Autonomia Differenziata. Effetti sul Mezzogiorno e sullo sviluppo del Paese

Di Carmelo Cutuli da C-Blog.it

“Autonomia Differenziata: quali gli effetti sul Mezzogiorno e sullo sviluppo del Paese”, è il titolo del convegno che affronterà questi temi lunedì 3 giugno 2019 alle 9 nella Sala Cinese del Dipartimento di Agraria in via Università,100 a Portici. Le trattative con il Governo sono riprese nella legislatura in corso, con l’indicazione del 15 febbraio 2019 come termine per la firma delle Intese. Nonostante il silenzio che le ha avvolte, alcune notizie sono, in parte, trapelate: integrale regionalizzazione della sanità, una altrettanto completa regionalizzazione del sistema scolastico e un riparto delle risorse basato su una stretta connessione tra fabbisogni e capacità fiscale territoriale. Tra intellettuali e commentatori l’allarme è divenuto alto. Molti si sono impegnati per informare e sensibilizzare classi dirigenti e parlamentari allo scopo di affermare la necessità di coinvolgere il Parlamento ed il Paese in un confronto sulla opportunità e sulle modalità di trasferimento delle funzioni richieste. Nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio, contrariamente a quanto era stato annunciato, le Intese non sono state approvate.
Oggi a che punto siamo? Le trattative proseguono e solo in parte è caduta la nube di silenzio che le circonda. Per tale motivo è importante promuovere iniziative che consentano di ampliare la conoscenza dei diversi aspetti del processo in corso grazie ai contributi di studiosi del federalismo e delle sue conseguenze per lo sviluppo del Paese e del Mezzogiorno. In continuità con la tradizione meridionalista del Centro “Manlio Rossi-Doria”, il Dipartimento di Agraria e l’Associazione Scientifica Centro di Portici, hanno promosso questo convegno come contributo alla discussione. E’ proprio vero che il federalismo fiscale comporta una maggiore efficienza allocativa? Quali i presupposti affinché questo avvenga senza mettere in discussione l’unità nazionale e i principi di uguaglianza e solidarietà sanciti in Costituzione? Ne parleranno i Professori Adriano GiannolaCarmelo Petraglia e Alberto Zanardi. Le considerazioni conclusive saranno a cura del Presidente della Regione Campania On. le Vincenzo De Luca. Seguirà la Tavola Rotonda con la partecipazione del Professore Sandro Staiano, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II, del dott. Roberto Napoletano, Direttore de “il Quotidiano del Sud” e degli On.li Vincenzo Presutto Paolo Russo, Vicepresidenti della Commissione Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale.

Modena – Angelo Fortunato Formiggini. Ridere, leggere e scrivere nell’Italia del Primo Novecento

Modena, alla Galleria Estense e alla Biblioteca Estense
Angelo Fortunato Formiggini
Ridere, leggere e scrivere nell’Italia del Primo Novecento
dal 28 febbraio al 30 giugno 2019

Foto di gruppo alla maturità anno 1896-97

“È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”. Queste terribili parole furono l’epitaffio scritto da Achille Starace, segretario nazionale del Partito Fascista, all’indomani della tragica scomparsa di Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), lanciatosi nel vuoto dalla Ghirlandina, a seguito delle leggi razziali imposte dal regime fascista nel 1938, con in tasca dei soldi per dimostrare che non si stava uccidendo per ragioni economiche. A quest’uomo di straordinaria cultura, ebreo di origine modenese, lucido intellettuale e grande editore, la Galleria Estense e la Biblioteca Estense Universitaria di Modena, dal 28 febbraio al 30 giugno 2019, dedicano una mostra, col patrocinio del Comune di Modena | Comitato per la storia e le memorie del Novecento, della Regione Emilia-Romagna, di AIB Emilia-Romagna, che ne ripercorre la vicenda umana e intellettuale, in relazione al contesto storico-culturale italiano nei primi decenni del XX secolo.

L’esposizione Angelo Fortunato Formiggini. Ridere, leggere e scrivere nell’Italia del primo Novecento, curata da Matteo Al Kalak, invita a una riflessione sui valori della convivenza, della democrazia e sul significato della cultura all’interno della formazione di una coscienza collettiva. La rassegna, che si avvale di numerosi contenuti multimediali, curati da Space, condurrà il visitatore a un contatto diretto con la singolare personalità di Formiggini, presentando numerosi documenti del suo lascito, alcuni esposti per la prima volta, e altre testimonianze artistiche dell’epoca, legati alla vita dell’editore e della cultura italiana di inizio Novecento. Il percorso si apre con una sezione sulla storia dell’ebraismo italiano, che affonda le proprie radici nell’età antica e medievale. Saranno esposti importanti documenti, come l’atto con cui papa Niccolò V ufficializzò la politica di “tolleranza” inaugurata dai duchi di Ferrara e Modena, consentendo agli Estensi di accogliere gli ebrei nei loro Stati, o alcuni contratti di matrimonio, o ancora una Bibbia antica, tutti riccamente decorati, a testimonianza dell’eccezionale livello culturale raggiunto dagli ebrei estensi da cui Formiggini discendeva.

