Una preziosa testimonianza sull’evolversi della letteratura per ragazzi

 

Il volume “Gioco e sul serio. Libri di letteratura e ricreazione del Fondo Antiquario di Letteratura Indire“, curato da Pamela Giorgi (Responsabile Archivio Storico Indire), Irene Zoppi e Marta Zangheri, cataloga i circa 550 volumi e le 58 testate di periodici (comprensive di oltre 3.000 fascicoli), pubblicati tra i primi anni dell’Ottocento e la prima metà del Novecento e presenti nel “Fondo Antiquario di Letteratura giovanile Indire”. La presente catalogazione del fondo antiquario di letteratura giovanile si colloca nell’ottica, ormai avviata da anni, di una riqualificazione e di una costante valorizzazione del patrimonio bibliografico e documentario dell’Istituto di Firenze. Tale fondo offre una ricca e preziosa testimonianza, unica quasi nel panorama italiano, della nascita dell’evolversi della letteratura per ragazzi e dell’editoria specializzata nel settore, in modo particolare quella rivolta alle letture ”Per la scuola, la famiglia e il popolo”.

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Adriano Olivetti – A Ivrea il personal computer prima di Steve Jobs

 

Adriano Olivetti

 

«Il sogno di Olivetti è fare di Ivrea la capitale della cultura industriale italiana. Un progetto in cui far confluire cristianità e umanesimo, le scienze sociali e l’arte, la tecnologia e la bellezza». Scrive così Aldo Cazzullo nell’articolo del Corriere della Sera che presentiamo nel FLIP di oggi per commentare la notizia che «Ivrea, la città ideale della rivoluzione industriale del Novecento, è il 54esimo sito Unesco italiano. Un riconoscimento che va a una concezione umanistica del lavoro propria di Adriano Olivetti». Questa volta a parlare è il Ministro dei beni e delle attività culturali, Alberto Bonisoli, che ha annunciato l’iscrizione di “Ivrea Città Industriale del XX Secolo” nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. La decisione è stata presa a a Manama in Bahrei durante i lavori del 42° Comitato del Patrimonio Mondiale, iniziati il 24 giugno e che termineranno il 4 luglio. Sin da ora Ivrea porta l’Italia in testa alla lista mondiale dei siti Unesco, organismo culturale dell’Onu: 54 sono quelli che rappresentano il nostro Paese, 52 quelli appartenenti alla Cina, 47 alla Spagna. Perché Ivrea? Con la fondazione della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere fondata nel 1908 da Camillo Olivetti, la città di Ivrea diviene un vero e proprio progetto industriale, sociale e culturale del XX secolo. Si sperimentano innovative idee sociali e architettoniche connesse a visionari processi industriali niente affatto scissi dal benessere della comunità locale. Questo spirito innovativo è colto nella sua essenza dalla scheda ufficiale che possiamo leggere per intero sulle pagine ufficiali dell’Unesco: «Il sito, che si trova in Piemonte e si estende per circa 72.000 ettari, è costituito da un insieme urbano e architettonico, di proprietà quasi esclusivamente privata, caratterizzato da 27 beni tra edifici e complessi architettonici, progettati dai più famosi architetti e urbanisti italiani del Novecento. Si tratta di edifici costruiti tra il 1930 ed il 1960 e destinati alla produzione, a servizi sociali e a scopi residenziali per i dipendenti dell’industria Olivetti. L’insieme rappresenta l’espressione materiale, straordinariamente efficace, di una visione moderna dei rapporti produttivi e si propone come un modello di città industriale che risponde al rapido evolversi dei processi di industrializzazione nei primi anni del ‘900».

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ADRIANO OLIVETTI (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27 febbraio 1960) è stato un imprenditore, ingegnere e politico italiano, figlio di Camillo Olivetti (fondatore della Ing C. Olivetti & C, la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere) e Luisa Revel e fratello degli industriali Massimo Olivetti e Dino Olivetti. Uomo di grande e singolare rilievo nella storia italiana del secondo dopoguerra, si distinse per i suoi innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a beneficio della comunità. Per tutelare e promuovere la figura di Adriano Olivetti e il suo pensiero gli eredi hanno costituito nel 1962 la Fondazione Adriano Olivetti con sede a Roma e a Ivrea. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Ivrea patrimonio Unesco, tecnologia e umanesimo nella città ideale di Olivetti

Gusti e formati iniziali della pasta fresca

 

