Il Louvre, il museo più visitato al mondo 1/3

 

GRANDI MUSEI IN EUROPA

Il Museo del Louvre di Parigi, è uno dei più famosi musei al mondo. È anche il più visitato. Ogni anno, conta circa 8,8 milioni di ingressi. Il Louvre è così famoso quanto alcune opere d’arte in esso esposte (e viceversa), come, ad esempio: la Gioconda, la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, Il giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David, La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix, la Venere di Miloe la Nike di Samotracia.

 

Planimetria del Louvre


Il Palazzo del Louvre

L’edificio del museo, del XII secolo, fu costruito sotto Filippo II e si trova sulla “rive droite”, oggi tra la Senna e Rue de Rivoli. Ha, infatti, un’origine così antica da superare in storia molte delle opere in esso custodite. La costruzione iniziale risale ad un periodo tra il 1190 e il 1202, e originariamente si trattava di una fortezza, necessaria alla difesa di Parigi dalle incursioni normanne. Alcune fonti del periodo citano una “Nuova Torre” collocata nella posizione del palazzo del Louvre. Si desume che sul luogo sorgesse una “Vecchia Torre”. Da ricerche effettuate, resti di tale torre originaria sono situati nelle fondamenta dell’angolo sud-orientale dell’edificio. La fortezza, ampliata in seguito, fu irrobustita da un muro difensivo, nel 1358, sotto Carlo V, che la trasformò nella sua residenza reale. I re successivi la utilizzarono, invece, come prigione.

Nel Cinquecento, tra il governo di Luigi IX e quello di Francesco I, furono realizzati cambiamenti significativi. Il primo, fece costruire una prigione sotterranea. Il secondo, un edificio adiacente. Inoltre, fu proprio Francesco I che, a metà del XVI secolo, chiamò l’architetto Pierre Lescot, per redigere un progetto di ricostruzione. Francesco I morì nel 1547. Il successore Enrico II fece ultimare il progetto, in particolare le ali occidentale e meridionale. La decorazione interna fu arricchita dai bassorilievi di Jean Goujon. Con i rinnovamenti la costruzione perse il carattere di fortezza e acquisì quello di palazzo. Non ancora soddisfatto, nel 1594, il re Enrico IV, ordinò di unire l’edificio del Louvre con il Palazzo delle Tuileries, edificato da Caterina de’ Medici. Il palazzo, che ne risultò, era, probabilmente, il più lungo mai costruito in quell’epoca.

L’edificio a corte, la Cour Carrée, nacque con un progetto di Jacques Lemerciere, del 1624, e con l’opera dell’architetto Louis Le Vau (che edificò poi Versailles). Inizialmente il palazzo si presentava a due piani, ai quali fu aggiunto un piano rialzato. La corte interna quadruplicò la sua area. Le costruzioni furono portate avanti sotto i regni di Luigi XIII e Luigi XIV (il re Sole). Quando quest’ultimo fece costruire Versailles, e andò a risiedervi con gran parte della corte, i lavori al Palazzo del Louvre si fermarono. Nel Settecento, Luigi XV decise di trasformarlo in un museo. I lavori di trasformazione, tuttavia, non procedettero alacremente.

 

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Isole Eolie: Filicudi

 

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L’isola di Filicudi è situata a circa 24 miglia marine ad ovest da Lipari. Di non grandi dimensioni (9,7 km² circa) come le altre isole vicine è di origine vulcanica. Il monte Fossa Felci è in realtà un vulcano spento di 774 m di altezza, ma l’isola possiede altri sette vulcani spenti da tempo soggetti ad erosione. È abitata soltanto da 250 persone (3000 nella stagione turistica) che vivono distribuite in tre piccoli centri: Filicudi Porto, Valdichiesa e Pecorini a Mare. Gli abitanti si chiamano filicudari.

L’isola prende il nome da Phoenicusa, “ricca di felci”, come veniva chiamata in tempo antico a causa della presenza intensa di una palma nana che ancora cresce sulla montagna. Filicudi non presenta, come Alicudi; strade interne, e l’unica via asfaltata serve al collegamento dei tre centri. Fa parte del comune di Lipari. I prodotti principali coltivati sull’isola sono i capperi e i fichi. È chiaramente molto importante il turismo e la pesca amatoriale nel periodo estivo. Su parte dell’isola esiste un piccolo parco regionale.

