La Casa d’Arte di Depero

 

PROSPETTIVE.

Alla fine dell’Ottocento i musei, le gallerie e i collezionisti americani iniziarono ad acquistare opere in Europa, mettendo fine a quello che era stato il vecchio rapporto artista-committente. Era nato il moderno mercato dell’arte. Gli artisti del futurismo, corrente modernista, cavalcarono il rinnovamento nel corso del Novecento. Arte, pubblicità e design industriale erano il loro pane quotidiano, inseriti a tutti gli effetti in un mondo nuovo che si annunciava. Depero, artista futurista, diede vita ad una personale casa d’arte a Rovereto, museo e portfolio insieme delle sue opere. Ma non si fermò qui: diede vita ad una seconda casa d’arte, stavolta a New York, dimostrando d’essere perfettamente inserito nello spirito dei tempi, ma soprattutto in un nuovo mercato globale. Era all’avanguardia anche sotto questo aspetto. Perciò, onore al merito!

Il Tema

Possiamo trovare un museo sul futurismo a Rovereto (Trento), grazie ad una fortunata intuizione dell’artista stesso: il laboratorio di Fortunato Depero. Egli ideò la sua “Casa” laddove abitava. Vi lavorava con la sua famiglia. Era nel contempo ufficio e piccolo museo, dove esporre le opere che via via andava creando. La Casa museo, venne ideata da Depero nel 1919, ma si completò realmente solo nel 1959 a Rovereto, quando venne inaugurata come “Galleria Museo Fortunato Depero”. La sede è un palazzo storico del medioevo, già banco dei pegni. La Casa fa parte di un’ampia progettazione curata dallo stesso artista, che comprende schizzi su arredamenti, decorazioni e rivestimenti. Dopo la sua morte (avvenuta nel 1960), la struttura venne ultimata grazie alla raccolta di opere documentarie e d’arte in essa conservate .

La Casa d’Arte di Depero, come unico museo futurista in Italia, fa parte del polo museale del Mart di Trento e Rovereto dal 1969, anno di apertura di questo museo progettato dall’architetto ticinese Mario Botta. Successivamente la Casa Depero è stata oggetto di un attento restauro, su progetto dell’architetto Renato Rizzi, All’inizio del 2009, in occasione del centenario della nascita del futurismo, il museo ha riaperto al pubblico. Da allora nella struttura si sono svolte diverse mostre, sempre incentrate sul futurismo. Ad esempio, essendo Depero attento innovatore in diversi settori dell’attività produttiva, si è svolta nella Casa una manifestazione che partendo dal “cane a sei zampe”, da sempre logo dell’Eni, ha sviluppato temi incentrati sul design, le arti applicate e la grafica pubblicitaria futurista. Nella stessa struttura molteplici sono le mostre allestite sui variegati aspetti della corrente artistica futurista.

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Manifesti d’arte, il futurismo

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IL FUTURISMO

Movimento letterario, artistico e politico, fondato nel 1909 da F.T. Marinetti. Attraverso tutta una serie di ‘manifesti’ e di clamorose polemiche, propugnò un’arte e un costume che avrebbero dovuto fare tabula rasa del passato e di ogni forma espressiva tradizionale, ispirandosi al dinamismo della vita moderna, della civiltà meccanica, e proiettandosi verso il futuro fornendo il modello a tutte le successive avanguardie. >>> Continua e leggi

 

DIZIONARIO DI STORIA (2010)

IL LIBRO DELL’ANNO 2009 (2009)

ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI (2005)

ENCICLOPEDIA DEL CINEMA (2003)

 

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Là dove l’arte si evidenzia

 

LIBRI D’ARTISTA.

Ruscha con Twenty-six gasoline stations (1963) o Every Building on the Sunset Strip (1966) oppure Dieter Roth con Daily Mirror (1970), danno avvio al nuovo genere contemporaneo di espressione artistica. Seguono a ruota le prime pubblicazioni del movimento internazionale che sotto la denominazione Fluxus riunirà oltre ad artisti, anche architetti, compositori o designers. Si hanno così i libri di George Maciunas che di Fluxus è il fondatore, o le opere del Minimalismo di Solomon “Sol” LeWitt o del Concettualismo espresso da Joseph Kosuth o Timm Ulrichs.

