Robert Moor – Percorsi

Robert Moor ha viaggiato in tutto il mondo esplorando tutti i tipi di sentieri, da quelli minuscoli a quelli più grandi. Ha imparato i segreti dei tracciatori, ha riscoperto i percorsi perduti dei Cherokee e rintracciato le origini delle nostre reti stradali, neuronali, fino al web. In ogni capitolo di questo libro Moor alterna le sue escursioni a spasso per i continenti a riflessioni scientifiche, storiografiche, filosofiche e letterarie, svelando, attraverso un tema così inconsueto, l’emergere di tante domande che da sempre appassionano gli uomini.

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Vision & Global Trends: #CostruireEuropa – #BuildingEurope

#CostruireEuropa – #BuildingEurope
Martedì 26 marzo dalle 15:00 alle 19:00
Sala Nilde Iotti di Palazzo Theodoli Bianchelli – Camera dei Deputati,
Via del Parlamento 9 , Roma.
Per partecipare all’evento inviare richiesta a: info@vision-gt.eu
Website: Vision & Global Trends

Nell’attuale scenario internazionale, ove attori globali dalle dimensioni continentali si pongono in modo dinamico e propositivo, l’Unione Europea si presenta come un aggregato debole e vulnerabile, privo di una visione strategica di lungo periodo.
L’Unione Europea, inadeguata a dare efficaci risposte ai grandi temi al centro della vita degli Europei ed incapace di prevedere ed affrontare le sfide globali, rischia di rimanere ai margini del nuovo sistema multipolare.
Costruire una reale entità politica ed economica europea, in grado di competere – ma soprattutto capace di dialogare e cooperare – con il resto del Pianeta e sviluppare una propria visione autonoma, ambiziosa, multi-dimensionale, è, oggi, una necessità storica per il futuro popoli del Vecchio Continente.
Vision & Global Trends, nell’ambito del Platform Europe Project, organizza, in collaborazione con l’On. Francesco Boccia, il Seminario #CostruireEuropa #BuildingEurope al fine di porre l’attenzione su tre elementi vitali per la formulazione di qualunque programma unitario dell’Europa che verrà: infrastrutture, scienza e tecnologia, coesione sociale

Partecipano:
Francesco Boccia, Membro del Parlamento – Commissione Bilancio
Tiberio Graziani, Vision & Global Trends
Stefano Cianciotta, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture
Giovanni Saccà, Resp. Settore Studi e Trasporti Ferroviari del Collegio Amm. Ferroviario
Filippo Romeo, Vision & Global Trends
Enrico Brugnoli, Dirigente di Ricerca – CNR
Roberto Battiston, Università di Trento
Giovanna Zappa, Dirigente di Ricerca – ENEA
Vera Negri Zamagni, Università di Bologna
Luigi Ferrata, ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Lisa Caramanno, Vision & Global Trends

Edward Wilson-Lee – Il catalogo dei libri naufragati

«Il catalogo dei libri naufragati è un’opera d’immaginazione che rispetta però l’origine delle fonti, dove la magnificenza del racconto si fonde opportunamente all’erudizione. La “biblioteca che avrebbe raccolto tutto” divenne un labirinto borgesiano di “meraviglie sconcertanti”. Wilson-Lee la descrive con passione e costella il suo racconto di elenchi, incantatori e quasi magici, degni di un Rabelais» (Felipe Fernández-Armesto, «Literary Review)»

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Storie plurali di un territorio… per un Mediterraneo regione, non frontiera – 5/5

di Giuseppe Campione

5. Ma a pochi eletti è permesso raggiungere il centro di un labirinto e poi, quel che è più importante, consentirne l’uscita: Percorso vietato ai non qualificati, rappresentazione di prove iniziatiche, che sono escludenti e discriminatorie, come lo è stata la realtà di qualsiasi città del mondo. Le mille luci di una città non illuminano con la stessa intensità palazzi, viali residenziali e bidonville. Così una città contiene, come dice Calvino (Le città invisibili, Mondadori, 1993), il suo passato, le sue diverse realtà, in tutto ciò che mente e sguardo riescono a carpire. E forse aveva ragione Clemente Rebora, quando ci ricordava che sola “a verità condusse poesia”?
Cosi ad esempio recita Borges, “inventando” la sua Buenos Aires: Sei le cose che estinguerà la morte. È una città fuori del tempo ed eterna come l’acqua e l’aria quella che fluttua tra le parole e i versi del poeta argentino. Ma potrebbe essere qualsiasi altra città come luoghi e paesaggi interiori dell’Uomo e perciò universali. Spazi che a poco a poco vengono inglobati a formare un habitat secondo l’esigenza vitale di una comunità, che è unica nel suo divenire, nella sua emancipazione.