Si può dire che la “modernità” ha raggiunto Filicudi nel 1986 con la costruzione di un impianto di generazione elettrica a gasolio, per le pompe elettriche per l’acqua dei pozzi, le televisioni e gli elettrodomestici in generale. L’acqua però continua ad arrivare con navi cisterna. Il piccolo passo avanti ha fruttato all’isola un certo sviluppo economico, soprattutto nell’ambito dei servizi per il turismo e, quindi, l’aumento del numero di visitatori.

Una sezione del Museo Archeologico Eoliano è presente sull’isola ricco soprattutto di materiale proveniente dal villaggio neolitico di Capo Graziano, oltre ad altri reperti delle isole. È confermata l’antica produzione di ossidiana commerciata durante il periodo neolitico. Jaques Basler, scultore, organizza da tempo una piccola Biennale d’Arte a Filicudi in località Fossetta.

L’isola è raggiungibile con aliscafo, traghetto e catamarano passando da Lipari ed altre isole per raggiungere il porto di Milazzo. È raggiungibile anche con un traghetto in partenza da Napoli. Sull’isola sono presenti due attracchi per le navi. Il principale è il punto maggiormente frequentato e per questo motivo è anche il più “commerciale”. In alternativa c’è il molo di Pecorini Mare, ma i due attracchi non sono del tutto protetti e attrezzati per il periodo invernale, quando le condizioni del mare si fanno proibitive.

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.

 

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Storia dell’Arte moderna: Caspar David Friedrich

 

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Caspar David Friedrich (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840) è stato un pittore tedesco, esponente dell’arte romantica.

Firma di Caspar David Friedrich

L’artista, uno dei più importanti rappresentanti del «paesaggio simbolico», basava la sua pittura su un’attenta osservazione dei paesaggi della Germania e soprattutto dei loro effetti di luce; permeandoli di umori romantici. Egli considerava il paesaggio naturale come opera divina e le sue raffigurazioni ritraevano sempre momenti particolari come l’alba, il tramonto o frangenti di una tempesta. Continua a leggere su WIKIPEDIA

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Lo stile narrativo delle storie di Corto – 5/5

 

La serie di Corto Maltese, nel suo sviluppo, si è sempre più caratterizzata per lo stile narrativo delle sceneggiature, tanto da farla apparentare con la più alta letteratura. Lo stesso Pratt diede del fumetto la definizione di “letteratura disegnata”. Tant’è che le storie di Corto Maltese assunsero i connotati del romanzo letterario. Gianni Brunoro giudica il lavoro di Hugo Pratt un’opera letteraria fornita, però, di disegni e illustrazioni. Rileva come la Ballata del mare salato (il primo episodio del 1967) possieda già una precisa ambientazione temporale (gli inizi del XX secolo), quando il fumetto classico aveva allora un’ambientazione relativamente generica e astratta. Nella Ballata, invece, intervengono aspetti politici, sociali, economici ed umani legati proprio al periodo storico. L’episodio, inoltre, si svolge come un racconto corale, fatto di diversi personaggi, tutti con la loro importanza e con il loro approfondimento psicologico, come in una matura opera letteraria. 
Col passare del tempo, Pratt svolse una analisi riflessiva, apportando modifiche al fumetto di Corto Maltese. Questi cambiamenti, sia letterari che grafici, si registrano a partire da Favola di Venezia. Il tratto diventa semplice ed essenziale, ma molto espressivo. La parte testuale viene approfondita e migliorata, con notizie e riferimenti. I temi trattati non seguono una consequenzialità precisa, ma variano, collegandosi a volte al mistero e all’esoterismo. Come in un romanzo odierno di genere graphic novel. Questa confluenza tra fumetto e romanzo divenne la caratteristica dell’opera degli ultimi anni, nella costante ricerca di nobilitare il genere del fumetto. In tale ricerca va la trascrizione letteraria della Ballata del mare salato (del 1995) e di Corte sconta detta arcana (del 1996).

