di ufficiali del Ministero. In fondo non bisogna dimenticare che tale genere di artigiano opera sulla struttura portante dell’edificio e, quindi, sulla sua sicurezza.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: CEMENTO ARMATO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
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CEMENTO ARMATO: armatura a flessione trave (I Parte) (57)
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Smart Tie Presentazione

Immagine di copertinaFerraioli al lavoro – estratta da Wikimedia Commons

 

Antichi mestieri: il mastro ferraio

 

Arte ed artigianato, nel passato, si sono spesso incrociati in determinati mestieri. In quello della lavorazione dei metalli, tale qualità era propria del mastro ferraio. Questo era sinonimo di creazione con il ferro battuto, e lo è ancora oggi in specifiche lavorazioni, come nei cancelli, nelle testiere dei letti, oppure sedie per giardini. L’arte del mastro può produrre lavorazioni specifiche, o in piccola serie, sempre però, di alto valore, perché è, a tutti gli effetti, uno scultore del ferro battuto. Ricordate le bellissime ringhiere dei balconi del periodo barocco? La qualità artistica, quindi, ne fa un mestiere antico, ma ancora possibile da svolgere, con molta soddisfazione. D’altra parte, anche gli antichi mestieri si possono proiettare in chiave moderna. Oggi su internet, ad esempio, si possono acquistare (e quindi vendere) artistiche ringhiere in ferro battuto, su specifica ordinazione.
Naturalmente, per svolgere l’attività di mastro ferraio, si parte da un apprendistato tecnico, come di un apprendistato creativo, mirato alle composizioni specifiche, tutte da inventare.

Il mestiere
Il mestiere di mastro ferraio è legato alla lavorazione del ferro battuto, per ottenere cancelli artistici o altrettante testiere per letti. Con l’abilità nel lavoro crescono, parallelamente, le capacità raffigurative. Così si passa dalle varie figure geometriche, alle lance, torciglioni e foglie, fino alle più complesse ramificazioni di edera, ricci, volute e rose. Nel lavoro si parte, quasi sempre, da un’asta di sezione rotonda, quadrata o rettangolare, in grandezze e spessori diverse.

Tuttavia, se ancora si parla di “ferro” battuto, oggi, si utilizza nella lavorazione l’acciaio forgiato a caldo. La modalità di battitura, rimane nel corso dell’intera lavorazione. L’acciaio adoperato in questa, nella storia, fu inventato, probabilmente, per caso, come sottoprodotto della produzione del rame. Nell’antichità, si partiva dai minerali di ferro, che venivano posti su un letto di carbone, in un forno, sigillato, così da raggiungere una maggiore temperatura nella cottura. Se ne otteneva un prodotto, denominato spugna di ferro, o blumo. Dopo l’estrazione esso veniva battuto, per liberarlo dalle impurità, ottenendone l’acciaio (da qui il termine ancora attuale di ferro battuto).

Il materiale oggi si chiama “acciaio dolce”, cioè, un metallo a basso contenuto di carbonio, che aveva come caratteristica d’essere duttile, quindi, congeniale per il lavoro del mastro ferraio ed al servizio della sua fantasia.
Per la sua creatività il mestiere ha ancora forti potenzialità artistiche e questo è dimostrato dalla stessa storia dell’arte.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL FERRO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Con le mie mani io faccio il fabbro
Arte Ferro – Lavorazioni in ferro battuto

IL MESTIERE OGGI:
Le Straordinarie Macchine Per Il Ferro Battuto
Ferro Battuto – i segreti della lavorazione (by Mobilpro)

Immagine di copertinaParticolare di un manufatto in ferro battuto – estratta da Wikimedia Commons

 

Antichi mestieri: il fabbro

 

Nella periodizzazione delle epoche storiche vi è anche quella legata al tipo di metallurgia utilizzata (età del rame, del bronzo, del ferro). Segno che il mondo dei metalli ha una grande importanza nell’esistenza umana. Da che mondo è mondo, infatti, il fabbro del paese era l’artigiano che si occupava della lavorazione dei metalli, soprattutto quelli ad uso militare: coltelli, spade, elmi, corazze o armature su misura, nel periodo medievale. Con l’utilizzazione della polvere da sparo, le armature (e quindi il lavoro del fabbro) andarono via via tramontando. Comunque, la metallurgia non è scomparsa nel tempo, ma si è solo trasformata a livello industriale.  Insomma, non vi è più il binomio incudine e martello.

