Francesco de Notaris: La Questione meridionale è questione nazionale

 

In queste pagine presentiamo alcuni degli interventi al Convegno del 7 settembre 2018 presso la Stazione Marittima del porto di Napoli in occasione della presentazione del libro “Per la Macroregione de Mediterraneo occidentale” dei professori Renato D’Amico e Andrea Piraino (Franco Angeli, editore). L’appuntamento è stato organizzato da Paolo Pantani, presidente emerito di Acli Beni Culturali, Stanislao Napolano, presidente dell’Associazione Carlo Filangieri, Giordano Editore e quotidiano online Il Denaro.it.

 

>>> Intervento di Francesco de Notaris

Quella che fino ad oggi abbiamo chiamato ‘questione meridionale’ è questione nazionale, questione europea.
Se non la si risolve non si governa l’Italia intera e si resta prigionieri in una visione di parte.
Il  non aver affrontato la questione ha contribuito a determinare  una ricaduta su tutto il territorio nazionale in termini di sviluppo, a causa della cosi detta fuga dei giovani in cerca di lavoro, che rappresenta una nuova emigrazione differente dalle precedenti, e  per la diffusione della illegalità, del riciclaggio, degli investimenti distorti anche all’estero,  con visibili processi involutivi.
Questo breve scritto non ha alcuna pretesa, tranne quella di ricordare come sia centrale tale questione e come essa sia evidente fin dal tempo dell’unità d’Italia.
Aggiungo che , pur in presenza della visibile consapevolezza delle difficoltà in cui versa il Mezzogiorno, anche a fronte della pubblicazione di studi, saggi e documenti parlamentari nulla o poco accade sul piano concreto e un buco nero provvede ad…archiviare impegni e proposte.
I contributi scientifici, economici, culturali e propositivi che sono numerosi e sui quali è ampia la letteratura sono ben noti e ormai tutti gli Italiani hanno conoscenze per cui sperimentano anche nella quotidianità  le condizioni dello sviluppo dell’intero territorio nazionale.
I dati, le statistiche dell’occupazione, disoccupazione, Pil, etc. sono recepibili dovunque e pubblicati e commentati. L’uomo della strada, pur non avendo conoscenze accademiche, non ha bisogno di leggere documenti e saggi; verifica come sia faticoso vivere nel Mezzogiorno d’Italia, anche per l’insufficienza dei servizi ed il ridimensionamento delle provvidenze proprie dello stato sociale.
Nel nostro meridione una persona su tre è in condizioni di povertà.
Vorrei contribuire con queste note a far comprendere come, da politici, non si possa immaginare di disinteressarsi del Mezzogiorno d’Italia e come siano improprie le valutazioni sbrigative e superficiali che in questi ultimi anni  sono state proposte a proposito della  questione meridionale che è stata ignorata.
E’ di tutta evidenza che mentre si trascurava la questione meridionale e mentre addirittura al Governo c’era chi irrideva agli uomini del Mezzogiorno immaginando  per territori del nord improbabili e antistoriche secessioni tutto il Paese accusava un declino che ha incrociato poi la grande crisi nella quale siamo immersi e dalla quale occorre uscire insieme agli altri Paesi europei.
La debolezza strutturale nella quale vivono  numerose aree del Paese ha reso e rende più faticoso il percorso da intraprendere per battere la crisi.
Accade ciò che si sperimenta in un corpo malato se colpito da ulteriore malanno!
Se un politico, un amministratore, un uomo della classe dirigente non opera valutando la realtà nella quale è immerso e della quale è comunque espressione e si lascia condizionare da convinzioni infondate la sua opera sarà improduttiva o addirittura dannosa.
Ritengo che ciò sia accaduto in questi anni a proposito dell’approccio insufficiente alla questione del governo dell’intero Paese.