 

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“Cultura Crea” per le imprese del Sud

 

INVITALIA, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – facente capo al Ministero dell’Economia – col proposito di “dare valore all’Italia” promuove il rilancio delle aree di crisi, soprattutto nel Mezzogiorno, e gestisce incentivi sostenendo imprese e startup innovative. A settembre, in accordo col Mibact, lancia una nuova iniziativa a favore della filiera culturale e creativa delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e – buon per noi – Sicilia. “Cultura Crea” è il programma varato per realizzare e sviluppare iniziative imprenditoriali nel settore dell’industria culturale-turistica e per sostenere le imprese no profit che puntano alla valorizzazione delle risorse culturali presenti sul territorio. L’iter sembra spedito, perché in quattro mesi dalla presentazione della domanda l’impresa sarà in grado di operare sulla base di un contratto di finanziamento appositamente stipulato. Le risorse complessive, relative al finanziamento agevolato a tasso zero e al contributo a fondo perduto, possono arrivare a coprire il 90% delle spese ammesse. Le agevolazioni, concesse fino ad esaurimento delle risorse, ammontano a 107 milioni di euro: 42 per la nascita di nuove imprese, 38 per il sostegno alle imprese già attive, 27 per il terzo settore. A conti fatti non meno di 200 progetti saranno sviluppati per dare vita a servizi per la fruizione turistica e culturale, iniziative di promozione e valorizzazione, recupero di produzioni tipiche locali. Agli stalli di partenza: dal 15 settembre, su www.culturacreativa.beniculturali.it si potranno presentare le domande e informarsi sui roadshow e i vari webinar. Che dire? Il futuro appartiene a coloro che ci credono.

 

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Perché si dice: Regno delle “Due Sicilie”?

 

Con il nome di “Regno delle Due Sicilie” si identificano i due Regni di Napoli e di Sicilia. Il termine è stato assunto in seguito al fatto che dopo i Vespri siciliani sia i re di Sicilia, per l’effettivo dominio del territorio insulare, e sia i re di Napoli, per non perdere i propri diritti sull’Isola, portarono contemporaneamente il titolo di “re di Sicilia”. Quindi si poteva distinguere un “Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum” cioè un Regno di Sicilia “al di qua del faro”, ossia l’Isola vera e propria, e una Sicilia “al di là del faro”, costituita dalla parte meridionale della penisola, ovvero dallo Stato napoletano. Il Faro al quale si fa riferimento è quello posto sul Braccio di San Raineri a Messina.

Nel 1443 Alfonso V il Magnanimo, re d’Aragona e della Sicilia insulare, avendo conquistato lo Stato napoletano, chiamato quindi da tempo Regno di Sicilia, si proclamò “rex utriusque Siciliae” (re di ambedue le Sicilie). Pur essendo unificati sotto un’unica corona, i due territori, divisi dal braccio di mare dello Stretto di Messina, mantennero amministrazioni locali separate. Tuttavia, con la morte di Alfonso V (1458), i due Regni tornarono ad essere distinti.

A partire dal 1734 i Borboni, che governarono sull’Italia meridionale, compresa la Sicilia, ripresero l’antica denominazione e ciò fino alla restaurazione conseguente al congresso di Vienna del 1815, quando venne formalizzata l’unificazione del Regno di Napoli con il Regno di Sicilia, da parte del re Ferdinando (detto IV re di Napoli e III re di Sicilia). Con la legge del 22 dicembre 1816 che sanciva l’unificazione, Ferdinando assunse il titolo di “Ferdinando I re delle Due Sicilie”. Questa unificazione modificava il reale assetto politico e pertanto suscitò le proteste dei Siciliani e della Santa Sede. Quest’ultima si manifestò contraria perché vedeva mutata l’impronta di un Regno che riteneva da sempre suo vassallo. I Siciliani invece protestarono perché, essendo stata abolita la costituzione – che lo stesso re Ferdinando aveva concesso nel 1812 – venivano a perdere i privilegi di autonomia rispetto alla corona. Di fronte all’unificazione, il popolo siciliano si rivalse con l’arma della satira. Il motto ricorrente era: “Fosti quarto e insieme terzo, Ferdinando, or sei primiero, e se sèguita lo scherzo, finirai per esser zero!”

