Cos’era una panelleria? 2/2

 

Nella panelleria si consumavano anche minuscole crocchette di patate, dette cazzilli; in rapporto alla stagione broccoli, cardi, carciofi… rigorosamente fritti in pastella. Oltre ai cazzilli si potevano gustare persino anelletti al forno, sarde a”beccafico”, frittura di calamari, melanzane alla parmigiana, a “quaglia”, trippa, pasta con le sarde e quanto di più buono offrisse la tradizione.

Stigghiole arrostite.
Stigghiole arrostite.

Per strada si incontravano, invece, il poliparo ovvero il venditore di polpo, il venditore di frittole, i banchi con la griglia sulla quale era cotta la “stigghiola”, stecca fatta con interiora di vitello intrecciata con verdi gambi di cipolla. La sua lunga cottura richiede notevole abilità e va consumata bollente con sale e limone. La stigghiola può essere consumata anche bollita, in tal caso prende il nome di quarume cioè caldure. Il quarumaro acquista i visceri del vitello che, puliti con acqua e sale, subiscono una prebollitura prima di passare a quella nel brodo con i tipici aromi di carota, cipolla, sedano e pomodoro.

Bollito è servito anche il “musso”, la parte del vitello che comprende la testa, i piedi, le mammelle, i genitali. I vari pezzi lessati vengono serviti freddi, tagliati e cosparsi di limone, su un piano inclinato coperto di larghe foglie di broccolo. Si tratta, è evidente, di una gastronomia popolare adatta ad un forte palato, ma pregnante di storia, un patrimonio culturale da salvaguardare.

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Cos’era una panelleria? 1/2

 

In principio c’era il fast-food, poi lo slow-food, per ultimo il finger-food. Seguendo una moda esterofila i termini presi in prestito dalla lingua inglese indicano, in ordine, un pasto veloce, uno lento e uno da afferrare con le dita. Dalla tradizione riaffiora così la pratica del cibo di strada, del piacere di consumare in piedi o su sgabelli posti davanti i banconi, bocconi golosi. Ritorna l’atavico gesto di prendere il cibo con le mani, sentire il profumo ed il “calore” che emana.

Il cibo di strada si identifica infatti con le friggitorie, i carrettini ambulanti, i chioschi; uso legato un tempo soprattutto alle città di mare, ma anche interne, che svolgevano un ruolo nevralgico negli scambi commerciali. Città così come Catania e Palermo, Genova e Firenze o la lontana Singapore, mettono in  “piazza” crespelle e panelle, farinata e lampredotto o saitai, cioè spiedini di legno su cui sono infilzati pezzi di carne marinata e grigliata.

La profumata focaccia a base di farina di ceci (farinata) dal porto di Genova approda a quelli della Toscana per giungere in Sicilia, a Palermo, non più cotta al forno, ma fritta in piccole porzioni. La panella è una piccola frittella a base di farina di ceci ed acqua che semplice negli ingredienti, richiede abilità nella preparazione. Facoltativa è nell’impasto la presenza di un ciuffo di prezzemolo così come la spolverata di pepe e qualche goccia di succo di limone. Pane e panelle, un tempo nel capoluogo siciliano, si trovavano dal panellaro. La sua bottega, ubicata al pianterreno di vecchi edifici, era impregnata dell’odore di olio fritto e rifritto.

Pane e panelle
Pane e panelle

Nelle panellerie il lavoro poteva cominciare anche il pomeriggio del giorno precedente e proseguire sino al mattino del giorno successivo. La farina di ceci veniva cotta a lungo in acqua salata e rimestata con un grande paiolo a “zattera”. Poi veniva fatta raffreddare, coperta da una mappina e si attendeva il momento giusto per confezionare le panelle, evitando che l’impasto si indurisse troppo. Si usavano particolari formelle di legno, di forma rettangolare, circolare oppure a semicerchio che avevano la particolarità di possedere un rilievo floreale. Una sorta di cartina al tornasole che provava l’immediatezza della preparazione, poiché tale incisione si rendeva visibile solo sopra una panella fritta da poco. Arredo tipico della panelleria era il piano inclinato forato, uno sgocciolatoio sul quale venivano riversate le panelle gonfie di vapore per eliminare l’olio superfluo, prima di essere gustate così o dentro tipiche pagnottelle calde di forno.

 

 

 

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Questo era il miglior mangiare!