Oppure spazi che sono nati nella mente di un architetto e realizzati con razionale compiutezza come la Chandigarh di Le Corbusier, la “città d’argento” costruita secondo lo schema dell’uomo, il Modulor appunto, la cui mano “aperta per ricevere e donare” è il simbolico monumento al centro della città. Ma perché non pensare alMemoriale all’Olocausto, progettato da Peter Eisenman, un percorso labirintico lungo il quale una vasta griglia di colonne di cemento crea un’atmosfera di astrazione che diventa metafora dell’oscuro e complesso percorso interiore che l’uomo vive al ricordo del genocidio degli ebrei. Metafora oscura e astratta di orrore indicibile.

Geometrie, strutture e aritmetica per scansioni che possono ripetersi all’infinito secondo un sistema che tanto ricorda la Biblioteca di Babele di Borges, la biblioteca della sua Buenos Aires città specchio e metafora del mondo dove c’è il centro dell’Universo, l’Aleph, che soltanto in pochi possono vedere.

Metaforicamente ancora è la sicurezza dell’appartenenza, dell’abitare spazi condivisibili anche storicamente, che permette all’uomo di accedere al centro nascosto di una comunità. E non a caso il Borges parla di biblioteca di libri e di scaffali. Scansioni del pensiero, dei concetti e quindi della cultura che tra gallerie e geometrie perfette corrono il rischio (ma sembra sia necessario per il divenire) di cambiare fisionomia, di mutarsi insomma in altri libri che ovviamente sono da leggere in una visione più globale che l’io, l’individuo. In fondo la Biblioteca con tutte le variabili di combinazione di caratteri è infinita anche se periodica proprio perché è l’Universo stesso e nel momento in cui l’uomo è costretto ad una scelta che necessariamente esclude le altre dà il via “a diversi futuri, diversi tempi che a loro volta proliferano e si biforcano” come i sentieri in un giardino. Sembrano viaggi tra dedali e labirinti, all’infinito, per dare una fisionomia alla città dove si concentra tutto il vissuto e che perciò non ha bisogno di uno sguardo per essere visto. La città come scaffale di memorie?

Certo, la risposta non è semplice, ma non dovrebbe essere estranea all’insieme delle nostre considerazioni, una qualche analisi su quel sentimento collettivo che anima movimenti e vicende, che produce senso ed elabora processi di mitopoiesi ed accentuazioni simboliche e che poi connoterà le modalità di organizzazione e di governo del territorio. Potrebbe offrire anche altre chiavi di lettura all’assunto di riuscire a cogliere il senso di queste epifanie come se discendessero, in diversa misura, da quella definizione che Raymond Aron dà dei “caratteri nazionali”, la maniera, cioè, in cui un individuo prova e manifesta sentimenti, desideri, passioni. Ma anche esige, più che governement, significativi approcci a forme di governance che sostanzino la qualità della cittadinanza.

Ed anche l’utopia delle città per vivere. L’utopia che è come l’orizzonte: ‘cammino due passi e si allontana due passi, cammino dieci passi e si allontana dieci passi’. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare. Dice un vecchio proverbio spagnolo: le strade, viandante, non ci sono, sarai tu a tracciarle, camminando.

Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. I corali francescani

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. i corali francescani provenienti dalla basilica di san Francesco
A cura di Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti
Dal 15 settembre 2018 al 17 marzo 2019
website: http://www.museibologna.it/arteantica

Organizzata in occasione della decima edizione del Festival Francescano, la mostra Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco, curata da Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti, espone una serie di importanti codici liturgici francescani databili dal XIII al XV secolo, conservati al Museo Civico Medievale di Bologna.

