Le Ceramiche della provincia di Reggio Calabria: dall’argilla splendidi capolavori

La produzione di ceramiche artistiche nella provincia di Reggio Calabria e, più in generale, nell’intera Regione, costituisce una delle tradizioni locali più antiche e fiorenti; grazie alla tenacia di abili maestri ceramisti, da un lato, e all’intraprendenza di giovani capaci, dall’altro, è giunto, sino ai nostri giorni, uno di quegli antichi mestieri le cui origini, tecniche e tradizioni, tramandate di padre in figlio, risalgono ad un lontano passato. Più in generale, i primi manufatti in terracotta derivano dal periodo neolitico e sono stati rinvenuti in Giappone; altri antichi centri di lavorazione dell’argilla sono stati la Siria, la Mesopotamia, la Cina e l’antica Grecia. Com’è facilmente intuibile, quest’ultima zona geografica ha prodotto una notevole influenza su tutto il bacino del Mediterraneo, compresa la Calabria.

In Calabria, i principali centri di produzione artigianale della ceramica ricadono nella provincia di Reggio Calabria ed, in particolare, nei comuni di Seminara, Gerace, Bagnara Calabra e nei territori limitrofi, nonché nel comune capoluogo. La produzione tradizionale si ritrova anche nei comuni di Squillace (Cosenza) e Gerocarne (Vibo Valentia). E’ importante evidenziare che la maggior parte dei ceramisti calabresi, grazie all’apprezzamento e alla preservazione delle antiche tecniche di lavorazione della ceramica, è riuscita a perpetrare un’arte particolare e tipica, caratterizzata da numerosi manufatti di gusto popolare, apprezzati e spesso investiti da una serie di simbolismi e ritualità.

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LE CERAMICHE DELLA PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA

 

Reggio Emilia: Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi

Reggio Emilia
Fotografia europea 2019 XIV edizione
Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi
Dal 12 aprile al 9 giugno
Website: www.fotografiaeuropea.it

Horst P. Horst, Lisa Fonnsagrives-Penn, Vogue, June 1940

Tra le iniziative di maggior interesse, le antologiche di Horst P. Horst e di Larry Fink, il focus sul Giappone, paese ospite di quest’anno, le personali di maestri italiani quali Vincenzo Castella, Francesco Jodice, Giovanni Chiaramonte, e molto altro.

Giornate inaugurali 12-13-14 aprile 2019
La primavera della fotografia torna a mostrare i suoi colori e le sue forme più brillanti.

Dal 12 aprile al 9 giugno 2019, Reggio Emilia ospita la XIV edizione di FOTOGRAFIA EUROPEA, il festival promosso e organizzato dalla Fondazione Palazzo Magnani insieme al Comune di Reggio Emilia e alla Regione Emilia-Romagna, con il sostegno del Ministero per i beni e le attività culturali, che esplora tutti gli ambiti della disciplina che meglio interpreta la complessità della società contemporanea. Mostre, conferenze, spettacoli, workshop saranno gli ingredienti del programma, mai così ricco, di Fotografia Europea, animati da protagonisti della fotografia, della cultura e del sapere, ospitati nelle principali istituzioni culturali e spazi espositivi della città. Ideata dal Comitato Scientifico della Fondazione Palazzo Magnani – composto da Marco Belpoliti, Vanni Codeluppi, Marina Dacci, Marzia Faietti, Walter Guadagnini, Gerhard Wolf – sotto la direzione artistica di Walter Guadagnini, FOTOGRAFIA EUROPEA 2019 sarà declinata sul tema LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi, che unirà con un ideale filo rosso tutte le esposizioni che compongono il programma.