Tuttavia, se l’antica lavorazione del vetro continua ad esistere a Venezia (a Murano), e ne è una delle forze, anche quella dei metalli può reinventarsi in chiave “turistica” (se si sceglie un luogo turistico). Si possono sempre proporre oggetti metallici di uso comune, come mestoli, posate o pentole, oppure, elmi romani, in vicinanza di un monumento romano, o quant’altro di meglio dalla fantasia. In fondo il valore di un mestiere antico è proprio quello d’essere antico.

Il mestiere
Il fabbro è colui che dà forma al metallo (bronzo, ferro od acciaio). Manualmente opera direttamente dal materiale solido, o che viene colato in uno stampo. Il metallo, successivamente, viene surriscaldato e poi forgiato, con varie azioni o strumenti. Il fabbro interviene per martellare, curvare, tagliare o saldare pezzi caldi di ferro, modellandoli a proprio piacimento. Tale è che il prodotto del suo lavoro spesso si incrocia con l’arte. Tra i suoi manufatti, elenchiamo ad esempio, sculture, griglie e ringhiere, mensole, attrezzi per il giardino od utensili da cucina, ma anche oggetti decorativi, oppure armi da taglio o da difesa. A tutto questo, in tempi antichi, si aggiungeva la ferratura dei cavalli, compito del maniscalco, così chiamato tuttora.

La forgiatura
Le fasi della lavorazione sono molteplici e necessitano di strumenti specifici e altrettante modalità di lavoro. Il momento più appariscente è la forgiatura. IL pezzo di ferro in questo passaggio viene deformato e plasmato, così da fargli assumere la condizione ideale per le successive fasi. Nella forgiatura non avvengono asportazioni di materiale a differenza di altri momenti. L’attrezzo specifico della forgiatura è il martello, così classico dei fabbri ferrai.

Com’è intuibile il fabbro forgia il metallo riscaldandolo per modellarlo secondo necessità. Tra gli attrezzi, quindi, deve esserci un forno. Oggi questo può essere alimentato in diverse maniere: una volta vi erano quelli a carbone, carbone di legna, o coke, oggi si utilizzano anche a propano o gas naturale. Se al fabbro necessita surriscaldare un punto circoscritto può usare la fiamma ossidrica. Ciononostante, il forno nasconde il segreto principale: la temperatura ideale per la forgiatura. L’esperto fabbro sa che questa dipende dal colore che assume il metallo. Infatti il ferro prima diventa rosso, poi arancione, poi giallo, ed infine bianco. Il giallo-arancio è l’ideale per modellarlo. L’artigiano quindi ha bisogno di sapere il livello di surriscaldamento. Ecco perché in genere le fucine dei fabbri sono tenute in penombra, quasi al buio.

Nella fase di forgiatura si contano quattro momenti o possibilità, e cioè: trazione, piegatura, compressione e punzonatura, il tutto servendosi di un martello e della classica incudine.

Con la fase della trazione si ottengono barre di minore spessore o di minore o maggiore lunghezza, semplicemente “stirandole”. In tale fase si può appiattire una barra, producendo uno scalpello, oppure nell’appiattimento di tutte le dimensioni, ottenendone una punta. Tali lavori si eseguono servendosi dell’incudine: a seconda la faccia di questa (dove battere il ferro) si ottengono risultati diversi, ecco perché le incudini hanno quell’aspetto tradizionale.
Per realizzare, ad esempio, ganci, anelli e poi catene, il metallo incandescente può essere piegato. Usando, infatti, come appoggio l’incudine e martellando il pezzo di ferro dall’altro lato, lo si fa prendere la posizione necessaria.
La fase della compressione consiste, invece, nell’addensare il ferro in punti specifici. In sostanza si riduce una delle dimensioni, aumentando automaticamente le altre.
La punzonatura è utilizzata per ottenere dei fori o delle depressioni a scopo decorativo. Ad esempio, un’ascia o un martello hanno bisogno di un foro per introdurre il manico. Questa opportunità si applica anche nel taglio, l’incisione o lo stiramento.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL FABBRO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
il fabbro
Mestieri & Pensieri – il fabbro
Mondo Sardegna – Francesca Frau – Fabbro in Sardegna
Mestieri – Il fabbro

Immagine di copertinaUna forgia a carbone – estratta da Wikimedia Commons

 

Antichi mestieri: il maniscalco

 

