Il Simbolismo: i pittori, Edvard Munch

 

Il Simbolismo ebbe grande seguito nell’Europa settentrionale. Un esempio ne è Edvard Munch, pittore norvegese (1863-1944). La sua vita fu molto travagliata. A peggiorarla una sopravvenuta malattia mentale, che ne caratterizzerà la carriera. Curiosamente, sull’altra sponda del mare, in Olanda, nacque un suo quasi contemporaneo, quale Vincent Van Gogh, anche lui con problemi psichici. Così come nei Paesi Bassi esiste oggi un museo interamente dedicato a Van Gogh, anche in Norvegia (ad Oslo) si trova un museo esclusivo su Eduard Munch.

Se ogni artista ha la sua ricerca interiore, Munch, nella sua, esplora grandi emozioni legate alla vita, quali amore, paura, angoscia, morte, malinconia ed ansia. È una grande visione esaustiva della comunicazione voluta dal pittore. Il suo Simbolismo è diretto ed efficace, mai oscuro. Questo perché egli parte da una specie di autoanalisi, e da qui la ricerca di una condivisione con lo spettatore. È un approccio moderno ai problemi. Egli infatti scrive “Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore”.

La sua ispirazione è del tutto privata e particolare. Carica di simbolismi (fu partecipe della corrente Simbolista, insieme a pittori come Gustave Moreau e James Ensor), seppe contagiare i contemporanei, risultando di riferimento a correnti, tipo l’espressionismo tedesco e nord-europeo. Risulta avere, infatti, una carica intensa e pregnante.

L’urlo di Munch
Camminando con degli amici in una lunga passeggiata, Edvard Munch si fermò stanco, ammirando un incredibile tramonto norvegese. Il cielo era diventato improvvisamente rosso sangue sulla città. Scriverà: “I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. Così nacque quello che sarà il suo capolavoro, L’urlo, che ancora oggi, colpisce per la sua sintesi emotiva dell’angoscia dell’uomo. È un messaggio lancinante inviato dalla tela. Il tutto trasfuso grazie al suo stile pittorico, senza fronzoli e crudo. Ma se il messaggio è chiaro allo spettatore, non lo è alle due piccole figure ai margini del quadro. È la vera impossibilità di comunicazione tra noi esseri umani. È un fragile modo di guardarsi dentro nelle nostre domande senza risposta. Su tutto incombe la natura. Veramente un’opera senza tempo.

Munch seppe coltivare anche la propria memoria. Alla sua morte, infatti, donò tutte le sue opere in suo possesso alla città di Oslo. Questa ne fece buon uso. Tant’è che fu aperto un museo, costruito ex-novo, denominato Museo Munch, dove si trovano, ora, tutte le opere ereditate dalla cittadinanza. È stato inaugurato nel 1963. Tutto da visitare.
Oggi inoltre, tale museo è proprietario del copyright dell’opera artistica del pittore e ne gestisce il marchio in tutto il mondo. Lo stato norvegese lo ha evidenziato in maniera eccellente. Ad esempio, la banconota da 1000 kroner (la più alta), ne riporta l’effige. Ugualmente le Poste norvegesi hanno stampato un francobollo commemorativo del centocinquantesimo della sua nascita.

A testimoniare ulteriormente, la valenza dell’arte di Munch, basta citare una delle versioni de “l’urlo”, realizzate dal maestro, venduta dalla londinese Sotheby’s, per una cifra totale di 119.9 milioni di sterline, tra le somme maggiori mai registrate da una casa d’aste.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: EDVARD MUNCH

VIDEO SU EDVARD MUNCH:
Pittori del ‘900 – Edvard Munch
“L’Urlo” di Munch – Spiegazione del quadro

Fonte dell’immagine: EDVARD MUNCH – L’urlo, 1893

 

Il Simbolismo: i pittori, Giovanni Marchini

 

Nato a Forlì, Giovanni Marchini si trasferì da piccolo in Argentina, nel 1890, seguendo la famiglia a Buenos Aires. Rientrò in Italia nel 1896. Dopo aver imparato i rudimenti del disegno e della pittura in Sud America, tornato in patria proseguì la carriera, studiando belle arti prima a Firenze, dove insegnava Giovanni Fattori, poi a Venezia, infine all’Accademia di Belle Arti di Roma (grazie ad una borsa di studio offertagli dal comune di Forlì).