Lasagne con formaggio grattugiato sopra (e varie spezie), sono tra i primi piatti di pasta consumati nel primo medioevo. Una lavorazione, quindi, semplicissima, dove è la pasta ad essere l’ingrediente principale. È in pratica una sfoglia sottile, ritagliata in quadrotti regolari. Le lasagne, in un’altra ricetta, erano cotte nel brodo di cappone e poi servite con grasso dello stesso cappone e formaggio. Questi riquadri, in alternativa erano presentati in strati sovrapposti, con un ripieno di noci. Nell’impasto potevano essere aggiunte chiare d’uovo o acqua di rose. Già nell’antichità la pasta si lavorava o meno colorata con zafferano. L’usanza durò fino al XVII secolo. Questa tecnica, in seguito, verrà riscoperta nell’età industriale.
In Italia la tendenza, già in epoca antica, fu quella di creare sempre nuovi formati. Così verranno realizzati I croseti, simili alle orecchiette pugliesi, o le formentine, somiglianti alle tagliatelle, citate nel 1337 e un secolo dopo dal cuoco Martino. Venivano consumate a Reggio Emilia. Le formentine erano dette, anche, pancardelle dai mantovani, forse simili alle attuali pappardelle. Queste rientrano nel menù di Domenico Romoli, cuoco professionista, impiegato al “servizio di bocca” nelle corti cardinalizie di Roma. Tra le sue ricette erano presenti le pappardelle alla lepre di Grosseto e di Arezzo, o pappardelle alla romana.

Strozzapreti

Alla fine del XV secolo, si trovano i longeti avantazadi, mentre, nel secolo seguente, appaiono i famosi strozzapreti, divenuti poi tradizionali a Napoli. Il cuoco Scappi cucina diversi piatti con formati vari, ma realizzati questa volta con semola di grano duro. Le sue ricette, ma in genere nel corso dell’intero secolo, tendono al dolce, come gusto predominante nella cucina dell’epoca. All’impasto viene, infatti, aggiunta una grande quantità di zucchero. Negli stessi impasti prende piede di inserire numerose uova.
Il cuoco Antonio Latini (nel XVII secolo) confeziona tagliolini con due uova intere più 2 tuorli. L’abbondanza di uova regna in una ricetta di Francesco Chapusot. Realizza, infatti, delle tagliatelle con ben otto tuorli in una libbra di farina, a cui viene aggiunto formaggio grattugiato (un’oncia) e burro fresco (mezza oncia). Una specie di tagliarini alla piemontese. Successivamente, nel XVII secolo, nell’impasto viene pure aggiunto del latte.
Nel 1610, Vittorio Lancellotti, cuoco professionista, presenta, in un banchetto, delle sfoglie di pasta ottenute con farina, latte, burro, rossi d’uova e pinoli. Le lasagne venivano, quindi, cotte e servite con una spolverata di parmigiano grattugiato. La stessa lavorazione è realizzata da Giovanni del Turco, musicista e quindi cuoco amatoriale, con un impasto di farina, latte e acqua tiepida. Esegue una ricetta di maccheroni alla veneziana, dalla forma dissimile da lunghi nastri o quadrati di pasta, di cui abbiamo parlato. Il piatto era portato in tavola, con un condimento composto da burro fresco, parmigiano grattugiato, con in più un tocco di cannella.

Dipinti cubisti – Non assomigliavano a niente, ma con la guerra assomigliarono a tutto

 

Alighiero Boetti, Mimetico, 1966 mimetic fabric cm 170 X 270.

 

Tutti noi abbiamo sotto gli occhi le scene filmiche di schiere di fucilieri che si muovono sui campi di battaglia compatti ed allineati, quasi in parata. Attendiamo solo che i colpi dei mortai portino scompiglio nella compagine e, subito dopo, ecco l’assalto della cavalleria. Gli eserciti dell’una o dell’altra parte hanno divise dai colori sgargianti, ben distinguibili dal terreno verdeggiante delle colline. Armi lucenti al sole, copricapi audaci in quanto ad evidenza: pelo d’orso, piume d’aquila o di gallo cedrone, crini di cavallo. A differenza degli eserciti popolari raccogliticci e disomogenei, l’uniforme (lo dice la parola stessa) serve ad impressionare il nemico, serve a manifestare potenza bellica, ordine e disciplina tipica di chi è stato addestrato a scontrarsi, chi nel corpo a corpo non risparmierà di assestate colpi cruenti. L’uniforme moderna nasce nel secolo diciassettesimo, sotto la spinta necessaria di rendere immediatamente riconoscibili i nemici (pericolosi se avvistati all’ultimo minuto) dagli amici, e fra questi ultimi distinguere gli appartenenti al proprio corpo di truppa, dai quali nella mischia del combattimento all’arma bianca ci si potrebbe ritrovare isolati. Occorre sicuramente riconoscere i superiori, investiti dei vari gradi militari, da cui si attendono gli ordini opportuni che possono rendere salva la vita. Tutto questo nella confusione del combattimento e nella nebbia prodotta dalle schioppettate dei fucili. È un modo di pensare che arriverà fino alla prima guerra mondiale.