Eppure mi piace mostrare come questo interesse per il libro, quale medium artistico, è suggerito da una chiara serie di antecedenti che riscontriamo nella storia più remota. Perché c’è sempre un prima nelle cose e nulla si origina all’improvviso, ma da opportunità latenti d’ispirazione. Potremmo in questo modo essere ricondotti ai pittogrammi rupestri preistorici, alle tavolette cuneiformi sumere o a quelle cerate romane, oppure ai papiri egiziani, ai libri aztechi o tibetani. Senza spingermi tanto indietro nel tempo, mi basta citare certi libri che, pur mantenendo la loro qualità di “opere di contenuto”, ne ricercano una forma differente giustificando una vera e propria indagine sulle altrettanto valide “qualità fisiche”.

Tale ricerca è parte della storia dell’arte, dal momento che le raffigurazioni del libro divengono tanto importanti quanto il testo. È vero, si obietterà che la loro unica funzione era quella di decorare il documento che accompagnavano. Ma non stiamo parlando ancora di veri e propri libri d’artista, ma di avvertimenti, di segnali, che si svilupperanno nel tempo, quando una sensibilità matura riuscirà a coglierli. Un chiaro esempio è riscontrabile nei libri di canti gregoriani, miniati dai monaci nel corso del Medioevo. Capilettera ornati da fiori o da scene, bordi decorati da “ramage”, tutti con la stessa funzione decorativa.

Ma la ricerca e l’osservazione si spingono oltre il margine del foglio e incidono sulla struttura. Nel Codex Rotundus (o codice rotondo) la forma si fa circolare e – rispetto ai grandi codici sacri da deporre su imponenti leggii d’altare – questo libro riduce le dimensioni, giacché la sua funzione primaria è quella di essere trasportato facilmente. È infatti un “Libro d’Ore”, composto nel 1480 a Bruges e conservato nella Biblioteca della Cattedrale di Hildesheim in Germania. Ha solo nove centimetri di diametro ed è riccamente illustrato per scandire le ore liturgiche ricorrenti nei diversi momenti dell’anno. Libri come questo erano imprescindibili nelle comunità religiose e nelle famiglie abbienti che potevano sostenere l’onere di acquistarne un esemplare. Ma l’Europa più colta del tempo annovera anche opere manoscritte, come quella del Beato di Liébana i cui “Commentari” furono miniati a partire dal secolo IX in vari monasteri spagnoli. Oppure il Libro d’Ore di Maria di Navarra (sec. XIV) dipinto da Ferrer Bassa o il bellissimo “Très Riches Heures du Duc de Berry”, capolavoro della pittura franco-fiamminga del XV secolo, opera dei Fratelli Limbourg.

Tutti libri artistici, dunque, e non ancora d’artista. Ma seguite il mio ragionamento e presto ci arriveremo.

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Disegnare oggi – 3/3

 

Il titolo che accomuna questa serie di articoli è: “Tela o carta: qual è la differenza?”. In effetti la differenza c’è ed è legata al “numero di copie”. Nell’arte i quadri sono pezzi unici, tant’è che le copie di altri pittori non hanno il valore dell’originale.

Nell’industria moderna, la replicazione dei prodotti poteva mantenere il valore e la qualità dell’originale? E quale era l’originale? Lo stampo che li replicava? È il problema delle arti applicate. Considerate, da sempre, inferiori. Nel design, come in pubblicazioni a stampa, si raggiunge un numero elevatissimo di copie. Un tempo, più si progrediva, più le copie aumentavano, mentre, all’opposto, il loro valore scendeva vertiginosamente. Più copie, meno valore. Perciò le Illustrazioni su libri, giornali, pubblicità e manifesti – tutti realizzati su carta – si deprezzerebbero per l’elevata tiratura. Al contrario, le bassissime tirature (magari numerate) farebbero crescere il valore degli esemplari. Figuriamoci, quindi, un fumetto, distribuito ovunque, quanta considerazione possa avere.

Ciononostante, con la moda odierna delle “firme” – nell’abbigliamento come nel design industriale – artisti, creatori e progettisti, raggiungendo notorietà sempre maggiori, hanno aumentato richieste e considerazione. Ad esempio, Fellini chiedeva consulenze a Milo Manara, fumettista, per i suoi film, fosse quasi un secondo Direttore della fotografia.