Tra le centinaia di opere esposte – afferma il direttore del Festival, Walter Guadagnini – anche quest’anno a “Fotografia Europea”, ce n’è una che sintetizza tutti i temi di questa edizione: è un video realizzato in Giappone da una giovane artista francese, e vede il dialogo muto tra il corpo di un ballerino e un robot, che si muovono insieme, confrontando le loro diversità. Ecco, “Fotografia Europea” mette in scena i rapporti tra le persone, tra le culture, tra i saperi, dal punto di vista individuale e da quello collettivo, da quello privato a quello pubblico. Attraverso antologiche di grandi maestri del passato come Horst P. Horst, del presente come Larry Fink, attraverso mostre di maestri italiani come Vincenzo Castella e Francesco Jodice e di tantissimi rappresentanti delle generazioni più giovani, vogliamo scoprire i legami profondi tra le persone, ma anche tra la fotografia e il mondo”.

Anche per quest’anno, FOTOGRAFIA EUROPEA può contare sulla collaborazione della Regione Emilia-Romagna e di una consolidata rete nazionale sempre più forte di sinergie che hanno portato Reggio Emilia a dialogare con le più importanti istituzioni culturali della regione, come la Fondazione MAST di Bologna, il CSAC dell’Università di Parma, la Collezione Maramotti di Reggio Emilia, la Fondazione Modena Arti Visive, cui si uniscono il MAR – Museo d’Arte della città e l’Osservatorio Fotografico di Ravenna e Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea di Rubiera (RE). FOTOGRAFIA EUROPEA è inoltre parte della rete denominata SISTEMA FESTIVAL FOTOGRAFIA che riunisce, oltre al festival reggiano, anche Photolux Festival di Lucca, Cortona On The Move, Festival della Fotografia Etica di Lodi e SI FEST di Savignano sul Rubicone, nello sviluppo di iniziative comuni, committenze fotografiche e molto altro. Paese ospite dell’edizione 2019 sarà il Giappone. Il festival ha ottenuto il patrocinio dell’Istituto Giapponese di Cultura di Roma e lavorerà in collaborazione con la Fondazione Italia Giappone. Entrambe le istituzioni hanno abbracciato la manifestazione ritenendola occasione importante di diffusione della cultura giapponese in Italia.

ELENCO MOSTRE

IMMAGINE DI APERTURAPixy Liao, It’s never been easy to carry you, 2013.

Luca Mazzucchelli – Il segreto per cambiare gli altri

Ascoltiamo l’intervento di Luca Mazzucchelli, vicepresidente dell’Ordine Psicologi della Lombardia, Direttore della rivista “Psicologia Contemporanea”, psicologo e psicoterapeuta. Mazzucchelli ha fondato il Canale Youtube “Parliamo di Psicologia”, che è partner ufficiale di YouTube, e ha dato vita assieme ai colleghi dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia alla “Casa della Psicologia”, che ha sede in Piazza Castello a Milano ed un importante punto di incontro tra la psicologia e i non addetti ai lavori.

IMMAGINE DI APERTURA

Giovanni Molonia: Amore ed ossequio di Messina di Nicolò Maria Sclavo (1701)

In occasione del Maggio dei libri 2019, sarà presentato martedì 28 maggio, nella sala Palumbo del Palacultura di Messina, l’ultimo lavoro di Giovanni Molonia, storico, che nel corso della propria vita con grande dedizione ed amore ha raccolto le memorie di una città meritevole di essere annoverata fra le grandi capitali meridionali. Il libro di cui Molonia, recentemente scomparso, ha curato la ristampa anastatica, per i tipi della Di Nicolò edizioni, arricchisce le importanti collezioni librarie dell’Archivio Storico del Comune di cui lo studioso era consulente. Il prezioso volumetto opera di Nicolò Maria Sclavo s’intitola: Amore ed ossequio di Messina in solennizzare l’acclamazione di Filippo Quinto Borbone gran monarca delle Spagne e delle Due Sicilie. Descritti e presentati a Sua Cattolica Maesta da Nicolo Maria Schiavo protopapa del clero greco di Messina, Messina, Vincenzo D’Amico, 1701. Alla presentazione interverranno gli studiosi: Gioacchino Barbera, Carmelo Micalizzi, Tommaso Manfredi, Grazia Musolino.