Fin dal Duecento l’illustrazione dei manoscritti ha costituito uno strumento espressivo essenziale per l’Ordine dei Frati Minori. Grazie alle scelte iconografiche e tematiche codificate dall’Ordine, le immagini dei libri francescani rappresentarono un elemento fondamentale per esaltare la figura del santo fondatore, offrendo una lettura in chiave strettamente cristologica della sua vita, che legittimava il ruolo di rinnovamento della Chiesa operato dalla Congregazione francescana. Infatti, sfogliando le pagine di Antifonari e Graduali del XIII secolo spesso ricorrono le raffigurazioni della Predica agli uccelli e delle Stimmate come appare nel manoscritto 526, qui esposto insieme ad altri graduali (mss. 525, 527), realizzati intorno al 1280-85 per il convento di San Francesco a Bologna. A decorarli fu chiamato uno dei protagonisti assoluti della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, così chiamato per aver decorato la celebre Bibbia oggi conservata presso la biblioteca capitolare della città catalana.

Se nell’episodio della Predica agli uccelli gli artisti potevano indugiare in ricerche di naturalismo espressivo, in quello delle Stimmate era possibile invece sperimentare effetti di grande drammaticità, come documenta l’analoga figurazione del graduale ms. 526, felice connubio tra le più sofisticate sperimentazioni pittoriche della tradizione bizantina e la veemenza espressiva di certa pittura toscana di questi anni.
Nella serie di Antifonari (mss. 528, 529, 533), realizzata nei primissimi anni del Trecento a compimento del precedente ciclo di Graduali, il linguaggio ancora aulico del Maestro della Bibbia di Gerona rivive in talune figurazioni seguendo connotazioni più moderne che già lasciano presagi- re una conoscenza dei fatti nuovi della cultura giottesca (ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi), la cui diffusione dovette seguire inizialmente canali privilegiati all’interno dello stesso Ordine.

Tra le figure che si pongono a maggior confronto con l’artista fiorentino va annoverato Neri da Rimini che realizzò nel 1314, assieme al copista Fra Bonfantino da Bologna, l’antifonario ms. 540 destinato al convento francescano della città romagnola. Risale invece alla metà circa del XV secolo la serie di corali francescani (mss. 549 – 551, 553) che in parte recano entro alcuni capilettera calligrafici la firma di Guiniforte da Vimercate e la data 1449. La decorazione di questo ciclo, risultato della collaborazione di maestranze di estrazione lombarda e locale, venne coordinata dal bolognese Giovanni di Antonio il quale si riservò personalmente la realizza- zione di alcune parti (ms. 551).
Accanto a lui sono all’opera personalità bolognesi dalla parlata più corsiva (mss. 550, 551, 553), ma anche il Maestro del 1446 (ms. 549) considerato uno dei più abili interpreti dell’ultima stagione della miniatura tardogotica cittadina che ebbe proprio in questa serie liturgica francescana una delle sue più tardive manifestazioni.

Nell’ambito del Festival Francescano, venerdì 28 settembre alle ore 16.30 la Sala del Lapidario del Museo Civico Medievale ospita la conferenza Oltre Giotto: ‘la maniera dolcissima e tanto unita’ di Claudia D’Alberto (storica dell’arte, ricercatrice Marie-Curie COFUND Università di Liegi – Unione Europea ‘Horizon 2020’). Percorso indiziario volto alla scoperta della “bellezza artistica francescana” meno nota, l’incontro è un’occasione per parlare di Puccio Capanna, pittore che ad Assisi fu il più importante appaltatore di imprese decorative commissionate, fra prima e seconda metà del XIV secolo, dall’Ordine francescano e dalle confraternite. Ingresso libero, fino a esaurimento posti disponibili.

Storie plurali di un territorio… per un Mediterraneo regione, non frontiera – 4/5

di Giuseppe Campione

4. La geografia, e poi l’urbanistica, avrebbero dovuto dare forma a un piano di generali riconsiderazioni attraverso progetti comunitari capaci di tener conto “contemporaneamente” di tutti i fattori sociali, culturali, economici: “questi sono i soli che potranno modificare le condizioni di vita”, diceva Adriano Olivetti, prima che Campos Venuti parlasse di terza generazione e quel “poetare” apparisse alla fine confinato alle regioni del cuore.
Questa visione, che sembrava anch’essa auto-confinarsi nei recinti dell’utopia, resta riferimento per chi ha memoria di storie e progetti locali? Ed anche per chi si confronta con un’azione di pianificazione urbanistica continua nel tempo, che avrebbe dovuto rappresentare una risorsa determinante per sperimentare più efficaci modelli di governo metropolitano? Azioni di pianificazione urbana, cioè, dialogata e monitorizzata da forze sociali e culturali, con azioni condivise, con forme interistituzionali di collaborazione, in una comune rilettura delle opzioni di crescita, ripensandone le dinamiche, per una diversa relazione tra strategie e progetti.

