Ma che sta succedendo…o che è successo in Lombardia?

Dott. Paolo Ferrara

Questa che pubblichiamo è la sintesi dettagliata e documentata della conversazione tra Paolo Pantani, che da Napoli collabora con Experiences, e il dott. Paolo Ferrara. Insieme hanno analizzato quello che tutti noi stiamo dolorosamente vivendo.

di Paolo Ferrara

Stiamo tutti vivendo, in tutto il mondo, un momento difficilissimo, che vede i governi coinvolti in complesse scelte decisionali articolate su due livelli di strategia temporale. Un primo livello di vera e propria resistenza alla fase acuta della pandemia, ancora drammaticamente in corso, ed un secondo livello, terminata la fase acuta, volto sia a prevenire la re-insorgenza di altri focolai, che a permettere una graduale ripresa della produzione economica, attualmente completamente bloccata. Valutando però, attraverso l’analisi dei dati che il Ministero della Salute ci sta quotidianamente fornendo, le risposte del Sistema Italia alla drammatica condizione che stiamo vivendo, risaltano immediatamente degli “esiti” molto preoccupanti perché non solo sono molto peggiori di altre nazioni a noi paragonabili quali la Germania, la Spagna o gli Stati Uniti, ma specialmente perché sono purtroppo evidenti anche delle macroscopiche differenze tra le varie regioni italiane, con i peggiori risultati coinvolgenti proprio la regione Lombardia, da sempre ritenuta “il fiore all’occhiello” della nostra Sanità nazionale. Affrontando innanzitutto i dati che sono più strettamente omogenei e comparabili fra di loro, incomincio con l’analisi di quali potrebbero essere le ragioni delle differenze rilevate tra le varie regioni italiane, che pur dovrebbero rappresentare un campione omogeneo sia per composizione che per esiti, partendo dall’analisi dei dati fornitici oggi (5 aprile 2020) dal Ministero della Salute.

 Vi sono solo 3 regioni che presentano una mortalità “a due cifre” la Lombardia (17.64%) le Marche (12.45%) e l’Emilia-Romagna (12%) mentre tutte le altre regioni, almeno quelle che hanno più di 2000 casi, presentano una mortalità compresa tra 5.5% della Toscana e 9.44% del Piemonte.

Certamente la valutazione della mortalità considerata unicamente come rapporto percentuale tra il numero totale degli ammalati riconosciuti, e il numero dei decessi, senza l’uso di altre variabili di definizione, è abbastanza grossolano, ma, applicando questo medesimo criterio per tutte le regioni, si ottiene in effetti la possibilità di un confronto omogeneo. Inoltre, parlando di mortalità da Corona virus nella Regione Lombardia, non possiamo non ascoltare le tante voci che accusano una mortalità “sommersa” praticamente doppia rispetto a quella dichiarata dal Ministero della Salute, dovuta ai numerosissimi decessi consumatesi tra le mura domestiche che, seppur non suffragati dall’esecuzione di tamponi, mostravano tutte le caratteristiche sintomatologiche del Corona virus. Sono le voci dei Sindaci, dei Medici di Medicina Generale delle provincie di Bergamo e di Brescia, le testimonianze di tantissimi cittadini, insieme alla ampia e documentata inchiesta giornalistica fatta ieri da Isaia Invernizzi per l’Eco di Bergamo.

Ma perché questi dati così contrastanti, e specialmente, perché questi dati così negativi della regione Lombardia? L’ipotesi, da qualche parte prospettata, che la causa fosse attribuibile alla strategia attuata dalla Regione Lombardia di un minor utilizzo dei tamponi diagnostici, è in effetti poco credibile perché esiti nettamente migliori della Lombardia sono presenti sia in regioni che hanno realizzato un maggior numero di test, che in regioni che ne hanno realizzato addirittura molti di meno della stessa Lombardia. Infatti la Lombardia, che ha testato circa l’1.5% dei suoi abitanti, mostra una mortalità del 17.6%, mentre il Veneto con una mortalità del 5.6%, ha testato il 3.3% dei suoi abitanti, e il Lazio, con un dato di mortalità del 5.5%, molto vicino a quello del Veneto, ha testato solo lo 0.75% della sua popolazione. Forse questa ipotesi, pur con le dovute differenze di struttura del campione, sarebbe  possibile solo in una valutazione globale comparativa dei dati nazionali di Italia e Germania (che oggi presenta una mortalità dell’1.3%) visto che quest’ultima ha realmente messo in atto una strategia di tamponi a tappeto, partendo da una fase iniziale di 60.000 tamponi al giorno per arrivare in pochi giorni a 100.000, compreso i cosiddetti “corona taxi”, test fatti a domicilio, che le hanno permesso di testare i contagi in fase iniziale e quindi di intervenire subito sia con le terapie che con le quarantene.

