Le storielle di Pitrè: Giufà e la pezza di tela

 

Un’altra volta la madre gli disse: «Giufà, ho questa pezza di tela che m’abbisogna di fare tingere; vai dal tintore, quello che colora verde, nero, e gliela lasci per tingermela».

Giufà se la mise in collo ed uscì.

Cammina cammina, scorse una serpe bella grossa; vedendola che era verde, disse: «Mia mamma, (ossia) mia madre, vuole tinta questa tela. – E gliela lasciò lì. – Domani me la vengo a riprendere».

Tornò a casa, e quando sua madre sentì l’accaduto cominciò a strapparsi i capelli: «Disgraziato! Come mi consumasti! … Corri e vedi se c’è ancora!».

Giufà tornò, ma la tela s’era (ormai) involata.

Il Simbolismo e i vari movimenti

 

In genere il Naturalismo, il Verismo e il Realismo, movimenti della seconda metà del secolo XIX, tendono a confondersi tra loro, anche se possiedono elementi propri di caratterizzazione e quindi di differenziazione. Il Simbolismo, movimento artistico sviluppatosi parallelamente in Francia, si pose all’antitesi di questi. Se i primi s’incentravano sulla riscoperta della realtà, locale e popolare, ricchi di contenuti e di intenti civili, sociali e morali, il Simbolismo persegue il distacco totale da ciò, alla ricerca della suggestione essenziale delle parole e dei simboli incontaminati, sviluppando il concetto di “poesia pura”. Alcuni critici considerano, perciò, il Simbolismo come l’iniziatore della poesia moderna.
Si tende a fissare la nascita del movimento nel 1886, in Francia, quando Jean Moreas, poeta, pubblicò su Le Figaro il manifesto del Simbolismo, anche se abbiamo opere simboliste già prima di questa data. La scuola ebbe espressioni in letteratura, ma anche nell’arte figurativa e nella musica.
Tra i primi adepti del movimento vi fu Charles Baudelaire, anche se il suo lavoro si mantenne sempre in una posizione autonoma e personale. La sua poetica ispirò in seguito l’opera di Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé.
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ENCICLOPEDIA TRECCANI: SIMBOLISMO

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IL SIMBOLISMO FRANCESE

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SIMBOLISMO e DECADENTISMO

Fonte dell’immagineGiovanni Segantini, Ragazza che fa la calza

 

 

Il Simbolismo, tra storia e società

 

Ma quali erano le cause e le contraddizioni nascoste? In realtà, l’espansione imperialista verso le colonie e la competizione tra le varie nazioni europee (sovrani regnanti), l’ascesa della prima borghesia, detentrice dell’economia, stavano cancellando i significati di libertà nati dalla Rivoluzione francese. Il perbenismo della borghesia ed il suo atteggiamento conformista, aveva creato un punto di frattura con le masse popolari. Era iniziato il travaglio che caratterizzerà il Novecento. Nascono i sindacati, le ideologie, basate sulle lotte tra il proletariato ed il capitale e, quindi, l’intero mondo del lavoro dipendente. Appaiono le prime emigrazioni, tra campana e città e lontano verso l’America e l’Australia, che seguiranno anche successivamente nel XX secolo in grande misura.

In questo periodo, quindi, il pensiero degli intellettuali si avvita su se stesso, si confonde, divenendo individualista e personale, diviso com’è tra prospettive di sviluppi futuri ed egoismi nazionali ed imperialistici, con le prime lotte di classe.
Gli sviluppi tecnologici, architettonici, scientifici e materiali, in genere, non coinvolgevano il mondo personale dell’essere umano. Il dibattito interiore procede in maniera indipendente e propria. Esso non è intaccato dalle prospettive future, rimane personale e quindi non collettivo. Nasce il concetto di esistenziale e psicologico (non è un caso che proprio in questo periodo, Freud fondi la psichiatria moderna). Infatti, la stessa scienza, in quel momento, si rivela solo utile per catalogare e classificare. La logica scientifica, però, non fornisce risposte emotive agli esseri umani (siamo ancora nel XIX secolo). L’individualità dell’artista necessita di risposte proprie e differenziate, al contrario della scienza, che cerca leggi universali nella natura, ancora da conoscere.

