Il Simbolismo: nella musica, Giacomo Puccini

 

Giacomo Puccini era un grande già a partire dal nome. Si chiamava, infatti, per esteso: Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini. Visse a cavallo tra Ottocento e Novecento, dal 1858 al 1924. Fu spettatore e autore di un mondo che cambia, e lui con esso. Ha saputo divenire un grande del mondo operistico italiano e poiché, a quell’epoca, la musica lirica italiana era amatissima, lo è divenuto su tutto il mondo operistico.
Già a partire dalla sua giovinezza, si accostò alle tendenze dominanti, verista prima e dannunziana, poi. Ciononostante, nella sua carriera, non aderì mai completamente ad un movimento artistico, seguendo un’evoluzione attenta ma indipendente. Molti hanno difficoltà tuttora, a classificarlo con chiarezza. Non fu né un teorico, né un concertista, amava la realtà. Scrisse per il suo pubblico, ne curò gli allestimenti e spesso si recava dove sarebbe avvenuta la successiva messa in scena di una delle sue opere. Per cui, ogni suo lavoro otteneva il massimo del successo, sul pubblico, ma soprattutto sui direttori dei teatri lirici, lasciando loro opere perfette, ben controllate, limate e solo dopo presentate. Nonostante quello che si pensi, nella sua vita compose solo 12 opere, di cui tre fanno parte del veloce trittico. Ottenne il massimo da ciascuna e continua ancora a raccoglierlo, visto che le rappresentazioni di sue opere non sono mai cessate, e si svolgono con il massimo del gradimento.

Tuttavia, se era seguito fedelmente dal suo pubblico, non fu così con la critica musicale, soprattutto in Italia. Faticò molto ad essere benaccetto, con una dimostrazione di qualità, opera dopo opera. Ma non fu facile. L’ostilità nei suoi confronti si manifestò aspramente nei primi due decenni del Novecento. A contrastarlo vi fu la cosiddetta Generazione dell’Ottanta, ed in particolare il critico Fausto Torrefranca, amante di musica antica. Questi pubblicò su Puccini un libricino (Giacomo Puccini e l’opera internazionale), dove denunciava come spregevole e commerciale tutto il lavoro di Puccini ed additando l’orrore del melodramma. Torrefranca si dichiarò nostalgico dei tempi della musica strumentale. Nella sua critica egli afferma che Puccini “non riesce mai ad ampliare ciò che ha imparato dagli altri, ma se ne serve come di un “luogo comune” della musica moderna, consacrato dal successo e avvalorato dalla moda”. Così dicendo, però, Torrefranca attesta, implicitamente, il livello internazionale delle composizioni di Puccini. E lo conferma, viceversa, l’apprezzamento di musicisti a lui contemporanei, come Stravinskij, Schoenberg, Ravel e Webern. Infatti, da una parte il nazionalismo di Torrefranc e dall’altra abbiamo lo stile internazionale di Puccini, che finirà per trovare eco e conferma sulla scena mondiale. Tra i suoi massimi estimatori molti stranieri, ad esempio, il francese René Leibowitz e l’austriaco Mosco Carner.

I riferimenti
Ma quali erano i riferimenti musicali ed artistici, di un autore così ecclettico, come Puccini? Dal passato, riemerge il settecentesco Boccherini, a cui Puccini si ispirò per la sua opera Manon Lescaut, ambientata, infatti, un secolo prima. Tuttavia, nel campo musicale, l’autore più presente nella sua produzione, fu Richard Wagner. Sin da giovane Puccini non nascose la sua ammirazione per l’autore tedesco. A lui si rifece nei due saggi di Conservatorio (dal Lohengrin e Tannhäuser) e successivamente da studente acquistò lo spartito del Parsifal (dividendo le spese con Pietro Mascagni, suo amico di stanza).
A quel tempo, mentre gli altri discutevano su Wagner e la sua opera d’arte totale, Puccini (tra i primi estimatori in Italia) ne ammirava, soprattutto, il linguaggio armonico e la struttura narrativa delle opere. Prese a studiare ed analizzare attentamente la tecnica compositiva di Wagner, il suo uso dei Leitmotiv ed i legami tra di loro, in particolare nell’opera wagneriana di Tristano e Isotta. Così la flessibilità dell’opera del maestro tedesco, tra lirica e concertistica, molti critici hanno rilevato anche in Puccini, il doppio uso delle sue composizioni, traducibili in musica semplicemente orchestrale, in sinfonia.