Chi pensa che l’antico mestiere del maniscalco sia scomparso, si sbaglia. Sono presenti, infatti, in ogni manifestazione sportiva equestre, a tutt’oggi. Si sbaglia anche chi pensa che il maniscalco si limiti a mettere i ferri al cavallo. Tant’è, che per farlo, bisogna superare la delicata fase della pareggiatura e ferratura, con un adattamento degli zoccoli dell’equino e cure mediche su eventuali distorsioni naturali dello zoccolo. È un’attività che si svolge insieme al proprietario e ad un veterinario. Il mestiere è caratterizzato dall’antica arte della mascalcia, che si è sviluppata anche negli ultimi tempi. Ma se pensate che sia un mestiere semplice, continuate a sbagliarvi. La tecnica è talmente seria che, in Italia, si può apprendere solo nella scuola di Mascalcia presso il Centro militare veterinario, a Grosseto o nella scuola dell’esercito a Roma. Quindi, se scegliete di fare il maniscalco, cominciate a preparare le valigie.

Il ferro di cavallo
Il classico ferro di cavallo, a forma di U, rimane nell’immaginario collettivo, come portafortuna, anche se la cultura del cavallo sta via via scomparendo. Era uno strumento indispensabile nel passato, per ferrare cavalli o muli, rendendoli idonei ad un uso intensivo, senza il possibile consumo degli zoccoli. Fatto di ferro, con lo sviluppo tecnologico si trovano, oggi, ferri di cavallo anche in alluminio o plastica, e, in alcune varianti speciali, vengono prodotti in magnesio, titanio o rame. Tra le loro caratteristiche tipiche, erano contraddistinti da ramponi, elementi sporgenti verso il basso sulla parte posteriore del ferro, per aumentare la presa del cavallo sul terreno. Anche oggi i ferri forniti di ramponi vengono utilizzati in manifestazioni sportive con i cavalli. Naturalmente, erano forniti di fori per la chiodatura allo zoccolo (ma possono essere anche incollati).
Tale era l’importanza dei cavalli nella vita sociale delle varie civiltà, che si sono succedute nel tempo, che alla classica figura artigianale del fabbro, si associò quella del maniscalco, specializzato sul cavallo. Era lui che si occupava della produzione dei ferri di cavallo, la chiodatura e le altre attività legate alla mascalcia.

Tuttavia, se alla figura del cavallo si associa quella del ferro di cavallo, il loro rapporto non è così diretto. Gli studiosi, infatti, ritengono che i ferri di cavallo siano stati inventati ed adottati durante il medioevo nei paesi del nord Europa. Infatti, nel mondo classico non si fa menzione di ferrature, né nei testi, né nelle rappresentazioni pittoriche. La cosa è confermata dal fatto che sono citate malattie dello zoccolo tipiche del cavallo scalzo e non ferrato. Ciononostante, il ritrovamento di un reperto, databile intorno all’anno 294 (in epoca romana), e poi nel basso medioevo (in epoca gallo-romana), contraddicono la teoria citata. Era comunque un’attrezzatura militare, necessaria per dare più impatto e durezza alle cariche di cavalleria. Fu recepita e resa comune negli ultimi secoli, col cambiamento della superfice stradale.

Come portafortuna
Il ferro di cavallo è un “potente” portafortuna, con chiunque si parli. Appenderlo ad una porta è beneaugurante. Come tutti i portafortuna, però, non hanno delle regole certe, anzi si contraddicono. Può essere rivolto verso l’alto, oppure verso il basso, devono essere nuovi o usati, regalati o comprati, se, secondo le tradizioni, si può toccarli o no (il rischio è che invece porti sfortuna). In ogni caso, l’oggetto fortunato è portafortuna solo per il proprietario e non, per esempio, per uno che lo ha rubato da una porta.

Anche la fortuna ha un principio. La tradizione del ferro di cavallo nasce da una leggenda inglese, quella di Saint Dunstan.  Esperto fabbro, questi si trovò ad avere a che fare con il diavolo, che gli chiese di ferrare il proprio cavallo. Dunstan, con molto coraggio, invece, gli ferrò il suo di zoccolo (tutti i diavoli hanno gli zoccoli). Il diavolo rimase imprigionato. Quando, alla fine, il fabbro lo liberò, fu costretto a promettere di non entrare più in una casa protetta da un ferro di cavallo. Per inciso, il fabbro divenne l’arcivescovo di Canterbury. Più fortuna di così!

