Théophile non seppe dire di no

 

Anche quella volta Théophile non seppe dire di no. Théophile non sapeva mai dire di no, benché in cuor suo avesse sempre chiara la risposta. Netta, decisa. Ma – pensava – questa è l’ultima volta. Poi è finita. Da domani è finita. Certe mattine, davanti a quella tazzina di caffè caldo e profumato, come nessun’altra cosa sarebbe stata calda e profumata per il resto della giornata, avrebbe voluto dire sì soltanto a sé stesso, ai suoi desideri liberatori. Per questo motivo cercava un bar defilato, lontano dalla ressa, si accomodava ad uno dei tavolini accanto alla vetrata così da osservare fuori dal locale le persone vivere, attratto, com’era attratto, dai particolari di quel vivere. Avrebbe voluto sorseggiare il suo caffè senza essere disturbato, appuntare due righe sull’agenda, tracciare il percorso della giornata che si apriva, con il proposito di non doverlo poi modificare. Non l’avrebbe assolutamente fatto, se non fosse stato lui, capace – e ognuno che gli si rivolgeva lo sapeva bene – capace di realizzare i sogni. Beninteso i sogni degli altri, tranne che i suoi. E gli altri erano certi che qualunque cosa gli avessero chiesto, lui avrebbe fatto il possibile per soddisfarli. Ma quando finiva con uno, cominciava con un altro; in una catena ininterrotta di richieste. Si domandava il motivo perché non riuscisse a dire di no. E s’era data persino una risposta: il giorno che si fosse deciso a rispondere di no, com’era nel suo diritto e nel diritto di ciascuno, avrebbero dimenticato tutti i sì che aveva pronunciato in vita sua, per ricordare solo il suo ultimo irriverente no. Sarebbe stato come avere speso una vita a costruire un castello di carte da gioco, che uno spiffero avrebbe fatto crollare. Così chiese che fare al suo interlocutore del mattino, che, avendolo scorto in un attimo di rilassatezza, non aveva trovato di meglio che sedersi al suo stesso tavolino. Gli chiese che fare se per tutta una vita hai costruito un castello di carte, sperando che una corrente d’aria non te lo spazi via. Che fare? Cosa poteva saperne di un quesito così banale uno interessato solo a chiedere un favore per sé stesso. Prova a ricostruire il castello di carte – gli ribatté facendo spallucce – e magari cambia stanza dopo aver chiuso porte e finestre. È stupido – pensò Theophile – rispondere in modo così sbrigativo alla domanda della “tua” vita, quando sta per chiederti un favore che interessa la “sua” vita. Allora, fingendo di ascoltare, decise che questa volta gli avrebbe risposto di sì, ma non perché non sapeva rispondere di no. Quel sì sarebbe stato come tutti i sì di un mondo che risponde sì per dire no e risponde no per dire no. Ecco perché, questa volta, Théophile gli avrebbe risposto di sì.

PS. A proposito, la foto raffigura Il gabbiano Jonathan Livingston, al quale Theophile stava pensando, quando il seccatore si è seduto al suo tavolo.

Théo Feel, Racconti senza senso nella babele delle lingue.

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