Se Torrefranca fosse vissuto ora, si sarebbe sicuramente ricreduto sulle sue astiose opinioni. Alla luce della rivalutazione, d’oggi (pubblico e critica), rileverebbe quanto il genio di Puccini sta registrando negli ultimi decenni, del secolo scorso ed i primi del terzo millennio. Le meravigliose melodie pucciniane sono un’eredità preziosa quanto bellissima, di sicuro livello “internazionale”..

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  GIACOMO PUCCINI

VIDEO SU GIACOMO PUCCINI
Giacomo Puccini – Frammenti di Vita
The Best of Puccini
LUCIANO PAVAROTTI: Nessun dorma! GIACOMO PUCCINI Turandot
Pavarotti- Tosca- E lucevan le stelle

In copertina – Ritratto fotografico di Giacomo Puccini – estratta da Wikimedia Commens

 

Accessori per migliorare la vita

 

Qui a BLOGROLL abbiamo semplicemente digitato: “accessori per migliorare la vita”. Era un modo per riderci su, in una redazione iper-culturale da mal di testa. Ne è spuntato un website dal titolo “Bioradar” pieno di “life hacks”, termine che gli americani usano per indicare soluzioni utili a risolvere piccoli problemi comuni. In questo website, sull’arte del riciclo, hanno raccolto i trucchetti migliori, un vademecum di idee facili e geniali! Serviranno a migliorare la vita? Chi lo sa? Sicuramente serviranno a farci comprendere come stare con i piedi per terra e non correre in un negozio alla ricerca dell’ultima tecnologia che supplisca alla nostra mancanza di fantasia. Buon divertimento.

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Antichi mestieri: il fabbro

 

Nella periodizzazione delle epoche storiche vi è anche quella legata al tipo di metallurgia utilizzata (età del rame, del bronzo, del ferro). Segno che il mondo dei metalli ha una grande importanza nell’esistenza umana. Da che mondo è mondo, infatti, il fabbro del paese era l’artigiano che si occupava della lavorazione dei metalli, soprattutto quelli ad uso militare: coltelli, spade, elmi, corazze o armature su misura, nel periodo medievale. Con l’utilizzazione della polvere da sparo, le armature (e quindi il lavoro del fabbro) andarono via via tramontando. Comunque, la metallurgia non è scomparsa nel tempo, ma si è solo trasformata a livello industriale.  Insomma, non vi è più il binomio incudine e martello.

Tuttavia, se l’antica lavorazione del vetro continua ad esistere a Venezia (a Murano), e ne è una delle forze, anche quella dei metalli può reinventarsi in chiave “turistica” (se si sceglie un luogo turistico). Si possono sempre proporre oggetti metallici di uso comune, come mestoli, posate o pentole, oppure, elmi romani, in vicinanza di un monumento romano, o quant’altro di meglio dalla fantasia. In fondo il valore di un mestiere antico è proprio quello d’essere antico.

Il mestiere
Il fabbro è colui che dà forma al metallo (bronzo, ferro od acciaio). Manualmente opera direttamente dal materiale solido, o che viene colato in uno stampo. Il metallo, successivamente, viene surriscaldato e poi forgiato, con varie azioni o strumenti. Il fabbro interviene per martellare, curvare, tagliare o saldare pezzi caldi di ferro, modellandoli a proprio piacimento. Tale è che il prodotto del suo lavoro spesso si incrocia con l’arte. Tra i suoi manufatti, elenchiamo ad esempio, sculture, griglie e ringhiere, mensole, attrezzi per il giardino od utensili da cucina, ma anche oggetti decorativi, oppure armi da taglio o da difesa. A tutto questo, in tempi antichi, si aggiungeva la ferratura dei cavalli, compito del maniscalco, così chiamato tuttora.