Come poteva sopravvivere il positivismo, messo in discussione proprio da queste istanze motivate dal nuovo punto di vista? Lentamente sfumò, lasciando il posto alla visione (più ampia) del decadentismo. Ugualmente, nel campo della filosofia, l’idealismo di Hegel, lascia il posto a Kierkegaard, quasi ritornando allo spiritualismo.
Entra perciò in crisi la borghesia. I poeti maledetti si arrendono (per conoscerlo?), accettando gli aspetti più negativi del mondo personale. L’intellettuale, per questo motivo, perlustra il male, come vizio, l’apatia, la noia, ma anche la lussuria e la voluttà. È questo l’aspetto decadente e perdente dell’artista. Tuttavia la propria interiorità riscoperta apre nuove prospettive, prima sconosciute. Questo è il motivo delle proteste di Jean Moréas, che fonderà da esso il Simbolismo, cogliendone lo spirito migliore e il valore che verrà ripreso in futuro.

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ENCICLOPEDIA TRECCANI: BORGHESIA

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DECADENTISMO E SIMBOLISMO

IL DECADENTISMO

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IL SECOLO DELLA BORGHESIA IN EUROPA E IN ITALIA di Alessandro Grussu

Fonte dell’immagine: Giovanni Segantini, Ave Maria a trasbordo, 1886

 

 

In compagnia di Philippe Daverio

 

Chi non conosce Philippe Daverio, eccentrico personaggio televisivo, uomo di cultura e opinionista, scrittore di saggi accattivanti. BLOGROLL questa settimana fa una puntata sul suo sito, per metterne in evidenza la personalità come lui stesso vuole restituircela. Ad esempio, attraverso la sua BIOGRAFIA. È nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia. Tre le gallerie d’arte moderna da lui inaugurate. Specializzato in arte italiana del XX secolo, ha dedicato i suoi studi al rilancio internazionale del Novecento. Assessore a Milano dal 1993 al 1997. Nel 1995 ha realizzato una grande rassegna intitolata “Festival dei Teatri d’Europa” in collaborazione con Giorgio Strehler, insieme di spettacoli in collaborazione con i principali teatri europei. Dal 1993 al 1997 ha organizzato “Grandi Eventi”.

La maggior parte di persone, dalle sue trasmissioni in televisione, conoscono Philippe Daverio come storico dell’arte. Ma la sua poliedricità lo porta a metter su una Casa Editrice: Edizioni Philippe Daverio, con la quale ha pubblicato una cinquantina di titoli. Diverse sono le sue pubblicazioni scientifiche, e numerose quelle divulgative. Philippe Daverio si occupa anche di strategia ed organizzazione nei sistemi culturali pubblici e privati, e svolge attività di docente presso atenei ed istituti di diverse città. Dal 2006 è professore ordinario di Disegno Industriale presso l’Università degli Studi di Palermo.

È stato intervistato pochi giorni fa dal Corriere della Sera, descrivendone il gusto di COLLEZIONISTA

Noi vorremmo che prendeste visione dei suoi interventi pubblici e delle sue lezioni di storia dell’arte. C’è da passare del tempo in buona compagnia, imparando molto.

CONFERENZE e LEZIONI SU “RUDIMENTI DI ETICA PER IL DESIGN”

 

Antichi mestieri: il tappezziere

 

Anche il mestiere del tappezziere ha un’origine storica. Per ritrovare lavori di tappezzeria, bisogna risalire all’epoca dei Babilonesi e degli Egizi. Insomma, in Oriente. Da noi, in Europa, le prime avvisaglie si hanno nella Francia dell’VIII secolo. Ma è all’epoca delle crociate, che si diffonde veramente la pratica tessile. Questa col passare del tempo, trovò applicazioni nelle case signorili, ma, in particolare, nelle chiese. Oggetto: tende, sofà e sedie imbottite. Tuttavia, il vero successo del mestiere arriva dal XIX secolo con l’invenzione dei mobili imbottiti, quali poltrone e divani. La loro strumentazione, per lo più d’origine storica, ne di mostra la complessità. Per fare qualche esempio: il martello “da tappezziere”, il tirachiodi, le tenaglie, il punteruolo, il “tiracinghie”, taglierine, oltre agli strumenti per il cucito, le forbici da sartoria, forbici curve, e altri strumenti.

