Rinunciare all’inchiostro per digitare tastiere?

 

Abolire il corsivo. Un dipinto di Hieronymus Bosch mi pare più chiaro della confusione che regna sovrana. Dal 2014 leggo la stessa panzana su Corriere e Repubblica, pochi giorni fa sul Giornale: l’Istituto nazionale per l’educazione di Helsinki ha deciso che, a partire da questo autunno, i piccoli della primaria non saranno più obbligati ad imparare la scrittura corsiva e neppure la bella calligrafia, perché saranno privilegiate le abilità digitali. «Sappiamo che stiamo mettendo in atto una trasformazione culturale profonda, ma crediamo che saper scrivere al computer sia in questo momento più rilevante, nello svolgimento della vita di tutti i giorni». C’è da chiedersi: se la Finlandia è il Paese con i sistemi educativi “children friendly” più avanzati al mondo, chi ha interpretato male le intenzioni espresse? Non è una resa incondizionata alla tecnologia; ma una decisione orientata a processi neuropsicologici. Nelle fasi iniziali di apprendimento i bambini hanno bisogno di vedere lettere precise, distinte, separate, per associarle ai suoni che rappresentano. Gradualmente comprenderanno come leggerle, fino ad intendere parole intere. Alla fine del secondo anno, dopo aver imparato a digitare i caratteri del computer, saranno in grado di scrivere manualmente anche in corsivo. È solo una questione di tempi pedagogici. Dai codici miniati ad Aldo Manuzio, inventore del corsivo tipografico, a Steve Jobs, la vera cultura è in stretta relazione. «Se non fossi entrato quasi per caso nell’aula di quel corso universitario di calligrafia – rivelò Jobs – il Mac non avrebbe avuto i serif e i font poi copiati da Windows». Perché, allora, barricarsi dietro una scarsa conoscenza del passato e uno strano timore del futuro?

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