La Cattolica di Stilo in Calabria

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La Cattolica è una piccola chiesa bizantina a pianta centrale di forma quadrata, e si trova alle falde del monte Consolino a Stilo in provincia di Reggio Calabria. Dal 2006 fa parte della lista dei candidati, insieme ad altri 7 siti basiliano-bizantino calabresi, per entrare a far parte dell’elenco UNESCO dei siti Patrimonio dell’umanità. Nel 2015 è stata scelta per rappresentare la regione Calabria a Expo 2015.

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IMMAGINE DI APERTURA – Cattolica di Stilo vista dall’alto – 27 agosto 2016 (Wikipedia)

I beni culturali sono o non sono la carta d’identità dei siciliani?

di Sergio Bertolami

Le differenti posizioni politiche arricchiscono sempre il dibattito per la ricerca delle soluzioni a tutela della comunità. Ciò vale nelle migliori democrazie. Un confronto di idee, espresso in modo pacato e riflessivo, è sempre auspicabile. Per gli antichi la “disputatio” era metodo attinente alla ricerca di una qualche verità politica, scientifica o teologica. Pur tuttavia, lungi dall’alimentare polemiche, vorrei porre l’attenzione sul fatto che per i politici regionali il problema rimane quello di continuare a considerare il patrimonio siciliano come un bene di poco conto, anziché una vera ricchezza. A tutti gli effetti, è merce di scambio. Con l’aggravante di non impegnarsi a trovare, per questo assessorato, un degno sostituto del compianto Sebastiano Tusa.

Non ho difficoltà a concordare con quanti asseriscono che la scelta di un assessore, piaccia o no, sia nelle prerogative del Governatore Musumeci e quindi sia parte delle valutazioni della gestione politica. Mi fanno sorridere, infatti, le manifestazioni improprie di certi pseudo intellettuali che invitano i siciliani “a disertare parchi archeologici, musei, iniziative, sagre, polpette, tric e trac in mano ai leghisti”. Vorrei piuttosto ricordare che fu proprio un assessore ai Beni Culturali, nella prima Giunta presieduta da Salvatore Cuffaro, a dettare le linee guida di quella che da allora si chiama “identità siciliana”. Per chi non lo sapesse è quell’Alessandro Pagano che da Forza Italia attualmente milita nella Lega Nord, siciliano laureatosi all’Università di Messina, oggi su tutti i giornali per avere chiamato Silvia Romano “neo-terrorista”.

La scelta della lega Nord da parte del nostro Governatore Musumeci non è quindi, a mio avviso, il punto nevralgico del discorso. È un fatto di mera cronaca politica, che però porta alla luce l’inconsistenza della preparazione culturale dei nostri politici. L’identità siciliana non è una espressione il cui contenuto può essere manipolato ad uso di una parte politica. È il frutto di una stratificazione millenaria. Le “Curiae generales” del 1130 a Palazzo dei Normanni, per la proclamazione del Re di Sicilia, rappresentano la convocazione del primo parlamento della storia moderna in ambito internazionale. Questo è un fatto identitario del popolo siciliano. Un fatto culturale, prima che politico. Quindi l’idea di porre al centro dell’attenzione l’identità siciliana e accorparla al titolo di un assessorato alla Cultura è stato senza dubbio un importante fatto culturale oltre che politico. 

Oggi, tuttavia, la scelta di un appartenente alla Lega Nord per ricoprire il ruolo di assessore alla Cultura siciliana è, più che mai, contro ogni logica. Sarebbe stato un fatto meramente politico proporre alla Lega un assessorato all’Agricoltura, come si prospettava. Ma non si possono usare i Beni culturali e l’identità siciliana, ovverosia la “carta di identità” di questa Terra, per contrattazioni rispondenti a logiche di potere. Esistono dei limiti che non vanno mai superati. Ecco quindi che la petizione proposta è manifestazione di un dissenso democratico sui contenuti della scelta culturale e la inopportunità politica. Fu Charles De Gaulle (un nazionalista, non certo un uomo di sinistra o un moderato centrista) a bollare i politici: «Sono giunto alla conclusione che la politica sia una cosa troppo seria per lasciarla fare ai politici».

