William Blake – Newton

Newton, 1795, Tate Gallery, Londra

IL DIPINTO

Newton è un monotipo di William Blake risalente al 1795, anche se venne riprodotto e ristampato nel 1805. È attualmente custodito alla Tate Gallery di Londra. L’opera è un monotipo, ovvero un’incisione stampata con successiva applicazione del colore; fa parte di una serie di 12 opere prodotte con la medesima tecnica tra il 1795 ed il 1805, tra le quali si trovano le rappresentazioni su Nabucodonosor II. L’uomo rappresentato nella raffigurazione è Isaac Newton, il celeberrimo fisico e matematico inglese; egli è ritratto seduto su una roccia che si sviluppa dal lato sinistro del dipinto, ricoperta di alghe e altri residui che richiamano l’ambiente marino. Newton è nudo, ripiegato su sé stesso completando idealmente la forma del masso che lo sostiene; il suo sguardo è rivolto verso il basso, su disegni e diagrammi che sta analizzando con un compasso.

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William Blake ritratto da Thomas Philips nel 1807

L’ARTISTA

William Blake (Londra, 28 novembre 1757 – Londra, 12 agosto 1827) è stato un poeta, pittore e incisore inglese. Largamente sottovalutata mentre egli era in vita, oggi l’opera di Blake è considerata estremamente significativa e fonte di ispirazione sia nell’ambito della poesia che in quello delle arti visive. Secondo Northrop Frye, che si dedicò allo studio dell’intero corpus poetico di Blake, i suoi versi simili a profezie costituiscono “Quello che, in rapporto ai reali meriti, è il corpus poetico in lingua inglese meno letto”. Altri hanno invece lodato l’arte pittorica di Blake e un critico nostro contemporaneo lo ha proclamato “Di gran lunga il più grande artista che la Gran Bretagna abbia mai prodotto.” Considerato un tempo pazzo per le sue idee stravaganti, attualmente è invece molto apprezzato per la sua espressività, la sua creatività e per la visione filosofica che sta alla base del suo lavoro.

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Museo di Capodimonte – Gemito. Dalla scultura al disegno

Il video presenta, in anteprima, una selezione delle 150 opere in mostra: una ricca antologia di 100 tra sculture, dipinti e disegni, suddivisi nelle sezioni tematiche che animeranno il percorso espositivo.

Museo nazionale di Capodimonte
Il Museo nazionale di Capodimonte è un museo di Napoli, ubicato all’interno della reggia omonima, nella località di Capodimonte: ospita gallerie di arte antica, una di arte contemporanea e un appartamento storico. È stato ufficialmente inaugurato nel 1957, anche se le sale della reggia hanno ospitato opere d’arte già a partire dal 1758. Conserva prevalentemente pitture, distribuite largamente nelle due collezioni principali, ossia quella Farnese, di cui fanno parte alcuni grandi nomi della pittura italiana e internazionale (tra cui Raffaello, Tiziano, Parmigianino, Bruegel il Vecchio, El Greco, Ludovico Carracci, Guido Reni), e quella della Galleria Napoletana, che raccoglie opere provenienti da chiese della città e dei suoi dintorni, trasportate a Capodimonte a scopo cautelativo dalle soppressioni in poi (Simone Martini, Colantonio, Caravaggio, Ribera, Luca Giordano, Francesco Solimena). Importante anche la collezione di arte contemporanea, unica nel suo genere in Italia, in cui spicca Vesuvius di Andy Warhol.

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IMMAGINE DI APERTURA – La sala 2 del Museo di Capodimonte (Fonte Wikipedia)

William Turner – Pescatori in mare

Pescatori in mare, 1796, Tate Britain, Londra

IL DIPINTO

Pescatori in mare (Fishermen at sea) è un dipinto a olio su tela (91,5×122,4 cm) del pittore inglese William Turner, realizzato nel 1796 e conservato al Tate Britain di Londra. L’opera raffigura una barca che, in balia di un vento tempestoso, cerca di farsi strada tra le acque inquiete; la scena, ambientata al largo dei Faraglioni dell’isola di Wight, è rischiarata dai raggi della Luna che, riflettendosi sui flutti, creano un’atmosfera sospesa e silenziosa. L’opera fu realizzata nel 1796, anno in cui – nonostante la giovane età – Turner poteva già vantare una discreta notorietà e un notevole numero di ammiratori, tutti appartenenti alla classe aristocratica ed intellettuale più in voga a Londra. Il dipinto fu presentato nello stesso anno alla Royal Academy, come possiamo dedurre dalla testimonianza di Walter Thornbury, il quale nel 1792 affermò che il primo olio di Turner era di una certa «dimensione o rilevanza» e raffigurava «una scena di pescherecci che, sospinti da una raffica di vento, scivolavano scompigliati e veloci al largo dei Faraglioni», osservando anche che «il generale Steward» acquistò il quadro «per dieci sterline».