 

Il fine di queste pagine è far capire che anche mangiare o bere è cultura. È la cultura di un popolo che dalla sua terra ha sempre tratto sostentamento, che l’ha coltivata con amorevolezza e perseveranza. È la cucina della tradizione legata alle stagioni e molte volte alle feste religiose e propiziatorie. La cucina dei nobili e quella del popolo. Non solo, perciò, la cucina dei “monsù”, ossia i cuochi dei baroni, come abbiamo visto con la serie dedicata alla “cena barocca”. Ma anche la cucina della gente comune, che nella semplicità traeva piatti freschi e gustosi, fra i cui ingredienti sembrava esserci persino il naturale profumo dell’orto.

A questo proposito ci pare appropriato prendere spunto dalle parole che da Sidney ci scrive il signor Antonino Biondo, un nostro assiduo visitatore (ormai diventato un nostro amico). Da anni vive in Australia, ma attraverso i suoi ricordi di ragazzo fornisce una significativa testimonianza della buona cucina casalinga siciliana.

«Sono nato a Barcellona Pozzo di Gotto, ho fatto il militare a Brescia, quindi mi sono trasferito a Sabaudia. Dal 1961 ho vissuto per lavoro nei paesi del Mercato Comune e qui ho potuto conoscere le differenti cucine europee. Adesso mi trovo in Australia e ho provato i cibi inglesi, giapponesi, cinesi, in altri termini la cucina etnica di buona parte del mondo. C’è chi mangia nei ristoranti di lusso, dove più paghi più esci con lo stomaco vuoto, e chi mangia sui marciapiedi, approfittando delle bancarelle degli ambulanti, con quei piatti di pasta il cui condimento è impuzzolentito dal fumo dei gas di scarico delle automobili che passano. Ma quanto è bello mangiare in casa !

Mio padre era un coltivatore diretto e a volte ci toccava di rimanere in campagna. Le pietanze erano genuine e gustose, ma non solo perché mangiavamo insieme ai contadini. Oggi penso che il migliore cibo era quello di una volta. Era quello che cucinavano i nostri genitori: i bei piatti di pasta condita con pomidoro fresco, con prezzemolo, con succo di limone, aglio e pepe. Per secondo un paio di melanzane ripiene oppure un po’ di “pesce stocco a ghiotta”. Il tutto annaffiato da mezzo litro di buon vino fatto in casa. Questo capriccio se lo poteva passare chi non comprava niente, se non lo stoccafisso. Vi posso assicurare che questo era il miglior mangiare».

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Una sontuosa cena barocca – 7/7

BIGNÈ.

Ingredienti per 4 persone

20 bignè da farcire

per la crema:
75 gr di pistacchi tritati
250 gr di latte
50 gr di zucchero
25 gr di amido di grano
100 gr conserva di zucca

per la salsa:
500 gr di succo d’anguria
25 gr di amido di mais
100 gr di zucchero
5 gr di cannella in polvere
1 bustina di vaniglia
15 gr di acqua di gelsomino

per guarnire:
20 gr di cioccolato
uno spruzzo di pistacchi tritati

Possiamo considerare questo dolce una sorta di profiterol, realizzato però con ingredienti tipicamente siciliani. D’altra parte la grande cucina e la grande pasticceria tra Sette e Ottocento si ispirava al gusto della Corte francese. Ma attenzione, perché la glassa finale affonda le proprie radici sulla tradizione araba.

Date vita ad una crema, unendo latte tiepido, amido di grano e zucchero; in ultimo cospargetela con il trito di pistacchi e la conserva di zucca (la cosiddetta zuccata). Questa crema costituirà la farcitura di piccoli bignè, che disporrete a piramide, su di un raffinato piatto da portata per dolci.

Contemporaneamente preparate una salsa con la quale ricoprire i bignè. Gli ingredienti (cui farete raggiungere lentamente l’ebollizione e poi raffreddare), sono il succo di anguria e l’acqua profumata al gelsomino, l’amido di mais, lo zucchero, la cannella e la vaniglia: i medesimi ingredienti del gelo di melone, qui utilizzati in un trionfo di sapori. Guarnite con riccioli di cioccolata e pistacchi tritati.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

 

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Una sontuosa cena barocca – 6/7

BISQUIT A SORPRESA. 