Si passa poi alla giovinezza di Formiggini, in un panorama in grande fermento. L’Italia, lasciate alle spalle le guerre di indipendenza e con il primo conflitto mondiale lontano, si presenta come un laboratorio di idee e movimenti. Lo Stato unitario inaugura il nuovo secolo con il clamoroso attentato al re Umberto I e con il fronte politico dominato da Giovanni Giolitti, i cui governi caratterizzeranno il periodo precedente la prima guerra mondiale e, nel 1911, accompagneranno l’Italia all’impresa coloniale in Libia. Sono anni densi anche sul piano della cultura. Tra i letterati spiccano, ad esempio, Giosuè Carducci, il “poeta vate” della nazione o, ancora, Giovanni Pascoli, destinato ad avere un ruolo decisivo nella vicenda di Formiggini. Non mancano poi altre voci, da quella lirica ed estetizzante di Gabriele D’Annunzio, ai toni roboanti dei futuristi, anzitutto Filippo Tommaso Marinetti.

È in questo clima di profondo cambiamento che si situa l’esperienza del giovane Formiggini. Dopo il soggiorno a Roma, eccolo a Bologna dove nel 1907 consegue la laurea in filosofia con la tesi sulla “filosofia del ridere”, qui presentata in originale, con la quale inaugurò una riflessione teorica sull’umorismo e il riso che costituì il preludio di edizioni e collane librarie cui darà vita nei decenni successivi. Accanto a questa, saranno esposti alcuni doni ricevuti dallo stesso Formiggini, come il “libro di latta” dell’amico futurista Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1908, Formiggini inizia la sua esperienza editoriale, sulla base degli ideali di fratellanza universale cui si era ispirato nel corso della sua giovinezza. L’avvio delle edizioni Formiggini, nel segno del poeta modenese Alessandro Tassoni, è contraddistinto dalla Miscellanea tassoniana, e dalla raccolta burlesca intitolata La Secchia: nelle due imprese furono coinvolti nomi illustri quali Giovanni Pascoli, Giulio Bertoni, Carlo Frati, Albano Sorbelli e Giulio Bariola.

Trasferitasi a Genova nel 1911, la casa editrice raggiunge i suoi vertici più alti, con 29 titoli pubblicati nel 1912 e 46 nel 1913. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Formiggini, convinto interventista, parte poi per il fronte, persuaso che l’Europa postbellica sarebbe risorta “civile e fraterna”, se vi fosse stata “comunione di cultura fra i popoli”. Per questo, durante un congedo per malattia che si sarebbe protratto dalla fine del 1915 al 1917, fa inviare ai commilitoni quattordici casse di libri corredati da una “lettera ai combattenti” in cui spiegava la necessità di costituire biblioteche da campo. Anche durante le ristrettezze del conflitto, Formiggini rimane dunque un editore, convinto che solo la diffusione della conoscenza mediante i libri avrebbe potuto ristabilire le sorti dei popoli. Terminata la guerra, la seconda fase dell’avventura editoriale di Formiggini si situa nel contesto del regime fascista. Formiggini, che non aveva mancato di guardare con favore ai nuovi sviluppi politici, si deve misurare con la situazione venutasi a creare. Il rapporto con il regime e, soprattutto, con i suoi gerarchi, piccoli e grandi, non è facile.

Le conseguenze del nuovo ordine imposto dal fascismo si fa sentire, inevitabilmente, anche sul piano dell’organizzazione culturale: Formiggini mostra un atteggiamento ambiguo, tentando di trovare un equilibrio nel quadro di repressione e controllo che presto si viene a instaurare. Da un lato, nella produzione degli anni venti e trenta compaiono biografie dedicate a personalità invise al regime, come le “Medaglie” dedicate ad antifascisti quali Luigi Sturzo, Giovanni Amendola o Filippo Turati; dall’altro Formiggini tenta di compiacere lo stesso Mussolini e, più in generale, il suo entourage con opere come le Battaglie giornalistiche, in cui vengono proposte al pubblico le polemiche che il duce aveva condotto dalle colonne a stampa. Nel complesso, Formiggini definisce quello di Mussolini “un formidabile tentativo di dare all’Italia un’anima nuova e vibrante di fede”, che tuttavia aveva visto nei gerarchi e negli altri uomini dell’apparato dei cattivi esecutori.

La vera frattura con il regime e, per molti aspetti, l’avvio della definitiva disgrazia della impresa editoriale di Formiggini si ha con lo scontro con il filosofo Giovanni Gentile, uno degli esponenti più illustri del regime. Gli anni trenta segnano per l’azienda di Formiggini un momento di rapido declino. Nonostante i tentativi di riconfigurare l’assetto societario – la casa editrice è trasformata nella Società Anonima Formiggini –, il capitale subisce una svalutazione del 40% e le passività createsi sono fronteggiate da Angelo Fortunato con la vendita di molti terreni e proprietà di famiglia. Nel 1937, il regime arriva addirittura a confiscare la casa di Formiggini nei pressi del Campidoglio a Roma, dove Mussolini aveva disposto un riassetto urbanistico attorno all’attuale via dei Fori imperiali. Nel 1938, infine, con l’uscita del Manifesto della razza e, a breve distanza, delle leggi razziali, il Ministero della Cultura indaga sull’etnia dei dipendenti della casa editrice Formiggini.