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Cassandra Duval da Pixabay 

Francesco Hayez – Il bacio

Francesco Hayez, Il bacio (1859), Pinacoteca di Brera, Milano

IL DIPINTO

Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV, meglio noto come Il bacio, è un dipinto a olio su tela (112×88 cm) del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato nel 1859 e conservato alla Pinacoteca di Brera. Collocato in un contesto medievale, raffigura due giovani innamorati che si stanno baciando con grande passionalità. Per la travolgente carica emotiva, la raffinata scenografia, ed il forte valore civile (la tela è infatti pregna di pulsioni risorgimentali, a simboleggiare l’amore della patria e la lotta allo straniero), l’opera è considerata il manifesto dell’arte romantica italiana; per questo motivo riscosse un grande successo popolare, tanto che venne riprodotta da Hayez in altre tre versioni, con piccole modifiche fra l’una e l’altra.

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Francesco Hayez, Autoritratto a 71 anni (1862), Uffizi, Firenze

L’ARTISTA

Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 12 febbraio 1882) è stato un pittore italiano. Passato dalla temperie neoclassica a quella romantica (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte italiana per esser stato l’autore del dipinto Il bacio e di una serie di ritratti delle più importanti personalità del tempo. Molte sue opere, solitamente di ambientazione medioevale, contengono un messaggio patriottico risorgimentale criptato. Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, conseguendo numerosissimi uffici e dignità; tra queste, degna di menzione è la cattedra di pittura all’Accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.

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Piazza Armerina – Villa del Casale

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La Villa romana del Casale è un edificio abitativo tardo antico, popolarmente definito villa nonostante non abbia i caratteri della villa romana extraurbana quanto piuttosto del palazzo urbano imperiale, i cui resti sono situati a circa quattro chilometri da Piazza Armerina, in Sicilia. Dal 1997 fa parte dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Il primo assetto museografico si doveva all’architetto Francesco Cappellani.

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IMMAGINE DI APERTURA – Mosaico sul gioco della palla (Wikipedia)

Camile Corot – La cattedrale di Chartres

La cathédrale de Chartres, Musée du Louvre

IL DIPINTO

La cattedrale di Chartres è un dipinto a olio su tela di Jean-Baptiste Camille Corot, realizzato nel 1830 e conservato al museo del Louvre di Parigi. Nel dipinto è raffigurata la facciata meridionale della Cattedrale di Chartres immersa in una calda luce pomeridiana che ne accentua la luminosità. La cattedrale, disegnata con linee chiare e precise, presenta due campanili affiancati, la cui verticalità è ripresa dai due alberi snelli sulla destra, secondo una composizione equilibrata e coerente che troviamo anche in altre opere di Corot. Nella scena ritratta vi è una serena armonia tra la natura e gli elementi artificiali: alla compatta massa muraria della chiesa, infatti, si contrappongono le due collinette erbose, ai piedi delle quali troviamo un cumulo di materiali edilizi. La Natura accoglie idillicamente anche l’uomo: sono diverse, infatti, le figure umane che popolano la scena, dal ragazzo accovacciato sulla pietra squadrata a sinistra al carrettiere sullo sfondo.

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Victor Laisné o Lainé, ritratto fotografico di Jean-Baptiste-Camille Corot

L’ARTISTA

Jean-Baptiste Camille Corot (Parigi, 16 luglio 1796 – Parigi, 22 febbraio 1875) è stato un pittore francese, considerato uno dei più sensibili paesaggisti dell’Ottocento. Jean-Baptiste-Camille Corot nacque il 16 luglio 1796 a Parigi, al n. 125 di rue du Bac, in uno stabile oggi demolito. La sua famiglia era di estrazione borghese – il padre era un mercante di stoffe e la madre una rinomata modista – e, a differenza di diversi altri artisti del periodo, non versò mai in condizioni economiche disastrose, poiché i suoi genitori si rivelarono eccellenti amministratori e gestori del patrimonio finanziario familiare. La formazione del giovane Camille avvenne nell’ambito del Lycée Pierre-Corneille di Rouen. Egli, tuttavia, non era uno studente brillante: il suo rendimento, infatti, era incerto e saltuario e ben presto fu costretto a entrare in un collegio, dove tuttavia continuò a riscuotere bassi profitti scolastici. All’età di diciannove anni Corot era ancora un «bambinone, timido e impacciato: arrossiva quando qualcuno gli parlava, era estremamente imbarazzato in presenza delle belle dame frequentatrici del salotto materno. […] Sotto il profilo emotivo, era un figlio affettuoso e beneducato, che adorava la madre e tremava appena il padre proferiva parola».