Essendo la tradizione contraddittoria, non poteva mancare un’altra interpretazione. Poiché il ferro di cavallo ha una forma che ricorda l’organo genitale della donna, la sua rappresentazione poteva “distrarre” il diavolo dall’entrare nella casa “protetta”. Molti storici, infatti, fanno notare che anche sul portone di alcune chiese medievali erano rappresentati degli apparati femminili, per distrarre e dissuadere il diavolo da valicare quella porta. Molte di queste raffigurazioni, però, sono state tolte nel tempo.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: FERRATURA

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Scuola da Maniscalco dell’ Esercito – Cavalli a Roma
Mascalcia e Resine
Il maniscalco a NeroNorcia 2014, realizzazione dei ferri di cavallo e ferratura

 

Antichi mestieri: il Sellaio

 

Ogni cavallo ha la sua sella, ogni sella ha il suo sellaio. Rigidamente di cuoio, la sella è preziosa, unica. Oggi, anche se i cavalli non sono diffusi come una volta, i sellai mantengono la cura artigianale nella realizzazione di selle e dei finimenti correlati. È come fare una borsa in pelle, ma più complessa ed esclusiva. Infatti la sella era composta anticamente di vari strati con cuoio, legno e tela di sacco, con cui si creava una borsa, piena di morbido fieno.
Pur se ancora in uso, non è un mestiere per tutti. Spesso le nozioni vengono gelosamente tramandate di padre in figlio. Bisogna crescere, dopo aver fatto un apprendistato presso una di queste rare ditte. Solo allora si può pensare di mettersi in proprio, e farsi apprezzare dalla propria clientela. Con pazienza, quindi, bisogna divenire prima esecutori e poi fornitori di selle, per allevamenti e maneggi. È come nella pelletteria, solo che qui si parla di cavalli.

I tipi di sella
C’è chi cavalca a pelo, ma la maggior parte dei cavalieri usa una comoda sella. Questa è assicurata al cavallo da cinghie, sottopancia (una o due) intorno al torace del cavallo. La sella dev’essere della misura giusta e non eccessiva. Questo per non causare problemi sia al cavaliere che al cavallo, che ne potrebbe soffrire.
Esistono diversi modelli di sella da cavallo. In genere possono essere del tipo all’inglese, o western, ma esistono altri tipi, come quelle da corsa, le selle da endurance, per il salto ad ostacoli, per il polo o le selle australiane. La differenza maggiore tra la sella inglese e quella western (detta anche americana) è la presenza di un pomello posto sul davanti, oltre alla necessità di un sottosella aggiuntivo. In quella inglese, infatti, questo non necessita, per la presenza di due cuscini al di sotto della seduta in cuoio. Possono essere ripieni di lana, aria o gommapiuma. Quindi la seduta risulta morbida e più confortevole. Tra i due cuscini si trova anche un canale a protezione della colonna vertebrale del cavallo, a difesa dalle parti rigide della sella. Forse è per questo che la sella inglese è diffusa in tutto il mondo.

L’intelaiatura rigida di una sella è fatta di legno, di acciaio temperato o di materiale vario. Quando necessita distribuire il peso del cavaliere sulla schiena del cavallo per molto tempo, viene utilizzata un’anima flessibile e morbida (in materiale plastico). È necessario, soprattutto, per il trekking e per l’endurance, che hanno durata di ore. Vengono chiamate selle “treeless“. Queste distribuiscono il peso con una giusta elasticità su tutta la superfice e non su pochi punti, facilitando la traspirazione del cavallo. Le selle “treeless” presentano, inoltre, un fusto cavo, che, in occasione di gare di endurance, può essere riempito, per raggiungere il peso minimo richiesto di sella e cavaliere. La tecnica, quindi, permette di mantenere il bilanciamento e la distribuzione del peso, come desiderata e scelta dal concorrente.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: SELLA

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Come sellare un Cavallo – Cavalli e Amore
Come pulire e sellare un cavallo
Come sellare il cavallo

 

 

Antichi mestieri: lo Stalliere

 

Anche se la mattina, per andare al lavoro, prendiamo l’automobile e non il cavallo, non vuol dire che questi siano scomparsi. Certo non sono più utilizzati per gli spostamenti o i viaggi, come anticamente, ma in quasi tutte le città se ne possono trovare (ma non per strada). Chi si occupa di loro, sostanzialmente, a tutt’oggi, ripete un mestiere antichissimo, fatto di esperienze semplici ma millenarie.
Il primo consiglio (ovvio) è quello di iniziare presso scuderie, maneggi ed allevamenti, cioè, dove sono i cavalli. È un mestiere, comunque, per chi li ama, li cura e li pulisce. Se l’attività di stalliere è a portata di tutti, non richiedendo specifici studi, è gradita una certa esperienza, che comunque si può creare nel tempo. Scegliete voi se andare al galoppo o al trotto, l’importante che sia a cavallo ed in mezzo la natura.