Nelle nostre città i tappezzieri sono ovunque, ma il loro è un lavoro che richiede grandi capacità artigianali e attenzione nei particolari. Se si vuole avere successo, il tirare a campare o la superficialità devono essere bandite. Lavorano principalmente sul rifacimento ed il restauro di vecchi mobili. L’alternativa è trovare impiego nel settore della produzione di nuovi mobili in grandi aziende.
Il loro mondo è, quindi, quello delle stoffe nell’arredamento, cioè mobili con sedute soffici, tende, ma anche tappeti. Tuttavia l’occupazione principale è la pratica artigiana, quella del fare. Spesso si appoggiano a negozi specializzati nella vendita dei tessuti d’arredo, che non mancano certamente. Bellezza, cura del dettaglio, comodità e morbidezza sono il loro sinonimo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: TAPPEZZERIA

Salotto, Wallace Collection, Londra

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Agri Gentium: Iandscape regeneration

 

Un progetto articolato, non architettato per partecipare alla selezione operata dal MiBACT al fine di individuare la Candidatura italiana alla quinta edizione del “Premio del paesaggio del Consiglio d’Europa”. Il progetto riguardante la Valle dei Templi, che rappresenterà l’Italia, è in realtà logica conseguenza di un modello di gestione eccellente. Un’azione esemplare instaurata da anni, la quale rispecchia una straordinaria tutela del paesaggio, coinvolgendo istituzioni e collettività nel recupero attivo del paesaggio: perché i beni locali devono essere patrimonio condiviso delle comunità. Il processo di tutela, salvaguardia, valorizzazione, promozione, fruizione, è garantito, se il senso di appartenenza è fondato. Parole? Certo che no, se rappresentano la realtà dei fatti e non soltanto il testo di una relazione scaturita da una buona penna, per impacchettare un plico da spedire al Ministero. Certo che no, se sono in grado di comprovare l’impegno assunto dall’Italia a Firenze nel 2000, all’atto della sottoscrizione della Convenzione Europea del Paesaggio. Cosa c’è di speciale in “Agri Gentium: Iandscape regeneration”? La capacità di coniugare le testimonianze archeologiche con il recupero di antiche pratiche produttive da riproporre e sviluppare. L’abilità di recuperare la tratta dismessa delle Ferrovie Kaos o di realizzare il giardino di specie storiche nella Kolymbethra. Sviluppare la cooperazione pubblico-privato per una rigenerazione ambientale. Realizzare un Laboratorio per la conservazione del germoplasma di coltivazioni tipiche. Valorizzare il Parco Archeologico e Paesaggistico della valle dei Templi quale sito Unesco. Creare nuove forme di conoscenza didattica e turismo. Agendo, senza far chiacchiere. Vivaddio!

Buckingham Palace a Londra 1/5

 

Buckingham Palace ha sempre rappresentato molto per i sudditi inglesi, tanto da chiamarlo semplicemente The Palace. È la sede della regina e della corte britannica, ma svolge molte mansioni di carattere ufficiale, come i ricevimenti dei reali, ma anche le visite dei vari capi di Stato, che si recano a Londra. I visitatori ne sono molto attratti, tanto che il cambio della Guardia, che vi si svolge, è divenuto attrattiva turistica obbligatoria. Il Palazzo ha una lunghezza di 108 metri per 120 metri, per un totale di 77.000 metri quadrati. È alto 24 metri e possiede 775 stanze. Anche se i numeri sembrano elevati, ci sono altrove Palazzi molto più grandi, come ad esempio al Palazzo Apostolico in Vaticano e al Palazzo del Quirinale a Roma.

La sua Storia
Se si chiama Buckingham vi è una ragione. Le prime notizie su di un edificio inserito nell’area ci riportano al 1633, quando si realizzò Goring House, il cui proprietario era George Goring, conte di Norwich. Esso, però, fu sostituito nel 1703, dalla costruzione dall’abitazione di campagna di John Sheffield, duca di Buckingham e Normandy. Progettato dall’architetto William Winde, era costituito da un blocco centrale, a tre elevazioni, con due piccole ali laterali. La residenza di Buckingham House venne in seguito venduta, nel 1762, al re Giorgio III. All’inizio fu utilizzata come residenza privata per i reali e dalla moglie di Giorgio III.

Se vuoi vedere qualche video su Buckingham Palace:
OBAMA ACCOLTO DALLA REGINA A BUCKINGHAM PALACE
IL CAMBIO DELLA GUARDIA A BUCKINGHAM PALACE

 

Le storielle di Pitrè: Giufà e la berretta rossa

 

Giufà di lavorare non ne voleva a brodo (come dire che non ne voleva sapere) e l’arte di Michelaccio (ovvero di mangiare, bere e non far niente) gli piaceva molto.

Pranzava e poi usciva e andava bighellonando di qua e di là.