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William Turner, Autoritratto (1799 circa), Tate Gallery, Londra

L’ARTISTA

Joseph Mallord William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) è stato un pittore e incisore inglese. Appartenente al movimento romantico, il suo stile pose le basi per la nascita dell’Impressionismo. Benché ai suoi tempi fosse visto come una figura controversa, Turner è oggi considerato l’artista che elevò la pittura paesaggistica ad un livello tale da poter competere con la più blasonata pittura storica. Famoso per le sue opere ad olio, Turner fu anche uno dei più grandi maestri britannici nella realizzazione di paesaggi all’acquerello, e meritò il soprannome di «pittore della luce». Joseph Mallord William Turner nacque il 23 aprile 1775 a Londra, al n. 21 di Maiden Lane. Il padre, William Gayone Turner (27 gennaio 1738 – 7 agosto 1829), era un barbiere e fabbricante di parrucche quieto ed operoso; la madre, Mary Marshall, era invece una donna eccentrica e volubile e, in seguito alla morte prematura della figlioletta Helen (avvenuta nel 1786), cominciò a dare i primi segni di quello squilibrio mentale che la travaglierà fino alla morte. Nel 1800 i suoi disturbi psichici divennero talmente gravi da comportarle il ricovero presso il Bethlehem Hospital di Londra, manicomio dove visse negli stenti sino alla morte, avvenuta nell’aprile 1804.

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Le Passeggiate del Direttore: Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Matteo Saudino – La filosofia non è una barba

Partendo dal racconto delle memorabili morti di quindici grandi filosofi, Saudino ci svela lo stretto legame che intreccia vita e pensiero: ecco quindi che nella loro fine ritroviamo l’essenza del loro sistema filosofico che, così raccontato, ci appare inaspettatamente chiaro, logico, lineare e, soprattutto, indimenticabile. Una prospettiva originale e intrigante per comprendere a fondo il pensiero dei grandi filosofi e arricchire la nostra conoscenza.

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IMMAGINE DI APERTURA:  Foto di 7753727 da Pixabay  

Yom HaAzmaut: un compleanno molto speciale

di Daniele Coppin

Yom Ha’Azmaut è la festa dell’indipendenza israeliana . Celebra il giorno della proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948), che generalmente cade il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico. A causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut quest’anno si è festeggiato il 29 Aprile.

La settimana che va a concludersi si è celebrato un compleanno molto speciale, Yom HaAzmaut, il giorno dell’Indipendenza di Israele. Lo Stato d’Israele fu proclamato il pomeriggio del 14 Maggio 1948, corrispondente al 5 di Yiar del calendario ebraico, in seguito alla Risoluzione 181 dell’ONU del 29 Novembre 1947 che sanciva la divisione dei territori del Mandato britannico sulla Palestina in due entità nazionali, una araba e l’altra ebraica. Come è noto, gli Ebrei accettarono quella spartizione, pur se assegnava loro una porzione estremamente modesta del territorio che, in base agli accordi della Conferenza di Sanremo del 1920 per il destino dei territori appartenuti alle potenze sconfitte nella I Guerra Mondiale, avrebbe dovuto essere sede del “focolare ebraico”. Infatti, dal 1920 fino al 1947, una serie di decisioni prese soprattutto dalla Gran Bretagna, aveva visto via via ridursi il territorio destinato ad uno Stato ebraico fino al 20 % dell’estensione originariamente prevista.

Ma il popolo ebraico, reduce dalla tragedia dello sterminio nazista, accettò quel residuo territoriale come un naufrago si aggrappa ad un relitto, ma con fede e coraggio incrollabili, sperando in un futuro migliore e con la consapevolezza che vivere nel proprio Stato, per quanto piccolo potesse essere, sarebbe stato sempre preferibile che vivere altrove, spesso considerati come ospiti o, comunque, come cittadini si serie B e, di conseguenza, soggetti a ondate di antisemitismo se non di vere e proprie persecuzioni.