Ecco allora l’urgenza di dare senso compiuto al progetto di ricostruzione della città, per nuovamente, e questa volta più compiutamente, pensare ad un urbano possibile: mobilitando in questo muoversi risorse, volontà, intelligenze, professionalità che con noi dialogano incessantemente. Proprio perché tutto ciò significa capacità di portare avanti un disegno che, se nel tempo ha avuto pregevoli teorizzazioni ed auspici, oggi rappresenta l’unico new-beginning nelle nostre mani.

Non siamo riusciti fin qui a garantire, proprio per la carenza di discorso metropolitano, quelle sperimentazioni che avevamo promesso: nuove germinazioni, dalla cultura della libertà a quella della cittadinanza, al pluralismo culturale, alla promozione di stili di vita più aperti etc. Per questo la “promessa urbana”, resta una sfida e tutti gli attori siamo chiamati ad affrontare il disordine che è l’altra faccia del nozionismo dello sviluppo e delle crescite improprie. In altre parole dovremmo nuovamente rintracciare – come molti di noi iniziarono a fare, in tempi lontanissimi, discettando delle conurbazioni dello Stretto, con Lucio Gambi, Francesco Compagna, e Ludovico Quaroni – una più generale sperimentazione di congrue opzioni culturali, anche per conseguenti azioni di governo: in modo da determinare possibili mappe di capitale sociale, ricco di invenzioni e pensieri forti e finalizzato, negli effetti di un operare complessivamente dialogato, ai temi della qualità della convivenza.
E sarebbe come esigere, più che “governement”, significativi approcci a forme di “governance”, e quindi di qualità della cittadinanza, frutto anche e forse soprattutto del valore aggiunto della nostra intrapresa universitaria. E allora ritrovare il senso dei luoghi, arricchendo la nostra “cassetta degli attrezzi” con quello che offrono saperi all’apparenza distanti. Il risultato sarà un mosaico, ricco di rimandi che si aprono su scenari spesso sorprendenti: dove il locale e il globale si incontrano, si sommano, suggeriscono chiavi di lettura, per leggere il nostro territorio e la sua “insularità complessa”, le “isole di terra” di Fevbre, e per convenire, come in un mio recente intervento su Repubblica (24 3 2007), che «il territorio, con il suo olocausto, è la vera prova che bisognerà portare nei tribunali della storia». Perché territorio non è soltanto una costruzione con valenze essenzialmente politiche e di dominio ma principio strutturante di una comunità politica che ne materializza l’ancoraggio al suolo.

Questi spazi, pur nel variare dei disegni, ed anche nella loro immaterialità, esprimeranno comunque forme di irraggiamento di un polo generatore e coordinatore. Così le città non scompaiono nel gioco di intrecci della globalità, anzi riaffermano il ruolo di controllo sull’esplicitarsi di nodi e reti, perché sono al tempo stesso sistemi territoriali locali e nodi di reti globali (G. Campione, Narrazioni di Geografia politica, Rubbettino, 2007).

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Parte seconda
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Palazzo Reale,Teatro del Falcone: Anton Maria Maragliano 1664-1739

Anton Maria Maragliano 1664 – 1739
Museo di Palazzo Reale
Mostra a cura di Daniele Sanguineti
Dal 10.11.2018 al 10.03.2019

Anton Maria Maragliano, Madonna con bambino, Genova

Palazzo Reale, nel Teatro del Falcone, apre al pubblico dal 10 novembre 2018 al 10 marzo 2019, una grande mostra, a cura di Daniele Sanguineti e con la direzione di Luca Leoncini, dedicata alla celebre figura di Anton Maria Maragliano, rinomato autore di sculture lignee. Per la prima volta si potranno ammirare, a confronto tra loro, i capolavori del maestro, testimoni della potenza persuasiva del legno dipinto e dorato a personificare i protagonisti del Paradiso: dalle eleganti statue mariane agli aggraziati Crocifissi fino alle grandiose macchine processionali con i martirii dei santi. Si tratta del primo evento espositivo utile a dar conto del profilo monografico dell’artista, affrontato negli ultimi vent’anni in maniera specifica e approfondita da Daniele Sanguineti che ha apportato un capillare apporto archivistico e filologico, incrementando notevolmente il catalogo delle opere.

