Francesco Hayez – Ulisse alla corte di Alcinoo

Francesco Hayez, Ulisse alla corte di Alcinoo (1814-1816), Museo nazionale di Capodimonte, Napoli

IL DIPINTO

Ulisse alla corte di Alcinoo è un dipinto a olio su tela (350×580 cm) del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato tra il 1814 e il 1816 e conservato al museo nazionale di Capodimonte, a Napoli. Il 17 marzo 1814, quando si trovava ancora a Firenze, Hayez ricevette una lettera di Giuseppe Zurlo, il ministro degli Interni di Napoli, il quale gli commissionò un quadro per Gioacchino Murat da collocarsi presso la reggia di Capodimonte. Il soggetto, le dimensioni e il prezzo del dipinto erano da determinarsi a discrezione di Leopoldo Cicognara, presidente dell’Accademia di Venezia e protettore del giovane Hayez, al quale venne accordato «un assegno di Cinquanta Scudi Romani al mese per un anno sul Budjet del Ministero dell’Interno di Napoli in conto del prezzo da stabilirsi in fine del lavoro».

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Francesco Hayez, Autoritratto a 71 anni (1862), Uffizi, Firenze

L’ARTISTA

Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 12 febbraio 1882) è stato un pittore italiano. Passato dalla temperie neoclassica a quella romantica (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte italiana per esser stato l’autore del dipinto Il bacio e di una serie di ritratti delle più importanti personalità del tempo. Molte sue opere, solitamente di ambientazione medioevale, contengono un messaggio patriottico risorgimentale criptato. Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, conseguendo numerosissimi uffici e dignità; tra queste, degna di menzione è la cattedra di pittura all’Accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.

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Pompei: una storia di rinascita e riscatto

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Pompei è una città dell’evo antico, corrispondente all’attuale Pompei, la cui storia ha origine dal IX secolo a.C. per terminare nel 79, quando, a seguito dell’eruzione del Vesuvio, viene ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli alta circa sei metri. La sua riscoperta e i relativi scavi, iniziati nel 1748, hanno riportato alla luce un sito archeologico che nel 1997 è entrato a far parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, e che è il secondo monumento italiano per visite dopo il sistema museale del Colosseo, Foro Romano e Palatino.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Alex B da Pixabay

John Constable – La cattedrale di Salisbury vista dai campi

La cattedrale di Salisbury vista dai campi, 1829, National Gallery, Londra

IL DIPINTO

La cattedrale di Salisbury vista dai campi (Salisbury Cathedral from the Meadows) è un dipinto a olio su tela (151,8×189,9 cm) realizzato nel 1829 dal pittore John Constable. È conservato nella National Gallery di Londra. Fu dipinto un anno dopo la morte della moglie. Più tardi il pittore vi aggiungerà nove versi di The Seasons del poeta scozzese del XVIII secolo James Thomson che rivela il significato del dipinto: l’arcobaleno è il simbolo della speranza dopo la tempesta che segue la morte della giovane Amelia fra le braccia del suo amante Celadon.

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John Constable ritratto da Daniel Gardner nel 1796

L’ARTISTA

John Constable (East Bergholt, 11 giugno 1776 – Londra, 31 marzo 1837) è stato un pittore inglese, considerato insieme a William Turner uno dei massimi paesaggisti del Romanticismo. Nato nel Suffolk, Constable è principalmente noto per i suoi dipinti ritraenti Dedham Vale, area di campagna collocata nelle immediate vicinanze del suo villaggio natio. Tra le sue opere più celebri si ricordano in particolare Il carro da fieno e La cattedrale di Salisbury vista dai terreni del vescovo. John Constable nacque l’11 giugno 1776 a East Bergholt, un villaggio nel Suffolk, figlio di Golding e Ann Constable. Suo padre era un facoltoso mercante di cereali, proprietario di due mulini ad acqua, uno a Flaftford e l’altro a Dedham, lungo il corso del fiume Stour, e gestiva un’attività di trasporti con chiatte trainate da cavalli; essendo suo fratello maggiore mentalmente ritardato, John, come secondogenito, era destinato a divenire il naturale successore nell’azienda del padre. Dopo un breve periodo al collegio di Lavenham, proseguì gli studi a Dedham, per poi lasciare la scuola e iniziare a lavorare nell’impresa agricola paterna; ben presto, tuttavia, egli iniziò a palesare una sincera vocazione artistica, sollecitata anche dall’amicizia con John Dunthorne, pittore dilettante con il quale dipinse quadri en plein air.