La cavalleria nell’età classica
Tra i cavalli più antichi e famosi nella storia vi è quello detto “Cavallo di Troia”. Ricorda lo stratagemma, inventato da Ulisse, per penetrare nelle difese troiane, dopo anni di assedio. È così famoso da divenire un modo di dire, d’uso comune. Tuttavia, il “piè veloce” era quello di Achille, mentre il mitico cavallo di Troia fu realizzato da Epeo, sotto le direttive, addirittura, della dea Atena. Il cavallo (allora così raro) come realtà divina?
Fino all’invenzione dell’automobile, cioè quasi un secolo fa, l’uomo ha sempre usato il cavallo come mezzo di locomozione: negli spostamenti, nel traino di carri e, militarmente, per l’attacco vincente al nemico. Tutt’oggi, i reparti corazzati dell’esercito (composti da carri armati), rientrano nella “cavalleria”. La prima arma da guerra con il cavallo, infatti, era completa di equino, cavaliere e arco con frecce. Era l’armamento dei popoli nomadi, come pellerossa, mongoli o barbari. Più tardi, tra i greci ed i persiani, invece, si diffuse l’uso del carro da guerra, chiaramente, sempre trainato da cavalli.

I greci scoprirono il ruolo della cavalleria nella guerra del Peloponneso, quando tra i contendenti apparse la cavalleria tessala, costituita grazie alle pianure della Tessaglia (la Grecia è prevalentemente montuosa). I cavalieri greci venivano chiamati hippikon, ma non erano molti (a causa dei costi di mantenimento). Nelle guerre persiane, gli ateniesi contavano un gruppo di 300 cavalieri. Più tardi, dopo il V secolo, la loro importanza crebbe con i primi finanziamenti economici agli hippikon. Dopo il 442 a.C. il reparto a cavallo di Atene supera le 1000 unità. Anche Sparta e Corinto seguono l’esempio ateniese, dotandosi di una prima cavalleria.

In realtà l’uso di guerrieri a cavallo, non attecchì mai veramente, né in Grecia, né a Roma, almeno fino alle guerre puniche (i romani utilizzavano solo la fanteria). A loro spese, questi fecero esperienza della forza della cavalleria. Grazie alla cavalleria, infatti, Annibale li sconfisse nella battaglia di Canne (216 a.C.). La sua arma segreta si chiamava “cavalieri numidi”. Quando questi, per accordi politici, passarono dalla parte dei romani, lo stesso Annibale venne sconfitto nella battaglia di Zama (202 a.C.) dal romano Scipione l’Africano. Ciononostante, la forza dell’esercito romano si mantenne sulle legioni di fanteria. Solo nel periodo del tardo impero, si iniziò ad utilizzare maggiormente i cavalli. Il nemico, pressante sul confine settentrionale, i barbari, utilizzava il classico connubio arciere e cavallo, che era più veloce e sfuggente. Lo stesso controllo delle frontiere costrinse all’uso del cavallo. Come i mongoli invasero la Cina, i barbari fecero altrettanto con Roma. Proprio grazie ai cavalli.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: LA STALLA
ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL CAVALLO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
una mattina 2011 nella stalla di Degas e Carolina
i cavalli della polizia nella stalla della Masseria IRISI di S.Eufemia Lamezia Terme
Al lavoro nella stalla / Working in the horse stable

 

 

Antichi mestieri: pastai e lasagnari

 

La produzione di pasta secca di grano duro, è compito dei moderni pastifici, essendo oramai interamente industrializzata. Ciononostante, la pasta fresca può essere prodotta, anche oggi, semplicemente a casa propria. Nella storia esistono numerosi formati di pasta fresca, anche ripiena. Siccome quando si diventa veramente bravi in un certo lavoro, si può trasformare una passione e avviare anche una professione. Un vero e proprio mestiere, oggi, ad esempio, è la produzione di pasta fresca per il quartiere o per i ristoranti, oppure smerciata, magari, sottovuoto, in negozi e supermercati dell’intera piazza cittadina.