Il Regno delle Due Sicilie, così denominato, durò fino al 1860, sotto Francesco II di Borbone, quando in seguito alla spedizione di Garibaldi e ai Plebisciti del 21 e 22 ottobre fu proclamata definitivamente decaduta la monarchia borbonica e dichiarata l’unione delle Due Sicilie al Regno d’Italia.

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Cos’era una panelleria? 1/2

 

In principio c’era il fast-food, poi lo slow-food, per ultimo il finger-food. Seguendo una moda esterofila i termini presi in prestito dalla lingua inglese indicano, in ordine, un pasto veloce, uno lento e uno da afferrare con le dita. Dalla tradizione riaffiora così la pratica del cibo di strada, del piacere di consumare in piedi o su sgabelli posti davanti i banconi, bocconi golosi. Ritorna l’atavico gesto di prendere il cibo con le mani, sentire il profumo ed il “calore” che emana.

Il cibo di strada si identifica infatti con le friggitorie, i carrettini ambulanti, i chioschi; uso legato un tempo soprattutto alle città di mare, ma anche interne, che svolgevano un ruolo nevralgico negli scambi commerciali. Città così come Catania e Palermo, Genova e Firenze o la lontana Singapore, mettono in  “piazza” crespelle e panelle, farinata e lampredotto o saitai, cioè spiedini di legno su cui sono infilzati pezzi di carne marinata e grigliata.

La profumata focaccia a base di farina di ceci (farinata) dal porto di Genova approda a quelli della Toscana per giungere in Sicilia, a Palermo, non più cotta al forno, ma fritta in piccole porzioni. La panella è una piccola frittella a base di farina di ceci ed acqua che semplice negli ingredienti, richiede abilità nella preparazione. Facoltativa è nell’impasto la presenza di un ciuffo di prezzemolo così come la spolverata di pepe e qualche goccia di succo di limone. Pane e panelle, un tempo nel capoluogo siciliano, si trovavano dal panellaro. La sua bottega, ubicata al pianterreno di vecchi edifici, era impregnata dell’odore di olio fritto e rifritto.

Pane e panelle
Pane e panelle

Nelle panellerie il lavoro poteva cominciare anche il pomeriggio del giorno precedente e proseguire sino al mattino del giorno successivo. La farina di ceci veniva cotta a lungo in acqua salata e rimestata con un grande paiolo a “zattera”. Poi veniva fatta raffreddare, coperta da una mappina e si attendeva il momento giusto per confezionare le panelle, evitando che l’impasto si indurisse troppo. Si usavano particolari formelle di legno, di forma rettangolare, circolare oppure a semicerchio che avevano la particolarità di possedere un rilievo floreale. Una sorta di cartina al tornasole che provava l’immediatezza della preparazione, poiché tale incisione si rendeva visibile solo sopra una panella fritta da poco. Arredo tipico della panelleria era il piano inclinato forato, uno sgocciolatoio sul quale venivano riversate le panelle gonfie di vapore per eliminare l’olio superfluo, prima di essere gustate così o dentro tipiche pagnottelle calde di forno.

 

 

 

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La Parigi ereditata, romantica o del futuro?

 

La Parigi costruita dal barone Haussmann, alla fine dell’Ottocento, divenne, in breve tempo, molto copiata ovunque nel mondo. Lo stile architettonico adottato per la sua realizzazione fu quello eclettico, uno stile che doveva risultare avveniristico e nuovo per i tempi. Anche sotto il profilo urbanistico Parigi fu all’avanguardia. Non parliamo della tecnologia del ferro, tanto che quando, all’esposizione universale del 1889, fu costruita la Torre Eiffel, vanto della “modernità”, la città doveva risultare letteralmente fantascientifica, a chi, naturalmente, viveva allora e ne conosceva i linguaggi. Oggi, invece, si parla di città “romantica”. Il tempo ha capovolto le cose. Ma non sarà solo una questione di tempo a rendere il passato così romantico? 