Oggi le arti applicate hanno il loro merito. Il Victoria and Albert Museum di Londra lo ha dimostrato. Tale museo, infatti è dedicato alle arti applicate e alle arti minori; ma sono presenti anche sezioni sulla pittura (soprattutto il disegno nelle sue tecniche di riproduzione), la scultura e l’architettura.

Bisognerebbe fermarsi e riflettere un attimo. Inquadrare, comunque, un effetto legato alla modernità. Le macchine e la riproduzione in serie hanno raggiunto la loro importanza. Persino Internet non cancella la vecchia comunicazione, ma anzi, la arricchisce. La maggiore diffusione è un plus dei nostri tempi, proiettati verso un futuro che conquisterà “nuovi” valori. È un dato di fatto!

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Christo cammina sulle acque

 

LA PASSERELLA di tessuto giallo sul lago d’Iseo, serve alla “full immersion” degli iniziati, coinvolti emotivamente nell’installazione temporanea di Land Art ideata da Christo. Ma non solo. “The floating piers”, cioè i pontili galleggianti, servono anche come “passerella” alle rockstar della critica d’arte nostrana, perché basta dire il contrario per tenere viva l’attenzione anche su di loro. Philippe D’Averio paragona l’opera all’attrazione della donna cannone, dal momento che in questa sagra di paese «avranno successo solo gli ambulanti di bibite e panini». Vittorio Sgargi, “vox clamantis in deserto”, la definisce come «il desiderio solipsistico di un artista, una passerella verso il nulla». Al contrario, avrebbe potuto stabilire un collegamento con i centri vicini, che preservano monumenti, chiese, siti archeologici, mete di un percorso delle meraviglie, del tutto immersi nel disinteresse e nell’oblio. Christo, isolato dal rumore molesto, risponde con distacco: «Non faccio questi interventi site-specific per essere popolare. Questa è arte non necessaria, che spesso importuna gli amanti dell’arte che preferiscono luoghi asettici o protettivi come le gallerie o i musei. Prendo in prestito uno spazio, creando un “disturbo gentile” e intrecciando la vita delle persone all’opera d’arte». Le rockstar non hanno compreso che gestire la promozione dei luoghi spetta agli organizzatori. Non all’artista. Lui, invece, stimola il desiderio di camminare – quasi involontariamente, meglio se a piedi scalzi – per abbandonarsi al sole, all’umidità del lago, alla pioggia o al vento. «Qui non si è persi dentro una realtà virtuale, non c’è la riproduzione di un’immagine appiattita». Silenzio, “please”.

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DOMANDE & RISPOSTE: Cosa è un’entasis?


In italiano la chiamiamo semplicemente “èntasi“, in greco “èntasis” (ἔντασις), che tradotto letteralmente significa “tensione, sforzo”, per Vitruvio “gonfiezza della colonna”. È un termine tecnico, utilizzato da architetti e storici dell’arte per definire quell’ingrossamento del fusto di una colonna, che compare a circa un terzo dalla base. Se osserviamo infatti una colonna, noteremo che sovente si presenta rastremata, ossia affusolata verso l’alto, con un suo diametro massimo alla base (imoscapo) e uno minimo alla sommità (iposcapo). A questa progressiva riduzione verso l’alto della circonferenza del fusto, si aggiunge l’entasis, ossia un più o meno accentuato rigonfiamento in prossimità della base.

Colonne doriche del tempio di Era a Paestum con rastremazione ed entasi (entasis, in greco).

Questo ingrossamento indica uno sforzo di “tensione”, che richiama alla memoria le antiche colonne quando dovevano sopportare il peso sovrastante della trabeazione. Tale peso era distribuito uniformemente, ad esempio, sulle singole colonne di un peristilio, grazie ai capitelli, i quali sotto il profilo statico hanno la funzione di convogliare i carichi in asse alla colonna stessa. Lo sforzo di tensione è semplicemente apparente nell’architettura in pietra, poiché le colonne sono sovradimensionate rispetto ai carichi effettivi; ma era al contrario reale nell’architettura di epoca tardo antica, quando i templi erano costruiti quasi interamente di legno. Sappiamo infatti che un tronco di legno male si presta ad essere utilizzato per reagire a quello che i tecnici chiamano “carico di punta”. Pertanto sotto uno sforzo di compressione si deforma proprio alla base, in altri termini si schiaccia, determinando una deformazione delle fibre e una conseguente dilatazione della circonferenza: fenomeno che potrebbe preannunciare la rottura.