Per l’editore modenese, sono mesi di disillusione, in cui fa di tutto per essere “discriminato”, ovvero esentato dalle normative sulla razza. Scrive inutilmente al Ministero della guerra per richiedere la croce di guerra che lo avrebbe salvato dalle leggi razziali. Tra i documenti tratti dagli archivi dell’azienda editoriale, affiorano le lettere, riservate e burrascose, indirizzate a Mussolini e agli altri gerarchi del regime fascista. La sua vicenda umana s’interrompe in modo tragico, quando l’editore si getta dalla torre della cattedrale di Modena.

Chiudono idealmente il percorso due documenti di eccezione: il testamento olografo di Formiggini e la ricostruzione virtuale, basata su foto d’epoca e ricerche d’archivio, della “Casa del ridere”, la collezione privata di manoscritti e stampe sull’umorismo, che Formiggini custodì gelosamente fino agli ultimi giorni per farne dono, alla sua scomparsa, alla Biblioteca Estense. Alla mostra si accompagna una rassegna dedicata alla collezione di cartoline provenienti dalla raccolta Casa del Ridere di Angelo Fortunato Formiggini, ambizioso e variegato progetto collezionistico da lui stesso definito “una specie di biblioteca e di museo di tutto ciò che è attinente al Ridere, senza limiti di tempo e di geografia”. La rassegna Intitolata Ridere in tempo di guerra. La Grande Guerra raccontata dalle cartoline di Angelo Fortunato Formiggini, a cura di Nadia de Lutio ed Erica Vecchio, nella Sala Campori della Biblioteca Estense Universitaria restituirà una visione d’insieme degli orientamenti e dei principali eventi della Grande Guerra, letti attraverso la lente delle cartoline umoristiche. Seguendo quella filosofia del ridere tanto cara all’editore modenese, il visitatore potrà ripercorrere la storia di personaggi come Guglielmo II e Francesco Giuseppe, gli anni cruciali del conflitto e i suoi tragici danni. Oltre all’indubbio valore di testimonianza storica sulla Grande Guerra, queste cartoline conservano ancora la viva bellezza del tratto artistico e satirico di importanti illustratori dell’epoca come Aurelio Bertiglia, Attilio Mussino, Golia (pseudonimo di Eugenio Colmo), Virgilio Retrosi. Catalogo Edizioni Artestampa

IMMAGINE DI APERTURAFilippo Tommaso Marinetti, Parole in libertà. Biblioteca Estense Universitaria

La Pietra di Oratino: questo è il lavoro dello scalpellino

La lavorazione della pietra in Molise ha radici antichissime; si pensa che strutture e oggetti in pietra venivano realizzati primariamente per garantire la sicurezza e la sopravvivenza delle popolazioni. In alcuni centri della regione si possono rinvenire interi centri abitati costruiti in pietra, così come è facile imbattersi in bellissimi esempi di elementi architettonici e decorativi quali capitelli e statue. Un tempo, quando le condizioni di trasporto erano ancora molto difficoltose a causa delle distanze territoriali, lo scalpellino andava alla ricerca della materia prima da lavorare e la scolpiva in loco, senza portarla presso la sua bottega, risparmiando così tempo e fatica. Lavorare la pietra è, oggi come allora, un’attività che richiede pazienza e attenzione, così come estro e fantasia.

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LA PIETRA DI ORATINO

 

Modena – Pop Therapy. Lo spirito rivoluzionario delle figurine Fiorucci

Modena – Museo della figurina
Pop Therapy
Lo spirito rivoluzionario delle figurine Fiorucci

9 marzo – 25 agosto 2019

Fiorucci Stickers, 1984 Panini, Modena Dall’album per la raccolta di 200 figurine. Courtesy Comune di Modena, Museo della Figurina – FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE

La mostra rende omaggio al genio eclettico di Elio Fiorucci, attraverso l’album di figurine Fiorucci Stickers, pubblicato dalle Edizioni Panini nel 1984, che riscosse uno straordinario successo, con oltre 25 milioni di bustine vendute, e riassume la storia grafica della maison milanese. Accompagna la rassegna un intervento di Ludovica Gioscia, artista romana la cui pratica artistica è fortemente influenzata dai linguaggi espressivi della cultura e società degli anni ’80.

Dal 9 marzo al 25 agosto 2019, il Museo della Figurina di Modena, una delle realtà istituzionali che fa parte di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, presenta una mostra che rende omaggio al genio eclettico di Elio Fiorucci (1935-2015), creativo, pioniere dei moderni influencer e molto altro ancora. L’esposizione, dal titolo POP THERAPY. Lo spirito rivoluzionario delle figurine Fiorucci, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, e Francesca Fontana, curatrice del Museo della Figurina, indaga il ‘fenomeno Fiorucci’ attraverso 200 figurine che compongonol’album Fiorucci Stickers, pubblicato nel 1984 dalle Edizioni Panini e riassume l’immagine grafica della casa di moda milanese conosciuta in tutto il mondo. Già dalla confezione, l’album si presenta in modo assolutamente innovativo: non una pubblicazione sfogliabile ma un raccoglitore di colore rosa fucsia e giallo fluo, richiudibile mediante un bottone calamitato, al cui interno si trovano 28 schede mobili su cui attaccare le figurine. La flessibilità che lo caratterizza è strumentale per consentire all’utente di esprimere la propria creatività e mettere alla prova la propria fantasia. All’epoca della pubblicazione, le figurine erano considerate veri e propri oggetti di design, utilizzabili per decorare diari, motorini, ante di armadi, uno dei tanti linguaggi espressivi con cui si esprimeva la cosiddetta ‘Fioruccimania’.  Una vera e propria opera in stile Fiorucci che ebbe uno straordinario successo, con oltre 25 milioni di bustine vendute, pari a 105 milioni di figurine, ed è stato uno dei rari esempi di recupero del ruolo pubblicitario della figurina.