Carenza di visione di insieme

Interventi negati, interventi inadeguati, sprechi, classe dirigente meridionale incapace ed anche in parte corrotta,  e classe di governo priva, anche per scelta, di visione di insieme  e poi clientelismo e criminalità ed ancora  disinteresse , abbandono, cattivo uso, distrazione delle risorse, fuga delle migliori energie hanno determinato un disastro che è disastro italiano che appare tale in Europa.
Risulta più che evidente che il fenomeno del complessivo degrado del mezzogiorno attiene alla carenza   2 del senso dello Stato, all’affievolirsi dell’ ethos civile , che si diffonde in tutto il Paese e la ricerca dei privilegi riduce lo spazio dei diritti.
Dico che le sempre annunciate riforme istituzionali non potranno  da sole modificare e rendere migliori i cittadini e il Paese. Esiste un’emergenza etica e morale personale e sociale  insieme a quella democratica dalle quali bisogna uscire affrontandole insieme. La storia di questi giorni , alla vigilia di importanti elezioni politiche, insegna.

Nasce la questione meridionale

La cosi detta questione meridionale nasce e si sviluppa come un particolare aspetto dell’evoluzione borghese e capitalistica del nostro Paese. Dobbiamo pensare che essa inizia già nel 1734 quando Carlo III di Borbone diviene Re nel territorio delle Due Sicilie.
Il Sud, prima dell’unità, ha progredito come il Nord e il Centro sulla base di meccanismi di mercato e dei rapporti di proprietà borghese. Il Sud ha partecipato al rinnovamento del nostro Paese con il movimento illuministico e riformatore nel Settecento poi al tempo della rivoluzione francese, al tempo di Napoleone fino ai moti liberali del nostro Risorgimento.
Non desidero dilungarmi.
Ricordiamo tutti che l’unificazione, che in sé è un bene, rese difficile la situazione economica del Mezzogiorno per la politica fondiaria, del credito e per ciò che avvenne nell’industria.
Non tutti sanno  che una sorta di sanzione ufficiale della questione meridionale avvenne nel 1875  da parte di un fiorentino, di Pasquale Villari che pubblicava su “L’opinione” di Firenze. Nelle sue “Lettere meridionali” scritte da Napoli riconobbe che il tema del Meridione era tra i più rilevanti da considerare.
La questione divenne talmente centrale che Giustino Fortunato nel 1880 parlò di “Due Italie”. Si fece eco, in certo modo,  di quanto affermò Mazzini con lucidità: “L’Italia sarà ciò che il Mezzogiorno sarà”.
Avemmo quindi la prima grande emigrazione tra il 1895 e il 1914: migrazione epocale. Immaginate che quasi tre milioni di italiani abbandonarono il Paese in cerca di fortuna.  La popolazione delle Isole e del Sud ammontava a 12 milioni di cittadini. Un quarto di costoro emigrò. Evidenti  le conseguenze.
Intanto nel 1900 il Presidente del Consiglio Saracco aveva firmato il decreto per la commissione di inchiesta sulla camorra amministrativa a Napoli, che, a 39 anni dall’unità d’Italia , era stata commissariata nove volte.L’inchiesta Saredo evidenziò l’altissimo livello di corruzione al Comune di Napoli e si parlò di alta camorra, come se noi dicessimo oggi di camorra dell’alta borghesia.
Il  Presidente del Consiglio Zanardelli, nel 1902, visitò la Basilicata e si rese conto della questione che divenne questione nazionale.  Dal giorno dell’unità d’Italia Zanardelli fu il primo Presidente del Consiglio che visitò una Regione del Sud.
Non sfugge a politici ed amministratori come questo avvenimento fosse anomalo.
E l’invito al trasformismo da parte di Depretis segnò la cultura meridionale fin dal 1882 e continuò con Crispi e con Giolitti che ebbe nella maggioranza di Governo la deputazione parlamentare meridionale conservatrice. Oggi il trasformismo è chiamato consociativismo.
Fu Nitti che individuò il problema meridionale come un’articolazione di un unico problema nazionale e Salvemini analizzò i rapporti di forza che erano nella società meridionale.
L’intreccio di potere che governava l’Italia e che , a parere mio, persiste, in forma più scientifica e pervasiva fu descritto da Salvemini in questo modo: “I moderati del Nord hanno bisogno dei camorristi del Sud per opprimere i Partiti democratici del Nord. I camorristi del Sud hanno bisogno dei moderati del Nord per opprimere le plebi del Sud”. Forse, con un gioco di parole, eliminando le due parole nord e sud la frase potrebbe essere letta in maniera più aderente alla realtà del nostro tempo.
Salvemini fu isolato e nel 1911 uscì dal Partito socialista.
La questione meridionale era irrisolta prima della grande guerra che aggravò le condizioni dei meridionali.
Su 600.000 morti i meridionali furono oltre mezzo milione. I dati sono ufficiali.
Si comprende che cosa abbia significato questo dato per la ricaduta sulle condizioni delle famiglie, per la forza lavoro, per lo sviluppo negato. E non stiamo parlando di eventi accaduti dei quali abbiamo perso la memoria. Parliamo dei nonni, di qualche bisnonno, dei Cavalieri di Vittorio Veneto che tutti abbiamo conosciuto e visto nelle piazze e nelle strade del nostro Paese ed in particolare nel Sud d’Italia.