La capacità di corrispondere alle esigenze della committenza attraverso immagini bellissime e di forte impatto emotivo rese possibile, a partire dall’inizio del Settecento, l’ottenimento di un vero e proprio monopolio che costrinse lo scultore alla dotazione di un assetto imprenditoriale articolato. Ben due generazioni di allievi furono accolte nelle stanze di Strada Giulia, nel cuore di Genova, dove Maragliano aveva la bottega, dando corso a quel fenomeno di divulgazione del linguaggio del maestro che rappresenta l’aspetto più affascinante, benché problematico, dell’approccio allo scultore: e gli allievi degli allievi perseguirono questa divulgazione oltrepassando la fine del secolo.

La mostra, allestita negli ambienti del Teatro del Falcone, proporrà un percorso espositivo dalla doppia impostazione: da un lato l’iter cronologico, con i modelli culturali di riferimento, gli esordi, la bottega e l’intervento progressivo degli allievi, dall’altro una serie di sezioni tematiche, articolate in suggestive aggregazioni di opere per iconografia o impatto scenografico.

L’esposizione si aprirà con una sezione dedicata ai precedenti con le opere degli artisti su cui il giovane Maragliano si formò, da Giuseppe Arata e Giovanni Battista Agnesi a Giovanni Battista Bissoni e Marco Antonio Poggio. Seguiranno i luoghi di Maragliano evocati attraverso una serie di documenti, incisioni e acquerelli utili a raccontare le fasi di apprendistato e gli ambienti che hanno ospitato lo spazio di lavoro del maestro nel corso degli anni. Il magnifico San Michele Arcangelo di Celle Ligure, richiesto a Maragliano nel 1694, e il San Sebastiano per i Disciplinanti di Rapallo, commissionato nel 1700, testimoniano, in un’apposita sezione, il ruolo dei modelli in sintonia con la più aggiornata cultura figurativa radicata a Genova grazie al pittore Domenico Piola e allo scultore francese Pierre Puget. Queste sculture, capaci di tradurre nella tridimensionalità del manufatto la grazia coinvolgente propria della pittura coeva e della scultura berniniana, rivelano il nuovo, delicato dinamismo della cultura barocca. La pratica di lavoro, dalla manipolazione dei modelli in creta alla collaborazione con i pittori – specie quelli di Casa Piola – costituirà un approfondimento di particolare interesse che renderà comprensibile il progetto ideativo nell’interezza del suo iter.

L’accostamento progressivo di alcuni Crocifissi, grandi o piccoli, da cappella, da altar maggiore o da processione, mostra il sostanziale rinnovamento conferito da Maragliano all’iconografia fino all’ottenimento di un cliché replicabile da parte degli allievi. 
Una serie di spettacolari Madonne, sedute in trono, e una straordinaria cassa processionale – il Sant’Antonio Abate contempla la morte di san Paolo eremita oggi pertinente all’omonima confraternita di Mele – restituiscono le valenze di teatralità delle composizioni maraglianesche, per le quali il biografo Ratti, riportando il giudizio del popolo, scriveva: “…han tutta l’aria di Paradiso”. Le tematiche penitenziali, da Settimana Santa, saranno illustrate nella coinvolgente sezione La passione secondo Maragliano. Accanto ad opere dal piccolo formato, tra cui le statue da presepe, che permetteranno di apprezzare pienamente la perizia tecnica del maestro, saranno inoltre esposti oggetti raffinatissimi, di ambito sacro e profano, commissionati da famiglie nobiliari per le proprie raccolte private. Il percorso si conclude con un’allusione alla complessa gestione dell’eredità maraglianesca, grazie alla presenza di alcuni pezzi realizzati dai principali allievi.