Il percorso espositivo, organizzato in sezioni, ricalca la divisione tematica dell’album. Fiorucci Storypropone alcune delle immagini più iconiche del marchio, dai celebri candidi angioletti elaborati dal grafico Italo Lupi nel 1970, alle sfrontate e provocanti campagne pubblicitarie incentrate sulla nudità del corpo femminile concepita da fotografi e grafici come Oliviero Toscani e Augusto Vignali. Electronrivela dischi volanti, circuiti, robot, videogames che sembrano fuoriusciti dal canale televisivo MTV;Pin Up propone gli stereotipi di donne sensuali e ammiccanti “made in USA”; Dance è un compendio della storia del ballo; Romance è incentrato sull’amore e la passione, con citazioni di vecchi film e fumetti rivisitati in chiave pop; Swim, infine, celebra la vita in spiaggia e i costumi da bagno. La mostra si conclude con una sezione dedicata ai negozi Fiorucci, la cui realizzazione era generalmente affidata a importanti architetti e designer quali Amalia Del Ponte, Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Franco Marabelli e Andrea Branzi. Sono esposti studi e progetti degli spazi e dell’arredamento, nonché alcune fotografie dei punti vendita, tutti provenienti dallo CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma.
La rassegna è arricchita da una selezione di oggetti quali abiti, accessori, scatole in latta e riviste d’epoca concessi in prestito da collezionisti privati.
Catalogo Franco Cosimo Panini.

Completa il percorso, l’installazione di Ludovica Gioscia (Roma, 1977), le cui opere risultano fortemente influenzate dalla cultura e dalla società degli anni ’80. Gli oggetti e i movimenti del periodo, che hanno avuto un impatto indelebile sulla sua formazione, si ripresentano nelle sue sculture e installazioni. Modelli grafici, tessuti, frammenti di diari personali, carte da parati, una serie dei suoiPortals appesi al soffitto e i Mad Lab Coats affiancheranno le figurine e i materiali di Fiorucci per creare un ambiente suggestivo, di forte impatto visivo. Ponendo l’attenzione sul pattern come elemento-chiave della figurazione degli anni ottanta, Ludovica Gioscia sottolinea come l’interesse per la moda e il design non riguardi soltanto la sfera d’espressione creativa ma la dinamica di un mondo industriale consumistico all’interno del quale moda e design dettano qualsiasi codice, da come ci si muove a come ci si rapporta alle cose. Nel 2010 l’artista ha creato l’Archivio Paninaro, al quale si è ispirata per una selezione di documenti archivistici pensati per cogliere legami con l’album Fiorucci e con il periodo storico in cui esso è stato prodotto, e realizzare una sorta diWunderkammer ricca di riferimenti all’immaginario Fiorucci e agli anni in cui esplodeva il fenomeno. Il titolo dell’installazione It’s Everything I’ve Always Wanted, All Plastic è una citazione di Andy Warhol in riferimento al negozio Fiorucci di New York. POP THERAPY è realizzata in collaborazione con Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia – Fondazione Musei Civici di Venezia.

IMMAGINE DI APERTURAFiorucci Stickers, 1984 Panini, Modena Album per la raccolta di 200 figurine Courtesy Comune di Modena, Museo della Figurina – FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE

Ilaria Mannucci – Città Intermedie e strategie di riqualificazione urbana

Da sempre, in quei contesti urbani investiti da forti trasformazioni e sviluppo economico, convivono due ‘tipi’ di città, una formale e una informale. Questo succede oggi nei paesi del terzo mondo che sono investiti da una crescita economica accelerata, a cui non riescono dare risposte immediate. La città informale si insedia nel tessuto urbano in maniera disordinata e abusiva, non permettendo ai suoi abitanti di accedere ai servizi di prima necessità. I confini delle città cambiano a seconda delle epoche storiche e delle necessità economiche contingenti. Accade che gli abitanti di queste due città si incrociano, si sfiorano, si guardano: sono in contatto senza vedersi. Le persone facenti parte della città informale non hanno voce nella vita formale. Queste persone sono solo o un numero, o una statistica, o una pura cronaca giornalistica. Come risposta a tutto ciò ci addentriamo nel tema dell’architettura e dell’inclusione sociale, tentando di trovare una soluzione reale a questo problema.