Nel Medioevo
Se all’inizio, la produzione della pasta secca si incentra soprattutto in Sicilia e Sardegna, con presenze nell’Italia meridionale e sulla costa ligure, nascono un po’ ovunque negozi per lo smercio della pasta secca e fresca al dettaglio. I produttori vengono chiamati “lasagnari”, o, più raramente, “vermicellari”. Con la loro diffusione, sorgono le prime corporazioni di pastai. Ad esempio, a Firenze, nel 1311, si forma “l’Arte dei cuochi e dei lasagnari”, a cui si aggiungeranno i “cialdonai”, cioè i produttori di cialde. I produttori di pasta, tuttavia, non creavano la pasta secca, ma, al massimo, la smerciavano. Questa proveniva dai pochi pastai specializzati, che padroneggiavano tecniche più sofisticate, di cui la principale era l’essicazione. Al contrario, a casa, su ordinazione, si confezionava quella fresca.

Per molto tempo, la pasta secca continua ad essere lavorata solo a livello professionale, in Sicilia e Sardegna. È per questo che, nel XV secolo, questi negozi si trovano un po’ ovunque, anche nell’Italia settentrionale. Sono menzionati negozi di pasta, ad esempio, a Roma, Genova, Milano, Venezia, Padova, Reggio Emilia e Bologna. Qui si poteva ordinare pasta fresca, anche fornendo la farina da utilizzare (pagando un prezzo minore). Nel Cinquecento, a Roma si evidenzia una corporazione di vermicellari. Questa si affiancava ai pastai (per la pasta secca) e quella dei lasagnari, per lo smercio di pasta fresca nei quartieri. Essendo la semola di grano duro di difficile reperibilità nel Nord Italia, la farina principale era quella di grano tenero, e, di conseguenza, era molto diffusa la pasta fresca fatta in casa. Il grande consumo richiese un piccolo periodo d’essicazione della stessa pasta fresca.

Poche sono le informazioni desunte dagli scritti dei cuochi medievali. Tuttavia, nei Tacuina Sanitatis, libri di medicina miniati, desunti da testi arabi e della successiva scuola salernitana, le illustrazioni sulla Tria (la pasta), ci rivelano più dello stesso testo. Si scopre così che la fattura della pasta era compito, prevalentemente, femminile e che, all’epoca delle illustrazioni, il lavoro si svolgeva in coppia e non singolarmente. Le immagini, probabilmente, fanno riferimento a quella che doveva essere la piccola manifattura dei negozi di pasta fresca di quartiere e non di quella “industriale” che con il tempo si andrà affermando.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: LA PASTA
ENCICLOPEDIA TRECCANI: LA CUCINA REGIONALE

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Pasta Fresca fatta in casa: come preparare un ottimo impasto
Pasta fresca all’uovo, la ricetta di Giallozafferano

 

Antichi mestieri: il panettiere

 

I panifici sono ovunque, segno che il mestiere è tutt’altro che antico (o scomparso), ma sicuramente storico. È un lavoro semplice ed essenziale, faticoso, ma che può riservare grandi sorprese nella maniera in cui esso è fatto. Vi sono innumerevoli formati di pane, geograficamente parlando, ma anche nella tradizione rituale e culturale. Vi è, poi, la possibilità di specializzarsi nella produzione di pizze, grissini, biscotti o cornetti. Esiste la pasticceria panaria (che non tutti offrono), ma anche la produzione di pani dolci, sul tipo del buccellato di Pisa. Un caso particolare è l’Inghilterra. Dalla relativa trasmissione televisiva, “Bake off UK”, apprendiamo come usino unire il lavoro del panettiere con quello del pasticcere. Eseguono, infatti, veri e propri dolci creati con il pane. Sono quindi estremamente versatili, in tutti e due i campi. Se il pane è un alimento essenziale, nella sua semplicità, mette realmente in moto la fantasia.

Il grano e la farina
La farina più comunemente utilizzata in cucina è ottenuta dal grano tenero, nelle farine di qualità 00 e quelle di tipo 0. Esistono poi altre varietà di grano, più o meno conosciute. Comunemente, tra queste viene inserito il cosiddetto grano saraceno, che però non fa parte della famiglia delle Graminacee e, quindi, erroneamente, inserito tra i cereali. Il nome, infatti, non è d’origine botanica, ma commerciale. Nonostante questo, in cucina, viene utilizzato per la preparazione di alcuni tipi di pasta, come i pizzoccheri e le manfrigole (in Valtellina), per la polenta saracena, le crespelle, oppure in dolci o biscotti.