Le grandi migrazioni prima e dopo le guerre hanno avuto ricadute sulle famiglie e le donne sono state coloro che maggiormente hanno sofferto e che poi hanno contribuito alla stessa complessiva  periodica ricostruzione ed hanno dato un grande contributo anche nell’Assemblea Costituente.
Della questione si sono interessati in tempi più recenti Sturzo, Dorso, Gramsci da molti concittadini viventi conosciuti, le cui voci rimasero inascoltate.

La carenza delle classi dirigenti

Coloro che hanno avuto ed hanno a cuore il Mezzogiorno ed il Paese intero riconoscono che l’unità d’Italia è stata un bene per il Sud che è entrato in Europa e che era necessario lo sviluppo del Sud per superare dualismo e divario in funzione della stessa unità conquistata.
Bisognava creare una politica tesa al miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi ed il Sud, come tutto il Paese, aveva bisogno di una classe dirigente di alto livello che fosse al vertice delle istituzioni pubbliche da amministrare e governare in modo rigoroso, virtuoso all’interno di una visione unitaria, che doveva essere patrimonio dell’intero Paese.
Il venir meno della borghesia meridionale al ruolo innovativo sperabile, anzi la tentazione talvolta accolta di attingere da fondi dello Stato la ha resa parassitaria, come in gran parte lo è stata, a parere mio, l’imprenditoria che ha anche svolto compiti di mediazione con imprese prosperanti nella illegalità.
Sappiamo come stanno le cose.
Uno dei grandi meridionalisti e quindi un grande italiano come Manlio Rossi Doria, convinto che la questione meridionale fosse questione europea ebbe a dire: “Uno sviluppo economico del Mezzogiorno degno di questo nome non ci sarà se non quando tutti gli italiani, vorrei dire gli europei e non solo i meridionali, si renderanno conto che il problema centrale sta nell’impegnarsi nella battaglia per il risanamento civile e morale prima che economico del Mezzogiorno”.
Tale consapevolezza non è stata e non è patrimonio comune. Il fascismo in anni trascorsi aveva lasciato l’Italia in condizioni disastrose. Avemmo bisogno di ricostruzione dalle macerie della guerra ed il Sud, nonostante interventi mirati, ed anche a causa di una classe dirigente inadeguata, presente anche al Governo, acuì il ‘divario’.
Eppure la questione meridionale fu riproposta all’indomani della Liberazione. Tra il 1946 e il 1950 prese avvio una politica speciale per il Sud. Ricordiamo tutti, ognuno per il suo ruolo, uomini come Saraceno, Alicata, Romeo, Compagna e De Gasperi, Vanoni, La Malfa, De Martino, Pastore e tanti altri. Purtroppo la politica economica venne subordinata ad interessi di forti gruppi economici e i flussi del denaro pubblico furono gestiti da costruttori, speculatori edilizi e burocrati, come accadde anche in occasione del terremoto. Proprio qui a Napoli l’avv.Gerardo Marotta ha parlato di un blocco sociale che all’epoca si creò, anche attraverso l’istituto della concessione e portò all’insabbiamento della politica dell’intervento straordinario che pur produsse realizzazioni, ma insufficienti e a macchia di leopardo e che fu, quindi,  mal governato.
Ricordiamo Augusto Graziani che ha denunciato la nascita di una pletora di intermediari che gonfiava i costi degli interventi e non permise il raggiungimento degli obiettivi di promozione economica e sociale del  Mezzogiorno.Tutti ricordiamo come il Censis negli anni ’80 parlò di regioni tartarughe come la Campania, la Sicilia, la Calabria e la Sardegna  e di altre canguro come l’Abruzzo, il Molise, la Puglia e la Basilicata.
Ancora oggi lo sviluppo del Mezzogiorno è diversificato al suo interno ed al suo interno le condizioni di vita civile ha ancora i caratteri, come affermò Gramsci, di una grande disgregazione sociale.