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San Sperate (CA), Museo del Crudo – Territorios Imaginados

San Sperate (CA), Museo del Crudo
Territorios Imaginados
04 maggio 2019 – 30 giugno 2019

La Biennale Internazionale d’Arte di Cerveira, la più antica del Portogallo e della Penisola Iberica, ha scelto San Sperate, nel Campidano sardo, per la sua prima volta italiana.
Dal 4 maggio al 30 giugno, grazie ad un progetto finanziato dal Ministero della Cultura Portoghese, giungeranno nel “Paese Museo” sardo le opere di 16 artisti lusitani di diverse generazioni, selezionati all’interno della importante Collezione d’arte della Biennale.
A sancire una sorta di gemellaggio artistico, e non solo, tra due piccole realtà lontane geograficamente ma unite dal filo dell’arte come riscatto sociale. San Sperate e Vila Nova de Cerveira, infatti, sono, rispettivamente da 50 e da 40 anni, dei laboratori di sperimentazione artistica e luoghi d’incontro aperti ad artisti di tutto il mondo, con lo scopo di scambiare e diffondere idee. Questa esposizione rappresenta, anzi, un importante passo nella pluriennale collaborazione tra San Sperate e Vila Nova de Cerveira e tra la Biennale e l’Associazione Noarte di San Sperate.

“Vila Nova de Cerveira, il “Villaggio delle Arti”, e San Sperate, il “Paese Museo” – sottolinea João Fernando Brito Nogueira, Presidente della Fondazione lusitana – sono il risultato di comuni denominatori: l’utopia dei promotori, la partecipazione degli artisti, l’entusiasmo della comunità ed il supporto di chi detiene il potere decisionale”. Ad unire le opere dei 16 artisti è la riflessione intorno ad una questione di attualità a livello europeo ma in realtà planetario, quello delle migrazioni. Italia e Portogallo vivono il fenomeno migratorio con sensibilità e con urgenze diverse. E non è un caso che a curare l’esposizione la Biennale abbia scelto Elisa Noronha, una curatrice che, essendo brasiliana residente in Portogallo, vive in prima persona il tema.
Ad essere indagato dai 16 artisti coinvolti è un preciso aspetto del tema emigrazioni, quello della percezione del territorio. Quella che vive chi emigra ma altrettanto quella che esalano le terre abbandonate o esprime chi giunge o invece è radicato nelle terre di arrivo. Portogallo e Sardegna, sono stati e sono terra di partenze e di approdi, lungo una consuetudine più volte millenaria che ha contribuito a forgiare l’identità lusitana altrettanto di quella sarda.
“L’emigrazione – come sottolinea la curatrice della mostra Elia Noronha, è sempre una storia condivisa. Presente in ciascuno e in ciascuna famiglia e in ogni comunità. Coinvolge chi arriva o chi se ne va ma altrettanto chi resta e chi accoglie. Stratifica storia e storie, miti, narrazioni, memorie collettive e individuali. Segna e plasma gli uomini non meno che le terre”.

Ciascuno dei 16 artisti lusitani ha scelto una visione originale, proponendo un racconto suo proprio, cogliendo gli aspetti che per lui risultano essere i più pregnanti. A sortirne è un affresco estremamente composito, assolutamente originale e altrettanto stimolante di visioni e posizioni culturali, di interpretazioni sociali, di approcci ideologici.
È il territorio originale e primordiale, che fa da teatro al racconto migratorio, che viene suggerito dai lavori di Samuel Rama (Scavo # 19, 2008) e Francisco Tropa (Senza Titolo, 2011); i territori ricostruiti, riespressi, ed i territori protetti da una vita in movimento (l’emigrante) sono illustrati da Mário Ambrózio (Senza Titolo, 2009), Ana Maria Pintora (Associazione per la difesa del patrimonio affettivo, 2009), Bartolomeu Cid dos Santos (Benvenuti a Samarra, 2003), Isaque Pinheiro (Taglio e Ritaglio, 2013), Martinho Costa (Senza Titolo. Vecchia Casa a Giesteira, 2018) e Ana Pimentel (Una finestra aperta verso l’orizzonte, 1999); il territorio come fluido sociale e permanente, contenuto da limiti e confini, viene messo in evidenza dai lavori di Carlos Casteleira (Minho, 2015) e Os Espacialistas (Frontiera, 2013 -iniziativa importante-); il territorio come risultato della costruzione del sapere, memoria e informazioni raccolte, e’ proposto da Inês Norton (Archivilizzazione, 2017); concludiamo con il territorio come spazio per l’iscrizione dell’identita’, “Io” e “l’Altro”, “Autoctono” e “Intruso” soggettivamente appropriate a simbolo di appartenenza, e come metodo per la conservazione di un’identita’ collettiva/territoriale da un punto di vista estetico, espresso attraverso i lavori di Antonio Barros (Es patriare, 1999-2012), Helia Aluai (Io e Lui, 2011), Henrique Neves & Michael Langan (La Signora Gaia, 2014), e Lauren Maganete (Semplicemente Camminando IV , 2013). Nel corso della mostra il direttore artistico della Biennale, Prof. Cabral Pinto, realizzerà un nuovo grande murale nello spazio pubblico, insieme ad altri artisti portoghesi e sardi.