Una mappa based che mostra (in rosso) il Streetwork haussmanniano tra il 1850 e il 1870.
Una mappa che mostra (in rosso) gli interventi viari haussmanniani tra il 1850 e il 1870.

 

Il Tema La Parigi di Haussmann
Dopo avere ottenuto l’incarico da parte del re di ristrutturare Parigi, Haussmann si ispirò ai larghi viali alberati dell’urbanistica del XVII secolo francese, che fu definito “il culto dell’asse”. Creò, quindi, strade larghe e diritte, raddrizzando anche quelle precedenti. Ecco dunque i Boulevard, viali ampi almeno 30 metri, e le Avenue strade principali tracciate a congiungimento delle importanti piazze e costruzioni del centro, quali place du Trône collegata alla Place de l’Étoile, o anche dalla Gare de l’Est all’Observatoire.

Questa soluzione urbanistica tendeva a mettere in valore grandi opere del passato come anche di nuova creazione, come l’Opéra Garnier, magnifico esempio dell’architettura eclettica del periodo. Rappresentazione massima di questa metodologia è simboleggiato proprio dalla place de l’Étoile da cui si dipartono ben 12 viali, tra cui l’avenue des Champs-Élysées. Questa valorizzazione urbanistico-architettonica diede a Parigi un’immagine moderna e grandiosa, politicamente di forte impatto. È stato calcolato che ben il 60% della città fu interessata dai lavori del barone Haussmann.

Non solo. Nei regolamenti edilizi adottati dalla città vennero fissati dei parametri molto severi. Gli edifici non potevano superare i 5 piani per le nuove costruzioni, presentando inoltre appartamenti non più bassi di 2,60 di altezza. Altresì vennero introdotte diverse forme abitative, quali l’immeuble de rapport (un edificio con più appartamenti, ma di un unico proprietario) e l’hôtel particulier, una residenza di lusso per un unico proprietario. I nuovi sistemi abitativi e l’ampiezza degli isolati voluti da Haussmann incentivarono gli interessi legati alla nuova edilizia parigina, con enormi profitti e la riorganizzazione della rendita immobiliare.

In virtù della volontà igienista, Haussmann diede il meglio di sé. Furono creati nuovi parchi urbani e valorizzati quelli già esistenti. Si diede, infatti, vita al parco delle Buttes Chaumont e Montsouris, nonché al Bois de Vincennes e al Bois de Boulogne. Ma Haussmann fece molto di più per la salute dei parigini, creando una moderna rete idrica ed un sistema di fognature adeguato alla grandezza della città.

Tra le grandi opere realizzate, vanno enumerate le Halles (i mercati generali) e le diverse stazioni ferroviarie. Sempre in questo periodo, si diede vita al piano di illuminazione pubblica, che trasformerà Parigi in una città all’avanguardia per i tempi. Non mancarono le critiche da parte dei vecchi proprietari, della stampa e delle opposizioni politiche in Parlamento, ma già a distanza di poco tempo se ne capì il significato e la grandiosità dell’intervento del barone Haussmann, passato ormai alla storia.

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Isole Eolie: Alicudi

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ALICUDI

A circa 34 miglia marine da Lipari è situata verso ovest l’isola di Alicudi. Molto piccola (di 5,2 km² circa), è caratterizzata dal monte Filo dell’Arpa, che raggiunge 675 mt dal livello del mare ed è un vulcano spento dalla forma quasi perfettamente conica, che degrada fortemente verso ovest con ripidissime scogliere. Sul lato orientale la montagna presenta un andamento più dolce e vi si accentra l’unico agglomerato di case, che come l’isola prende il nome di Alicudi, con un centinaio di abitanti, chiamati Arcudari. L’isola, anticamente denominata Ericusa (cioè ricca di erica), fa parte del comune di Lipari.