Le belle divise colorate attraggono le folle esultanti durante le sfilate, richiamano le nuove reclute all’arruolamento, e quando si avvicina la paura della battaglia riducono i tentativi di diserzione, poiché i renitenti si distinguono ad occhio nudo tra la gente. Ma la guerra di trincea cambia tutto e sotto i colpi di cannone della linea nemica occorre mascherarsi piuttosto che evidenziarsi. Le divise assomigliano sempre più alla terra fangosa e al verde umido della boscaglia. Ma non basta ancora, perché per sfuggire ai cecchini abituati a percepire il minimo sussulto necessita mimetizzarsi con l’ambiente circostante, camuffarsi nella natura, assumere il colore macchiato dei fogliami con le tonalità del paesaggio nel quale si combatte. Ecco dunque che l’uniforme “si uniforma” alle differenti gradazioni di nero, verde, kaki, marrone. Meglio se tutto questi colori si mischiano insieme, così alla tinta unita si preferiscono le chiazze della mimetica. Perché ora il rischio non proviene soltanto dal fuoco d’artiglieria nelle retrovie della trincea avversaria o dai colpi a ripetizione della mitragliatrice dal bunker posto su di una collinetta. Ora la morte, per la prima volta, viene anche dal cielo e le probabilità di essere colpiti da un biplano non sono remote.

La storia racconta che sono stati i francesi a svolgere il ruolo delle “avanguardie del camuffamento” militare durante la Grande Guerra e che si sono avvalsi degli impasti coloristici delle “avanguardie artistiche”. Nel 1915 personalità delle arti figurative sono, infatti, chiamate a fare parte della sezione speciale dei “camoufleurs”, sotto il comando di Lucien-Victor Guirand de Scevola. L’artigliere di seconda classe Lucien-Victor Guirand de Scévola aveva visto ridotte in polvere fior di postazioni a Metz. Così dal momento che da civile era uno dei pittori noti per avere esposto al “Salon des artistes français”, pensa di camuffare una postazione di cannone con una tela dipinta. In guerra i tempi sono strettissimi: Il 12 febbraio 1915 il generale Joffre fonda la “Section de Camouflage” di stanza ad Amiens. A maggio si piantano “alberi”, con periscopi all’interno, camuffati con vere cortecce, per l’osservazione dei movimenti di trincea durante la Battaglia di Artois. Alla fine dell’anno De Scévola riceve i gradi di comandante del Corpo di Camuffamento e comincia ad arruolare artisti, tanto che nel corso del 1917 la Francia ne assomma più di 3mila. Qualche nome? Jacques Villon, André Dunoyer de Segonzac, Charles Camoin e Charles Dufresne. Spennellano tutto quello che possono: veicoli e strutture. La tecnica si diffonde anche a navi e aerei. Il cubista André Mare è mandato a collaborare su vari fronti (anche quelli alleati inglesi e italiani), tanto da essere ferito da uno shrapnel in Piccardia, mentre monta uno dei suoi pali di osservazione considerati «invisibili».

Nella sua Autobiography of Alice B. Toklas, Gertrude Stein scrive che quando Picasso, dopo avere dato una soluzione per nascondere le ariglierie riconoscibili nelle perlustrazioni aeree, vede per la  prima  volta un cannone in camouflage mimetico, esclama: «C’est nous qui avons fait ça!», siamo stati noi a fare questo! E intendeva “noi cubisti”. Commentava il capitano-pittore De Scévola: «Allo scopo di deformare totalmente l’aspetto di un oggetto io dovevo utilizzare i mezzi che i cubisti invece usavano per rappresentarlo» e sottolineava quasi cinquant’anni dopo il critico d’arte Jean Paulhan, direttore della “Nouvelle Revue Française”: «Quei dipinti accusati di non assomigliare a niente, nel momento del pericolo furono i soli a essere capaci di assomigliare a tutto».

LEGGI ANCHE IL PDF SUL WEBSITE PIANO B – ARTI E CULTURE VISIVE: Il camouflage mimetico e il problema della rappresentazione pittorica

 