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Paestum: memorie di una città una volta magnifica

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Paestum, nota anche come Pesto, è un’antica città della Magna Grecia chiamata dai fondatori Poseidonia in onore di Poseidone, ma devotissima ad Atena ed Era. Dopo la sua conquista da parte dei Lucani venne chiamata Paistom, per poi assumere, sotto i romani, il nome di Paestum. L’estensione del suo abitato è ancora oggi ben riconoscibile, racchiuso dalle sue mura greche, così come modificate in epoca lucana e poi romana. È localizzata nella regione Campania in provincia di Salerno, come frazione del comune di Capaccio Paestum, a circa 30 chilometri a meridione di Salerno (97 chilometri a sud di Napoli); è situata nella Piana del Sele, vicino al litorale, nel golfo di Salerno, a nord del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni; la località, nelle vicinanze della quale si annoverano Capaccio Scalo e Lido di Paestum, è servita da un’omonima stazione ferroviaria.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Falco da Pixabay

William Turner – La valorosa Téméraire

La valorosa Téméraire, 1838-1839, National Gallery, Londra

IL DIPINTO

La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita, 1838 (The Fighting Temeraire tugged to her last berth to be broken up, 1838) è un dipinto a olio su tela (90,7×121,6 cm) di William Turner, databile al 1838-1839 e conservato nella National Gallery di Londra. Quando Turner iniziò a dipingere questo dipinto era all’apice della propria carriera, poiché aveva esposto più volte le sue opere alla Royal Academy. Iniziava ad essere apprezzato il suo modo di trattare il paesaggio come un genere alla pari dei temi storici tradizionali, capace di ispirare la mente e gli animi degli osservatori. In effetti, quando La valorosa Téméraire fu esposta alla Royal Academy nel 1839 riscosse uno sfolgorante successo: tra gli ammiratori più ardenti vi fu William Makepeace Thackeray, scrittore inglese che definì l’opera «il dipinto più superbo mai apparso sulle pareti di un’Accademia, o proveniente dal cavalletto di qualsiasi pittore».

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William Turner, Autoritratto (1799 circa), Tate Gallery, Londra

L’ARTISTA

Joseph Mallord William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) è stato un pittore e incisore inglese. Appartenente al movimento romantico, il suo stile pose le basi per la nascita dell’Impressionismo. Benché ai suoi tempi fosse visto come una figura controversa, Turner è oggi considerato l’artista che elevò la pittura paesaggistica ad un livello tale da poter competere con la più blasonata pittura storica. Famoso per le sue opere ad olio, Turner fu anche uno dei più grandi maestri britannici nella realizzazione di paesaggi all’acquerello, e meritò il soprannome di «pittore della luce». Joseph Mallord William Turner nacque il 23 aprile 1775 a Londra, al n. 21 di Maiden Lane. Il padre, William Gayone Turner (27 gennaio 1738 – 7 agosto 1829), era un barbiere e fabbricante di parrucche quieto ed operoso; la madre, Mary Marshall, era invece una donna eccentrica e volubile e, in seguito alla morte prematura della figlioletta Helen (avvenuta nel 1786), cominciò a dare i primi segni di quello squilibrio mentale che la travaglierà fino alla morte. Nel 1800 i suoi disturbi psichici divennero talmente gravi da comportarle il ricovero presso il Bethlehem Hospital di Londra, manicomio dove visse negli stenti sino alla morte, avvenuta nell’aprile 1804.

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Musumeci sa cos’è l’identità siciliana, ma fa finta di non saperlo

di Sergio Bertolami

Nei giorni scorsi il Governatore Musumeci ha dichiarato di non sapere cosa sia l’identità siciliana, asserendo che nessuno lo sa. In verità, sarebbe bene che parlasse per sé. Vorrei però aiutarlo, per fargli scoprire che anche lui, sotto sotto, ne è consapevole, anche se preferisce non affrontare i termini autentici del dibattito. Richiamando alla memoria un po’ di storia, gli chiederei di pronunciare la parola “ciciri”. Ve la ricordate la guerra del Vespro? Quei terribili novant’anni occorsi per conquistare l’autonomia dagli Angioini? Quando i siciliani incontravano un sospetto, gli mostravano un pugno di ceci e gli chiedevano di pronunciare la parola “ciciri”. Se fosse stato un francese avrebbe risposto “sisiri”. Forse Musumeci non ha associato l’episodio al fatto che la lingua è uno dei tanti segni identitari ed è legata alla cultura di un popolo.