Contrariamente alle aspettative, storicamente non si sviluppò mai la pesca, ma l’agricoltura, di cui si possono intravvedere gli antichi terrazzamenti sul monte, la cui origine vulcanica rendeva fertile e coltivabile la terra. Ad Alicudi le principali colture sono rappresentate da ulivi, vite e capperi. La pesca è praticata oggi, ma la risorsa principale è il turismo, anche se in misura minore rispetto le altre isole dell’arcipelago. L’isola è collegata a Lipari da aliscafo e traghetto. Si attracca ad un piccolo molo, ma esiste anche uno spiazzale per l’atterraggio di elicotteri in caso di necessità. A parte una piccola strada asfaltata di poche centinaia di metri nell’abitato, l’interno ha percorsi in terra battuta, lungo i quali ci si muove esclusivamente con asini, muli e, naturalmente, a piedi.

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.

 

 

Conosciamo Corto Maltese – 4/5

 

Corto Maltese nacque nel 1967 dalla fantasia di Hugo Pratt, fumettista italiano, famosissimo nel mondo. Tant’è che, nel 2005, a dieci anni dalla sua morte, gli è stato assegnato il premio Eisner (sezione Hall of Fame), il massimo riconoscimento statunitense nel campo dei fumetti. Grazie a Stelio Fenzo, Pratt fu presentato a Florenzo Ivaldi, imprenditore genovese appassionato di fumetti, ed in particolare delle opere del maestro veneziano. Insieme diedero vita all’albo Sgt. Kirk. Pratt realizzò la storia inedita Una ballata del mare salato, dove appare, per la prima volta, il personaggio di Corto Maltese, il marinaio con l’orecchino. Quando la rivista cessò le pubblicazioni nel febbraio del 1969, ormai il personaggio di Corto era famoso. Le avventure furono riprese nel Corriere dei Piccoli e nel 1972 la prima storia di Corto Maltese, edita da Mondadori, uscì in edicola in un unico albo.

Il carattere 
La creazione di Corto Maltese da parte di Hugo Pratt non fu casuale. Nel 1973, sulla rivista Photo, l’autore spiegò che aveva sentito l’esigenza di dare vita ad un personaggio “mediterraneo”; ma che avesse un forte collegamento con la narrativa anglosassone, segnata, più delle altre, dal carattere d’avventura e di ricerca interiore. Corto, quindi, non poteva che essere maltese. L’isola al centro del Mediterraneo, infatti, è stata sempre crocevia di dominazioni e culture, ed, in particolare, di quella inglese, peculiarità che conserva tuttora. 

Il personaggio sin dall’inizio ha presentato una forte caratterizzazione. Corto è figlio di una prostituta di Gibilterra e di un marinaio della Cornovaglia. Da qui il suo essere cinico, individualista ed egocentrico. Non gli interessano gli affari degli altri e, tanto meno, esserne coinvolto. Apparentemente è un solitario. Nello sviluppo delle sue storie, egli via via mostra la propria indole più “celata”: l’essere capace di altruismo e solidarietà. La sua lealtà è tale da accorrere persino in soccorso di figure a lui ostili. Se uccide (ma è raro) lo fa solo per necessità, in quanto coinvolto direttamente. La sua personalità, quindi, al di là dell’apparente cinismo, è molto più sfaccettata. Egli mostra un lato del carattere dove è umano e romantico, dove ha momenti di sconforto o tristezza, dove ama o difende i più deboli. Insomma, tutta sua humanitas. 

Per questi motivi il critico Brunoro lo definisce “romantico”, in tutta la sua accezione. Scrive: “…quella che vuole il romanticismo come movimento che alimenta la propensione verso l’ignoto, la fiaba, il vago fantasticare fuori dalla realtà”. Come un pirata caraibico, egli è sempre alla ricerca di tesori, ma non lo fa per avidità, ma per spirito d’avventura, di curiosità e di grande fantasia. Si mette alla ricerca, persino di città misteriose, mitiche, scomparse. Tra le altre espressioni della sua personalità, vi è senz’altro, l’ironia, quale “arguzia e distacco” (Brunoro). È un ulteriore espediente psicologico, usato per sostenere l’involontarietà del personaggio nell’essere coinvolto in faccende altrui. L’uso dell’ironia serve a Pratt anche per sdrammatizzare fasi particolarmente tragiche nello sviluppo dell’avventura in corso.

 

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