Da questione nazionale alla politica dello steccato

Gli stessi Vescovi del Sud e poi tutti i Vescovi italiani  parlarono fin dal 1948 e poi nel 1989 e nel 2010  di un Mezzogiorno dallo sviluppo distorto nel quale convivono molti Mezzogiorni mentre invitavano a pensare al Sud come questione nazionale per cui occorreva un programma economico teso ad unificare l’intero Paese.
In anni recenti, di fronte ad un mondo che abbatte steccati, in Italia una rozza e superficiale politica ha operato per costruire cortili in cui rinchiudersi ed ha imprigionato creatività ed iniziative ed ha gridato contro la storia ed ha negato il futuro ed ha costretto gli italiani a sentire in modo forte una crisi mondiale. E chi ha lo sguardo corto non può governare una realtà che esige orizzonti e spazi e nessun confine.
Proprio nel 1994, anno in cui la Lega andò al Governo, la  Svimez indicava nel Mezzogiorno la nuova frontiera della così detta seconda Repubblica, che noi ben sappiamo non è mai esistita, come la stessa Padania, termine di moda, indicante un’immaginaria omogenea area territoriale.
La realtà impone  che  nel Sud vi sia una imprenditoria responsabile, che investa capitali e regga sul mercato, finanziamenti con tassi favorevoli ed una formazione e qualificazione e riqualificazione professionale per imprese da innovare.
Sappiamo che nessuna area territoriale può svilupparsi da sola e quindi va aiutata a svilupparsi facendo maturare e crescere l’innovazione e dove essa si manifesta.
Oggi resta il divario tra Sud e Nord e, come sappiamo. La forbice si allarga. Vogliamo andare alla ricerca delle responsabilità?
Ben le conosciamo e sono diffuse e permangono.
Il Governo di un Paese ha la responsabilità di governare l’intero Paese, per cui è doveroso chiedere che esso operi in funzione e per il bene di tutta l’Italia.