La forgiatura
Le fasi della lavorazione sono molteplici e necessitano di strumenti specifici e altrettante modalità di lavoro. Il momento più appariscente è la forgiatura. IL pezzo di ferro in questo passaggio viene deformato e plasmato, così da fargli assumere la condizione ideale per le successive fasi. Nella forgiatura non avvengono asportazioni di materiale a differenza di altri momenti. L’attrezzo specifico della forgiatura è il martello, così classico dei fabbri ferrai.

Com’è intuibile il fabbro forgia il metallo riscaldandolo per modellarlo secondo necessità. Tra gli attrezzi, quindi, deve esserci un forno. Oggi questo può essere alimentato in diverse maniere: una volta vi erano quelli a carbone, carbone di legna, o coke, oggi si utilizzano anche a propano o gas naturale. Se al fabbro necessita surriscaldare un punto circoscritto può usare la fiamma ossidrica. Ciononostante, il forno nasconde il segreto principale: la temperatura ideale per la forgiatura. L’esperto fabbro sa che questa dipende dal colore che assume il metallo. Infatti il ferro prima diventa rosso, poi arancione, poi giallo, ed infine bianco. Il giallo-arancio è l’ideale per modellarlo. L’artigiano quindi ha bisogno di sapere il livello di surriscaldamento. Ecco perché in genere le fucine dei fabbri sono tenute in penombra, quasi al buio.

Nella fase di forgiatura si contano quattro momenti o possibilità, e cioè: trazione, piegatura, compressione e punzonatura, il tutto servendosi di un martello e della classica incudine.

Con la fase della trazione si ottengono barre di minore spessore o di minore o maggiore lunghezza, semplicemente “stirandole”. In tale fase si può appiattire una barra, producendo uno scalpello, oppure nell’appiattimento di tutte le dimensioni, ottenendone una punta. Tali lavori si eseguono servendosi dell’incudine: a seconda la faccia di questa (dove battere il ferro) si ottengono risultati diversi, ecco perché le incudini hanno quell’aspetto tradizionale.
Per realizzare, ad esempio, ganci, anelli e poi catene, il metallo incandescente può essere piegato. Usando, infatti, come appoggio l’incudine e martellando il pezzo di ferro dall’altro lato, lo si fa prendere la posizione necessaria.
La fase della compressione consiste, invece, nell’addensare il ferro in punti specifici. In sostanza si riduce una delle dimensioni, aumentando automaticamente le altre.
La punzonatura è utilizzata per ottenere dei fori o delle depressioni a scopo decorativo. Ad esempio, un’ascia o un martello hanno bisogno di un foro per introdurre il manico. Questa opportunità si applica anche nel taglio, l’incisione o lo stiramento.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL FABBRO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
il fabbro
Mestieri & Pensieri – il fabbro
Mondo Sardegna – Francesca Frau – Fabbro in Sardegna
Mestieri – Il fabbro

Immagine di copertinaUna forgia a carbone – estratta da Wikimedia Commons

 

Quando c’è in mostra l’anima della lettura

 

“Viaggi e viaggiatori”, espone libri che puoi osservare o sfogliare, raccoglie emozioni, sollecita passioni. «Nessun alito di vento; solo il movimento della nave turba l’aria calma, dormiente sopra il mare. Le rive della Sicilia della Calabria esalano un odore così forte di aranci fioriti, che l’intero Stretto ne è profumato come una camera di donna» (Guy de Maupassant). Il senso della letteratura di viaggio è tutto qui: nel modo in cui gli altri vedono te o nel modo in cui tu che scrivi li hai guardati. Diary, Journal, Tagebuch, raccontano esperienze irripetibili, perché anche a tornarci, in quei luoghi, non sarebbe più la prima volta. Ma se tu leggi, se spazi su paesaggi di carta e di parole, quando riprendi certe pagine trovi i giorni in cui sei stato – ogni volta nella tua mutevole continuità – con Chatwin in Patagonia o con Goethe in Sicilia dove l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra «chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita». Sensazioni da riaccendere alla Biblioteca Regionale di Messina, sostando in questa mostra elegante curata da Maria Teresa Rodriquez, con Stefania De Gaetano e Patrizia Maiorana. L’intento è contribuire al palinsesto di eventi che di Goethe celebrano il bicentenario di “Viaggio in Italia” e, nel contempo, candidarsi al progetto nazionale che propone i percorsi dello scrittore tedesco tra gli Itinerari Culturali Europei riconosciuti dal Consiglio d’Europa. Negli anni la Biblioteca ha più volte proposto, con visuali diverse, queste «interazioni tra viaggio, narrazioni, paesaggio, arti visive, musica». Basta scorrere “Negli occhi del viandante, Messina negli appunti di viaggio”, dal quale son tratti i brani in mostra e i vibranti disegni del compianto Mario Manganaro. Si può attraversare il mondo anche fantasticando.