Ingredienti per 8 persone

1 fetta di pan di Spagna di 200 gr ca.
60 gr di marmellata di arance amare
50 gr di Cointreau
150 gr di cioccolato di copertura
100 gr di croccante
150 gr di albumi
300 gr di zucchero
poco zucchero a velo

per il biscuit:
2 uova, 75 gr di zucchero
1 bustina di vaniglia
250 gr di panna

Questo biscuit è il non plus ultra della leggerezza: una nuvola bianca in un insieme di “inganni” propriamente barocchi, laddove l’apparentemente morbido è in realtà croccante, e l’apparentemente caldo nasconde con un composto ghiacciato.

In una ciotola ponete due uova, zucchero e vaniglia; poi battete a lungo, in ultimo aggiungete la panna montata. Versate il tutto in uno stampo preferibilmente metallico, che avete avuto cura di raffreddare preventivamente e che ora tornerete a riporre in freezer. Lasciate consolidare il composto per cinque ore. Quindi sformate il biscuit e cospargetelo del croccante pestato (di nocciole e mandole tostate e caramellate); poi ricopritelo con cioccolato fuso e riponetelo ancora una volta in freezer.

Preparate un piano di pan di Spagna, imbevuto di Cointreau e cosparso uniformemente di marmellata di arance amare. Trasferite il pan di Spagna su un sostegno di cartone e, quando il biscuit sarà ben freddo, ponetevelo sopra.

A lato, realizzate una meringa, battendo a neve albumi e zucchero. Versate il composto sul biscuit fino a ricoprire anche la base e spolverizzate con zucchero a velo. Mettete in forno, contate tre minuti esatti. Servite immediatamente: la meringa bollente sorprenderà per il suo contenuto gelato.

[
Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

 

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Una sontuosa cena barocca – 5/7

ROSA DI FILETTO. 

Ingredienti per 8 persone

1 filetto di manzo senza testa di circa 1,5 kg
10 prugne secche
140 gr di cipolle
150 gr di carote, olio, burro, sale, pepe
100 gr di Marsala secco
100 gr di brodo

 Con un bel trancio di filetto, formate una sfera, battendo con la mano la carne, con delicatissimi colpi. Per mantenerne la forma, legate e sistemate il filetto, unto con una noce di burro, in una teglia ben oleata. Disponete le cipolle e le carote tagliate in fettine sottili; aggiungete sale e pepe e passate in forno caldo a 200° per non più di quindici minuti, cosicché la carne risulti ancora rosata.

Inumidite con vino Marsala e quindi con il brodo di carne. Poi rimettete la teglia ancora in forno per un’ora.

Quando la carne sarà cotta al punto giusto, toglietela dal forno e lasciatela assestare e raffreddare per circa venti minuti. Ora tagliatela a spicchi regolari: basta incidere, senza arrivare fino alla base, la sfera di carne con una croce e successivamente con una seconda croce in diagonale, in modo da formare otto spicchi semiaperti, che ricordano una rosa sbocciata.

Ponete la rosa che avrete ottenuto su di un piatto di servizio, guarnite con verdure cotte al vapore, come ad esempio nastri di carote. I singoli piatti potranno essere inumiditi con il fondo di cottura ben caldo, sgrassato e filtrato, servito in apposita salsiera.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

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Una sontuosa cena barocca – 4/7


MEDAGLIONI DI PESCESPADA. 

Ingredienti per 6 persone

6 fettine di pesce-spada (circa 600 grammi)
50 gr di parmigiano
20 gr di pane grattugiato
130 gr d’olio extrav. di oliva
130 gr di pomodoro tagliato a dadini
1 mazzetto di prezzemolo
1 mazzetto di basilico
50 gr di burro, farina, sale

per lo zabaglione di basilico:
1 spicchio d’aglio, 10 foglie di basilico
4 grammi di pepe
2 grammi di cardamomo
60 gr di aceto bianco, 2 tuorli
150 gr di burro fuso, sale

Ecco un modo più elaborato di presentare il pesce spada, che non in tranci, e con l’aggiunta del tradizionale pangrattato condito con formaggio come nelle più popolari braciolettine. Evidentemente la cucina dei monsù appagava non solo la gola, ma anche l’occhio. Ponete quattro delle sei fettine di pesce spada su di una carta oleata imburrata, in modo tale da formare uno strato pressoché regolare. Spennellate con burro fuso.

Le due fettine rimanenti tritatele finemente e conditele con un pizzico di sale, olio, pangrattato, parmigiano, una mistura tritata di prezzemolo e basilico. Versate il composto sulle fettine e distribuitelo in modo uniforme. Quindi, con l’aiuto della carta oleata, arrotolate il preparato, formato dalle fettine di pesce spada e dal suo ripieno. Comporrete un rollè, che legherete per mantenerlo in forma. Passate nella farina e friggete in padella. Quando sarà rosolato, ponetelo a scolare su di un foglio assorbente, come un tempo la carta da pasta. Quando sarà freddo affettatelo.