Non è da escludere, quindi, che nell’architettura classica, realizzata in pietra, l’origine dell’entasis sia da ricercarsi nella “mimesi”, ovvero nella imitazione, del fenomeno elastico o plastico delle primitive strutture lignee. Elastico, se consideriamo una deformazione che aumenta progressivamente, ma che potrà fare tornare il pilastro ligneo allo stato iniziale, una volta scaricata la struttura. Come nel caso di una struttura precaria: un puntellamento, un ponteggio. È fenomeno plastico, nel caso in cui la deformazione diviene permanente con il tempo, perché il carico rimane stabile: ad esempio in un tempio o in altre costruzioni. L’entasis non è sempre presente nelle colonne antiche. Infatti nel caso del dorico arcaico o dell’architettura etrusca molte volte l’entasis può essere totalmente assente, oppure al contrario può essere fortemente accentuata.

Partenone – Pianta e correzioni ottiche

Oltre a queste spiegazioni di ordine statico, secondo alcuni studiosi, l’entasis serviva a correggere le deformazioni ottiche tipiche di una architettura, come quella greca, interamente leggibile con un solo colpo d’occhio: una serie di colonne circondano il naòs, (la cella sacra) e sostengono il sistema di copertura. Guardando i loro templi, i greci, attenti ai fenomeni naturali, hanno percepito che la serie ripetitiva delle colonne, tutte allineate, dà origine a particolari effetti visivi di curvatura dello stilobate (piano di spiccato delle colonne) e ad un assottigliamento ottico del fusto. L’entasis, con il suo rigonfiamento, corregge il gioco di alterazione della vista.

Questi studi sono stati considerati dai trattatisti, a cominciare da Vitruvio Pollione (De Architettura) fino agli scrittori rinascimentali, che ne hanno dettato norme precise. Ad esempio le specifiche classiche di Vignola (Regola delli cinque ordini dell’architettura) stabiliscono che tutte le colonne siano affusolate correttamente, e contemporaneamente rigonfie, per sembrare visivamente corrette; altrimenti la colonna una volta installata presenterà un’apparenza ricurva. La posizione ed il grado di questa curvatura, chiamata appunto entasis, varia con l’ordine architettonico. Tuttavia, nonostante le indicazioni dei trattati di architettura, nelle realizzazioni pratiche di colonne in pietra, la soluzione estetica, scissa dalle concrete imposizioni fisiche delle colonne lignee, è sempre stata dovuta alla sensibilità artistica di ciascun progettista.

L’Entasi della Colonna

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Una sontuosa cena barocca – 3/7


MACCHERONCINI IN CROSTA. 

Ingredienti per 6 persone

per la pasta:
300 gr di farina, 75 gr di zucchero
150 gr di strutto
2 tuorli
50 gr di vino bianco secco
1 grosso pizzico di cannella, sale

per il ripieno:
400 gr di maccheroncini caserecci
50 gr di burro fuso
50 gr di caciocavallo grattugiato
50 gr di parmigiano grattugiato,
1 uovo (sbattuto e allungato con 125 gr di panna liquida)
150 gr di ricotta passata a setaccio100 gr di prosciutto crudo tagliato a dadini
350 gr di fiori di zucca, (con aglio e 50 gr d’olio)
150 gr di piselli piccoli sgranati (con 50 gr d’olio, 60 gr di cipolla grattugiata, pepe, sale, 20 gr di zucchero)
1 uovo per dorare la pasta burro o strutto per ungere lo stampo

 Questo pasticcio di maccheroncini in crosta è un primo piatto caratteristico della cucina nobiliare. La differenza con la cucina popolare, che si sarebbe limitata ai soli maccheroncini, consiste nell’arricchire la pasta con un involucro di sfoglia di gattopardesca memoria. Occorre mettere in evidenza che i maccheroncini, sono conditi in bianco; infatti l’uso del pomodoro invalse solo nei primi anni trenta del XIX secolo, mentre oggi sembra quasi non poterne fare a meno nella cucina nazionale.