IL CUBISMO è un’espressione con la quale si è soliti rappresentare una corrente artistica e culturale ben riconoscibile, distinta e fondante rispetto a molte altre correnti e movimenti che si sarebbero successivamente sviluppate. Tuttavia, il cubismo non è un movimento capeggiato da un fondatore e non ha una direzione unitaria. Il termine “cubismo” è occasionale: nel 1908 Henri Matisse osservando alcune opere di Braque, composte da “piccoli cubi” le giudicò negativamente, e Louis Vauxcelles l’anno dopo le chiamò “bizzarrie cubiste”. Da allora le opere di Picasso, Braque e altri pittori vennero denominate cubiste. Si può tuttavia individuare in Paul Cézanne, un pittore che nelle sue solitarie sperimentazioni è stato in grado di prefigurare quelli che saranno lo stile, la visione e le tematiche cubiste. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL CAMUFFAMENTO MILITARE si riferisce a qualsiasi metodo utilizzato per rendere meno rilevabili le forze militari alle forze nemiche. In pratica, è l’applicazione di colori e materiali utili a nascondere all’osservazione visiva (criptismo) o a far sembrare qualcos’altro (mimetismo) uniformi, mezzi e attrezzature militari. Il camuffamento militare venne utilizzato per la prima volta nei primi anni del 1800 dalle unità di cacciatori e fucilieri, che indossavano uniformi verdi o grigiastre per nascondersi al nemico. Prima di allora, gli eserciti tendevano a portare colori vivaci e audaci, per impressionare l’unità nemica, ma anche per agevolare l’identificazione delle unità militari nella nebbia prodotta dalla polvere da sparo dei fucili, per attrarre le nuove reclute, e per ridurre la diserzione. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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AVVENIRE

Il camouflage, l’arte della guerra secondo i cubisti

“Incontro Mediterraneo”: giusti partner mediatici per programmi d’integrazione

 

Da diversi anni, Incontro Mediterraneo è una delle più complete riviste (in italiano e in inglese) nel Mediterraneo, coprendo una vasta gamma di contenuti (cooperazione, formazione, economia, turismo, cultura, salute). Insieme a Watermark Egypt Agency, siamo i partner mediatici di diversi programmi educativi, medici, ambientali e del patrimonio, con ONG, ambasciate, istituti culturali stranieri, enti governativi (Cooperazione, Ministeri della Salute e Ministeri della Cultura), istituti di ricerca (università) e organizzazioni caritative. Il grande spazio nella rivista è dedicato alla cultura e al turismo.

Since several years, Incontro Mediterraneo is one of the most complete magazines (in Italian and in English) in the Mediterranean, covering a wide range of contents (cooperation, training, business, tourism, culture, health). Together with Watermark Egypt Agency, we are the media partners of several educational, medical, environmental and heritage programs, with NGOs, embassies, foreign cultural institutes, governmental bodies (Cooperation, Ministries of Health and Ministries of Culture), research institutions (universities) and charitable organizations. Large space in the magazine is devoted to culture and tourism.

 

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Lina Beard e Adelia B. Beard – Cosa vale la pena di fare e come fare

 

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Che cosa valeva fare e come potere realizzare ciò che stuzzicava la curiosità di una ragazzina di inizio Novecento? La risposta la troviamo in questo bel libro, perché la domanda l’abbiamo rivolta indirettamente a Lina Beard e Adelia B. Beard, che ne sono le autrici. È un modo per saltare a pie’ pari nel tempo e calarci in una realtà che non ci appartiene più, nel quotidiano, ma che può essere utile per dare idee di gusto “rétrospectif” (retrospettivo). «Ci sono allegri giochi e giochi attivi – rispondono le autrici – che stimolano la salute e rinnovano la vitalità del corpo e ci sono decine di cose affascinanti per le mani volenterose da fare che non valgono solo la realizzazione, ma che portano abilità alle dita, ampiezza ed energia al corpo mente. Sono tante cose meritevoli di fare, ed è nostra speranza che anche le nostre amiche vedano il loro valore e trovino in esse l’ispirazione per ulteriori esperimenti sul passatempo e sul divertimento».

PUOI SCARICARE IL LIBRO DAL WEBSITE DEL PROGETTO GUTEMBERG: Things Worth Doing and How To Do Them, by Lina Beard and Adelina B. Beard

 

STILE RÉTRO. Il rétro (abbreviazione del francese rétrospectif, “retrospettivo”) è uno stile artistico-culturale che tende a dar rilievo a ciò che richiama le mode passate ed incentiva all’utilizzo di tutto ciò che attualmente è definito “d’epoca”. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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NEW YORK CHARLES SCRIBNER'S SONS - 1906

Things Worth Doing and How To Do Them

Peter Kolosimo – Negli anni Settanta fu il precursore della paleoufologia

 

Peter Kolosimo, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo (Modena, 15 dicembre 1922 – Milano, 23 marzo 1984) è stato uno scrittore e giornalista italiano. Le sue opere sono state diffuse o tradotte in 60 paesi ed è stato uno degli scrittori italiani più popolari negli anni Settanta. Noto divulgatore, è considerato, assieme al francese Robert Charroux e al britannico W. Raymond Drake e prima di Erich von Däniken, un pioniere dell’archeologia misteriosa (anche nota come fanta-archeologia o pseudoarcheologia), un controverso filone che si propone di studiare le origini delle antiche civiltà utilizzando teorie e metodi spesso non accettati dalla comunità scientifica, e in particolare della teoria degli antichi astronauti (o “paleoufologia”), che ipotizza il contatto di civiltà extraterrestri con le antiche civiltà umane.

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