IMMAGINE DI APERTURAOs Espacialistas 2

Ferruccio de Bortoli – Ci salveremo

Ci salveremo? O l’Italia rischia di precipitare in una nuova crisi finanziaria, nel baratro della recessione? Rispondendo a queste domande, Ferruccio de Bortoli ci parla dei costi della deriva populista che stiamo vivendo e mette in luce le colpe e le ambiguità delle élite, della classe dirigente, dei media. Eppure il Paese è migliore dell’immagine che proietta il suo governo: ha un grande capitale sociale, un volontariato diffuso, tantissime eccellenze.

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Michele Emmer: La fantastica storia delle bolle di sapone

Perugia, GNU – Galleria Nazionale dell’Umbria
Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza
Mostra a cura di Michele Emmer e Marco Pierini
Dal 16 marzo al 9 giugno 2019
Website ufficiale

Sono sempre esistite le bolle di sapone? Hanno una storia tra arte, letteratura, architettura, scienza? Se ne sono occupati in tanti delle bolle e delle lamine di sapone? La risposta è gioiosamente SÌ!!!!
Abbi divertimento sulla terra e sul mare
Infelice è il diventare famoso!
Ricchezze, onori, false illusioni di questo mondo,
Tutto non è che bolle di sapone.


Il 9 dicembre 1992 il fisico francese Pierre-Gilles de Gennes, professore al Collège de France, dopo il conferimento del premio Nobel per la fisica terminava la sua conferenza a Stoccolma con questa poesia, aggiungendo che nessuna conclusione gli sembrava più appropriata. La poesia compare come chiosa di una incisione del 1758 di Jean Daullé dall’opera andata perduta di François Boucher La souffleuse de savon.
La sua conferenza era tutta dedicata alla Soft Matter, o “materia soffice”, e uno degli argomenti riguardava proprio le bolle di sapone, che “sono la delizia dei nostri bambini”. Una riproduzione dell’incisione compare ad illustrare l’articolo.
Ma è giustificato un tale interesse per questi oggetti belli, colorati ma fragili, eterei, un soffio e nulla più? Ebbene, le bolle di sapone sono uno degli argomenti più interessanti in molti settori della ricerca scientifica – dalla matematica alla chimica, dalla fisica alla biologia. Ma non solo, anche nell’architettura e nell’arte, per non parlare del design e persino della pubblicità. Una storia che ha avuto inizio molti secoli fa e che continua tuttora.

Arte e scienza: una storia parallela
La storia delle bolle di sapone molto probabilmente inizia con la lenta diffusione del sapone in Europa e con il grande interesse che le bolle di sapone, effetto collaterale della diffusione del sapone, suscitano nei bambini a partire dalle regioni del Nord dell’Europa, Olanda e Germania soprattutto. Nel XVI e ancor più nel XVII secolo giocare alle bolle di sapone doveva essere un passatempo diffusissimo tra i bambini, come attestano le centinaia di dipinti e incisioni sul tema delle bolle, anche se in molte delle opere d’arte è il tema della bolla come simbolo della fragilità e della vanità delle ambizioni umane ad attirare l’attenzione degli artisti.
È molto probabile che siano proprio la grande diffusione del gioco delle bolle di sapone da un lato e il grande interesse degli artisti dell’epoca dall’altro a spingere anche gli scienziati a porsi delle domande a proposito delle lamine di sapone. Primo fra tutti Isaac Newton: Newton il quale occupato al tavolino nelle sue scoperte di ottica, rivoltosi, per accidente vede un fanciullo che fa le bolle di sapone, e in quella osserva apparso, non senza sorpresa, il fenomeno dei colori per la rifrazione de’ raggi. Una donna che potrebbe supporsi la sorella di Newton si trattiene col giovinetto reggendogli il recipiente d’acqua e sorridendo a quel giovane infante. Parole scritte dal conte Paolo Tosio di Brescia in una lettera del 13 settembre 1824 al pittore Pelagio Palagi per indicargli con esattezza quali dovevano essere il tema e i personaggi del dipinto che gli aveva commissionato: Newton che scopre il fenomeno del colore sulle lamine di sapone. Parole scritte molti anni dopo le ricerche di Newton, ma che raccontano di una scena altamente plausibile.
Alla fine degli anni sessanta del XVII secolo Newton inizia a occuparsi di ottica: nel 1666 scrive il lavoro Of Colours, quindi le Optical Lectures (“Lezioni di ottica”) del 1669-1671, pubblicate solo nel 1728, e New Theory of light and colours nel 1672. Durante questo periodo studiò la rifrazione della luce dimostrando che un prisma può scomporre la luce bianca in uno spettro di colori, e quindi una lente e un secondo prisma possono ricomporre lo spettro in luce bianca.
Nel 1671 la Royal Society lo chiamò perché tenesse una dimostrazione del suo telescopio riflettore. L’interesse suscitato lo incoraggiò a pubblicare le note sulla teoria dei colori che più tardi arricchì nel suo lavoro Opticks del 1704. Quando Robert Hooke criticò alcune delle sue idee, Newton ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico e i due rimasero nemici fino alla morte del primo.