Pubblicato su Centonove-Press n. 19 – 11 maggio 2017

Gli interni della reggia di Madrid 2/2

 

L’edificio al pianoterra possiede alcune zone tematiche legate alla vita di corte. Si inizia con la Farmacia reale, che possiede vasi di medicinali ed erbe antichi, che venivano utilizzati per i nobili della corte ammalati. Si passa poi ad uno spazio armeria, dove si possono ammirare armi ed armature antiche, tra le quali si evidenzia l’armatura a cavallo di Carlo V d’Asburgo.

Si sale al primo piano con lo scalone principale, disegnato dal Sabatini, la cui volta fu affrescata da Corrado Giaquinto. Il dipinto raffigura La monarchia spagnola che rende omaggio alla Religione.
Al piano superiore troviamo gli appartamenti reali e alcune sale, lussuosamente arredate. Si inizia con quella degli Alabarderos ed il Salòn de Columnas. Nella prima spicca un affresco del Tiepolo (l’Apoteosi di Enea). Nella sala sono esposti alcuni dipinti di Luca Giordano ed altri artisti italiani. L’affresco presente nella seconda sala, invece, è di Giaquinto, le sculture sono barocche. Si possono ammirare bellissimi Arazzi, eseguiti su cartoni disegnati da grandi artisti, come, ad esempio, Raffaello.
È preziosamente conservato il Salone del Trono, contenente gli arredi rococò di Carlo III. Sul soffitto un affresco del Tiepolo e alle pareti soffice velluto. Non mancano orologi inglesi e svizzeri. Altri piccoli e grandi ambienti accolgono i visitatori, quali: il Salotto di porcellana, la Biblioteca reale, la Sala di pranzo (per gli incontri di gala) e il Salone Gasparini.
Nella zona nord gli ambienti portano alla Cappella reale, di forma circolare ed affrescata sempre da Giaquinto.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: MADRID

VIDEO SU MADRID:
Madrid in HD – Documentario di viaggio
Madrid – Luoghi dal mondo

 

Charles Baudelaire

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI?

Il Simbolismo: nella musica, Pietro Mascagni

 

Oltre a scrivere opere liriche, Pietro Mascagni seppe essere un uomo del suo tempo. Vissuto a cavallo dei due secoli (1800-1900), non disdegnò d’essere innovatore e sperimentatore. Seppe essere compositore di operette, canzoni, brani musicali per pianoforte o altro, musica sacra e con “The Eternal City“, dare vita ad una specie di suite sinfonica, fino a scrivere musica per il cinema muto dei suoi tempi.
Conobbe il successo con la prima delle sue opere, Cavalleria rusticana, anche negli Stati Uniti, per poi realizzare nella sua vita altre 15 opere. Nonostante la grande fama mondiale raggiunta, oggi risulta poco conosciuto. Questo si deve al fatto che è poco rappresentato. Se pensiamo che, ad esempio, l’opera Iris raggiunse le 800 produzioni in passato, oggi, Mascagni non può tornare all’attenzione del pubblico se non se ne ravviva la memoria.

Mascagni nel suo volo artistico fu ispirato dai movimenti letterari del tempo. Iniziò con Cavalleria rusticana, di taglio verista, per poi passare a delle composizioni ispirate dal decadentismo e simbolismo, per chiudere poi la sua carriera con composizioni espressioniste (ad esempio, l’ultima il Nerone), declamata e con più toni acuti. La maggior parte dei suoi lavori sono di stampo decadente (Amico Fritz, Ratcliff, Iris, Maschere e Rantzau). Apparentemente contraddittorio, il suo stile si può definire eclettico, dando buona dimostrazione delle sue capacità in tagli stilistici diversi.