A differenza di Odilon Redon, non dovette aspettare la maturità per ottenere i primi consensi. Nel 1903, espose a Milano il quadro Il cavallo narratore, ottenendo un discreto successo, anche grazie alla sua ispirazione letteraria. Si era ispirato ad un racconto di Leone Tolstoj. È ritenuto il quadro migliore del suo periodo Simbolista. L’anno seguente, a Napoli, poté apprezzare le opere dei pittori della scuola di Posillipo.

Dopo aver realizzato degli affreschi in palazzi o Chiese (nel palazzo Paganelli Rivalta a Terra del Sole e nella Chiesa di San Francesco a Forlì), Marchini partì volontario per la Prima Guerra Mondiale. Tornato alla vita civile realizzò diversi affreschi, come nella villa Masini a San Pietro in vincoli, altri per la villa Dettoni a San Pietro in Cariano (nel 1928), per la Cattedrale di San Pietro apostolo di Senigallia, presso Verona (nel 1931).

Le sue opere si incentrano in particolare sul tema del rapporto dell’uomo con la natura, soprattutto nei paesaggi. Ebbe anche un occhio di riguardo con il mondo dei poveri e degli ultimi. Fu pittore, quindi simbolista ma stranamente in questo tema contaminato dall’influsso verista. Presentò dei suoi quadri all’Esposizione Permanente di Milano (nel 1922) ed all’Esposizione Biennale di Roma (nel 1925). Realizzò molte altre opere, che, tuttavia, sono andate perdute o danneggiate.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  GIOVANNI MARCHINI

Fonte dell’immagine: GIOVANNI MARCHINI – I vecchi del ricovero, 1899

 

Lo struggente amore di Catullo per Lesbia

 

Questa settimana BLOGROLL torna indietro nel passato, torna all’età romana per raccontare un amore proibito come quello fra un poeta e una nobildonna, cantata con il nome di Lesbia. Il poeta è Caio Valerio Catullo, che ha reso Lesbia immortale grazie ai suoi delicati versi. In realtà si chiamava Clodia ed era moglie del proconsole Quinto Cecilio Metello Celere. Clodia era bella e molto disinvolta, vanitosa, ambiziosa, colta quanto disinibita e priva di pregiudizi, tanto da passare da un letto all’altro. La storia la ricorda anche come amante di Cesare e di Pompeo.

L’amore di Catullo è controverso. A scuola si studiano versi delicati, come questi:

Passero, delizia della mia ragazza,
con il quale gioca, che tiene in seno,
a cui dà la punta del dito mentre salta
e provoca i tuoi duri morsi
quando al mio desiderio, alla mia luce
piace inventare qualche dolce svago,
come minimo conforto al suo dolore,
credo, affinché allora il suo ardore trovi pace:
potessi come lei giocare, con te
e alleviare le tristi pene del mio animo!

Non si accenna ancora a leggere, neppure di sfuggita, versi completamente differenti come questi, che una volta su dicevano “scabrosi”.

Lesbia, la mia Lesbia, Celio, quella Lesbia,
proprio lei, la sola che Catullo mai abbia amato
più di sé stesso e d’ogn’altra cosa a lui cara,
agl’angoli delle strade e nel buio dei vicoletti
ora scappella i cazzi della fiera gioventù romana.

Dal momento che non siamo in un’aula scolastica possiamo spulciare pagine sul web, per conoscere qualche cosa di più sull’amore nell’antica Roma e su questo amore in modo particolare. Cercando potrete trovare tutti i carmi proibiti di Catullo. Ma questo esercizio lo lasciamo ai più curiosi e “impudichi”. Buona lettura.

Catullo e Lesbia un grande amore nella storia

Dalla passione infelice e struggente di Catullo all’analisi attenta dei costumi 

Antichi mestieri: il calzolaio

 

Fino agli anni ‘70°, il calzolaio riparava le scarpe in cuoio, rifacendo, ad esempio, i tacchi che si consumavano col tempo. Il mestiere del calzolaio, però, non era molto valutato. Con l’invenzione delle scarpe in gomma, cambiò tutta la tipologia delle scarpe (ora, usa e getta). Oggi le scarpe non si fanno ancora una per una. Se, infatti, il mestiere è simile al passato, esso risulta sviluppato con tecniche industriali (con apposite macchine che lo supportano). Dopo un buon corso di formazione, il mestiere può continuare in tali aziende, oppure mettersi in proprio e sviluppare il lato artigianale. Con l’Italian Style fare scarpe su misura è un’attività molto più considerata e rinomata. Così come le Star mondiali, vestono italiano, portano anche scarpe e pelletteria italiana. E questo non è da sottovalutare.