IL GRANO TENERO
Il grano tenero, chiamato comunemente anche frumento, deriva da un’ibridazione antichissima. È d’origine mesopotamica (tra il Tigri e l’Eufrate), detta anche Mezzaluna Fertile. Fu tra le prime colture intensive. Attualmente, la sua coltivazione è praticamente globale, in quanto, essendo resistente al freddo, può essere prodotto anche in climi nordici a temperature basse. Oggi, tra i maggiori produttori vi sono sia la Cina che il Canada. Il grano fu, infatti, introdotto dagli Spagnoli nel Nord America, durante il XVI secolo, che ne divenne il maggiore esportatore.

Il grano consumato attualmente è frutto di attenti studi genetici, che ne hanno aumentato la forza, la resistenza alle malattie e, soprattutto, la produttività. Dal frumento, previa macinazione, si ottiene principalmente la farina, poi una sostanza bianca e farinosa, chiamata amido, olio di germe di grano, ma anche alcol, dopo un’opportuna fermentazione. La maggior parte della produzione viene, comunque, impiegata per la produzione di farine per la panificazione. Ne esistono di vari tipi, quali: farine 00, 0, 1 e 2., tutte specifiche per determinate lavorazioni. La numerazione indica la purezza della farina da componenti di scarto, come, ad esempio, la crusca., che ne fanno variare il colore. La farina 00 è la più bianca e quindi la più pura. Crusca, Cruschello o Tritello e Farinaccio, sono tutti scarti, che vengono tuttavia anch’essi utilizzati, ad esempio, nella zootecnia.
La farina è classicamente usata per la fattura del pane (di tutti i tipi), pizze e creme, oppure per la pasta fresca.

Un’altra varietà di grano è quello duro, che produce, però, solo semole e non farine. Ciononostante, rimacinata più volte, anche la semola di grano duro è adatta alla produzione del pane. Tra i diversi tipi, ricordiamo il pane di Altamura, o il Pane di Matera. Pur presentandosi più consistenti e di colore giallo, i pani di grano duro, hanno il vantaggio di mantenere l’appetibilità per parecchi giorni, cosa che non avviene con il pane di farina bianca. Naturalmente, la semola di grano duro viene utilizzata per la realizzazione della pasta secca.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL PANE

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL FORNO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Il Panettiere – Palermo
Dj Francesco – Il Panettiere (Official Video)

 

Antichi mestieri: il calzolaio

 

Fino agli anni ‘70°, il calzolaio riparava le scarpe in cuoio, rifacendo, ad esempio, i tacchi che si consumavano col tempo. Il mestiere del calzolaio, però, non era molto valutato. Con l’invenzione delle scarpe in gomma, cambiò tutta la tipologia delle scarpe (ora, usa e getta). Oggi le scarpe non si fanno ancora una per una. Se, infatti, il mestiere è simile al passato, esso risulta sviluppato con tecniche industriali (con apposite macchine che lo supportano). Dopo un buon corso di formazione, il mestiere può continuare in tali aziende, oppure mettersi in proprio e sviluppare il lato artigianale. Con l’Italian Style fare scarpe su misura è un’attività molto più considerata e rinomata. Così come le Star mondiali, vestono italiano, portano anche scarpe e pelletteria italiana. E questo non è da sottovalutare.

Breve Storia delle calzature
Nonostante quello che si pensi, le scarpe vennero ideate in periodo preistorico, tant’è che il paio di scarpe più antico, mai ritrovato al mondo, risale al 9000 a.C. circa. È venuto alla luce negli Stati Uniti. Nell’antichità esistevano i sandali, ma nelle regioni più fredde, si trovavano anche scarpe rivestite. In Egitto, infatti, appaiono i sandali del faraone, raffigurati sulla cosiddetta “tavoletta di Narmer”, datata intorno al 3000 a.C. Gli Ittiti e poi i Greci portarono sandali, molto caratteristici, già nel 1300 a.C. Nel deserto, in particolare, si calzavano sandali infradito, con suole molto larghe, per non affondare nella sabbia.
Nel mondo degli Antichi Romani, spiccano proprio i sandali, di fattura e foggia diversa. Un nobile romano poteva possedere anche venti paia di scarpe, differenti tra loro. È ampiamente dimostrato nei testi e sui dipinti ed affreschi del periodo. Nel medioevo, invece, si camminava con gli zoccoli di legno, ma i più poveri potevano accontentarsi di una semplice stoffa avvolta intorno al piede.