Verona: Etiopia. La bellezza rivelata. Sulle orme degli antichi esploratori.

Verona, Museo Civico di Storia Naturale
Etiopia. La bellezza rivelata. Sulle orme degli antichi esploratori
A cura di Carlo Franchini e Leonardo Latella
4 marzo – 30 giugno 2019

“La bellezza rivelata” al Museo di Storia Naturale di Verona dal 24 marzo al 30 giugno, è una mostra che conduce il visitatore sulle tracce degli esploratori che nei secoli scorsi hanno percorso i paesaggi di fantastica suggestione e descritto gli animali di grande bellezza, nella terra che fu della Regina di Saba, l’Etiopia.
Quasi un viaggio immaginario percorso al fianco di alcuni degli studiosi ed esploratori che maggiormente hanno contribuito alla conoscenza di quella terra, accompagnati dagli animali che la popolano e dagli antichi oggetti delle sue genti. Cercando di far rivivere al visitatore il sentimento di meraviglia che spesso traspare dalle pagine che ci hanno lasciato.
Partendo dalle descrizioni contenute in alcune loro opere librarie, le cui edizioni – spesso di gran pregio – sono conservate presso la Biblioteca della Società Geografica, la ricchezza ambientale e culturale dell’Etiopia sarà evocata dagli oggetti della collezione etnoantropologica del Museo di Storia Naturale di Verona e dalle suggestive fotografie e video di Carlo e Marcella Franchini. La ricchezza naturalistica e l’esclusività della fauna etiopica sarà poi raccontata dagli animali delle collezioni del Museo di Verona.

La molteplicità dei documenti, degli esemplari, degli oggetti e delle immagini in mostra consentono di apprezzare la ricchezza rappresentata dagli ambienti naturali e dalle culture del Paese e le sue antiche radici.
L’Etiopia è un crogiolo di realtà, ciascuna unica ma tutte collegate. A partire dalla varietà ambientale caratterizzata da sbalzi altitudinali spesso estremi: si può passare – spesso rapidamente – dalle regioni di bassopiano o dalla depressione dell’Afar, che supera i 100 metri sotto il livello del mare, agli oltre 2.000 metri dell’altopiano, con i picchi del Semien, nel Nord, che toccano i 4.550 metri.

Alle differenze di altitudine si associa un regime climatico monsonico, ad accentuata stagionalità. Questa combinazione crea nicchie ecologiche che spiegano l’estrema varietà ambientale, di fauna e di flora nell’arco di distanze anche limitate. Ambienti tanto diversi hanno favorito sistemi economici diversi tra loro e una straordinaria varietà culturale. La differenziata distribuzione delle risorse ha inoltre da sempre favorito anche gli spostamenti stagionali e l’interazione tra le diverse popolazioni, che spesso dipendono strettamente le une dalle altre, avendo sviluppato sistemi economici complementari e sinergici. La bellezza dell’Etiopia, ambientale e culturale, risiede proprio in questa estrema differenziazione e nella connessa unitarietà che al di là di essa si coglie.

L’Etiopia è stata la culla dell’umanità grazie all’abbondanza di risorse minerali, animali e vegetali. La regione ha dunque rivestito un ruolo centrale nelle reti di scambio sulle lunghe distanze, fornendo per secoli avorio, resine aromatiche, ebano e oro al resto del mondo antico. Per tale ragione, questo Paese e le altre regioni del Mar Rosso meridionale erano al centro dell’interesse e dell’immaginario degli antichi, essendo spesso dipinte come terre amate e frequentate dagli dei.
Dopo alcuni secoli di oblio, in cui solo rare eco della regione e delle sue genti giungevano in Europa – trasfigurate per lo più nelle descrizioni del favoloso e potente regno del Prete Gianni – lo scrigno delle bellezze etiopiche si è nuovamente e gradualmente dischiuso a partire dal XVI secolo. Inizia allora l’epoca dei viaggiatori e in seguito degli esploratori, che rappresentano, di fatto, anche la base per la conoscenza scientifica dell’Etiopia documentata e raccontata in questa mostra.