Breve Storia delle calzature
Nonostante quello che si pensi, le scarpe vennero ideate in periodo preistorico, tant’è che il paio di scarpe più antico, mai ritrovato al mondo, risale al 9000 a.C. circa. È venuto alla luce negli Stati Uniti. Nell’antichità esistevano i sandali, ma nelle regioni più fredde, si trovavano anche scarpe rivestite. In Egitto, infatti, appaiono i sandali del faraone, raffigurati sulla cosiddetta “tavoletta di Narmer”, datata intorno al 3000 a.C. Gli Ittiti e poi i Greci portarono sandali, molto caratteristici, già nel 1300 a.C. Nel deserto, in particolare, si calzavano sandali infradito, con suole molto larghe, per non affondare nella sabbia.
Nel mondo degli Antichi Romani, spiccano proprio i sandali, di fattura e foggia diversa. Un nobile romano poteva possedere anche venti paia di scarpe, differenti tra loro. È ampiamente dimostrato nei testi e sui dipinti ed affreschi del periodo. Nel medioevo, invece, si camminava con gli zoccoli di legno, ma i più poveri potevano accontentarsi di una semplice stoffa avvolta intorno al piede.

Il primo paio di scarpe simili alle nostre, furono le poulaine, portate in Inghilterra e Francia, nel XIV secolo. Erano caratterizzate da una punta molto lunga, anche di 15 centimetri. La lunghezza di queste variava a secondo il grado di nobiltà. Con Carlo VIII di Valois, Re di Francia, nel del XV secolo, la punta viene mozzata. A quel punto, la corsa fu alla larghezza delle scarpe, con calzature “a piede d’orso” o “a becco d’anatra”. Dal XIV al XVII secolo, imperano le pianelle, una specie di pantofole. Esse erano arricchite da una zeppa di sughero (o legno). Nel XVII secolo, il Re Sole, essendo basso di statura, lanciò la moda dei tacchi alti, sia per donne che per uomini. La scarpa, oggetto prezioso fu protetta dall’introduzione del pattìno, una specie di pantofola. Siamo nel XVIII secolo a Venezia. Il “pattìno”, era portato all’esterno e proteggeva la scarpa dall’acqua ed il fango.
Quelle che abbiamo ai piedi, invece, sono il frutto dell’industrializzazione del XIX secolo. Vengono fabbricate in serie e mutano foggia periodicamente, con l’introduzione di nuove mode per tutti. Dal XVII secolo, l’usanza del tacco alto perdura tuttora nella moda femminile e non più maschile.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: CALZATURA
TRECCANI: PRODUTTORI: TOD-S
TRECCANI: PRODUTTORI: FERRAGAMO
VIDEO ANTICHI MESTIERI:
I mestieri che scompaiono – Il Calzolaio
Mastri e Mestieri – Il Calzolaio
Scarpe fatte a mano in firenze
Scuola Calzolaio: scopri i corsi per diventare calzolaio

 

Se il disegno non è ancora cominciato

 

L’elogio della lentezza. Mi sono trovato a farlo presente a Paolo Portoghesi che lamentava la lentezza con cui s’è costruita la sua Moschea a Roma. Gli ho ricordato Calvino delle lezioni Americane, quando racconta di quell’imperatore che richiese a Chuang-Tzu il più bel disegno di un granchio. Per questo gli accordò cinque anni e una villa con dodici servitori. Allo scadere del tempo Chuang-Tzu chiese altri cinque anni, poiché il disegno non era ancora cominciato. Quando l’imperatore tornò alla villa, davanti a lui Chuang-Tzu con un gesto rapido di pennello disegnò finalmente «il più perfetto granchio che si fosse mai visto». La storia dimostra che nella interiorizzazione di un concetto, nell’apprendimento di competenze, non conta la rapidità bensì il processo. Richard Sennett dice di aver scoperto la “regola delle diecimila ore”. Sono cinque o sei anni trascorsi ad esercitarsi «sul come affrontare un problema secondo modalità differenti». Chuang-Tzu di anni ne ha impiegati dieci, nel corso dei quali ha maturato il suo granchio, con l’esperienza e il tempo. L’idea comune è, invece, che occorra agire con sollecitudine alle richieste altrui; mentre basilare è accrescere il patrimonio delle conoscenze acquisite. Fra le molteplici virtù del mistico Chuang-Tzu, era infatti la concezione che è infinito il sapere in rapporto alla limitatezza della vita. Al contrario di ciò, l’ordinario sistema d’istruzione (e dei suoi crediti formativi) si basa sulla rapidità dello studio. Ai giovani s’impone d’imparare subito qualcosa per passare alla fase successiva, e quel che è peggio, indicando un’unica via per risolvere il problema. La realtà è che occorrerebbe insegnare alle persone a pensare: le soluzioni sono molteplici e con lentezza si mette a punto la qualità.