Lo Stato di Israele nacque come un sogno, un sogno di fede, quella fede incrollabile che da duemila anni, a Pesach, fa ripetere ad ogni Ebreo, che sia religioso oppure laico, la frase “L’Shanà HaBahà B’Yerushalaim” (l’anno prossimo a Gerusalemme). Il pomeriggio di un giorno di maggio di 72 anni fa quel sogno diventava realtà e quest’anno, a causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut è caduto il 29 Aprile.

La ricorrenza è stata celebrata come sempre con gioia, in Israele e nelle comunità ebraiche di tutto il mondo, pur nelle limitazioni imposte dalla pandemia del Sars-Cov2. In Italia, tanto l’Ambasciata di Israele quanto le comunità ebraiche hanno organizzato eventi “virtuali” per festeggiare i 72 anni di Israele. Per l’occasione, l’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, ha diffuso un messaggio video in Italiano nel quale, ricordando come l’impegno degli Ebrei nei secoli per il Tikkun Olam, la riparazione del mondo, non abbia rinviato la riparazione di una nazione dispersa e divisa tra i vari Stati del mondo, ha citato la profezia di Ezechiele sulla valle delle ossa secche raffiguranti il popolo ebraico che sarebbe stato ricondotto dal Signore alla terra di Israele e di come la potenza della speranza presente in quella profezia, nel XIX secolo abbia ispirato il poeta Nafatli Herz Imber nella composizione delle parole di HaTikvà, l’inno dello Stato di Israele. Le parole profonde dell’Ambasciatore Eydar riportano al valore miracoloso della nascita di Israele, lo Stato di una nazione vissuta per duemila anni in esilio prima di riuscire a ritornare alla propria terra e creare un proprio Stato.

Come affermò David Ben Gurion, primo premier di Israele, nel discorso con il quale veniva proclamata la nascita dello Stato degli Ebrei, “in Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri”.

Israele, nel corso di questi 72 anni di vita, si è trasformato in un Paese moderno ed è potenza regionale che crea sviluppo, promuove la ricerca scientifica e tecnologica, sostiene la trasformazione delle idee in attività concrete grazie all’elevato numero di start-up. Grazie anche a questo suo spirito di iniziativa questo piccolo Stato, quanto l’Emilia-Romagna, è riuscito a superare molte di quelle barriere che, in passato, le sono state poste davanti da altri Stati della regione, avviando anche collaborazioni un tempo impensabili e che si spera possano rappresentare la premessa ad un nuovo clima di convivenza e pace nella regione.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Ri Butov da Pixabay

Caspar David Friedrich – Viandante sul mare di nebbia

Viandante sul mare di nebbia, Hamburger Kunsthalle, Amburgo

IL DIPINTO

Il Viandante sul mare di nebbia (in tedesco Der Wanderer über dem Nebelmeer) è un dipinto a olio su tela del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich, realizzato nel 1818 e conservato alla Hamburger Kunsthalle di Amburgo. Al centro della composizione, in primo piano, un viandante solitario si staglia in controluce su un precipizio roccioso, dando la schiena all’osservatore: ha i capelli rossi e scompigliati al vento, è avvolto in un soprabito verde scuro e nella mano destra, appoggiata al fianco, impugna un bastone da passeggio. È lui il vero centro focale e spirituale del dipinto: ciò malgrado, ben poco si sa su quest’uomo, a parte la sua natura errabonda e introversa. Secondo alcune testimonianze, sotto le vesti del pellegrino vi sarebbe il colonnello della fanteria sassone Friedrich Gotthard von den Brinken, defunto amico del Friedrich che con questa tela ne volle conservare vivo il ricordo.