Per impreziosire il piatto potete servirlo con uno zabaione al basilico. È semplice da preparare. In una casseruola fate bollire dell’aceto bianco per tre minuti circa, al quale avrete aggiunto aglio, basilico, pepe e cardamomo. Filtrate con un setaccio il liquido e ponete la ciotolina a bagnomaria. Aggiungete due tuorli d’uovo e montaleli, finché non saranno divenuti cremosi. Togliete la ciotolina dall’acqua e unite allo zabaione del burro fuso e tiepido. Infine salate. Delle crudités di verdure potranno colorare il piatto di servizio.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

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Una sontuosa cena barocca – 3/7


MACCHERONCINI IN CROSTA. 

Ingredienti per 6 persone

per la pasta:
300 gr di farina, 75 gr di zucchero
150 gr di strutto
2 tuorli
50 gr di vino bianco secco
1 grosso pizzico di cannella, sale

per il ripieno:
400 gr di maccheroncini caserecci
50 gr di burro fuso
50 gr di caciocavallo grattugiato
50 gr di parmigiano grattugiato,
1 uovo (sbattuto e allungato con 125 gr di panna liquida)
150 gr di ricotta passata a setaccio100 gr di prosciutto crudo tagliato a dadini
350 gr di fiori di zucca, (con aglio e 50 gr d’olio)
150 gr di piselli piccoli sgranati (con 50 gr d’olio, 60 gr di cipolla grattugiata, pepe, sale, 20 gr di zucchero)
1 uovo per dorare la pasta burro o strutto per ungere lo stampo

 Questo pasticcio di maccheroncini in crosta è un primo piatto caratteristico della cucina nobiliare. La differenza con la cucina popolare, che si sarebbe limitata ai soli maccheroncini, consiste nell’arricchire la pasta con un involucro di sfoglia di gattopardesca memoria. Occorre mettere in evidenza che i maccheroncini, sono conditi in bianco; infatti l’uso del pomodoro invalse solo nei primi anni trenta del XIX secolo, mentre oggi sembra quasi non poterne fare a meno nella cucina nazionale.

Anzitutto preparate l’impasto che costituirà il contenitore dei maccheroncini. Nell’impasto notate l’uso dello strutto in luogo del classico burro e soprattutto dello zucchero e della cannella, che si aggiungono ai consueti farina e tuorli d’uovo, profumati dal vino bianco secco.

Tenete l’impasto al fresco, evitando che essicchi e perda quindi in morbidezza. Spianatene i due terzi con un matterello di legno, ottenendo una sfoglia dell’altezza di mezzo centimetro. Ungete uno stampo per pasticcio e foderatelo con la sfoglia, fino a farla debordare. Naturalmente è preferibile uno stampo alto e decorato, perché la crosta di pasta ne prenderà la forma, dando un grandioso effetto alla presentazione del piatto.

I maccheroncini sono un tipico formato di pasta siciliana; meglio sarebbe se fossero stesi a mano arrotolando l’impasto di preparazione con l’ausilio di un ferro da calza. Tuttavia ne esistono in commercio già pronti, sia di pasta fresca, che secca. Lessate i maccheroncini, al dente (perché dovranno subire una seconda cottura) ed aggiungete il condimento, costituito da burro fuso, ricotta fresca passata al setaccio, caciocavallo palermitano (al più spezzato con parmigiano), dadini di prosciutto crudo.

Preparate a parte fiori di zucca soffritti in padella con uno spicchio d’aglio e piccoli piselli sgranati cotti con olio e cipolla. Riempite quindi lo stampo, con strati di maccheroncini alternati ai fiori di zucca (escluso l’aglio) e ai piselli. Spennellate con l’uovo il bordo superiore della pasta, affinché vi possa aderire la sfoglia di chiusura, incassando così il pasticcio di maccheroncini. Poi decorate la superficie con disegni a piacere ricavati con striscioline o formine di sfoglia rimasta. Spennellate ancora con l’uovo sbattuto prima di cuocere il timballo in forno caldo a 220° per 40 minuti circa.