Fonte dell’immagine: Scienza sacra

Il Castello di Schönbrunn a Vienna 1/2

 

Tra le tante regge europee, vi è anche quella della dinastia asburgica, che si trova, naturalmente, a Vienna. È collocata ad Hietzing, nell’attuale periferia di Vienna. Una volta si trovava in aperta campagna. Essa è denominata castello di Schönbrunn e fu residenza imperiale dal 1730 al 1918, cioè al termine della prima guerra mondiale. La leggenda vuole che l’imperatore Mattia, durante una battuta di caccia, trovò nell’area una fonte d’acque limpida. Attorno ad essa venne costruito il castello. Ed in effetti la zona del parco si distingue per la bellezza. Tant’è che i termini schön(er) e brunn, significano proprio, in tedesco “bella fonte”.

Il connubio, reggia e giardino, sono divenuti, per il valore, dal 1996, patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Certamente questo fa da richiamo di una grande quantità di turisti. È stato calcolato che, ogni anno, visitano la reggia 1,5 milioni di turisti e 5,2 milioni, esclusivamente il parco. Delle 1.441 stanze del castello, sono aperte al pubblico, oggi, 190 ambienti.

È proprio con l’imperatore Mattia, che si comincia a menzionare l’area con il nome di Schönbrunn (prima era Khattermühle), che la riconfermò come propria riserva di caccia (1576). Tra il 1638 ed il 1643, la regina Eleonora Gonzaga, in periodo di vedovanza per la scomparsa di Ferdinando II, decise di risiedervi, facendo costruire anche un castelletto. Questo, però, fu gravemente danneggiato dall’avanzata dei Turchi. Nel 1683 Eleonora Gonzaga-Nevers, vedova di Ferdinando III, diede ordine di ripristinare l’area come era prima. Nel 1687, il successore Leopoldo I pianificò una nuova residenza da donare al figlio, Giuseppe I. Venne incaricato per questo (siamo nel 1688) l’architetto Johann Bernhard Fischer von Erlach. Il progettista immaginò una reggia tale da superare in bellezza e maestosità la costruenda Reggia di Versailles. Il progetto fu approvato nel 1689.

VIDEO SULLA REGGIA DI VIENNA:
Il Castello di Schönbrunn – Vienna – Austria
Wallpapers 185-Spettacoli della Natura – (VIENNA – Il Castello di Schönbrunn)_by Load

 

 

Paul Valéry

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI?

Il Simbolismo: Segantini e la maternità

 

Nel 1886 Segantini si trasferisce in Svizzera, a Savognin, nel cantone dei Grigioni. È in questo periodo che inizia ad avvicinarsi alla tecnica della corrente divisionista, dapprima timidamente, con piccole sperimentazioni, poi completamente. Intanto il suo amico Grubicy, porta avanti una campagna informativa e promozionale. Il pittore, grazie a lui, diventa così molto conosciuto ed apprezzato anche all’estero, tant’è che nel 1888 partecipa all’Italian Exhibition di Londra. Anche il suo orizzonte culturale inizia ad ampliarsi. In questi anni, conosce il movimento Simbolista. Attraverso la presenza di allegorie i quadri composti in questo periodo si arricchiscono della nuova ispirazione.

Nel 1894, lascia Savognin e va a risiedere a Maloggia. Il piccolo paese alpino gli permette una vita più solitaria, meditativa. La maestosità delle Alpi è di forte ispirazione, sui suoi temi e sul proprio misticismo. Ciononostante, la riflessione non gli impedisce di pensare in grande, anzi. È in questo periodo che Segantini immagina un grandioso progetto pittorico per l’Esposizione Universale di Parigi, del 1900. Si trattava di decorare il padiglione dell’Engadina, un grandioso edificio circolare del diametro di 70 metri. In esso il pittore immagina di porre una rappresentazione delle Alpi. Nonostante però le buone intenzioni, difficoltà di comprensione, ma soprattutto economiche, legate all’alto costo dell’operazione, modificano il progetto, ridotto nelle dimensioni. L’operazione si conclude con la realizzazione di un trittico, detto Trittico della Natura (o, anche, delle Alpi). L’opera finisce per essere esposta nel padiglione italiano. Il piccolo fallimento non impedisce a Segantini di creare un capolavoro. Il Trittico, infatti, si rivela il punto più significativo della sua carriera. Purtroppo, non ha il tempo di creare altre opere sempre più eccelse e di affermarsi nel mondo dell’arte. Muore improvvisamente sullo Schafberg, per un attacco di peritonite, nel 1899, a soli 41 anni.