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Le Passeggiate del Direttore: rituali e sepolture nel Predinastico

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: rituali e sepolture nel Predinastico

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Toshikazu Kawaguchi – Finché il caffè è caldo

In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere.

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IMMAGINE DI APERTURA:  Foto di Engin Akyurt da Pixabay

John Constable – Il carro da fieno

Il carro da fieno, 1821, National Gallery, Londra

IL DIPINTO

Il carro da fieno (The Hay Wain) è un dipinto a olio su tela (130,2×185,4 cm) di John Constable, databile al 1821 e conservato nella National Gallery di Londra. Mostrandosi memore della lezione di Pieter Paul Rubens e Thomas Gainsborough, i due pittori dal quale attinse per la ricerca degli effetti di luce e di atmosfera e per il tema del carro, John Constable eseguì Il carro da fieno nel 1821, esponendolo il maggio dello stesso anno alla Royal Academy in Somerset House con il titolo Landscape: Noon (Paesaggio: Mezzogiorno). Il carro da fieno, pur non trovando acquirenti, conobbe uno strepitoso successo. Théodore Géricault vide l’opera alla Royal Academy e, pur non facendone nessun cenno nei propri taccuini da viaggio, ne parlò molto entusiasticamente con l’amico Eugène Delacroix una volta ritornato in Francia. Amedée Pichot ammirò impetuosamente «la dolce magia dei pennelli di Constable» e l’«umida freschezza che si crede di respirare vicini ai suoi paesaggi».

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John Constable ritratto da Daniel Gardner nel 1796

L’ARTISTA

John Constable (East Bergholt, 11 giugno 1776 – Londra, 31 marzo 1837) è stato un pittore inglese, considerato insieme a William Turner uno dei massimi paesaggisti del Romanticismo. Nato nel Suffolk, Constable è principalmente noto per i suoi dipinti ritraenti Dedham Vale, area di campagna collocata nelle immediate vicinanze del suo villaggio natio. Tra le sue opere più celebri si ricordano in particolare Il carro da fieno e La cattedrale di Salisbury vista dai terreni del vescovo. John Constable nacque l’11 giugno 1776 a East Bergholt, un villaggio nel Suffolk, figlio di Golding e Ann Constable. Suo padre era un facoltoso mercante di cereali, proprietario di due mulini ad acqua, uno a Flaftford e l’altro a Dedham, lungo il corso del fiume Stour, e gestiva un’attività di trasporti con chiatte trainate da cavalli; essendo suo fratello maggiore mentalmente ritardato, John, come secondogenito, era destinato a divenire il naturale successore nell’azienda del padre. Dopo un breve periodo al collegio di Lavenham, proseguì gli studi a Dedham, per poi lasciare la scuola e iniziare a lavorare nell’impresa agricola paterna; ben presto, tuttavia, egli iniziò a palesare una sincera vocazione artistica, sollecitata anche dall’amicizia con John Dunthorne, pittore dilettante con il quale dipinse quadri en plein air.

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Quali criteri scientifici hanno indirizzato il Governo nella gestione dell’epidemia di Covid-19?

di Paolo Ferrara

Leggendo il dossier dei Tecnici, si comprende come le decisioni politiche siano dettate dall’elaborazione di una larghissima messe di dati raccolti in periferia dalle Regioni e inviati al Ministero della Salute o al ISS per averne validazione e interpretazione. Dalle pagine del Comitato Tecnico Scientifico traspare chiaramente che, al contrario delle balbettanti comunicazioni in merito del Governo, un metodo e una strategia sono invece presenti.

Dott. Paolo Ferrara

Il passaggio dalla Fase1 alla Fase 2 della pandemia ha scatenato nella popolazione italiana una diffusa sensazione di ansia. Il sogno di una “liberazione” dopo il lunghissimo periodo di lockdown si è infranto contro la realtà di un rischio che non è per niente cessato, mentre al contempo cresce sempre di più la coscienza del disastro economico che progressivamente ci sta franando addosso. Le modalità di comunicazione attuate dal Governo e dal Presidente del Consiglio poi, abbastanza confuse, generiche e piene di accenni ai soli rischi senza però indicare una chiara crono-strategia di uscita, non hanno fatto altro se non aumentare lo stato di ansia e di sgomento.

Leggendo però con attenzione il Dpcm si capisce invece che il Comitato Tecnico Scientifico, che ha studiato e proposto quelle decisioni (poi cosi mal esposte dal Presidente Conte) ha in effetti indicato un preciso percorso capace di garantire una ripresa delle attività produttive entro margini di relativa sicurezza.