Nel 1672 lo scienziato inglese Hooke aveva presentato alla Royal Society una nota, riportata da Birch nella History of the Royal Society del 1757. Scriveva Hooke che con una soluzione di sapone vennero soffiate numerose piccole bolle mediante un tubicino di vetro. Si poté osservare facilmente che all’inizio dell’insuflazione di ciascuna di esse, la lamina liquida sferica che imprigionava un globo d’aria era bianca e limpida, senza la minima colorazione; ma dopo un poco, mentre la lamina si andava gradualmente assottigliando, si videro comparire sulla sua superficie tutte le varietà di colori che si possono osservare nell’arcobaleno.

Il colore era sicuramente uno dei motivi principali dell’interesse del gioco e del fascino che le bolle di sapone hanno esercitato sugli artisti dell’epoca; anche se la difficoltà di rendere con i pennelli il curioso effetto che si manifestava sulla superficie saponosa era abbastanza complicato, tant’è che in quasi tutti i dipinti le bolle di sapone appaiono pressoché trasparenti.
Isaac Newton nella sua Opticks descrive in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate. Nel secondo volume annota le sue osservazioni sulle bolle di sapone: Oss. 17. Se si forma una bolla con dell’acqua resa prima più viscosa sciogliendovi un poco di sapone, è molto facile osservare che dopo un po’ sulla sua superficie apparirà una grande varietà di colori. Per impedire che le bolle vengano agitate troppo dall’aria esterna (con il risultato che i colori si mescolerebbero irregolarmente impedendo una accurata osservazione), immediatamente dopo averne formata una, la coprivo con un vetro trasparente, ed in questo modo i suoi colori si disponevano secondo un ordine molto regolare, come tanti anelli concentrici a partire dalla parte alta della bolla. Via via che la bolla diventava più sottile per la continua diminuzione dell’acqua contenuta, tali anelli si dilatavano lentamente e ricoprivano tutta la bolla, scendendo verso la parte bassa ove infine sparivano. Allo stesso tempo, dopo che tutti i colori erano comparsi nella parte più alta, si formava al centro degli anelli una piccola macchia nera rotonda che continuava a dilatarsi.

Alla fine della successiva Osservazione 18, aggiunge: “Nel frattempo nella parte alta che era di un blu scuro, e appariva anche cosparsa di molte macchie blu più scure che altrove, comparivano una o più macchie nere e tra queste altre macchie di un nero più intenso […] e queste si dilatavano progressivamente fino a che la bolla si rompeva […]. Da questa descrizione si può dedurre che tali colori compaiono quando la bolla è più spessa”.
Oss. 18. Si sa comunemente che soffiando in una saponata leggera e producendo una bolla, questa dopo un certo tempo comparisce circondata da vari colori […] il che permetteva ai colori di presentarsi sufficientemente ordinati, cingenti come tanti anelli concentrici la sommità della bolla.
Poi a misura che l’acqua, calando continuamente in basso, rendeva la bolla sempre più sottile, questi anelli adagio adagio si allargavano e si distendevano su tutta la bolla.
Intanto dopo che tutti i colori si erano manifestati nell’alto della bolla, nasceva al centro degli anelli una piccola macchia nera rotonda.

Il fenomeno che Newton aveva osservato è noto con il nome di interferenza e avviene quando lo spessore delle lamine è paragonabile alla lunghezza d’onda della luce visibile. È causato dal fatto che, nel liquido saponato, i diversi colori che compongono la luce solare si muovono con velocità differenti.

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SCHEDA DELLA MOSTRA
Perugia, GNU – Galleria Nazionale dell’Umbria
Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza
Mostra a cura di Michele Emmer e Marco Pierini

IMMAGINE DI APERTURAPelagio Palagi, Newton scopre la teoria della rifrazione della luce, 1827, olio su tela, cm 170 x 220, Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia

Perugia, GNU: Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza

Perugia, GNU – Galleria Nazionale dell’Umbria
Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza
Mostra a cura di Michele Emmer e Marco Pierini
Dal 16 marzo al 9 giugno 2019
Website ufficiale

Man Ray, Lee Miller Blowing Bubbles, Lee Miller Archives, Essex (UK)

La rassegna propone un excursus sulla nascita dell’interesse artistico, scientifico, culturale delle bolle e delle lamine di acqua saponata.
Il percorso espositivo presenta capolavori di artisti quali Fra Galgario, Jan Bruegel il Giovane, Karel Dujardin, Man Ray, Max Beckmann, Giulio Paolini e altri, provenienti dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali, come la National Gallery di Londra e la National Gallery di Washington.

Simbolo della fragilità, della caducità delle ambizioni umane, della vita stessa, fin dal Cinquecento, le bolle di sapone hanno affascinato generazioni di artisti per quei giochi di colore che si muovono sulle superfici saponose, per la loro lucentezza, per la loro leggerezza. La Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, dal 16 marzo al 9 giugno 2019, affronta per la prima volta in una mostra dedicata, questa tematica tradizionalmente correlata al genere artistico della natura morta e della vanitas.