Il tema della maternità
Segantini dipinge, in particolare, la figura femminile, legata spesso al tema della maternità, che se già era presente nei quadri naturalistici, si mischia, nelle nuove tele simboliste, caratterizzando la sua espressione artistica (si veda il Trittico della Natura). Il tema della maternità, in effetti, ricorre spesso nella tematica segantiniana – Una madre che accoglie fra le sue braccia un bambino piccolo, a simbolo dell’uomo nella natura. Ad esempio in Ave Maria a trasbordo, del 1882, e nei due dipinti intitolati Le due madri (del 1889 e del 1899). È chiaramente espresso un forte bisogno personale, originato dalla sua stessa vita. Lo è a tal punto, che la maternità si rispecchia anche nel mondo degli animali, astraendone il concetto. Ugualmente il tema, ispirato dalle raffigurazioni storiche della Madonna col bambino, viene da lui svolto in ambiente rurale, arricchendosi, quindi, dell’allegoria della vita e della morte nella natura, simbolo, anche, di eternità. Con la stessa tendenza sono i quadri in negativo (Le cattive madri), che culturalmente si riferiscono stavolta al ciclo dantesco.
Un’altra raffigurazione simbolista, è L’amore alla fonte della vita, dipinto creato nel 1896. In esso figura femminile e maschile sono rappresentate insieme, sotto forma di amanti. In vicinanza vi è una fonte, con la presenza di un ipotetico angelo. Il simbolo, qui rappresentato, è quello dell’amore come eterna giovinezza. La figura femminile, tuttavia, non è molto considerata da Segantini, d’altra parte, siamo alla fine dell’Ottocento. Nel quadro, infatti, intitolato Vanità, una donna si specchia in un piccolo laghetto, ma da questo fuoriesce un serpente, simbolo di negatività. Se il quadro, artisticamente, è, per i tempi, all’avanguardia, nel contenuto, però, risulta figlio dei suoi tempi.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GIOVANNI SEGANTINI

VIDEO SU GIOVANNI SEGANTINI:
Giovanni Segantini
GIOVANNI SEGANTINI – La magia della luce – Trailer italiano

Fonte dell’immagine: GIOVANNI SEGANTINI – L’angelo della vita, 1895

 

 

 

Il Simbolismo, le correnti pittoriche

 

La pittura simbolista

Era un’arte dedicata ad un pubblico colto e raffinato. Infatti, con la rappresentazione fisica della realtà (quindi, di un positivismo scientifico), la pittura simbolista, portatrice di contenuti emotivi, si doveva decifrare per comprendere il significato. Il pittore simbolista andava “oltre”, cercando una possibile espressione dello spirito interiore, non visibile all’occhio nudo. La ricerca, infatti, era quella di trovare una metodologia che unisse mondo oggettivo ed emozioni soggettive. La pittura inizia a parlare allo spettatore: non più belle immagini, ma vera comunicazione artistica. Gli stessi neo-impressionisti finirono per essere contaminati da questa visione innovativa.
Ma come riuscire a “parlare” attraverso la tela? Tra le sperimentazioni dei simbolisti vi furono ad esempio: l’ideismo, dove l’oggetto esprimeva, di per sé, un’idea, cioè un simbolo che evocava dei contenuti; il soggettivismo, cioè l’idea che non deriva dal mondo oggettivo, ma piuttosto soggettivo, proveniente dalla composizione del pittore stesso. Tuttavia, l’elemento principale della pittura simbolista è l’emotività dell’artista, che vibra nella composizione pittorica, che “disturba” ma coinvolge lo spettatore.
I simbolisti cercano di rendere pittoricamente l’analisi propria della letteratura simbolista francese di quei tempi, rifacendosi, in particolare, a Stéphane Mallarmé e a Baudelaire. I pittori, alla ricerca della propria espressione ed emotività rielaborano linee e colori in maniera nuova, interpretando la realtà dell’occhio e non più oggettivamente.
Gli artisti neoimpressionisti, finirono per esserne coinvolti. In Francia troviamo Pierre Puvis de Chavannes, Gustave Moreau e Odilon Redon, principale esponente della pittura simbolista, mentre in Italia abbiamo tra gli emergenti Giovanni Segantini (portavoce anche del divisionismo) e Giovanni Marchini.
Amico di molti pittori impressionisti, Odilon Redon, rifiuta la rappresentazione della realtà così com’è. Per lui la natura è sogno, vaga e sfuggente. Il colore si fa macchia, tant’è che le sue nature morte (soprattutto fiori) abbagliano coloristicamente, divenendo quasi dei quadri astratti. Se Redon sogna il mondo, Emile Bernard (altro pittore emblema del Simbolismo) arricchisce la realtà riprodotta di poesia e musica. I suoi riferimenti, quindi, sono Baudelaire, Edgar Allan Poe e Gustave Flaubert, nella poesia, e Richard Wagner, nella musica.