Anzitutto preparate l’impasto che costituirà il contenitore dei maccheroncini. Nell’impasto notate l’uso dello strutto in luogo del classico burro e soprattutto dello zucchero e della cannella, che si aggiungono ai consueti farina e tuorli d’uovo, profumati dal vino bianco secco.

Tenete l’impasto al fresco, evitando che essicchi e perda quindi in morbidezza. Spianatene i due terzi con un matterello di legno, ottenendo una sfoglia dell’altezza di mezzo centimetro. Ungete uno stampo per pasticcio e foderatelo con la sfoglia, fino a farla debordare. Naturalmente è preferibile uno stampo alto e decorato, perché la crosta di pasta ne prenderà la forma, dando un grandioso effetto alla presentazione del piatto.

I maccheroncini sono un tipico formato di pasta siciliana; meglio sarebbe se fossero stesi a mano arrotolando l’impasto di preparazione con l’ausilio di un ferro da calza. Tuttavia ne esistono in commercio già pronti, sia di pasta fresca, che secca. Lessate i maccheroncini, al dente (perché dovranno subire una seconda cottura) ed aggiungete il condimento, costituito da burro fuso, ricotta fresca passata al setaccio, caciocavallo palermitano (al più spezzato con parmigiano), dadini di prosciutto crudo.

Preparate a parte fiori di zucca soffritti in padella con uno spicchio d’aglio e piccoli piselli sgranati cotti con olio e cipolla. Riempite quindi lo stampo, con strati di maccheroncini alternati ai fiori di zucca (escluso l’aglio) e ai piselli. Spennellate con l’uovo il bordo superiore della pasta, affinché vi possa aderire la sfoglia di chiusura, incassando così il pasticcio di maccheroncini. Poi decorate la superficie con disegni a piacere ricavati con striscioline o formine di sfoglia rimasta. Spennellate ancora con l’uovo sbattuto prima di cuocere il timballo in forno caldo a 220° per 40 minuti circa.

Quando emergerà dal forno, lasciare riposare qualche minuto il pasticcio prima di sformarlo. Ponetelo su di un piatto da portata e servitelo fumante, sarà gioioso scoprirne il contenuto.

[Fotografia tratta dalla rivista “A Tavola”, rielaborata graficamente da Sebastiano Occhino]

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Depero e l’espressione futurista

 

PROSPETTIVE.

Il simbolo del genio e della creatività è, senz’altro, Leonardo da Vinci. Ma vi sono stati altri esempi di straripante genialità, anche abbastanza recentemente. Tra questi, a modo suo, possiamo citare Fortunato Depero, artista futurista. Creò di tutto e fu un esempio del moderno designer.

L’approccio futurista ci ha sempre colpito per la somiglianza col rinnovamento tecnologico, che andiamo vivendo oggi. L’invenzione dell’ascensore, ad esempio, permise la creazione dei grattacieli, che rendevano possibile, a loro volta, la visione di una nuova città, sia architettonicamente, che urbanisticamente. Cambiava la città con il contemporaneo arrivo di una nuova società e nuove abitudini di vita. Vi sembra poco?

 

Il Tema

Fortunato Depero, fu un artista futurista tra gli altri, che pure furono numerosi, come Boccioni, Giacomo Balla, Enrico Prampolini, Ardengo Soffici, Gino Severini. Tuttavia, Depero emerge storicamente, per aver lasciato ai posteri due Case d’arte, a Rovereto (Trento) e a New York, in cui ritroviamo composizioni varie, investendo espressioni artistiche che variano dagli oggetti, alla pubblicità e ai manifesti. L’opera di Depero, infatti, si svolse con un’ottica a 360 gradi, investendo campi diversissimi tra loro, nell’aspirazione visionaria di immaginare (e creare) il mondo del futuro, appunto futurista. Come per oggi, il loro riferimento era la nuova tecnologia di allora, quale l’invenzione della macchina, la motocicletta, l’aereo o l’ascensore.