Vista la ricca presenza di opere di Maragliano nel tessuto cittadino, la mostra proseguirà in città dove saranno opportunamente segnalate sculture e casse processionali ancora oggi custodite nei luoghi d’origine, come la Pietà di San Matteo, i Dolenti della cappella Squarciafico in Santa Maria delle Vigne, il San Pasquale della Santissima Annunziata, che non potrebbero essere movimentate per la loro complessità. I diversi siti verranno così coinvolti nell’itinerario espositivo, creando accessi facilitati per i visitatori, anche in collaborazione con l’Ufficio Arte Sacra della Curia Arcivescovile di Genova. Un ulteriore collegamento alla mostra riguarderà la Pinacoteca dell’Accademia Ligustica dove sarà allestito un presepe con le statue afferenti alle collezioni civiche (Museo Luxoro), per dar conto dell’impronta maraglianesca sulla produzione di statuaria presepiale di secondo Settecento.

L’importante evento espositivo, sostenuto dal prezioso e sostanzioso supporto della Compagnia di San Paolo, sarà accompagnato da un catalogo scientifico con saggi e schede delle opere esposte. Un ulteriore aspetto, assolutamente imprescindibile, è che molte delle sculture in mostra sono state restaurate nel 2015 grazie ai finanziamenti stanziati in occasione del Bando San Paolo “La grande Scuola di Anton Maria Maragliano”, dedicato alle opere di Maragliano e dei maraglianeschi sul territorio. L’occasione sarà dunque preziosa per poter presentare gli esiti di questi importanti interventi conservativi e riscoprire pienamente il talento e le prerogative del celebre artista.

Storie plurali di un territorio… per un Mediterraneo regione, non frontiera – 3/5

di Giuseppe Campione

3. Ed è come se scoprissimo di avere il mondo intero come orizzonte, ma che abbiamo molti, proficui e ignorati vicini, assai interessanti per la costruzione di territori retti ancora dal principio della distanza, quei territori della produzione materiale, del consumo, del trasporto, “tappeto” sottostante alla rete e ad essa necessario.

A partire dall’integrazione culturale, un massiccio lavoro di costruzione della comunicabilità da attuare accanto alla telematica delle reti ed all’alfabetizzazione tecnologica. L’integrazione mediterranea ad esempio può portare alla realizzazione di uno spazio nel quale – oltre al “muro” tra Nord e Sud del mondo – cade l’altro confine reso illusorio dalla globalizzazione: quello tra terra e mare, nel senso che il mare cessa di essere uno spazio esterno e la trama dei luoghi si snoda in uno stile che è la sintesi stessa della civiltà mediterranea.

Se il nostro fosse stato paese non solo a democrazia imbozzolata nelle pratiche opache dell’intendenza non avremmo avuto lo sfacelo del territorio, soprattutto nel mezzogiorno. Qui le elargizioni dell’intervento straordinario funzionali al ritorno prepotente di poteri motivati da antiche subculture, e allo snodo di finanze capaci di riammagliare mafie e politica, con gli ausilii di cospicue intellettualità organiche, hanno determinato regressi e desertificazioni territoriali. Il deficit di condizione civile appartiene come approdo alla rinuncia ad operazioni di nuova intelligenza degli avvenimenti.

Ora ripensare all’utopia di città per vivere (sì, a città), con le aperture urbanistiche che dovrebbero superare antiche logomachie sulle priorità degli assunti, significa non navigare verso un’isola che non c’è, ma immaginare un’antigeografia dell’esistente. Tornare cioè alla città come principio ideale e come motore di una nuova armonica, certo in quanto possibile, regionalità. Regione come spazio costruito da una storia ripensata che si è inconsapevole sedimentata in antropologie e logiche territoriali che ne hanno disatteso le grammatiche. La sensazione d’insicurezza, il difficile convivere in una società divenuta meno omogenea e prevedibile, la risposta fattuale che si vuol dare alla paura, sembrano dilagare e sono percepiti alla stregua di dati incontrovertibili.

Così, ad esempio ed in sintonia con la tragedia di un territorio, lo scoppio delle periferie, di una ribellione con supporti ideologici, soprattutto quelli indotti dalla rabbia dell’esclusione, denotano comunque un dato certo: il fallimento di un modello socio-territoriale che diventa sempre più esclusivo per pochi ed esclude sempre di più i tanti. Fa parte appunto di quel processo disgregante che ha colpito anche i paesi più ricchi del mondo e spazialmente esprime il consolidarsi delle teorie e pratiche di esclusione della storia che attraversiamo. È la punta dell’iceberg di quelle nuove povertà che sono venute ad affacciarsi con l’aumento del precariato nel lavoro, con l’avvento della delocalizzazione, l’invasione dei prodotti della competizione globale, i percorsi incontenibili delle ondate migratorie, confinate al rango di generatrici di paura e non di consapevole doverosa accettazione in una logica di multietnicità.