Non è immaginabile che Musumeci disconosca del tutto cosa sia l’identità, neppure nella sua accezione più ampia. Lo ha dimostrato egregiamente, dal momento che ha conferito ad Alberto Samonà la delega di “Assessore regionale ai Beni culturali e della Identità siciliana”. Scelta ineccepibile dal suo punto di vista, perché il neoassessore è sostenuto da una cultura di destra; ineccepibile soprattutto in quanto è persona che ha costruito la propria appartenenza politica attraverso un percorso identitario più vicino a quello del Governatore, piuttosto che a quello di Salvini. Che ora militi nella Lega Nord, poco importa. Poco importa, naturalmente per Musumeci!

Tuttavia, fuori da ogni fraintendimento, chi nei giorni scorsi ha sostenuto che Musumeci dovesse fare scelte differenti, a mio avviso, non capisce un cecio di pragmatismo politico, che prescinde dall’etica, dai sentimenti e dalle questioni di principio. Cercherò di spiegarlo a quanti, da posizioni di sinistra, mormorano per trovare ogni pretesto e screditare l’assessore fresco di nomina. L’unica vera caduta ideologica, Alberto Samonà l’ha commessa quando pur avendo brillantemente superato le “parlamentarie on line”, si è visto a suo dire estromesso dall’elenco dei candidati al Senato del M5 Stelle. È chiaro che neanche Samonà, in quel caso, aveva capito cosa fosse essere identitario ad un gruppo politico. Lui, con il suo veleggiare con la barra tutta a dritta, non era certo un timoniere affidabile agli occhi del capitano Di Maio. Ecco invece perché è stato accolto a braccia aperte nella Lega di Salvini, ed ecco perché ora il premio gli viene consegnato dalle mani di Musumeci, riconoscente agli alleati.

Per meglio esemplificare il concetto di identità, ricorro al “principio di non contraddizione” espresso da Aristotele. Vi prego di seguirmi. “A” non può essere “non A”, cioè B. Se disponiamo su di un tavolo delle mele verdi, l’unica mela rossa, capitata per caso in quell’insieme, non è una mela verde. Ciò non toglie che sia pur sempre una mela, ma anche un bambino capirebbe che è una mela di una differente qualità e quindi di differente gusto. Fuori di metafora, l’assessore Samonà, organico all’attuale governo regionale di destra, non è escluso a priori che possa dimostrarsi un intellettuale capace di espletare il compito affidatogli. La maggior parte dei lettori sa che è organico colui che sceglie da che parte stare. Quindi, salvo un breve momento di smarrimento pentastellato, l’assessore alla Cultura ha sempre scelto la sua parte politica a destra e svolgerà a destra il suo ruolo in virtù della propria scienza e coscienza.

Meravigliano però quanti, già da questa mattina, hanno ammainato i vessilli da combattimento issati nei giorni precedenti con tanta animosità: nella speranza, dicono, che l’assessore sappia valorizzare il patrimonio siciliano, espressione della identità isolana. Ciò che mi pare sia stato sottovalutato è un importante principio di ottica. Il principio della “polarizzazione per riflessione”. Mi spiego, abbiate pazienza. La luce (che permette di vedere ogni elemento naturale col suo proprio colore) può essere polarizzata anche in conseguenza di un fenomeno di riflessione. Se provate a guardare, anche semplicemente uno specchio d’acqua chiara, attraverso un filtro polarizzatore come sono degli occhiali da sole, la luce riflessa dalla superficie diventerà più forte o più debole ogni volta che si cambierà posizione. Ciò poiché, anche inconsapevolmente, si è fatto ruotare il filtro polarizzatore e quindi l’angolo di polarizzazione. I fisici lo chiamano angolo di Brewster.

Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che l’assessore guarderà le problematiche col filtro polarizzatore della sua parte politica. Quindi anche le cose più chiare, come l’acqua, assumeranno una tonalità differente. Una tonalità che animerà la discussione e renderà complessa e articolata l’interazione politica. Perciò, chi fuori dai giochi si limita semplicemente a sperare e a chattare finirà col morire disperato, se non assumerà una coscienza politica costruttiva. Vale ricordare e comprendere da subito che, come diceva Nietzsche, «Non ci sono fatti ma solo interpretazioni».