Fortunato Depero fu definito “pittore, scultore e pubblicitario”, ma si dedicò a creare l’impensabile, con una vera visione totale. Ebbe come committenti molte aziende produttive leader italiane. Questa grande esuberanza artistica dava vita a disegni, manufatti, stoffe e occasioni pubblicitarie. Tant’è che, nel 1957, Depero stesso creò la Casa d’arte a Rovereto, denominata “la Casa del mago”, dove erano esposte le sue composizioni, come in un museo, ma che conteneva, contemporaneamente, il proprio laboratorio, dove lavorava l’intera famiglia. Desiderio dell’artista non era solo quello di esprimersi, ma di creare oggetti d’impatto sulla società: sia belli, ma soprattutto utili. Un vero designer moderno.

In seguito, nel 1928, lui e la moglie replicarono la Casa di Rovereto, aprendo, a New York, la “Deperòs Futurist House”, una specie di filiale, che operava sul mercato americano.

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Depero e la creatività del Futurismo

 

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FORTUNATO DEPERO

Depèro, Fortunato. – Pittore italiano (Fondo 1892 – Rovereto 1960). Aderente al movimento futurista, fu tra i firmatarî del manifesto dell'”aeropittura” (1926) e, con E. Prampolini, tra i più vivaci rappresentanti del “secondo futurismo” (La rissa, Roma, Galleria d’arte moderna; Nitrito in velocità, 1932, Genova, collezione Della Ragione). Egli apportò al futurismo un gusto spontaneo per la battuta sapida, di carattere popolare e più precisamente radicato nel folclore dell’Alto Adige (Sbornia monumentale, 1946, Milano, collezione A. Palazzolo) e con Balla e Prampolini studiò le applicazioni del futurismo alle “arti applicate” (tipografia, pubblicità, e, soprattutto, arazzi, cui si dedicò per venti anni). Esercitò anche con successo la scenografia.
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DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI – VOLUME 39 (1991)

ENCICLOPEDIA ITALIANA (1931)

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Cos’è un libro d’artista?

 

LIBRI D’ARTISTA.

Risponderei: il libro d’artista è il mezzo espressivo di un lavoro artistico. Tutti saprebbero identificare un lavoro artistico guardando un quadro. Nel nostro caso specifico il mezzo prescelto per esprimere un’idea è il libro. Col progetto Black & White di Experiences, ad esempio, il libro è pubblicato in edizione limitata e numerata, ma abbiamo tanti altri autori che hanno prediletto la medesima strada. La maggior parte, però, ha preferito il libro come esemplare singolo, per questo motivo si usa indicarlo con l’espressione francese di “unique”. Sull’oggetto libro, l’autore ha, quindi, lavorato per dare vita ad un’opera d’arte che ha valore “di per sé stessa”.

In realtà gli artisti si sono occupati per secoli di libri unici come i manoscritti o multipli come quelli prodotti a stampa. Ciò nonostante il libro d’artista si è imposto come un nuovo genere legato alle “Belle Arti” solo nella seconda metà del XX secolo. Il libro d’artista è, perciò, l’opera d’arte di un artista visivo che usa, nella preparazione dei suoi lavori, un formato standard di libro oppure un supporto ispirato a qualsiasi mezzo di trasmissione scritto, come è possibile ritrovarlo nella storia. Basti pensare a tavolette d’argilla, a materie vegetali, a conchiglie, ossa, pergamene, carta, metalli. Un esempio di questa usualità con i supporti storici potrebbe essere la ricerca di Gerard de Brénnel, artista che assomma nei suoi lavori influenze, spagnole e francesi, tratte dalla plastica, dall’incisione o dalla serigrafia. Uno dei suoi lavori è nella immagine che accompagna questo articolo.

Una cosa è certa, a metà del XX secolo, gli artisti hanno iniziato a sperimentare mezzi, formati, nonché materiali, meno usuali, così da trovare strade alternative ai tradizionali generi di espressione, quali pittura, scultura od opere grafiche. Interessati dal supporto “libro”, hanno iniziato a utilizzare questo mezzo antico (legato fino ad allora ai testi letterari) per un uso assolutamente nuovo di sperimentazione artistica. Vedremo – se mi seguirete – qualche esempio antico e moltissimi esemplari della produzione contemporanea.

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