Purtroppo questa capacità ecclettica non gli ha giovato, anzi, è la base delle critiche ottenute nel dopoguerra. Molti studiosi gli imputano di non avere continuato con lo stile verista di Cavalleria rusticana, opera con cui Mascagni ottenne maggiore successo. Lo stesso editore Ricordi gli propose di comporre un libretto lirico tratto dalla novella “La lupa” di Giovanni Verga. Mascagni rifiutò per continuare il suo percorso innovativo. Verso la fine della sua carriera non ebbe una buona risposta da pubblico e critica. Gli editori Sonzogno e Ricordi si rifiutarono di pubblicare la sua musica, e Mascagni dovette rivolgersi ad un editore francese. Tant’è che a distanza di qualche decennio Mascagni viene ricordato solo per Cavalleria rusticana, come se avesse composto una sola opera, com’è capitato a Ruggero Leoncavallo, con “Pagliacci”, o a Francesco Cilea, con “Adriana Lecouvreur”.
Tuttavia il suo essere all’avanguardia, non è stato riconosciuto quanto poteva essergli. Ad esempio, alle opere ispirate dall’Orientalismo, quali l’Iris, opera simbolista scritta nel 1898, si preferisce oggi Madama Butterfly di Puccini composta solo nel 1904.
Questa ombra su Mascagni fu dovuta probabilmente nel dopoguerra, alla sua adesione al Fascismo. Ciononostante, bisogna saper andare oltre, come nel caso di Wagner o Pirandello, giudicando a parte l’opera artistica.

L’autorevolezza della sua musica, che seppe raggiungere, si dimostra dai compositori che a lui si rifecero, come ad esempio, Ruggero Leoncavallo nei suoi Pagliacci, o Umberto Giordano che riprese riferimenti sia da Mascagni che da Puccini.
Se ultimamente le sue fatiche non vengono riconosciute e messe in scena, bisogna dire che a livello cinematografico la musica di Mascagni è stata utilizzata come colonna sonora di diversi film, italiani ed americani. Alcune case discografiche minori hanno ripubblicato delle sue opere su CD. E questo è molto importante a livello divulgativo. Il maggiore riconoscimento, tuttavia, gli è stato dato alle Olimpiadi di Roma (1960), quando l’Inno del Sole dell’Iris, è stato utilizzato come inno ufficiale dell’edizione sportiva.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  PIETRO MASCAGNI

VIDEO SU MASCAGNI
Pietro Mascagni – Cavalleria rusticana
Pietro Mascagni – Inno del Sole [HD]
Pietro Mascagni “Messa di Gloria”

In copertina – Ritratto fotografico di Pietro Mascagni – estratta da Wikimedia Commens

 

Il Simbolismo nella musica: Claude Debussy

 

Tra i massimi compositori francesi, centrale è la figura di Claude-Achille Debussy (1862-1918). È considerato il massimo esponente della musica simbolista, anche se alcuni critici musicali lo rapportano pure al decadentismo. Tuttavia l’appartenenza fu negata dallo stesso artista, che dichiarò la sua ispirazione ai poeti Verlaine e Mallarmé (che erano dei simbolisti). Debussy si rifece a loro e alle loro composizioni, per vari pezzi musicali leggeri e innovativi, a differenza di altri dello stesso periodo in cui si sente l’influenza wagneriana. In seguito, seppe portare un colore nuovo nella musica occidentale.