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Le Passeggiate del Direttore: La Tomba di Ignoti

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: La Tomba di Ignoti 

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Donatella Di Cesare – Virus sovrano?

Un quadro suggestivo dell’evento epocale che ha già segnato il ventunesimo secolo. Dalla questione ecologica al governo degli esperti, dallo stato d’eccezione alla democrazia immunitaria, dal dominio della paura al contagio del complotto, dalla distanza imposta al controllo digitale: come sta già cambiando l’esistenza, quali potranno essere gli effetti politici nel futuro.

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Cdd20 da Pixabay 

Francesco Podesti – Giuramento degli Anconetani

Giuramento degli Anconetani, Pinacoteca comunale Francesco Podesti, Ancona

IL DIPINTO

Il Giuramento degli Anconetani è un dipinto realizzato con pittura a olio su tela (385 cm × 510 cm) di Francesco Podesti databile tra il 1844 ed il 1847. Il pittore scelse di rappresentare un episodio ispirato all’eroica resistenza della città nell’assedio del 1174 da parte di Cristiano di Magonza, cancelliere di Federico Barbarossa. Dopo alcune settimane di assedio gli imperiali inviarono un’ambasciata in città chiedendo la resa, il riconoscimento del potere imperiale e la consegna del console dell’Impero Bizantino; in cambio promettevano di risparmiare la vita ai cittadini. Gli anconitani rifiutarono invece l’offerta e anzi riuscirono ad inviare degli emissari che, passando tra le file nemiche, si recarono a chiedere soccorso nelle città amiche della Romagna e dell’Emilia.

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Ritratto di Francesco Podesti attribuito a Francesco Maggi

L’ARTISTA

Francesco Podesti (Ancona, 21 marzo 1800 – Roma, 10 febbraio 1895) è stato un pittore italiano. Insieme ad Francesco Hayez e Giuseppe Bezzuoli, è considerato uno dei maggiori pittori italiani della prima metà dell’Ottocento, come testimonia lo stesso Mazzini. Fu esponente del romanticismo storico ed è oggi particolarmente noto per gli affreschi della sala dell’Immacolata, nei palazzi vaticani. Ultimo esponente della “pittura di storia”, tra accademismo e romanticismo, raggiunse notorietà europea, espose a Londra e a Parigi e ottenne fama e gloria proprio quando stavano sorgendo le nuove correnti artistiche delle avanguardie. La sua grande notorietà declinò infatti subito dopo la morte, a causa della diffusione di una concezione dell’arte completamente diversa da quella che egli stesso rappresentava. Attualmente, uno sguardo più distaccato nei confronti dell’arte ottocentesca ha permesso di riscoprire il suo valore universale come artista.

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Intervista a Giulio Tarro: La terapia sierologica è l’unica strada in attesa del vaccino

Pubblichiamo su Experiences questa importante intervista al messinese prof. Giulio Tarro, già apparsa il 7 maggio su Ildenaro.it e gentilmente inviataci da Paolo Pantani e Rocco Giordano editore di Sistemi di Logistica, che nel mese di aprile ha dedicato uno speciale su CoVid-19 e nuove politiche economiche

Prof. Giulio Tarro

Prof. GIULIO TARRO

  • Primario emerito dell’Azienda Ospedaliera “D. Cotugno”, Napoli
  • Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, WABT – UNESCO, Parigi
  • Rector of the University Thomas More U.P.T.M., Rome
  • Presidente della Fondazione de Beaumont Bonelli per le ricerche sul cancro – ONLUS, Napoli
In questa intervista, che pubblichiamo sia nella versione video che scritta, il professore Giulio Tarro, virologo di fama internazionale e primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli, traccia le prossime tappe della lotta al Covid-19. E afferma che la terapia sierologica è l’unica strada da seguire in attesa del vaccino. Allievo di Albert Bruce Sabin, il virologo che ha scoperto e sviluppato il più diffuso vaccino contro la Poliomielite, Tarro insieme al suo maestro e collega polacco ha realizzato degli studi di portata storica che dimostrano l’incidenza degli Herpesvirus nell’insorgere di alcune forme tumorali. All’intervista video partecipano Rocco Giordano, economista, docente universitario, titolare della Giordano Editore e coordinatore del gruppo di lavoro della Macroregione Mezzogiorno Mediterraneo, e Francesco Montanaro, medico specialista in Gastroenterologia e infettivologo.
 
