Francis Bacon

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

l’aumentata produzione non incise sulla qualità

 

“Le leggere proporzioni delle gambe lavorate al tornio e dei supporti cruciformi testimoniano una profonda conoscenza dei materiali, dato che utilizzavano il minimo materiale necessario per garantirne la robustezza. I sedili delle Slat Back erano tappezzati da tessuti con nastri, pelle, lana o giunco fissati su un morbido rivestimento interno, per aggiungere funzionalità e durevolezza. Le ritmiche linee orizzontali delle traversine, dei poggiapiedi e delle stecche davano luogo a una struttura leggera, eppure robusta e solida” (AA.VV. Design in 1000 oggetti, Phaidon Design Classics, London 2006, Roma 2008).

Nel 1872 in una nuova fabbrica, oltre a torni e seghe da traforo, comparve la prima macchina a vapore della comunità. Ora dieci operai potevano produrre 144 sedie alla settimana. Con l’aumentato livello di produzione, si rese necessario un disegno industriale standardizzato. Si adottarono così diversi stili di sedie a pioli e a traversa. Fra queste continuò la produzione della Slatback Chair, nota come N.5 Dining. Furono anche usate moderne tecniche di vendita, ad esempio la spedizione tramite  catalogo postale o l’esposizione in  showroom di prodotti. Dalla fabbrica RM Wagan & Company iniziò la vendita di una notevole quantità di  sedie a partire dalla metà del XIX secolo. Tuttavia ciò non andò a discapito della qualità, della semplicità e dell’eleganza che ancora oggi è possibile riscontrare.

 

Eccovi Messina città senza veli

 

Le vie dei Tesori quest’anno si possono percorrere anche da noi. A Palermo sono apprezzate già da dieci anni. Pertanto, grazie al volenteroso assessore Carlo Vermiglio al quale la commedia politica non ha concesso di giungere alla scadenza naturale del mandato; grazie a tutta la Soprintendenza di Messina, a Orazio Micali soprintendente, a Mirella Vinci responsabile del procedimento; grazie soprattutto ai volontari che spendono tempo e competenze a vantaggio dei visitatori di questa città che, malgrado le sciagure, di tesori ne ha tanti per comprovare la propria identità. «Devastata dal terremoto del 1908 è rinata spezzata, dolente, ma ancora viva»: si legge così nel dépliant illustrativo dove sono elencati i 28 monumenti da visitare. Rievocano il vecchio tessuto all’interno del nuovo, che dopo un secolo tanto nuovo non è più. Sapete cosa c’è di buono in tutto questo? Che per due weekend il cuore di Messina batte all’unisono e tutti avvertono di vivere flash di memorie che appartengono anche alla propria storia personale allacciata a quella collettiva. Da Montalto o dai Forti lo sguardo spazia sullo Stretto e ti domandi perché non venirci più spesso. Torni al MuMe per esplorare in un dipinto i tratti di pennello e fissare negli occhi i guizzi di luce su di un panneggio. Entri nelle chiese del circuito ammirando gli altari delle navate laterali tralasciati duranti i riti domenicali. Approfitti per visitare villa Cianciafara o De Pasquale o Sanderson, e rammentare poi che una miriade di altre ville coronano la città. Ascolti nel Rifugio Cappellini il rintronare delle fortezze volanti che nel ’43 hanno reso Messina una città fantasma. E finalmente pensi che non puoi lasciare che tutto questo possa andare perduto per disinteresse, se non fosse per poche, pochissime, pregevoli persone che questa città la amano davvero.

Pubblicato su 100NOVE n. 36 del 21 settembre 2017

Gustave Boulanger

 

 

Oggi siamo nello studio di Gustave Boulanger, pittore allievo di Pierre Jules Jollivet e di Paul Delaroche all’École des Beaux-Arts nel 1846. Vinse il Prix de Rome nel 1849 con il quadro “Ulisse riconosciuto da Euriclea”, divenne membro dell’Accademia di Belle Arti nel 1882 e insegnò nell’Académie Julian. Ottenne numerose commissioni ufficiali, tra le quali le decorazioni dell’Opéra di Parigi, di quella di Monaco e del Municipio di Parigi. Queste notizie potete approfondirle su WIKIPEDIA.