“Etiopia. La Bellezza rivelata. Sulle orme degli antichi esploratori” è una mostra Organizzata da Carlo e Marcella Franchini (Caluma) e dal Museo di Storia Naturale di Verona in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, la Società Geografica Italiana, l’Istituto Italiano di Cultura Addis Abeba, l’Ambasciata d’Etiopia a Roma e l’Università di Addis Abeba.

IMMAGINE DI APERTURAEtiopia, Valle dell’Omo: villaggio di Kolcho: giovane Karo. Foto di Carlo Franchini

Rachele Bindi – I libri che fanno la felicità

Durante una seduta di libroterapia non si abbracciano libri come alberi, né si sciolgono pezzetti di romanzo in un bicchiere d’acqua. Anche se ha molto a che vedere con la psicoterapia e con la ricerca dell’equilibrio interiore, la libroterapia si può fare comodamente seduti sul divano in salotto, o a letto prima di dormire. Rachele Bindi ci guida su un cammino letterario che conduce, passo dopo passo e una domanda dopo l’altra, a quelle verità profonde e durature che sono l’ingrediente indispensabile per una vita felice. 

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Nicola Sorrentino – Acqua da mangiare

Il libro si propone di esplorare e spiegare le più recenti e importanti ricerche sul tema dell’acqua per la salute, specifiche per ogni esigenza, e propone una nuova dieta dell’acqua, un programma di 30 giorni corredato di 30 ricette, che propone una nuova avventura alimentare. Seguendo le indicazioni della dieta, potrete disintossicarvi, dimagrire e migliorare la vostra forma. 

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Genova, Palazzo Ducale – Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica

Genova, Palazzo Ducale
Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica
30 marzo – 7 luglio 2019

Giorgio de Chirico, Ritratto della madre, 1911, olio su tela, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, © Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma © Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

Dopo 25 anni, il Pictor Optimus torna a Genova, con una mostra che presenta 100 opere, realizzate nel corso della sua intera carriera

Dopo 25 anni dall’ultima mostra, Giorgio de Chirico torna a Genova.

Dal 30 marzo al 7 luglio 2019, le sale dell’appartamento del Doge di Palazzo Ducale accolgono l’esposizione Giorgio de Chirico. Il volto della Metafisica, prodotta e organizzata da ViDi, in collaborazione con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico. La mostra, curata da Victoria Noel-Johnson, presenta 100 opere, realizzate dal Pictor Optimus nell’arco della sua intera carriera, provenienti da importanti istituzioni e musei, come la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico (Roma), la Galleria Nazionale d’Arte Moderna (Roma), il MART (Rovereto), la Galleria d’Arte Moderna (Palazzo Pitti, Firenze), la Collezione Banca d’Italia, la Fondazione Museo Alberto Sordi (Roma), la Casa-museo Boschi Di Stefano (Milano), il Museo Luigi Bellini (Firenze), il Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi (Belluno), nonché da prestigiose collezioni private.

La rassegna propone una revisione critica della complessa attività dell’artista, a cento anni dalla decisione (1919) del Maestro di prendere una diversa direzione dalla pittura Metafisica (1910-1918) a favore di stili e tecniche ispirati al Classicismo e ai grandi maestri del passato. In linea con la posizione che de Chirico ha sempre sostenuto, la mostra evidenzia non un distacco, ma un’evoluzione sempre più sofisticata. “Come i frutti autunnali – spiega lo stesso de Chirico alle fine del 1918 – siamo ormai maturi per la nuova metafisica […]. Siamo esploratori pronti per altre partenze”.