Correnti pittoriche
Emile Bernard, in particolare, fece parte del gruppo detto della scuola di Pont-Aven. Questa corrente simbolista non aveva mezzi termini, rifacendosi non più alla realtà e alla natura, ma alla memoria, nel ricordo del passato, e all’immaginazione, legata all’esotico e, quindi, alla realtà lontana ed immaginata. Per realizzare la loro rivoluzione, essi si esprimono in maniera “sintetica”. Le figure divengono essenziali. Il colore acceso, senza alcuna sfumatura od ombra, è steso su superfici piatte, contornate di nero. È la “memoria” delle antiche vetrate delle cattedrali gotiche, ovunque in Francia. Tra gli artisti collegati alla scuola, il più famoso è il nome di Paul Gauguin.
Alla fine del secolo (l’ultimo decennio), appaiono, invece, i Nabis. È la seconda generazione dei pittori simbolisti. Il loro è un movimento che anticipa l’Art Nouveau ed il futurismo, soprattutto nella sostanza: l’attenzione va alle arti applicate. La loro espressione pittorica non si conclude nella semplice pittura da cavalletto, ma va oltre, coinvolgendo lo spettatore anche in altre occasioni. I Nabis, infatti, producono marionette, manifesti pubblicitari, carte da gioco, e per la casa, paraventi, carte da parati, decorazioni d’interni, fino ai francobolli. I Nabis sono, quindi, i veri traghettatori dell’arte dall’Ottocento al Novecento.

In Italia, il simbolismo viene recepito in modi diversi: G.A. Sartorio, A. De Carolis, Marius Pictor, L. Bonazza ne incarnano il lato più eclettico; una sintesi tra grammatica divisionista e temi simbolisti caratterizza G. Previati, G. Segantini, G. Pellizza da Volpedo. In scultura, i suoi maggiori interpreti sono L. Bistolfi e A. Wildt, mentre l’illustratore A. Martini si ricollega al filone fantastico già riscontrato in ambito europeo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: DIVISIONISMO

VIDEO SUL SIMBOLISMO:
UniNettuno – Storia dell’arte contemporanea – Lez 07 – Il Divisionismo italiano
Divisionisti francesi e italiani

Fonte dell’immagine: EDVARD MUNCH – Inger sulla spiaggia (1889)

 

Fantastic Worlds: Science and Fiction, 1780-1910

 

Un’altra puntata di BLOGROLL per visitare: “Fantastic Worlds: Science and Fiction, 1780-1910”. È una bellissima mostra online realizzata dalla Smithsonian Libraries, nel Museo Nazionale di Storia Americana, ma che noi possiamo ammirare sul web. Riguarda i mondi fantastici tra Scienza e Fantascienza dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento. Possiamo viaggiare sulla superficie della luna, nel centro della terra, nelle profondità dell’Oceano. «Abbiamo preso il volo, annotato gli angoli più remoti della terra, e sfruttato la potenza del vapore e dell’energia elettrica. Abbiamo iniziato svelando i segreti del mondo naturale». Sette capitoli formano il percorso espositivo: Le terre sconosciute, l’età degli Aeronauti, i mondi infiniti, il corpo elettrico, le macchine ribelli, i mondi sommersi, il mondo dei fossili e della geologia. Ce n’è per tutti i gusti. Buona escursione.

FANTASTIC WORLDS: SCIENCE AND FICTION, 1780-1910

Fonte dell’immagine: Diligenza per la luna.