Il primo paio di scarpe simili alle nostre, furono le poulaine, portate in Inghilterra e Francia, nel XIV secolo. Erano caratterizzate da una punta molto lunga, anche di 15 centimetri. La lunghezza di queste variava a secondo il grado di nobiltà. Con Carlo VIII di Valois, Re di Francia, nel del XV secolo, la punta viene mozzata. A quel punto, la corsa fu alla larghezza delle scarpe, con calzature “a piede d’orso” o “a becco d’anatra”. Dal XIV al XVII secolo, imperano le pianelle, una specie di pantofole. Esse erano arricchite da una zeppa di sughero (o legno). Nel XVII secolo, il Re Sole, essendo basso di statura, lanciò la moda dei tacchi alti, sia per donne che per uomini. La scarpa, oggetto prezioso fu protetta dall’introduzione del pattìno, una specie di pantofola. Siamo nel XVIII secolo a Venezia. Il “pattìno”, era portato all’esterno e proteggeva la scarpa dall’acqua ed il fango.
Quelle che abbiamo ai piedi, invece, sono il frutto dell’industrializzazione del XIX secolo. Vengono fabbricate in serie e mutano foggia periodicamente, con l’introduzione di nuove mode per tutti. Dal XVII secolo, l’usanza del tacco alto perdura tuttora nella moda femminile e non più maschile.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: CALZATURA
TRECCANI: PRODUTTORI: TOD-S
TRECCANI: PRODUTTORI: FERRAGAMO
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Antichi mestieri: il conciapelli

 

Il mestiere della concia delle pelli, attribuita nel passato ai conciapelli, esiste tutt’ora, ma a livello industriale, nelle specifiche aziende conciarie, come per la carta o le stoffe.
Tuttavia, il settore della lavorazione del cuoio è molto ampio. Tra i manufatti realizzabili con il cuoio, tanto per indicarne qualcuno, vi sono: le borse, borsette, borselli, cinture, cartelle professionali, portadocumenti, borsellini, portafogli, portasigarette e molti altri.
La lavorazione è chiaramente, caratterizzata proprio dal materiale con cui si lavora. Tuttavia, si possono esprimere doti creative e perfezione artigianale. Lavorando con una forma esclusiva, di propria ideazione, e farne cento di questa, può servire per farsi conoscere ed apprezzare. Poggiando, altresì, su una rinomanza tra i negozi di vendita di pelletterie, ma anche di distribuzione, la strada è aperta. Servono buone conoscenze e abilità tecniche e pratiche. Perché, comunque sia, è una strada lunga.

Il cuoio
Il cuoio o le pelli sono dei materiali organici (utilizzati nell’abbigliamento e la pelletteria), e provengono tutti, oggigiorno, da animali allevati appositamente ad uso alimentare. Siccome oggi si mangia di tutto, abbiamo la pelle di bovini, ovini, caprini, suini, equini, cervi, renne, di alcuni pesci, ma anche, in certi paesi, di canguro o di struzzo. Tutte le pelli passano per una fase di concia, che serve per renderle imputrescibili. L’uomo preistorico, infatti, in tempi lontanissimi, si accorse del rapido deterioramento delle pelli. Questo lo portò a sperimentare delle strane tecniche, come l’esposizione al calore ed al fumo, oppure a trattamenti vegetali (immersioni in acqua, rami o foglie). Aveva scoperto la cosiddetta “concia”. Nel secolo XIX, si sperimentò, invece, il trattamento con allume. È ancora utilizzato, unitamente a molti altri passaggi tecnici, che non spieghiamo.

Tra le caratteristiche dei pellami si evidenzia quella particolare della traspirazione. Tra le altre proprietà vi è quella di essere termoisolante (riscalda d’inverno) e di avere una buona conduttività elettrica (evita la cosiddetta “scossa elettrica”). Pur essendo, quindi, il cuoio antichissimo (risale ai tempi preistorici), supera, in questo, le stoffe o le plastiche di realizzazione moderna. A tal proposito è tuttora aperta la ricerca scientifica e tecnica di creare un materiale moderno simile al cuoio. Ciò perché molti sono i prodotti simili in apparenza del cuoio, ma di questi, nessuno ne ha le caratteristiche, dovute alla struttura specifica del vero cuoio, assolutamente inimitabile. Ne sono nati marchi di garanzia del prodotto, vero cuoio o vera pelle, dovuti ad interventi legislativi. I consumatori, per questo, sono garantiti da tale procedura.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: LA CONCIA
TRECCANI: PRODUTTORI: FENDI
TRECCANI: PRODUTTORI: GUCCI

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