“L’esposizione – afferma la curatrice, Victoria Noel-Johnson – intende promuovere l’interpretazione di una metafisica continua – sostenuta anche dallo studioso Maurizio Calvesi – laddove l’intero corpus dechirichiano – nonostante le variazioni di stile, tecnica, soggetto, composizione e tonalità di colore – è da considerarsi metafisico. Influenzate dalla filosofia del tardo Ottocento, ed in particolar modo da Nietzsche, le opere di de Chirico esplorano il capovolgimento del tempo e dello spazio, con prospettive ed ombre illogiche, utilizzando spesso il dépaysement, giustapposizioni senza senso di oggetti comuni in ambienti inaspettati, tipiche dechirichiane. È un mondo enigmatico che trasforma la nostra quotidianità e la banalità delle cose in rivelazione, portandoci a scoprire il lato metafisico di ciò che il filosofo-poeta de Chirico offre allo spettatore”.

“Nella stessa maniera – continua Victoria Noel-Johnson – le sue opere dal 1919 in poi – sia ritratti e nudi sia nature morte e paesaggi – non solo rappresentano i frutti della sua ricerca sulla tecnica pittorica, ma costituiscono anche uno sviluppo notevole della sua interpretazione della metafisica. Le sue copie delle opere degli antichi, nonché la presenza di appropriazioni e rimandi a quelle dei grandi maestri del passato e ad altre sue stesse opere in un’esplorazione ininterrotta del tempo ciclico dove il passato e il presente coesistono sullo stesso piano in una sorta di eterno ritorno nietzschiano. Scrivendo a Guillaume Apollinaire nel 1916, de Chirico racconta come il filosofo greco Eraclito ci insegna che il tempo non esiste e sulla grande curva dell’eternità il passato è uguale all’avvenire. L’obiettivo della mostra è portare avanti tale concetto, avvalendosi di una struttura divisa per temi piuttosto secondo un ordine cronologico”.

La rassegna si apre con una selezione di lavori che introduce il tema del viaggio e del ritorno, metafora per la scoperta della metafisica “multidimensionale” secondo la lettura di de Chirico. Sono esposte opere che dialogano anche con la teoria nietzschiana dell’eterno ritorno, come L’ebreo errante (1917), Ulisse (Autoritratto) del 1922, Ritorno di Ulisse (1968), Il figliuol prodigo del 1974 e del 1975.

Lo spettatore entra poi nel mondo degli esterni metafisici, uno dei temi più riconoscibili della sua arte, come i panorami urbani (le piazze d’Italia, le torri), e i bagni misteriosi, qui raccontati attraverso le illustrazioni realizzate per Mythologie di Jean Cocteau del 1934.

Sono quindi esplorate le figure che frequentemente popolano le sue opere, dagli anni dieci agli anni settanta, quali i trovatori-manichini, i personaggi mitologici come Diana, Mercurio, Ettore ed Andromaca, le muse inquietanti e gli archeologi. A queste si aggiungono i disegni illustrativi per il libro di Massimo Bontempelli Siepe a nordovest (1922).

A Genova, saranno anche in mostra i diversi approcci sul tema degli interni metafisici che risalgono al suo soggiorno ferrarese durante la prima guerra mondiale e che furono oggetto di un successivo sviluppo; tra questi, quadri e disegni con un assortimento di costruzioni architettoniche e geometriche, frammenti di antichità, templi, quadri e altri oggetti inaspettati.

La mostra prosegue con l’analisi del tema della natura metafisica, con nature morte o vite silenti (come de Chirico preferì definirle a partire dal 1942), come Il dolce siciliano (1919), Mandarini su un ramo (1922-23), Natura morta (1930) e Corazze con cavaliere (natura morta ariostea) del 1940, nonché una selezione di cavalli in riva al mare ed i paesaggi neobarocchi.

La rassegna si chiude con la sezione La metafisica incontra la tradizionecon vari ritratti figurativi che contengono chiari riferimenti alla ritrattistica quattrocentesca e cinquecentesca – quale Ritratto della madre (1911) e La signora Gartzen (1913) – ma anche autoritratti di de Chirico in abiti del Seicento ispirati alle opere di Rubens e Velázquez. Sono inoltre presenti copie e libere interpretazioni di opere dei grandi maestri quali Dürer, Watteau, Courbet e Renoir, e di grandi artisti italiani: La gravida da Raffaello (1920) e Testa di fanciulla da Perugino (1921).