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Parte seconda
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Parte quarta
Parte quinta

Palazzo Pitti: Fragili tesori dei principi – Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze

Fragili tesori dei principi – Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze
Tesoro dei granduchi di Palazzo Pitti
dal 13 novembre al 10 marzo

Quando il Conte Carlo Ginori nel 1737 chiamò al suo servizio Carlo Wendelin Anreiter de Ziernfeld, pittore austriaco specializzato in porcellana,non badò certo a spese. Nei documenti è scritto che “… si obbliga questo a condurlo con la sua Moglie, e Creature a sue spese in Toscana ed ivi pagargli fiorini seicento all’anno, con più dargli con la sua famiglia quartiere, e solo ad esso Ziernfeld la tavola con vino, e di così continuare a tenerlo con tale assegnamento anni sei”.

Insomma, quello stipendio favoloso, cui si aggiungevano vitto (con vino) e alloggio per lui, la moglie e i 10 figli, più gli altri 3 che nacquero durante la sua permanenza in Italia, servivano ad assicurarsi il più valente artista del genere sulla piazza europea: è evidente la volontà di Carlo Ginori di puntare senza indugio, per la manifattura di Sesto Fiorentino, a una qualità altissima, garantendosi inoltre relazioni strettissime con l’opificio viennese fondato nel 1718 da Claudius Innocentius Du Paquier. L’effetto fu che entrambe le produzioni ebbero un ruolo decisivo nella trasmissione di motivi decorativi, forme e tecniche artistiche che di fatto influirono nella definizione del gusto dell’epoca.

Di tutto questo, e di molto altro racconta la mostra Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze, curata da Rita Balleri, Andreina d’Agliano, Claudia Lehner-Jobst e realizzata in collaborazione con la collezione del Principe di Liechtenstein (Vaduz–Vienna).

Le opere esposte – porcellane, ma anche dipinti, sculture, commessi in pietra dura, cere, avori, cristalli, arazzi, arredi e incisioni – offrono un fertile dialogo tra le arti, per celebrare la magnificenza della porcellana durante il Granducato di Toscana sotto la dinastia lorenese. Ai prestiti hanno contribuito istituzioni nazionali e internazionali e i più importanti musei europei e statunitensi, oltre a diverse collezioni private.

L’energia imprenditoriale del Marchese Ginori, senatore fiorentino, spaziava su ampi orizzonti, e le porcellane prodotte riflettevano un gusto internazionale, che poteva sì tener conto della tradizione fiorentina, ma anche degli influssi del lontano Oriente e in particolare cinesi, e che cercava di soddisfare committenti esigenti in Italia e all’estero. Per prosperare, la manifattura doveva aprirsi anche alle novità provenienti da fuori, e l’atmosfera e la produzione artistica – a Doccia, ma in generale nella Firenze dei Lorena erano dunque improntate a un criterio di eccellenza cosmopolita. La porcellana non fa eccezione, e diventa non solo lo specchio di quanto veniva sperimentato nelle altre forme d’arte, ma riflette altresì tutta una serie di abitudini e mode sociali, in un’epoca di grandi cambiamenti, anche alimentari. Nel 1663 i Medici si procacciarono per primi, importandola dalla Spagna, la cioccolata, e fu subito amore. Come sottolinea in catalogo il Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt,  la cioccolata e il caffè “resero necessaria la creazione di nuovi oggetti e di vasellame, che possiamo immaginarci tintinnare e splendere nel Kaffeehaus fatto erigere apposta a Boboli su progetto di Zanobi del Rosso, terminato nel 1785 circa (e che riaprirà a breve, dopo una campagna di restauri). Un altro gioiello architettonico voluto da Pietro Leopoldo, rotondo e bombato, ispirato al barocchetto viennese: è una costruzione di mattoni e calce, ma da lontano sembra una fantasia in porcellana di Doccia, quasi una chicchera gigante, con una cupoletta per coperchio”.