Liberarsi dalla criminalità

Ritengo che è opera prioritaria liberare le nostre Regioni dalla malavita organizzata, qualsiasi denominazione abbia. La “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali anche straniere”  il 9 Febbraio 2011 approvava la” relazione sui costi economici della criminalità organizzata nelle Regioni dell’Italia meridionale” e riporto alcuni passaggi:
“L’analisi delle relazioni tra impresa, sviluppo economico e territorio, assume infatti un rilievo centrale soprattutto per impostare coerenti ed efficaci politiche di sviluppo e di sostegno in particolare delle piccole e medie imprese. Occorre anche riflettere sulla regolazione sociale deficitaria, individuata quale uno dei problemi storici del Meridione….Parallelamente occorre ricordare che nel Mezzogiorno il problema della disoccupazione ha le radici profonde e più che in altre aree del Paese, e che fin quando il tasso di disoccupazione delle aree più deboli del Paese continuerà ad essere così elevato, sarà sempre un problema contenere lo sviluppo delle organizzazioni criminali. Si deve allora ricorrere ad una utilizzazione proficua dei fondi strutturali per obiettivi infrastrutturali e di riequilibrio territoriale, soprattutto nel Mezzogiorno, con particolare attenzione alle reti viarie ed agli assi ferroviari di riconnessione del Mezzogiorno alle  5   direttrici nord-sud, est-ovest…..E’ necessario in particolare che nelle aree urbane, in molti quartieri dove il radicamento delle mafie è fortissimo, nelle città della Calabria, a Palermo, a Napoli, a Catania, a Bari si intervenga con massicci investimenti virtuosi proprio sul piano sociale ed urbanistico. Si auspica un impegno in tal senso, perché ne deriverebbero effetti enormemente positivi per l’occupazione e l’intera filiera produttiva edilizia che oggi versa in condizioni critiche. Ne avrebbero giovamento anche il commercio, lo sviluppo del turismo e la tutela del territorio, posto che ogni centro storico restaurato sarebbe un centro di attrazione turistica.. Le infrastrutture sono la via che consente alle aree meno dotate del Paese, in un certo momento storico, di potersi riequilibrare e, quindi, di arrivare a uguali condizioni di vita per imprese e persone che operano nelle diverse aree del Paese….Si ritiene dunque necessario rivolgere una particolare attenzione al problema delle infrastrutture nel Mezzogiorno, non solo per favorire il riequilibrio economico delle regioni del Sud, ma anche al fine di valorizzare gli ambiti socio culturali, quali le istituzioni scolastiche, la ricerca, l’università come importante strumento di contrasto alla presenza diffusa della criminalità organizzata per i riflessi negativi che comporta sul tessuto sociale di quelle regioni. Occorre tuttavia assicurare anche la presenza di una classe dirigente che sappia coniugare legalità e sviluppo, che devono procedere insieme perché senza le due dimensioni non si avrà mai una capacità di impatto contro le mafie in grado di sradicarle e non ci si limiterà semplicemente a contenere le manifestazioni violente, quando queste eccedono in un dato momento storico o in un dato territorio. La presenza delle mafie è infatti talmente strutturale da organizzarsi in forma di coabitazione con la società. L’economia, le istituzioni e la politica, al punto tale che oggi rappresenta il nodo principale da rimuovere per liberare le straordinarie potenzialità economiche del Paese, farlo diventare grande e metterlo nelle condizioni di competere in Europa e nella globalizzazione al meglio delle sue possibilità”.
La “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali anche straniere”  il 22 Gennaio 2013 ha approvato la ‘relazione conclusiva’.La relazione è tutta da leggere e approfondire. Interessante rilevare come sia stata valutata la capacità imprenditoriale delle mafie. Il volume del riciclaggio sarebbe il 12 per cento del PIL e cioè 160 miliardi di euro. Ancora si presume che il fatturato criminale sia di 136 miliardi di euro ed un utile di 104 miliardi di euro.  Il IV Comitato che ha predisposto la relazione sui costi economici della criminalità organizzata nelle Regioni dell’Italia meridionale, in conclusione, stranamente a parere mio,  ritiene di “ non poter serenamente attribuire agli studi prodotti in materia di fatturato delle mafie, ovvero di entità del riciclaggio la capacità di fornire indicazioni utili all’attività legislativa, giudiziaria ed investigativa”.
Stupefacente l’affermazione, riportata in relazione, da parte del dr.Busà Presidente dell’Associazione SoS Impresa il quale ha riportato quanto affermato da imprenditori che hanno affermato che …”prima si pagava il pizzo, adesso gli appalti li ottengono solo le imprese che fanno riferimento alle organizzazioni criminali, precisando che il pizzo si sta trasformando quasi nell’iscrizione ad una associazione. “Chi paga entra nel mercato, in un’economia protetta e, poi, può chiedere al mafioso un favore, può partecipare agli appalti che loro vincono. Può ottenere una determinata fornitura, può avere agevolazioni. Chi si oppone non lavora più…”

E’ stato sottolineato che non esiste settore dell’economia che non sia contaminato dalla presenza criminale e che la nostra economia è ormai impregnata ed infetta.