La strategia identificata dal Comitato, punta precisamente a due obiettivi: in primis i cittadini ai quali richiede, con un atto di fiducia, un senso di responsabilità di tutti, poiché è obbligo di ogni cittadino contribuire alla non diffusione dell’epidemia, e successivamente responsabilizza le Regioni alle quali viene dato obbligo di “monitorare con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori  e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle Regioni al ministero della Salute, all’Istituto Superiore di Sanità e al Comitato Tecnico Scientifico. Nei casi in cui dal monitoraggio emerga un aggravamento del rischio sanitario, il Presidente della Regione propone tempestivamente al Ministero della Salute le misure restrittive necessarie e urgenti per le attività produttive “.

Si capisce così come siano state istituite per la gestione dell’epidemia e delle sue ricadute sulla vita del Paese due grandi strutture funzionali in strettissimo coordinamento e interazione.  Una Struttura Centrale, costituita dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, con funzione di “Hub”, che sintetizza ed elabora tutti dati raccolti, trasformandoli in indirizzi e proposte operative, e le Regioni, che fungono tutte da “Spot” periferici, cui è devoluto il compito di monitorare in continuo sia l’andamento dell’epidemia nei loro territori, che la “tenuta” dei sistemi sanitari locali.

Il controllo sulle Regioni per stabilire se siano più o meno in linea con la possibilità di una riapertura progressiva e graduale, si fonda essenzialmente sull’elaborazione quotidiana di 5 specifici fattori:

  1. Stabilità di trasmissione del virus
    Basata sull’Indice di trasmissione del virus (Ro) che fornisce una informazione sintetica su quanti casi secondari vengono generati, per trasmissione interpersonale, da un caso primario. Una epidemia si instaura quando per ogni caso primario si generano più casi secondari che, a loro volta genereranno altri casi. Al contrario, se ogni singolo caso non ne contagia più nessun altro, la circolazione dell’infezione si andrà progressivamente estinguendo.  All’inizio dell’epidemia l’Ro in Lombardia era 2.6 e 4.0 (cioè ogni ammalato ne contagiava circa altri 3-4!) ma, nel corso dell’epidemia, tale indice tende a modificarsi sia per l’efficacia delle terapie e sia per l’efficacia dei provvedimenti di distanziamento sociale e di lockdown.  Attualmente il Fattore Re (Fattore riproduttivo virale effettivo) è circa 0.7.  Per poter riprendere una normale circolazione delle persone su tutto il territorio nazionale e avere una quasi completa riapertura di tutte le attività produttive, serve un Fattore Re stabilmente sotto 1.0 (preferibilmente tra 0.2 e 0.4).
  1. Condizione di saturazione dei servizi sanitari
    La soglia massima accettabile di occupazione di posti letto da parte di pazienti Covid19, è stata stabilita nel 30% per le Terapie Intensive, e del 40% per i posti letto totali di Area Medica. Se una Regione dovesse mostrare, all’interno del proprio sistema sanitario locale, il superamento di uno o di entrambi questi valori soglia, allora automaticamente scatterà lo stop del programma di apertura graduale, con un ritorno ai livelli di guardia precedenti.
  1. Attività di readness
    Testa la capacità di riconoscimento ed intervento in caso di rischio mediante il controllo della capacità e della tempestività di reazione.
  1. Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti
    Misura essenzialmente la percentuale di tamponi effettuati, nonché la possibilità di aumentare rapidamente tale percentuale, in caso di aumentato bisogno
  1. Capacità di monitoraggio
    Misura la capacità di rilevare tutti i casi sintomatici insieme a tutte le informazioni riguardanti la loro storia clinica: “inizio dei sintomi; storia del ricovero in ospedale; ricovero in terapia intensiva; numero dei casi divisi per Comune di residenza”.

La Regione che non riesce a raggiungere questi requisiti base, torna alla Fase 1, con impossibilità di aprire strutture turistiche o di accettare l’arrivo di non residenti e con l’imposizione di chiusure focali o generali a seconda che presenti dei focolai infettivi localizzati o dipendenti da una circolazione virale generalizzata.