L’esposizione, dal titolo Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra Vanitas, arte e scienza, curata da Michele Emmer, già professore ordinario di Matematica all’Università Sapienza di Roma e da Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, si presenta come un’iniziativa interdisciplinare che, parallelamente al percorso storico artistico, racconta la nascita dell’interesse scientifico, fisico e matematico delle lamine saponate, modelli di una geometria delle forme molto stabili. Il percorso si compone di circa 60 opere che coprono un lungo arco di tempo che va dal Cinquecento alla contemporaneità, di autori quali Jean Siméon Chardin, Fra Galgario, Jan Bruegel il Giovane, Gerrit Dou, Karel Dujardin, concesse in prestito dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali, tra cui il Museo Statale dell’Hermitage di San Pietroburgo, la Galleria degli Uffizi di Firenze, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington e si apre con alcune opere allegoriche legate al tema della Vanitas. La prima sezione racconta inoltre della nascita di questa iconografia, sottolineando l’influenza che i lavori di Hendrick Goltzius hanno avuto nell’arte olandese del XVI e XVII secolo.

La rassegna continua proponendo una panoramica esaustiva del tema che arriva fino al Novecento con lavori di artisti quali Man Ray, Max Beckmann, Giulio Paolini, fino a giungere alla sua trattazione nell’ambito dell’architettura contemporanea, con la maquette del Water Cube, la piscina olimpionica di Pechino progettata dallo studio australiano PTW Architects, con il quale hanno collaborato China State Construction Engineering Corp e Arup Ltd.La mostra presenta, inoltre, una sezione dedicata a stampe e incisioni, fotografie, nonché locandine e manifesti pubblicitari. Importanti in questo senso sono le affiche provenienti dalla Collezione Salce di Treviso, che illustrano la grande fortuna di questo soggetto a scopi pubblicitari per la vendita di prodotti legati soprattutto alla cura della persona, a partire dal celebre esempio del manifesto del sapone Pears, rielaborato a partire dal dipinto Soap Bubbles, del pittore e illustratore britannico John Everett Millais (1829-1896).

Parallelamente al percorso artistico, l’esposizione documenta il fondamentale ruolo giocato dalle bolle di sapone nelle ricerche settecentesche sulla rifrazione della luce e sui colori, fino a quelle successive circa le teorie sulle superfici minime o sulle forme di aggregazione organica della materia. A partire dal libro di Isaac Newton, Opticks, or a Treatise of the Reflections, Refractions, Inflections and Colours of Light, del 1706, proveniente dalla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, nel quale il fisico inglese descrive in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate, per arrivare alle attuali sperimentazioni attraverso l’ausilio della computer grafica, la rassegna evidenzia l’importanza che le bolle hanno rivestito in tutta la scienza contemporanea, e come queste ultime scoperte, a loro volta, continuino a ispirare artisti e architetti contemporanei nelle loro creazioni.

Accompagnano l’esposizione un catalogo scientifico edito da Silvana Editoriale e un libro per bambini edito da Aguaplano Libri con testi di Michele Emmer e illustrato da Francesca Greco. Perché soffiare bolle di sapone è da sempre un divertimento: alcune sono piccole, altre più grandi, altre grandissime; alle volte due o più si attaccano insieme e allora si ottengono delle forme non più sferiche ma molto più complesse. Se c’è il vento volano lontano, altrimenti ondeggiano nell’aria e restano come sospese. Se c’è il sole e le si guarda in trasparenza, si possono vedere i colori dell’iride che si muovono sulle superfici saponate.

In questa ottica una serie di eventi collaterali, come spettacoli e performance dal vivo di vario genere sul tema delle bolle; talk, visite guidate, proiezioni, laboratori didattici per adulti e bambini e conferenze scandiranno tutto il periodo delle bolle in Galleria. L’ispirazione per la mostra giunge dal testo di Michele Emmer pubblicato nel 2010, Bolle di sapone tra arte e matematica (Bollati Boringhieri), in cui vengono esplorate le interrelazioni con la matematica, la pittura, la fisica e l’architettura. L’importante saggio, summa del lavoro di ricerca di tutta una vita, ha vinto il Premio Viareggio 2010 per la sezione saggistica. Una storia esemplare dei legami tra arte e scienza che tocca tutta l’Europa e che riempie di meraviglia per un’evoluzione inaspettata. Grandi artisti, grandi scienziati, grandi architetti, tutti affascinati dalle forme delle bolle e delle lamine di sapone.

La mostra è inserita tra i progetti Art Bonus della Galleria Nazionale dell’Umbria per l’anno 2019, trovando un generoso e fondamentale sostegno nella Famiglia Campanile, fondatrice di una delle più importanti realtà industriali del territorio, la SACI Industrie S.p.A. Con una storia quasi centenaria, SACI oggi è uno dei principali attori internazionali nel settore della detergenza domestica e professionale. Fortemente legati al territorio e attivi nella vita culturale della città, Antonio Campanile con i figli Filippo, Alessandro e Lorenzo Campanile hanno sostenuto con convinzione la realizzazione di questa mostra il cui tema conduttore ben si sposa con l’attività manifatturiera in cui SACI Industrie è specializzata.  

IMMAGINE DI APERTURACharles Amedée Philippe Van Loo, Soap Bubbles, 1764, oil on canvas, 88.6 x 88.5 cm, National Gallery Washington

MICHELE EMMER Curatore della mostra
La fantastica storia delle bolle di sapone 
(Dal catalogo Silvana Editoriale)