Quindi, scartata l’ipotesi che il basso numero di tamponi eseguiti, possa essere stata la causa di una così alta mortalità alla quale va anche aggiunta quella “nascosta”, sfuggita ai censimenti ufficiali, il tentativo di spiegazione dei disastrosi dati di esito lombardi, va spostato nel campo “strutturale” dell’organizzazione e della risposta sanitaria. Infatti il primo problema che risalta davanti agli occhi è la constatazione che il Sistema Sanitario Territoriale è completamente mancato, mostrandosi distratto e impreparato.  Esempi lampanti di ciò sono l’alto numero di vittime domestiche e quelle dei centri di residenza assistita per anziani, nonché l’alto numero di contagi e vittime tra i Medici di Medicina Generale. Ma in effetti questa mancata risposta del Sistema Sanitario Territoriale, che invece è funzionato certamente meglio in altre regioni quali il Veneto o la Toscana dove le mortalità sono risultate molto più basse, è un problema che ha sicuramente radici più antiche. Il depotenziamento della Medicina Territoriale è progressivamente incominciato subito dopo l’acquisizione dell’autonomia della Regione Lombardia in tema di politica sanitaria. Infatti la Regione Lombardia, scegliendo di puntare su una Sanità di grande “visibilità” che potesse essere un attrattore di pazienti e quindi di flussi economici ( Il Sud….conosce bene questo problema !) ha essenzialmente investito negli ospedali, coinvolgendo molto in questa impresa anche il Privato che, trovando condizioni estremamente favorevoli, è cresciuto a dismisura costruendo degli enormi poli sanitari, che si sono ulteriormente concentrati tra di loro, creando non solo ospedali ad alto volume con poli di eccellenza ( particolarmente nelle specialità con migliore remunerazione) ma anche corsi di laurea in Medicina sia mediante convenzioni con Università Statali e sia costituendo proprie Università private, a loro volta abbinate a Centri di ricerca farmacologica per brevetti di nuove medicine e vaccini. Quindi grandi Ospedali privati che contemporaneamente crescono, trasformandosi anche in Università private e Centri di Ricerca privati, diventando così enormi concentrazioni di potere, spesso con partecipazioni dirette anche nel mondo dei ”Media”, delle grandi testate giornalistiche, del Web e dell’alta Finanza che, tramite questa loro attività “a tutto tondo”, possono condizionare facilmente la politica sanitaria lombarda. Tanto potenti che ben pochi si sono scandalizzati quando, nel pieno della iniziale emergenza, la “influencer” Chiara Ferragni insieme con il marito, il “rapper” Fedez, hanno lanciato una mega raccolta fondia favore del Privato e non a favore della Protezione Civile o di un Ospedale di trincea! Il San Raffaele è stato abilissimo e rapidissimo ad accettare i circa 20 milioni di euro raccolti, trasformandoli subito in nuovi posti super-attrezzati e super-tecnologici di Terapia Intensiva, certamente superiori a quelli che contemporaneamente si andavano attrezzando negli Ospedali Pubblici, ma nessuno si è chiesto a chi sarebbe rimasta la proprietà di tale costosissima tecnologia una volta finita l’emergenza. Allo Stato italiano, coinvolto in una emergenza nazionale? O a un privato che in tal modo, seppur in corso e a causa di una emergenza nazionale, avrebbe sensibilmente aumentato il suo personale patrimonio tecnologico? Tanto più che pure è passata sotto silenzio la notizia che la presidente dell’AIOP quale rappresentante della Sanità Privata Italiana, ha permesso ai suoi associati di accettare malati di Covid-19, lavorando nell’emergenza a fianco del Sistema Sanitario Nazionale SOLO dopo aver trattato con il Governatore della Lombardia la certezza di come e quanto sarebbero stati remunerati per le loro prestazioni.

Così  il Sistema Sanitario Territoriale, di nessun interesse per il privato poiché espressione di missione sociale e non di profitto, non è stato curato neanche dalle politiche sanitarie della Regione Lombardia, che lo ha sotto-finanziato e ridotto essenzialmente ad un sistema di contabilità di cassa per il privato, con la conseguenza che difronte ad una emergenza improvvisa, inattesa e terribile, la popolazione è rimasta completamente sprovvista di assistenza, di controlli, di informazioni certe, ad eccezione del solo impegno dei Medici di Famiglia che, senza mezzi, direttive chiare e specialmente privi di sistemi di  protezione individuale adeguati, sono molto spesso diventati ….delle “vittime sacrificali”. Quindi la tragedia del Corona virus che ha così gravemente flagellato la Lombardia, cancellando quasi completamente l’intera generazione delle persone al disopra dei 75 anni, ha al contempo drammaticamente messo in luce una serie di errori, di disfunzioni, di errate valutazioni politiche, che hanno disastrosamente condizionato, dal primo momento, gli esiti della pandemia in questa regione. Sebbene un giudizio completo si potrà avere solo dopo la fine di questa tragedia, però già adesso si possono indicare quelli che sono i principali punti nei quali il Sistema Sanitario lombardo ha mostrato delle chiare falle funzionali:

  • L’emergenza è stata interpretata come una emergenza intensivologica, mentre si trattava di una emergenza di Sanità Pubblica che, insieme alla Medicina Territoriale, erano state in precedenza, entrambe trascurate e depotenziate. (L’on. Giorgetti, ritenuto “l’anima moderata della Lega” ha recentemente dichiarato di ritenere i Medici di Base… ”un’istituzione di tipo medioevale”)
  • Mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia: tamponi fatti solo ai ricoverati, diagnosi di morte attribuita solo ai decessi ospedalieri
  • Assenza di attività di Igiene Pubblica con mancato mappaggio e isolamento dei contatti, mancato Governo del Territorio con gravi indecisioni nella chiusura di alcune zone ad alto rischio
  • Gestione confusa delle Residenze Sanitarie per Anziani nelle quali sono state spesso allocati, per decreto, dei malati convalescenti da Covit 19 con la creazione così di un ampio fronte di contagio con la popolazione di anziani ricoverati.
  • Eccessivo spazio dato al Privato in assenza di un progetto strategico comune finalizzato al miglioramento globale dell’assistenza sanitaria creando così una pericolosissima frattura tra l’area del profitto e l’area della missione sociale dell’assistenza

Quando tutto sarà finito, speriamo presto, anche se non ci sono concreti segnali in questo senso, si dovrà capire se e come questi errori strutturali potranno essere corretti, per esempio ricostruendo da capo un Sistema di Medicina Territoriale veramente moderno, costituito da una serie di Spot messi in rete con i grandi Hub Ospedalieri di cui la Regione Lombardia è già dotata, riducendo al contempo la eccessiva influenza del Sistema Privato. Certo non sono positivi i messaggi e le continue polemiche che anche in questa fase di emergenza nazionale molti politici lombardi, coinvolti nel governo regionale stanno quotidianamente lanciando. Speriamo che non siano segnali volti a portare il Sistema Sanitario Lombardo ad una completa secessione dal Sistema Sanitario Nazionale Universalistico con anche l’abolizione dell’articolo 32 della Costituzione Italiana.

Certo è che, per il momento, al dolore per il Corona virus, dobbiamo anche aggiungere il dolore di dover tristemente constatare che quello che ritenevamo un modello gestionale virtuoso e da portare ad esempio, si è invece dimostrato, alla nuda prova dei fatti, un modello pieno di negatività.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Syaibatul Hamdi da Pixabay 

Edwin Lutyens – Rashtrapati Bhavan

L’ARCHITETTURA

Rashtrapati Bhavan è la residenza ufficiale del Presidente dell’India. Può sia riferirsi alla sola residenza (di 340 stanze) che ospita gli appartamenti presidenziali, saloni, camere degli ospiti ed uffici, sia all’intera tenuta di 130 ettari che include i giardini moghul presidenziali, ampi spazi aperti, gli alloggi del personale, le scuderie, gli uffici secondari ed altri edifici compresi nelle mura perimetrali. Per fare un paragone, l’intero complesso della Casa Bianca negli Stati Uniti è 17 volte più piccolo. È la terza residenza più estesa di un capo di Stato del mondo dopo il Palazzo del Quirinale a Roma e Ak Saray ad Ankara.

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Edwin Landseer Lutyens

L’ARCHITETTO

Sir Edwin Landseer Lutyens (Londra, 29 marzo 1869 – Londra, 1º gennaio 1944) è stato un architetto e designer britannico, noto per la fantasia con cui adattò gli stili architettonici tradizionali alle esigenze della sua epoca. Progettò molte case di campagna inglesi. Fu incaricato, inoltre, di progettare l’impianto urbanistico di Nuova Delhi. Figlio di Charles Henry Augustus Lutyens e Mary Theresa Gallwey, Edwin nacque a Londra, ma si trasferì in tenera età a Thursley (Surrey), dove trascorse la giovinezza. Lutyens studiò architettura alla South Kensington School of Art di Londra dal 1885 al 1887. Dopo il college fu assunto dallo studio degli architetti Ernest George e Harold Peto, dove incontrò per la prima volta Sir Herbert Baker. L’artista morì a Londra nel 1944 all’età di 74 anni.

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