Quando emergerà dal forno, lasciare riposare qualche minuto il pasticcio prima di sformarlo. Ponetelo su di un piatto da portata e servitelo fumante, sarà gioioso scoprirne il contenuto.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

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Una sontuosa cena barocca – 2/7


COPPA DI GAMBERI.

Ingredienti per 5 persone

500 gr di code di gamberi non sgusciate
1 cespo di radicchio
2 cicorie belghe medie
120 gr di olio di semi
100 gr di barbabietola
1 foglia di alloro
mezzo limone
sale e pepe
30 gr di aceto rosso
50 gr di vino bianco secco
1 uovo

Questa ricetta è senza dubbio una variante gustosa della oramai inflazionata “coppa di gamberi in salsa rosa” o “all’americana”, utilizzando per colorire ed addolcire una semplice barbabietola, tanto in voga nella cucina barocca, in contrasto con gli amarostici radicchio e cicoria. Un gusto che si richiama alla tradizione del “dulcamara”, ossia il contrasto dolce-amaro, agro-dolce.

In un po’ d’acqua – alla quale avrete aggiunto vino bianco secco, alloro, limone e un pizzichino di sale – immergete le code di gamberi non sgusciate. Quindi lessatele, scolatele e sgusciatele. Versate i gamberi in cinque coppe solenni, predisposte con un letto d’insalata nettata, lavata ed asciugata molto bene, tagliata in striscioline sottili.

Contemporaneamente, con la barbabietola, predisponete una salsa molto morbida. Togliete la pelle, frullatela fino ad ottenere una soffice purea; aggiungetevi dell’aceto di vino rosso e fate riposare qualche minuto. Preparate una classica maionese (con tuorlo d’uovo, olio di semi, pepe e poco sale). Ora, miscelate la maionese con la purea di barbabietola, scolata preventivamente dell’aceto. Questa salsa servirà a coprire l’insalata e i gamberi disposti nelle coppe. Guarnite Infine con piccole foglie di radicchio.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

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Una sontuosa cena barocca – 1/7

 

SPAZI DEL GUSTO.

Per festeggiare ricorrenze speciali proponiamo delle ricette ideate dai cuochi siciliani. Richiamano alla memoria il “pasticcio di sostanza”, i grandiosi “trionfi di gola”, morbidissimi zabaioni profumati alle erbe, elaboratissime meringhe di scuola francese, marmellate di arance amare di ricordo britannico, croccanti di origine araba, pistacchi e zucche candite. Tutti cibi che profumano di Sicilia.

Sono elaborati nelle cucine delle grandi casate che, a partire dall’epoca barocca, hanno creato la grande arte culinaria isolana: baronale o prelatizia che fosse. Una cucina raffinatissima, parallela a quella del popolo. Maestri dell’arte gastronomica di rango erano i “monsù”, ovvero i prestigiosi cuochi di palazzo, contesi dalla nobiltà dell’epoca. Seguivano i loro signori nelle residenze di città ed in quelle di campagna, e per essi cucinavano persino nei lussuosi alberghi d’Europa pur di assecondarli nei gusti.

A questo proposito presentiamo le ricette realizzate in occasione di una fastosa cena celebrata a Palermo, anni fa, nella splendida Villa Chiaramonte Bordonaro. Padrona di casa la baronessa Antonella Chiaramonte, che con sensibilità ha voluto offrire ai suoi commensali i momenti conviviali propri della tradizione nobiliare. La cena è stata raccontata da una delle più prestigiose riviste di alta cucina, “A Tavola”, testimonianza che ancora oggi la cultura culinaria siciliana ha spazio rilevante nella tradizione gastronomica nazionale.

Il menù di questa cena sontuosa è frutto delle amorevoli ricerche di Anna Maria Dominici (figlia del famosissimo attore Angelo Musco). Una raccolta di trascrizioni da antichi manoscritti riguardante i piatti della tradizione siciliana: quella popolare e quella baronale. Spesse volte i ricettari sono quelli appartenuti ai monsù, quando la cucina – quella di alto rango – era esclusiva degli addetti ai lavori, che ne conservavano gelosamente i segreti.

Oggi, tali segreti, potrete trovarli svelati ogni martedì sul nostro sito web, con l’intento, non solo di partecipare le delizie a quanti vorranno sperimentarne l’esecuzione, ma anche di arricchire la conoscenza della gastronomia siciliana, che gratifica la gola quanto lo spirito.

[Fotografie tratte dalla rivista “A Tavola”, rielaborate graficamente da Sebastiano Occhino]

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