Accompagna la mostra un catalogo Skira, con testi della curatrice, di Simona Bartolena, Fabio Benzi, Daniela Ferrari e Ara H. Merjian.

IMMAGINE DI APERTURAGiorgio de Chirico, Le muse inquietanti, fine anni cinquanta, olio su tela, cm. 97 x 66, collezione Roberto Casamonti, Firenze, courtesy Tornabuoni Arte, Firenze

I Pupi Siciliani: in scena le gesta dei grandi eroi medievali

L’Opera dei Pupi siciliana (Opra) è uno spettacolo caratteristico teatrale in cui le marionette, animate dai “pupari”, rappresentano le gesta dei più grandi eroi medievali che lottarono per la cristianità contro i saraceni. In particolare, il tema più ricorrente dell’Opra fu lo scontro fra i paladini di Carlo Magno e i guerrieri musulmani che, occupata la penisola iberica, rappresentavano una vera minaccia per il regno franco e per l’intera Europa cristiana. Secondo la tradizione storiografica il teatro delle marionette a soggetto cavalleresco, era già noto in Spagna nel 500, fu introdotto in Francia nel XVII sec. e diffuso in Italia (Sicilia) dalla città di Napoli nei primi decenni dell’800. Nell’isola, esso acquisì rapidamente caratteristiche specifiche che fecero ben distinguere l’Opera dei Pupi dalla generica arte delle marionette. I Pupi siciliani vennero infatti rivestiti con elaborate armature di metallo ed il filo direzionale della mano destra fu sostituito da un’asta di ferro, più adatta a far compiere alla marionetta movimenti diretti e precisi, specialmente durante i combattimenti e i duelli.

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I PUPI SICILIANI

Conegliano (Treviso) Palazzo Sarcinelli – I Ciardi. Paesaggi e giardini

Conegliano (Treviso) Palazzo Sarcinelli
I Ciardi. Paesaggi e giardini
a cura di Giandomenico Romanelli con Franca Lugato e Stefano Zampieri
Dal 16 Febbraio 2019 al 23 Giugno 2019

Gugliemo Ciardi, Mattino alpestre (Sorapis), 1894 circa, Olio su tela, 150 X 300 cm
Venezia, Istituto Veneto di SS.LL.AA. – V.I.C.

Dal 16 febbraio al 23 giugno 2019 si apre la nuova stagione espositiva di Palazzo Sarcinelli con la mostra, promossa dal Comune di Conegliano e da Civita Tre Venezie, I Ciardi. Paesaggi e giardini, secondo appuntamento del ciclo dedicato al paesaggio nella pittura veneta tra ‘800 e ‘900, inaugurato nel 2018 con la retrospettiva Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio. Curata da Giandomenico Romanelli con Franca Lugato e Stefano Zampieri, l’esposizione è dedicata a una delle più affermate “famiglie” di artisti veneti di quel periodo: i Ciardi. In una fase di grandi cambiamenti della pittura, sempre più orientata verso lo studio dal vero o en plein air della realtà, Guglielmo (Venezia, 1842 – 1917) e i figli Beppe (Venezia, 1875 – Quinto di Treviso, 1932) ed Emma (Venezia, 1879 – 1933) assumono un ruolo di protagonisti assoluti della scena artistica veneziana, italiana ed internazionale, partecipando alle Biennali di Venezia e ai più importanti appuntamenti espositivi nazionali, avendo anche una buona visibilità all’estero. Come osserva il curatore Giandomenico Romanelli, «la ricchezza della loro scelta a favore del paesaggio si misura nelle radicali novità che essi (e soprattutto Guglielmo) sanno introdurre in questo genere pittorico: la luce declinata in tutte le possibili atmosfere, la presenza viva e palpitante della natura nelle piante, nei campi, nelle messi, nelle distese di eriche; la maestosità spesso scabra delle masse montuose, colte nella luce azzurra dell’alba o in quella struggente e aranciata dei tramonti, i filari, i covoni, i corsi d’acqua».