Professore Tarro, su cosa si basano le sue certezze in merito a Fase 2 e Fase 3?
Le mie dichiarazioni si basano sulla pratica, essendo io un pragmatico e avendo un bagaglio di esperienza legata a maestri italiani e anglosassoni che mi hanno permesso di superare le varie epidemie presentatesi a Napoli, in Campania e nel Sud in generale; mi riferisco al colera del 73’ al male oscuro del 79’, dove l’isolamento e la collaborazione con la pediatria sono state fondamentali per evitare le morti dei bambini, senza passare poi per l’AIDS, e le varie influenze stagionali dove la diagnosi tempestiva è stata fondamentale. A questo proposito il CoronaVirus, già presente fra il 2002/2003 come malattia respiratoria acuta che si è perpetuata poi per sei mesi da aprile a novembre e che ha avuto un caso ad Amalfi trasportato al Cotugno e del quale me ne occupai personalmente. Adesso è presente questa nuova epidemia che ha permesso il mio coinvolgimento.
 
Vogliamo ripercorrere insieme le tappe di questa vicenda?
Già alla fine di gennaio con una collaborazione con la Cina, sviluppando già un elaborato in inglese dove l’esperienza della MERS la cui cura si fondava sugli anticorpi dei guariti, è stata molto utile. Ero fra coloro che sostenevano che in Italia non ci sarebbe stato un caso, ad oggi credo che abbiamo pagato un tributo a fronte di una sanità che è stata colta impreparata a causa dei vari tagli subiti ormai dal 97’ al 2015 di almeno del 15% al 51% in meno delle terapie intensive. Quando il virus ha iniziato a circolare, i nostri vicini francesi hanno rafforzato questo aspetto mentre noi eravamo a un quarto rispetto a loro, trovandoci ormai a marzo con quelli che sono considerati i fiori all’occhiello come gli ospedali principali della Lombardia con Milano capitale, completamente privi di organizzazione e di posti letto, ma soprattutto anche privi di possibilità medico-professionali, nonostante la collaborazione cinese, con carenze di esperienza sulle diagnosi non chiare non solo sulle polmoniti interstiziali. Credo che siano molto valide le sperimentazioni partite da Napoli, come quella del professore Ascierto, che utilizzando i pazienti del Cotugno ha avviato il farmaco Tocilizumab.
 
Secondo lei la maggiore diffusione del virus al Nord ha motivazioni epidemiologiche?
Teniamo presente che il Covid arriva da Wuhan e provincia cinese che hanno una condizione climatica molto simile a quella della Pianura Padana e questo potrebbe già essere un aspetto da prendere in considerazione; l’altro aspetto è che ci sia una variante padana, come una variante sudamericana, ma quello che è importante rispetto al suo quesito è che ci potrebbero essere delle particelle in particolare che aprono la porta al virus, catalizzandolo all’interno dell’organismo. A parte questo possono esserci moltissimi altri fattori come l’isolamento di pazienti anziani e pazienti con altre patologie che altrimenti, incrementerebbero la diffusione del virus fra i giovani.
 
Ci spiega come funziona la terapia sierologica?
Il contributo elaborato già a fine gennaio con l’esperienza dei Cinesi prendeva spunto dalla MERS e quindi trattare il nuovo virus con il siero, di cui basti pensare che occorrono 200 ml di plasma che iniettato anche in pazienti gravi dopo 48 ore può andare a neutralizzare il virus. Posti come a Mantova usano questa terapia e fin ora non hanno avuto più vittime. Credo quindi che si debba puntare su questo anche per poi incentivare la scoperta del vaccino.
 
Come si fa con le controindicazioni?
In primis abbiamo a che fare solo con il siero e non con i globuli rossi ed è già importantissimo. Poi con le nuove metodologie non abbiamo più a che fare con i rischi dell’epatite ed è un altro vantaggio, considerando che queste sono scelte che intercorrono tra la vita e la morte.
 
Questa terapia potrebbe essere utilizzata già da ora per i nostri sanitari in attesa del vaccino?
Potenzialmente si, rappresenterebbe una sorta di vaccino attuale, visto che per quello effettivo tra le varie procedure e sperimentazioni avrà luogo almeno fra 18 mesi.

LA SANITÀ NELL’EMERGENZA DEL COVID19: UNA VISIONE GLOBALE

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Ri Butov da Pixabay