Nacque in una famiglia agiata (anche se poi andò in rovina) Debussy potè permettersi di frequentare il prestigioso Conservatoire national supérieur de musique et de danse, di Parigi. Nel 1884, per le sue capacità nel comporre la scena lirica, intitolata L’enfant prodige, vinse l’importantissimo Prix de Rome. Il viaggio in Italia, specificatamente a Roma (premio del concorso), si svolse tra il 1885 ed il 1887. Soggiornò a Villa Medici. Un buon inizio, auspicio di “buona fortuna”.
In effetti, quasi da subito, riscosse un grandissimo successo ed approvazione in Francia. La sua vita privata fu molto movimentata, in particolare sentimentalmente. Mai stanco di nuove avventure, ebbe relazioni con diverse donne, anche se sposate. Lui si sposò una prima volta, ma, nonostante il legame, seppe passare da una relazione ad un’altra, fino a che non causò uno scandalo a Parigi. L’amata, puntualmente abbandonata, tentò il suicidio, sparandosi al petto. Debussy, insieme alla donna con cui stava in quel momento (che era incinta), fuggì in Inghilterra. Tornato a Parigi, divenne papà per la prima volta, e si sposò per la seconda, mettendo successivamente, come si dice, la testa a posto.

Ebbe funerali di Stato, ma solo dopo la fine della prima guerra mondiale (Debussy era morto a marzo del 1918). Le sue spoglie sono ora contenute nel cimitero di Passy, dietro il Trocadéro, a Parigi. La sua effige, a testimonianza della considerazione in Francia, nei suoi confronti, era sul biglietto della banconota da 20 franchi, fino all’introduzione dell’euro, avvenuta nel 2002.

La tecnica e lo stile 
I francesi, come Debussy, erano antiwagneriani, per partito preso. Debussy e Wagner erano contemporanei, ma si differenziavano a livello compositivo. Mentre, infatti, in Wagner il discorso musicale era aperto e fluente, in una armonia tonale (definita “melodia infinita”, Debussy preferiva un discorso più libero, con il susseguirsi di piccole immagini ricorrenti, anche se ad intervalli identici.
Il francese nella composizione passava dal neoclassicismo al romanticismo, in una astrazione eclettica, propria del suo periodo storico. Gli spartiti erano brevi, ma molto intensi, mai pomposi ed imperiali. Pur essendo simbolista, alcuni critici hanno paragonato il suo stile a quello degli impressionisti: veloce, vario nella sua ricchezza ed esotico.
La sua scrittura ritmica è assai complessa, ma dall’andamento morbido e sospeso, che reinterpreta l’uso, soprattutto, del pianoforte.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  CLAUDE DEBUSSY

VIDEO SU CLAUDE DEBUSSY:
CLAUDE DEBUSSY: CLAIR DE LUNE
The Best of Debussy
Claude Debussy – Rêverie
Claude Debussy – Músico del sueño

Immagine di copertina: Foto del musicista

 

Un weekend con Mr. Bean

 

Dopo una settimana di lavoro siamo stanchi? Sogniamo l’arrivo dell’estate? Sogniamo di essere fortunati come Mr. Bean, vincitore di una vacanza al mare? Magari! In alternativa facciamoci due risate con BLOGROLL di questa settimana, tratto dalla commedia “Mr. Bean’s Holiday”. Se non proprio buone vacanze ci auguriamo, per ora, un Buon weekend! Due giorni basteranno per ritemprarci? 

Un brano divertente da “Mr. Bean’s Holiday” sulle note indimenticabili di Charles Trenet: “La Mer”.

 

Antichi mestieri: il maniscalco

 

Chi pensa che l’antico mestiere del maniscalco sia scomparso, si sbaglia. Sono presenti, infatti, in ogni manifestazione sportiva equestre, a tutt’oggi. Si sbaglia anche chi pensa che il maniscalco si limiti a mettere i ferri al cavallo. Tant’è, che per farlo, bisogna superare la delicata fase della pareggiatura e ferratura, con un adattamento degli zoccoli dell’equino e cure mediche su eventuali distorsioni naturali dello zoccolo. È un’attività che si svolge insieme al proprietario e ad un veterinario. Il mestiere è caratterizzato dall’antica arte della mascalcia, che si è sviluppata anche negli ultimi tempi. Ma se pensate che sia un mestiere semplice, continuate a sbagliarvi. La tecnica è talmente seria che, in Italia, si può apprendere solo nella scuola di Mascalcia presso il Centro militare veterinario, a Grosseto o nella scuola dell’esercito a Roma. Quindi, se scegliete di fare il maniscalco, cominciate a preparare le valigie.