Sua madre faceva la bile (per la collera) e sempre gli ripeteva: «Giufà, e questa che maniera è? Non prendi nessuna occasione per fare qualche cosa! Mangi, vivi, e cosè e come riesce si racconta! …Ora io di continuare così non me la sento più: o tu ti vai a buscare il pane o io ti getto in mezzo ad una strada».

Allora Giufà, una volta se ne andò al Cassaro (una popolata strada di Palermo piena di negoziucci e di bancarelle) per andare a vestirsi.

Da un mercante si prese una cosa, da un altro mercante se ne prese un’altra, fin quando non si vestì di tutto punto, perfino di una bella berretta rossa – che a quei tempi tutti i giovanotti portavano il berretto, oggi il più scalcagnato mastro va con il cappello a cilindro o con la bombetta -.

Ma Giufà non le pagò queste cose, perché denari non ne aveva. Diceva: «Mi faccia credito, che uno di questi giorni gliela la vengo a pagare». Così diceva a tutti i mercanti.

Quando si vide bene acconciato, disse: «Ahm! Ora ci siamo, e mia madre non avrа più a che dire che io sono un perdigiorno. Ora per pagare i mercanti come fare?… Ora mi fingerò d’essere morto e vediamo come finisce…».

Si gettò sopra al letto (e cominciò a gridare): «Muoio! Muoio! Son morto!», e si mise le mani in croce e i piedi a palla.

«Figlioli! Figlioli! Che fuoco grande – sua madre si mise a piangere dirottamente strappandosi i capelli -. Come mi capitò ‘sto focu granni (questa sciagura)! Figlio mio!>.

La gente sentendo queste gran voci correva e tutti si facevano compassione di questa povera madre.

Appena si sparse la notizia della morte di Giufà, i mercanti lo andarono a visitare e, come lo vedevano morto, dicevano: «Povero Giufа! Mi doveva dare – mettiamo – sei tarì, ché gli ho venduto un paio di brache … glieli benedico!» E tutti andavano a visitarlo e tutti gli rimettevano (quanto dovevano avere). Così Giufà si levò tutti i debiti.

Quello della berretta rossa, ebbe un non so che di rabbia; disse: «Ma io la berretta non ce la lascio».

Va e gli trova la berretta nuova fiammante in testa; e che fa? La sera, quando i beccamorti si presero Giufà e lo portarono in chiesa per poi seppellirlo, andò loro d’appresso e senza farsi scorgere da nessuno si infilò nella Chiesa.

Dopo un pezzo che era entrato, poteva essere si e no verso mezzanotte, entrarono (in chiesa) poco alla volta dei ladri che s’erano dati appuntamento per spartirsi un sacchettuccio di denari che avevano rubato.

Giufà non si mosse per niente dal catafalco, e quello della berretta si rintanò dietro una porta senza manco fiatare.

I ladri riversarono sopra ad una tavola i denari, tutte monete d’oro e d’argento – che a quei tempi l’argento correva come l’acqua – e ne fecero tanti mucchietti, quanti erano loro. Restò una moneta da dodici tarì e non si sapeva chi l’avrebbe dovuta prendere per primo.

«Ora, per eliminare ogni questione – disse uno di loro – facciamo così: qua c’è un morto, tiriamogliela addosso e chi lo piglia in bocca si piglia i dodici tarì».

«Bella, bella!» Tutti approvarono.

Ecco che si sono preparati per tirare addosso a Giufà, quando Giufà, visto tutto questo, si alzò (di scatto) nel mezzo del catafalco e gettò una gran vociata: «Morti, resuscitate tutti!».

Li vedeste più i ladri?! Mollano tutto in tredici e  “santi piedi, aiutatemi”! Che ancora corrono.

Giufà, appena si vide solo, si sorse e corse verso i mucchietti di denaro. Nel mentre esce quello della berretta, che era stato (fino ad allora) rintanato come un gatto, senza manco fiatare e (anche lui) corre verso la tavola per afferrarsi i quattrini.

Basta: decisero di fare metà per uno e si spartirono questi denari.

Restò (tuttavia) un pezzo da cinque grani.

Si voltò Giufà: «Questo me lo prendo io».

«No quel cinque grani tocca a me».

Rispose quello: «A me i cinque grani».

«Vattene che non ti tocca, il cinque grani è mio!».

Giufà afferrò una spranga e si gettò per scaricargliela in testa, a quello della berretta, dicendo: «Dammi qua i cinque grani! Voglio i cinque grani!».

A questo punto i ladri stavano girando e rigirando (intorno alla Chiesa) per vedere cosa facessero i morti, ché pesante gli pareva di rimetterci tutti quei denari. Vanno per incugnarsi dietro la porta della Chiesa e sentono ‘sto contraddittorio e ‘sto chiasso per i cinque grani.