Inoltre, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, per affinare le proprie capacità di analisi e giudizio dei dati, ha previsto anche l’uso di alcuni algoritmi. Il primo, rivolto all’analisi della probabilità di crescita dei casi positivi si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati nella Regione nuovi casi negli ultimi 5 giorni?
  • C’è evidenza di un aumento di trasmissione virale? (trend di casi in aumento; Re>1; aumento del n° di focolai)
  • C’è evidenza di una trasmissione diffusa, non gestibile con misure locali, cioè “zone rosse”?

Il secondo, rivolto a misurare l’impatto del virus pure si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati negli ultimi 5 giorni, casi di età superiore a 50 anni?
  • C’è sovraccarico dei servizi sanitari?
  • Sono stati segnalati negli ultimi 7 giorni nuovi focolai nelle RSA, Case di Riposo o altre residenze di soggetti fragili?

Se in entrambi gli algoritmi le risposte sono tutte o in maggioranza affermative, allora la probabilità di rischio risulta alta e richiede interventi di chiusura selettiva, mentre di fronte a risposte con profilo di rischio basso o medio si deve solo continuare lo stretto monitoraggio.

È perciò evidente che la risposta dei Tecnici, dopo un primo momento di colpevole sbandamento dovuto ad una generale impreparazione, è stata ampia e incisiva. Gli scienziati hanno dato le migliori evidenze alla politica, che ha preso le sue decisioni e così in due mesi è stato quasi completamente recuperato il gap iniziale sia da un punto di vista organizzativo-gestionale che per quanto riguarda la necessità produttiva dei dispositivi di protezione individuale che, in modo improvvido era stata, in precedenza, tutta completamente delocalizzata. La coscienza che ci siano dei sistemi di monitoraggio e controllo a supporto delle decisioni prese, certamente può aumentare il nostro senso di fiducia, facendoci comprendere come non sia possibile stabilire “a priori” un preciso crono-programma delle progressive aperture, poiché queste decisioni possono unicamente derivare dalla elaborazione dell’enorme messe di dati che le Regioni devono raccogliere sui loro territori.  

In questo momento così complesso, dobbiamo però comprendere che la maggiore quota di responsabilità è proprio quella che ricade su noi stessi!!

Siamo noi cittadini che, riprendendo progressivamente le nostre attività, siamo coinvolti in un numero estremamente maggiore di contatti sociali, per cui dobbiamo in modo cosciente e rigoroso, osservare tutte le norme del distanziamento e della protezione personale.

 Mai come ora il paradigma “aiutando noi stessi, aiutiamo anche gli altri ascoltato all’inizio del lockdown risulta essere attuale. Camminando per strada con la nostra mascherina ben indossata e il giusto distanziamento di almeno un metro dagli altri passanti, non dobbiamo sentire gli altri come i nuovi “nemici” contro cui combattere, o gli “untori” da cui guardarsi, ma come persone che come noi che (considerando che il Covid-19 può anche essere completamente asintomatico )  si stanno proteggendo, e al contempo proteggono anche noi, in una identica lotta contro quello che è il nostro comune nemico. Per “attrezzarci” a convivere con il virus, dobbiamo avviare un cambiamento culturale, consapevoli che ognuno di noi può contribuire a rallentare il contagio, e contemporaneamente contribuisce anche a proteggere le fasce di popolazione più a rischio. Serve una “mappa mentale” per riorganizzare la nostra vita intorno alle nuove priorità che il Coronavirus ci impone. Dobbiamo rifare i nostri percorsi, muovendoci molto di meno ma molto più intelligentemente. Non potremo più stringerci le mani… ma dovremo lavarle molto frequentemente!  L’applicazione rigorosa delle stesse regole di protezione, da parte di tutti, è la comune strategia della lotta contro il virus!  Dobbiamo avere la coscienza che facendo con attenzione un atto di “protezione individuale”, contemporaneamente attuiamo anche una strategia di “protezione collettiva”!

 Speriamo che la coscienza di ciò possa anche spingerci ad aumentare il nostro senso di solidarietà, in questa grande, comune tragedia che è al contempo sanitaria, economica ed umana.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Fernando Zhiminaicela da Pixabay 

Parco archeologico del Colosseo a Roma: una visita online

Che ci sia la neve o il sole non importa: il #ParcoColosseo riesce sempre a incantarci, a qualsiasi età. Un video regalo per chi in questo momento non può visitarlo.

IL SITO WEB DEL COLOSSEO

IMMAGINE DI APERTURA – Il foro romano sulla sinistra e sullo sfondo il Colosseo da un diorama del Museo della civiltà romana all’EUR (Fonte Wikipedia)