“La collaborazione europea e un pensiero che travalica i confini nazionali – dichiara Johann Kräftner, direttore del LIECHTENSTEIN. The Princely Collections, Vaduz–Vienna – si manifestano nelle vicende delle due Manifatture, appartenenti a una storia comune di governo e collezionismo confluite in questa stessa rassegna espositiva che si deve all’attuale cooperazione tra le due istituzioni e i loro collaboratori e collaboratrici. Una mostra che ripercorre questa lunga storia non a Vienna, dove venne già esaminata nella esposizione Barocker Luxus Porzellan del 2005, bensì a Firenze, dove le idee hanno trovato un comune terreno fertile”.

Costruire una Macroregione Europea del Mediterraneo è divenuta necessità vitale

di Cosimo Inferrera

L’attuale corso delle relazioni internazionali è caratterizzato dalla presenza di potenze – quali Cina, India, Russia – che hanno generato una serie di iniziative destinate a rivestire un ruolo determinante nella configurazione dell’assetto mondiale e del sud Mediterraneo. Dal canto suo, l’Unione Europea si presenta come un disaggregato, privo di una visione condivisa su tematiche considerate strategiche, quali la politica estera e quella economico-finanziaria, industriale, energetica, demografica. Insomma, in tale “quadro multipolare” l’UE, pur rappresentando un indispensabile presidio dei nostri valori etico-morali, civili e religiosi si dimostra alquanto inadeguata a dare risposte efficaci sui grandi temi, che costituiscono il cuore della vita dei popoli europei, incapace finora di affrontare le sfide poste dalla competizione “globale”.

Occorre dunque saper intendere il problema della formazione di nuovi raggruppamenti, che focalizzino in modo dinamico e propositivo l’attenzione del contesto europeo in via di costituzione su tre elementi, vitali per formulare un programma unitario, quali infrastrutture, tecnologie, coesione sociale. In comunione con gli ideatori di “Vision and global trends”, sin dal Convegno di Roma presso “Spazio Europa” della UE in Italia (17 giugno 2015) ci siamo mossi e ci muoviamo su temi di prospettiva, avendo costituito via via il Comitato per la Macroregione Mediterranea (C-MMO), indi l’Associazione Europea del Mediterraneo (AEM).

In un recente Convegno su “La Nuova Visione della Città Metropolitana dello Stretto”, organizzato nel Salone delle Bandiere del Palazzo Municipale di Messina il 23 Febbraio u.s., l’Ing. Giovanni Saccà, responsabile per l’AEM del Settore ricerca infrastrutture, mobilità trasporti ha illustrato lidea/progetto del nuovo Ponte ME-RC. Da questo, ed intorno a questo, possa scaturire finalmente (!) in un quadro razionale, armonico, equilibrato il programma per realizzare de facto gli obiettivi del Corridoio Europeo Scandinavo Mediterraneo e per affrontare i problemi interattivi delle Città sorelle dello Stretto. Questi si trovano tuttora irrisolti, ostativi a percorsi di rinascita del Sud, se non vivificati dal congiungimento stabile, dalla mobilità urbana, dalla riqualificazione urbanistica in un concerto grandioso, generatore della Città Metropolitana dello Stretto, la 3^ del Sud, finora impossibile perché by passata da altre soluzioni. Ecco, una nuova Buda-Pest !

A tale riguardo, di grande significato propositivo, di rilevanza particolare suona l’annuncio: “Ora è ufficiale: esiste agli atti l’Area integrata dello Stretto” per un viatico euromediterraneo della Sicilia e della Calabria, riportate al loro geo-centro naturale. Ormai costruire una Macroregione Europea del Mediterraneo, multilevel, in grado di cooperare con le nuove potenze ed anche di competere con loro sviluppando una propria visione autonoma, ambiziosa, di lungo termine, multi-dimensionale è divenuta la necessità vitale da perseguire in via prioritaria, per mettere i nostri progetti più ambiziosi sul piano della concretezza !

Con questi auspici saremmo lieti e onorati di vedere con noi, partecipi ai lavori in un giorno di metà Marzo (fra il 16, il 17 o il 18), i Signori Sindaci delle Città dello Stretto, il Signor Presidente della Conferenza interregionale e (sperabilmente) i vertici delle Regioni Calabria e Sicilia, riuniti in proiezione verso un Tavolo comune VILLA-ME-RC per l’Agenda 20.30.