Dissero: «Minchia! Cinque grani per uno si sono spartiti e i denari manco gli bastarono! Chissà quanti sono i morti che uscirono dal sepolcro». Si misero i tacchi nell’eccetera, e se la presero…

Giufà ebbe i suoi cinque grani, si caricò il suo sacchetto di monete e se ne tornò (soddisfatto) a casa.

Il Simbolismo ed il Decadentismo

 

Apparentemente è un problema di terminologia, in realtà sta ad indicare la complessità e la ricchezza di un intero movimento letterario di portata europea di fine Ottocento. I termini di Decadentismo e Simbolismo tendono, quindi, a coincidere a livello europeo. La complessità del portato generale, però, fa sì che vi siano delle correnti nazionali, che ne definiscono sfumature diverse. La storiografia letteraria italiana, infatti, lo definisce preferibilmente Decadentismo, mentre quella francese lo indica piuttosto come Simbolismo. Questo ha origine, infatti, in Francia e nasce dall’intuizione del poeta Jean Moréas, che, in un proprio intervento giornalistico, contesta l’accezione negativa del termine, a suo parere, non consona alla totalità dei contenuti portati avanti. Ne dette, quindi, la diversa definizione di “Simbolismo”. Nel 1886, Jean Moréas pubblicò il “manifesto letterario” del Simbolismo.

Il termine Decadentismo, infatti, era stato coniato dalla critica ufficiale per indicare il crollo dei valori di un’intera civiltà, quindi con un’accezione negativa. Tuttavia gli autori “decadenti”, con sprezzo, ne fecero una bandiera, utilizzando il termine con orgoglio, per differenziarsi da tutti gli altri. Il positivismo, la rivoluzione industriale e tecnologica, i grandi lavori urbanistici a Parigi di Haussmann, tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, avevano dato una forte spinta verso il futuro. Il repentino cambiamento, però, aveva creato scompensi psicologici in alcuni. Tante domande a livello interiore nel tentativo di approdare a nuove certezze e significati (è il caso della ricerca di Baudelaire). Non era nostalgia da retroguardia, ma molto di più. È dai quesiti del Decadentismo-simbolismo che nasce, infatti, la poesia moderna.

Se vuoi approfondire, clicca:
http://www.treccani.it/enciclopedia/decadentismo/

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https://www.youtube.com/watch?v=ougQ54z0un4

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http://www.luigisaito.it/appunti/decadentismo_e_d_annunzio.pdf

 In copertina un particolare di un quadro di Odilon Redon

Il Simbolismo, introduzione

 

È la forza del pensiero a dare origine al progresso? Forse sì. Certo questo innesca un avanzamento parallelo di tanti campi dell’attività umana, come la scienza, in primis, e correlate la filosofia, l’arte, l’architettura, l’urbanistica e tutto il settore produttivo e dei servizi. Interpretare il passato e saper vedere il proprio presente in maniera nuova e “differente”, apre delle strade prima insospettate ed invisibili. Un esempio: la nascita della psicologia con Freud, ha, alla lunga, “scoperto” il mondo interiore dell’uomo. Essa è, quindi, scienza ed al contempo, pensiero. In un grande gioco di biglie, che si scontrano l’una con l’altra, la società progredisce e si sviluppa. Un passo tira l’altro e si aprono nuovi scenari.

La serie di articoli che iniziamo, si basa sui numerosi movimenti, che si susseguirono dalla seconda metà dell’Ottocento a quella del Novecento. Sono tutti diversi, ma collegati l’uno all’altro. È una progressione del pensiero. Il primo step del nostro viaggio è con il Simbolismo, e tutte le sue concatenazioni, correlate in ogni campo. Si aprono curiose prospettive solo ad unire le attività e, semplicemente, mettendole in successione cronologica. Saper vedere nel passato il concatenarsi delle cose in tanti campi ci fa inserire dei piccoli tasselli di comprensione. Dalla comprensione del passato traiamo spunto per il nostro futuro.

Il momento storico di cambiamento che viviamo sarà spiegato e ben compreso. Tuttavia, la sensazione del muoversi ci fa supporre, oggi, che il vero motore siamo noi. Aprendo la mente, aprendo porte e costruendo ponti, ogni singolo elemento della società umana può creare qualcosa di nuovo (anche se, apparentemente, piccolo).

In copertina un particolare di un quadro di Odilon Redon