Ovvie priorità

La SVIMEZ nel Documento 675.1 dell’archivio della Commissione  crede che per contrastare la situazione criminale bisogna mettere in piedi azioni compensative di due tipi. Occorre sostenere i redditi evitando tagli indiscriminati alle prestazioni sociali (pensiamo alla ricaduta sui Comuni, alle difficoltà per una ordinata  gestione, ai sacrifici indotti per i tagli al cosi detto stato sociale, all’aumento delle tasse comunali in 6 conseguenza dei tagli lineari messi in atto dai Governi Berlusconi e Monti)  ed attuare politiche di rigore selettive ripristinando la responsabilità dell’operatore pubblico non come pura entità di spesa bensì come capacità di definire e delineare una strategia…una strategia nazionale…(pensiamo alle conseguenze di una programmazione assente nelle scelte progettuali, al peso della corruzione, alla mancanza di controlli per la spesa e allo spreco delle risorse pubbliche, etc.etc.)
Sembrano a me tali relazioni bei temi scritti, spesso, dagli stessi che appartengono a partiti o movimenti che assumono poi comportamenti che appaiono distanti dai convincimenti espressi in tali condivisibili componimenti.
Abbiamo visto che per ottenere i risultati sperati occorrono la scuola, la cultura, il lavoro, l’aggiornamento per tutti e sviluppare le risorse e le professionalità esistenti.
Ed assistiamo alla moltiplicazioni delle Università ed alla caduta delle iscrizioni a causa dei costi non più sopportabili da famiglie con scarso reddito o prive di reddito certo.
Non è il caso di richiamare le priorità necessarie, ma  il mettere in sicurezza il nostro territorio, intervenire sul patrimonio edilizio, agricoltura, imprese minori, patrimonio artistico, centri storici, turismo, trasporti sono soltanto titoli per interventi strutturali.
Abbiamo una rete commerciale arretrata e carenza di spazi per la fruizione della cultura. Esigere piani per l’ambiente, per l’approvvigionamento idrico, e poi investimenti per la ricerca, l’università, la conservazione e difesa del suolo, per le attrezzature, per la prevenzione sismica, per la riconversione di morenti industrie militari non è una richiesta esagerata o irresponsabilmente esigente.
Se non sbaglio ancora sovrapprezzi termici  penalizzano le industrie del Sud ed il credito bancario  è patrigno al Sud.
Un grande impegno di risanamento urbanistico e lo sviluppo dei servizi essenziali, a cominciare dai trasporti per uomini e merci sarebbero decisivi in un Sud che è Europa  , che non sarebbe Europa senza il suo e nostro Sud. Direi poi  che il tema della ecologia è legato a quello della sopravvivenza .
Il sud è stato individuato come una discarica  e la questione rifiuti lo ha fatto precipitare  in una condizione dalla quale uscirne diventa un’impresa. Non è ininfluente lo scontro tra chi vuole gli inceneritori e chi li rifiuta, tra chi vede nell’industria dell’incenerimento  uno sbocco per la crisi e chi immagina il ciclo con l’obiettivo di ‘rifiuti zero’.
Il futuro richiede ricerca e innovazione tecnologica, che altri Paesi perseguono e che noi tralasciamo.
In ultimo e non ultima è la questione dell’informazione e dello sviluppo dell’editoria dal Sud e nel Sud che necessitano di una politica responsabile e lungimirante.
Infatti non avremo sviluppo se non rinforzando il quadro democratico all’interno della coscienza dei cittadini, a cominciare dai più giovani dei quali va accresciuto il livello di istruzione ed ai quali vanno presentati  uomini esemplari cui ispirarsi, ricchi di ideali e valori e non portatori di messaggi fuorvianti. Una società giusta, solidale e democratica necessita di uomini funzionali a tale progetto.
La costruzione di una comunità nel Sud ha bisogno di una politica che non lasci prevalere la rissa e faccia vincere un clima di pace che favorisca lo sviluppo ordinato ed una progettualità possibile.
Il Governo che verrà può mettere come priorità la più grande innovazione programmatica possibile e mai dichiarata: costruire il Paese in maniera unitaria per competere nel mondo.
Credo che occorra realizzare la nostra Costituzione nei suoi principi e bisognerà guardare avanti e, in questi giorni, all’indomani delle elezioni, ricordiamo Dossetti dicendo insieme a lui: “ La notte è notte, ma con l’anima della sentinella che è tutta tesa verso l’aurora. Sentinella, quanto resta della notte?”