 

 

La pasta all’epoca dei pionieri

 

Le prime produzioni
IN SICILIA
La Sicilia e la Puglia erano nel medioevo luogo di coltura del grano, in particolare quello duro (veri e propri granai). Ne parla anche Plinio, in età romana, lodandone la quantità, che permetteva l’uso interno, ma anche la sua esportazione, e la sua qualità, preferita ad altre produzioni. Perciò, la tradizione araba della pasta attecchì facilmente in Sicilia. Il cartografo arabo-normanno Idrisi, nella sua descrizione dell’isola non manca di citare Trabia come luogo di intensa produzione di pasta secca. Questa viene associata alla tria, lo strumento per ottenerla. Ne parla anche Sebastiano Macaluso Storaci nel suo vocabolario siciliano-italiano. Nella modernità di quel tempo, la Sicilia era del tutto autonoma, non solo nella coltivazione del grano (per le grandi proprietà fondiarie), ma anche nella lavorazione di farine e semole, nei mulini ad acqua. Pertanto la fattura della pasta secca portò ben presto alla sua commercializzazione lungo le rotte di altri paesi.
Possediamo un documento, risalente al 1371, in cui l’amministrazione palermitana fissa un calmiere ed un costo massimo per la produzione e la vendita di pasta, secca (axutta) e fresca (bagnata). Se ne deduce che il suo commercio, quindi, era già a quel tempo elevato ed il suo consumo intenso.

 

ALTRE REGIONI E CITTA’
La Sicilia, tuttavia, non aveva l’esclusiva della pasta. Anche la Sardegna si evidenziava notevolmente. A Cagliari, i registri della Dogana ci riportano una forte attività d’esportazione del prodotto locale, già differenziato in tipi e formati vari, come (in spagnolo) i fideus, i maccarons e obra de pasta. Altre notizie ci riportano la presenza di mulini per la farina posti sulla costa amalfitana e l’uso di pasta a Napoli (in un testo del 1295) alla corte di Carlo d’Angiò. Sono le prime avvisaglie dell’espansione della pasta che avverrà a Napoli nei secoli successivi. La praticità d’uso inserì la pasta secca nell’alimentazione dei marinai impegnati in lunghi viaggi. Due repubbliche marinare, Genova e Pisa, vengono citate in documenti dell’epoca per l’uso di pasta distribuita alla flotta. In particolare apprendiamo che a Pisa (nel XIII e XIV secolo) esisteva già il formato dei vermicelli.

 

 

 

 

Niente sembra avere contorni precisi

 

Il fruttivendolo pose sul carrettino posteggiato all’angolo della carreggiata pesche belle e profumate. All’orizzonte un sole tiepido non ancora alto. Quattro operai scherzavano passandosi una tenaglia di mano in mano. Un furgoncino rallentò per fargli attraversare la strada e Théophile, in quell’attimo, riconobbe la sua automobile, fra quelle innumerevoli del parcheggio, dai led luminosi azionati col telecomando. Era come se tutto scorresse al rallentatore in un silenzio inverosimile. Pensò: niente sembra avere contorni precisi come questa calma dopo il giorno di festa. Solo ieri sera, nel giardino dei vicini, c’era un party di benvenuto: un vociare sguaiato, niente musica, solo schiamazzi, da non riuscire neppure a leggere. Sprofondato sul divano pensava a Lucie. La immaginava immersa nella sua biblioteca tranquilla, piena di libri curiosi: biografie e romanzi d’autore fitti di parole, saggi critici poderosi, grandi volumi illustrati e collezioni di mensili cioè metri quadrati di riviste dal dorso bianco. Ora che, al contrario, avrebbe accettato l’ambiente caotico della strada, percorreva il marciapiede in un silenzio irreale. A terra foglie bagnate di recente da un istantaneo scroscio d’acqua. Un Coiffeur pour Dames dalle ante socchiuse. Bancarelle e stender appendiabiti di un merciaio che aveva portato in strada buona metà della roba in vendita all’interno del negozio. Passanti inespressivi; solo uno ciarlava di sport come un accademico a lezione. Théophile si fermò all’angolo di Saint-Germain-des-Angles e digitò il numero telefonico di Lucie e poiché lei non rispose, pensò di inviarle un messaggio: «Come incontrare il tuo sorriso? Indicami la strada per divenire migliore».

Théo Feel, Racconti senza senso nella babele delle lingue.

Pubblicato da Entasis.it

 

Neuroarcheologìa, sull’intelligenza umana

 

Che cos’è la Neuroarcheologìa? Uno specialista risponderebbe che è l’archeologia della mente. Il vocabolo sta ad indicare l’unione fra archeologia e neuroscienze, per favorire un approccio interdisciplinare sull’evoluzione cognitiva umana. Punto di riferimento sono gli studi di Colin Renfrew, esponente di spicco della new archaeology, iniziatore di ricerche riguardanti l’archeologia teorica, con particolare attenzione all’archeologia sociale e cognitiva. Renfrew ha effettuato scavi in Gran Bretagna e soprattutto in Grecia, per studiare lo sviluppo delle civiltà dell’Egeo. La Neuroarcheologìa si propone di integrare i dati archeologici sulla comparsa dell’homo sapiens con le neuroscienze, al fine di comprendere l’evoluzione dell’intelligenza umana, soprattutto sull’emergere del linguaggio e sulla produzione di utensili. Un nuovo campo tutto da esplorare. Leggiamo con BLOGROLL l’articolo di Federica Sgorbissa esperta in scienze cognitive per comprendere di più sulla Neuroarcheologia e scoprire come siamo diventati Homo sapiens.