La rassegna consente di apprezzare attraverso più di 60 opere e con un taglio originale, legato principalmente alla rappresentazione della natura e del paesaggio veneto, gli elementi qualificanti della produzione di questa famiglia, mettendo in evidenza peculiarità, convergenze e divergenze tra i tre artisti, ben riconoscibili grazie ad alcuni confronti proposti in mostra. I prestiti provengono da alcune istituzioni pubbliche come l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, Casa Cavazzini – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine e la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, con un nucleo significativo di dipinti finora conservati nei depositi ed esposti al pubblico dopo circa vent’anni, oltre che da collezioni private.

Il percorso si apre con un focus sugli esordi di Guglielmo ancora influenzato dalla tradizione paesaggistica ottocentesca come si può vedere dal precocissimo e inedito dipinto del 1859 Paesaggio fluviale, per proseguire con gli anni trascorsi all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida di Domenico Bresolin (Padova, 1813 – Venezia, 1899) e l’importanza che assumerà il paesaggio dell’entroterra veneto nella sua ricerca artistica.

Atmosfere campestri e “acquitrini” lungo il Sile ma altresì paesaggi  pedemontani e dolomitici costituiscono filoni originali e per certi versi  trascurati della produzione dell’autore. I prolungati soggiorni attorno a Quinto di Treviso, Fonzaso, Asiago, San Martino di Castrozza gli avevano consentito d’instaurare un dialogo intimo con le caratteristiche specifiche di questi luoghi dell’infanzia e della memoria, permettendogli di ritrarli con rara profondità e continuità.  

La seconda sezione è dedicata al lavoro di Emma, instancabile pittrice e viaggiatrice apprezzata a livello internazionale, cultrice della tradizione del vedutismo veneziano, capace di rielaborare le esperienze macchiaiole,
impressioniste e tardo impressioniste con un’originale chiave espressiva. L’artista riscopre la grande tradizione guardesca in un inedito settecentesimo ironico e brioso con un chiaro gusto moderno e insieme citazionista,
toccando forse i più singolari risultati nell’attenzione verso i giardini e i parchi, una sorta di hortus conclusus dove regnano quiete e sicurezza. Vi è anche un altro elemento importante che la mostra mette in luce: le numerose peregrinazioni artistiche in Europa, testimoniate da un confronto tra alcune opere di Guglielmo ed Emma. In questi viaggi la passione naturalistica e la pratica della veduta si arricchiscono di acquisizioni cosmopolite così come di soggetti e iconografie rinnovati, dagli Impressionisti alla Scuola di Glasgow.  

Il percorso si chiude con l’opera di Beppe, presentata sotto una luce nuova che vuole mettere in evidenza la modernità e gli accenti simbolisti dell’autore, il quale, pur nella fedeltà alla poetica paterna, introduce elementi più tipicamente novecenteschi fino a dar spazio a una visione personale del paesaggio. Nonostante le evidenti analogie con la produzione di Guglielmo, opportunamente segnalate in mostra, è evidente l’attrazione verso il simbolismo nordico e la fascinazione per l’opera di Böcklin. Nella sua pittura si afferma via via, oltre a una presenza pacata di animali e pastori, la centralità della figura umana che, grazie alla lezione di Ettore Tito, talora si emancipa fino a prevalere sul paesaggio. L’itinerario segue, dunque, l’evoluzione del linguaggio di ciascuno dei tre autori, ripercorrendo la vicenda di una delle più importanti famiglie della storia dell’arte veneta a cavallo tra Otto e Novecento. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Marsilio Editori con saggi di Giandomenico Romanelli, Franca Lugato, Stefano Zampieri e Myriam Zerbi.

IMMAGINE DI APERTURABeppe Ciardi, L’ultimo gradino, olio su tela, 95 × 125 cm, Venezia, Collezione privata, particolare.