Il ferro di cavallo
Il classico ferro di cavallo, a forma di U, rimane nell’immaginario collettivo, come portafortuna, anche se la cultura del cavallo sta via via scomparendo. Era uno strumento indispensabile nel passato, per ferrare cavalli o muli, rendendoli idonei ad un uso intensivo, senza il possibile consumo degli zoccoli. Fatto di ferro, con lo sviluppo tecnologico si trovano, oggi, ferri di cavallo anche in alluminio o plastica, e, in alcune varianti speciali, vengono prodotti in magnesio, titanio o rame. Tra le loro caratteristiche tipiche, erano contraddistinti da ramponi, elementi sporgenti verso il basso sulla parte posteriore del ferro, per aumentare la presa del cavallo sul terreno. Anche oggi i ferri forniti di ramponi vengono utilizzati in manifestazioni sportive con i cavalli. Naturalmente, erano forniti di fori per la chiodatura allo zoccolo (ma possono essere anche incollati).
Tale era l’importanza dei cavalli nella vita sociale delle varie civiltà, che si sono succedute nel tempo, che alla classica figura artigianale del fabbro, si associò quella del maniscalco, specializzato sul cavallo. Era lui che si occupava della produzione dei ferri di cavallo, la chiodatura e le altre attività legate alla mascalcia.

Tuttavia, se alla figura del cavallo si associa quella del ferro di cavallo, il loro rapporto non è così diretto. Gli studiosi, infatti, ritengono che i ferri di cavallo siano stati inventati ed adottati durante il medioevo nei paesi del nord Europa. Infatti, nel mondo classico non si fa menzione di ferrature, né nei testi, né nelle rappresentazioni pittoriche. La cosa è confermata dal fatto che sono citate malattie dello zoccolo tipiche del cavallo scalzo e non ferrato. Ciononostante, il ritrovamento di un reperto, databile intorno all’anno 294 (in epoca romana), e poi nel basso medioevo (in epoca gallo-romana), contraddicono la teoria citata. Era comunque un’attrezzatura militare, necessaria per dare più impatto e durezza alle cariche di cavalleria. Fu recepita e resa comune negli ultimi secoli, col cambiamento della superfice stradale.

Come portafortuna
Il ferro di cavallo è un “potente” portafortuna, con chiunque si parli. Appenderlo ad una porta è beneaugurante. Come tutti i portafortuna, però, non hanno delle regole certe, anzi si contraddicono. Può essere rivolto verso l’alto, oppure verso il basso, devono essere nuovi o usati, regalati o comprati, se, secondo le tradizioni, si può toccarli o no (il rischio è che invece porti sfortuna). In ogni caso, l’oggetto fortunato è portafortuna solo per il proprietario e non, per esempio, per uno che lo ha rubato da una porta.

Anche la fortuna ha un principio. La tradizione del ferro di cavallo nasce da una leggenda inglese, quella di Saint Dunstan.  Esperto fabbro, questi si trovò ad avere a che fare con il diavolo, che gli chiese di ferrare il proprio cavallo. Dunstan, con molto coraggio, invece, gli ferrò il suo di zoccolo (tutti i diavoli hanno gli zoccoli). Il diavolo rimase imprigionato. Quando, alla fine, il fabbro lo liberò, fu costretto a promettere di non entrare più in una casa protetta da un ferro di cavallo. Per inciso, il fabbro divenne l’arcivescovo di Canterbury. Più fortuna di così!

Essendo la tradizione contraddittoria, non poteva mancare un’altra interpretazione. Poiché il ferro di cavallo ha una forma che ricorda l’organo genitale della donna, la sua rappresentazione poteva “distrarre” il diavolo dall’entrare nella casa “protetta”. Molti storici, infatti, fanno notare che anche sul portone di alcune chiese medievali erano rappresentati degli apparati femminili, per distrarre e dissuadere il diavolo da valicare quella porta. Molte di queste raffigurazioni, però, sono state tolte nel tempo.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: FERRATURA

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Scuola da Maniscalco dell’ Esercito – Cavalli a Roma
Mascalcia e Resine
Il maniscalco a NeroNorcia 2014, realizzazione dei ferri di cavallo e ferratura