COSA CI RENDE UMANI?

Victor Hugo

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

Fonte immagine: Victor Hugo

Le sedie per gli angeli discesi dal cielo

 

“Lungo tutto il XIX secolo, i loro prodotti trovano grande eco in tutti gli Stati Uniti, nel 1876 partecipano persino all’esposizione universale di Philadelphia. A loro si devono centinaia di invenzioni che condividono con il mondo esterno senza pretendere il brevetto, dalla sega circolare alla molletta per il bucato, dalla sedia a rotelle alla scopa piatta che rimpiazzava le vecchie ramazze tonde. Gli articoli prodotti sono i più disparati: sementi, confetture, scatole, panieri, stoffe, scope e soprattutto mobili… Producono credenze, armadi, cassettoni con ampi e numerosi cassetti per riporre biancheria ed ogni genere di oggetti, spesso inseriti in appositi vani ricavati nelle pareti, una sorta di moderni armadi a muro che avevano il vantaggio di evitare il depositarsi della polvere; e ancora tavoli, scrittoi e letti che poggiano su ruote di legno, per facilitarne lo spostamento” (Angela Agrati , Lo stile Shaker: mobili e arredi come espressione di fede, DeAgostini).

La Slatback Chair (sedia con schienale a traversine) fu realizzata negli anni Sessanta dell’Ottocento da fratello Robert Wagan, il quale riprese il modello della sedia Ladder Back (letteralmente  “con schienale a pioli”). Sotto la sua direzione si modificò una delle macchine per la lavorazione del legno, al fine di permettere una produzione più spinta, tanto da raggiungere le 600 sedie all’anno.

La sedia Shaker Slat Back è un esempio di manufatto elegante nella struttura di sedia di campagna, ma articolata nella sua semplicità ad esempio grazie agli ornamenti terminali, sorta di guglie che inducono ad uno sguardo verso l’alto, per rendere grazie al Cielo. Si racconta, infatti, che gli Shakers desiderassero di costruire sedie così belle che in qualunque momento un angelo che fosse sceso dal cielo vi si potesse accomodare, attratto dalle sue linee incantevoli. Questi ornamenti terminali erano spesso tanto leggeri da dover richiedere l’inserimento di perni in acciaio.

 

Niente più reazioni, né tantomeno azioni

 

Una conferenza-dibattito, quella tenuta al Monte di Pietà su “La pratica dell’arte contemporanea a Messina”. L’excursus di Daniela Pistorino, presidente Anisa Messina e storica dell’arte, ha evidenziato i protagonisti e i momenti più significativi succedutisi sul palcoscenico locale dagli anni ‘50 ad oggi. Angela Pipitò ha illustrato l’attività della GAMeC “Lucio Barbera” della Città Metropolitana. Ma il compito del “provocatore” è spettato a Carmelo Celona, direttore della GAMM al PalaAntonello. Ha posto interrogativi e scosso coscienze. Se l’arte è l’espressione di un’epoca – ha domandato ai numerosi artisti presenti – quanto risente la vostra arte del luogo Messina o quanto lo ha condizionato? Ed inoltre – posto che, come diceva Camus, «l’arte contemporanea è tale se sceglie la morale ed esilia la bellezza»; di più: «L’arte dovrebbe darci l’ultima prospettiva della rivolta» – l’arte prodotta oggi da questa città, in questo scenario (sociale, civile, urbano e politico, generale e locale) fortemente disimpegnato, quale prospettiva di denuncia, di verità e di ribellione, rappresenta? Se, ancora con Camus, «l’arte interpreta il cambiamento e genera mondi nuovi, nuovi mondi di senso», cosa hanno generato le esperienze espressive dei contemporanei messinesi? Gli interventi, sicuramente disarmanti, non hanno fatto che confermare quanto critici come Baudrillard, Daney, Débray, prospettano nei loro studi sul crescente scollamento fra realtà e arte. È l’età proliferante di simulacri svincolati dai loro referenti. S’è posto fine alla rappresentazione, scegliendo un’arte fondata piuttosto sul rapporto di alterità rispetto alla realtà. La grammatica e la pragmatica della visione artistica hanno trasformato lo sguardo sulla realtà in un’immersiva “modalità dell’ascolto”. Non ci sono più reazioni, dunque. Né tantomeno azioni.

Pubblicato su 100NOVE n. 35 del 14 settembre 2017