Il supplizio ai pastai che infrangevano le regole

 

CLASSI NOBILI E POPOLARI
Le sanzioni erano tutt’altro che semplici o convenzionali. Per chi infrangeva le regole vi poteva essere, non solo una multa pecuniaria, ma anche il supplizio, con tre tratti di corda. In realtà, la tendenza ad infrangere le norme, aveva una sua ragione.

Ad esempio, il calmiere pontificio fissava un prezzo unico per tutti i tipi di pasta. Evidentemente alcuni formati avevano un costo di produzione più elevato, come, ad esempio, la pasta “colorata”, molto ambita dai cuochi romani. Essa veniva confezionata con l’aggiunta di zafferano, prodotto piacevole (bello e buono), ma molto costoso all’epoca.

Nel regno di Napoli, invece, avevano una maggiore attenzione a questa problematica. In città, vi erano prezzi differenti a seconda gli ingredienti, i tipi di farina ed i formati. Questo permetteva la vendita a tutte le classi, dai nobili ai ceti popolari. A Napoli, esisteva la pasta bianca di prima scelta (per gli aristocratici) e la pasta “d’assisa”, per la popolazione, di qualità definibile ordinaria. Se ne deduce, che la diffusione della pasta, nel XVI e XVII secolo, era così ampia da interessare anche i meno abbienti.

Questa “sensibilità” politica nei confronti del prezzo e quindi della vendita (di pasta, come di altro), scaturiva dalle frequenti lamentazioni, proteste, ma anche sommosse popolari. A dimostrarlo vi è la sentenza del Tribunale di San Lorenzo a Napoli (del 1509), che vietò proprio la vendita della pasta. Essendo in un periodo di forte crisi economica, con la carenza di approvvigionamento di farina e semole, alla pasta fu preferito il consumo del pane, ritenuto più essenziale per la popolazione. Ma capitò anche l’inverso. Quando, nel 1551, dopo la grande crisi, si formarono forti eccedenze di farine e semole nei magazzini comunali. Per evitare che tutto quanto andasse a male, panettieri e pastai, furono chiamati ad aumentare la loro produzione.

Il Tribunale di San Lorenzo, inoltre, intervenne, a Napoli, non solo sulla quantità e i prezzi, ma anche sulla qualità. Si raccomandava, infatti, che i vari formati non fossero “infusi o umidi ma asciutti”, proteggendo, per la prima volta, i consumatori di pasta. Lo desumiamo proprio dai Capitula del ben vivere (1509-1615), che era indirizzato a questi ultimi.

Stranamente in Puglia, nello stesso periodo, non vi è notizia di corporazioni di pastai, ma solo di panettieri o fornai che producono “pane e altre cose di pasta a vendere”. Ma ancora più eclatante è la mancanza di ordini professionali in Sardegna, forte produttrice di pasta, che rappresentava il prodotto principale da esportazione dell’isola (nel 1581, da Tommaso Garzoni).