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Ritratto di Caspar David Friedrich, Gerhard von Kügelgen, circa 1810–20

L’ARTISTA

Caspar David Friedrich (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840) è stato un pittore tedesco, esponente dell’arte romantica. L’artista, uno dei più importanti rappresentanti del «paesaggio simbolico», basava la sua pittura su un’attenta osservazione dei paesaggi della Germania e soprattutto dei loro effetti di luce, permeandoli di umori romantici. Egli considerava il paesaggio naturale come opera divina e le sue raffigurazioni ritraevano sempre momenti particolari come l’alba, il tramonto o frangenti di una tempesta. Caspar David Friedrich nacque il 5 settembre 1774 a Greifswald, cittadina della Pomerania svedese affacciata sulla costa baltica. Friedrich era il sesto dei dieci figli di Adolf Gottlieb Friedrich, un fabbricante di sapone e di candele che abbracciava il luteranesimo, e di Sophie Dorothea Bechly, che morì il 7 marzo 1781, quando il figlio aveva solo sei anni. L’anno successivo Friedrich perse la sorella Elisabeth, mentre una seconda sorella, Maria, soccombé al tifo nel 1791. In ogni caso, la tragedia più grande della sua infanzia avvenne nel 1787, quando si ruppe la lastra di ghiaccio su cui stava pattinando, cadde nelle acque gelide. Il fratello, Johann Christoffer, si buttò per aiutare Friedrich; riuscì a salvarlo, ma egli morì, sprofondando nell’acqua, come suggeriscono alcune fonti.

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Coronavirus Fase 2: il Decreto che sembra scontentare tutti

di Paolo Ferrara

Il Decreto che in molti aspettavano come una “liberazione”, ha in effetti deluso TUTTI. Lo stesso Giuseppe Conte con il suo discorso televisivo lungo e confuso di domenica sera non ha aiutato a migliorare la situazione, non riuscendo neanche a far capire su quali criteri logico-scientifici fossero basate le scelte che disordinatamente andava raccontando, anche se, proprio per elaborare quelle decisioni, si era avvalso di un “Comitato Scientifico di Esperti” di ben 240 membri!

Paolo Ferrara

In effetti i criteri scientifici in base ai quali il Comitato Tecnico-Scientifico ha suggerito le scelte operative, sono essenzialmente 3:

  1. Il Fattore R0 che indica la capacità infettante del virus sia in base alle sue intrinseche doti di invasività, che in base al numero di persone con cui esso viene in contatto. È ovvio quindi che, in corso di una pandemia, più persone vengono contemporaneamente in contatto tra loro, maggiore sarà il rischio di contagio, con conseguente crescita del Fattore R0. Infatti per i tecnici, l’attuale R0 italiano medio di 0.5, con le sole aperture dei cantieri edili e della fabbriche stabilite per il 4 maggio, potrebbe già aumentare a 0.63. Per questo, per poter mantenere l’R0 il più basso e stabile possibile, le riaperture dovrebbero essere graduali, differenziate per aree, e progressive, e, nel caso si dovessero ripresentare delle nuove impennate dell’R0, oltre il “limite soglia” di 1, immediatamente si dovrebbe ritornare a dei lockdown selettivi. Basti pensare che in Germania che ha allentato il lockdown un po’ prima di noi, l’R0 è già passato da 0.7 a 1.0!
  2. Il criterio analogicico in base al quale si può programmare la riapertura di attività anche molto differenti tra loro, ma che, per analogia, hanno in comune il parametro dell’entità dell’assembramento di persone che possono determinare. Per questa ragione possiamo trovare accomunate in un identico destino attività che non hanno alcun significato o funzione in comune tranne che il fatto di poter “mobilizzare” simili quantità di persone, come per es. i cinematografi e le chiese!
  3. Il grado di necessità di riapertura, che viene applicato ad aziende che sono parte integrata di particolari filiere produttive, di interesse collettivo.

Conte per rendere comprensibile l’apparente totale incomprensibilità di alcune scelte, avrebbe dovuto semplicemente spiegare questi tre punti.  Lui però ha preferito la strada di un discorso nebuloso, pieno di retorica e ripetizioni, con l’effetto finale di aggiungere ansia all’ansia e lasciare una miriade di scontenti.

Sono scontente le famiglie dove frequentemente entrambi i coniugi da lunedì 4 maggio dovranno riprendere il lavoro non sapendo a chi affidare i figli che, visto che non possono più affidarli ai nonni, rischieranno di rimanere soli a casa! Questo è forse il problema sociale di maggior impatto pratico che si sarebbe potuto facilmente “tamponare” con dei turni di lavoro sfalsati tra i due genitori, o, nell’impossibilità di realizzare ciò, con il congedo parenterale per uno dei due.

 Sono scontenti tutti gli operatori delle filiere della ristorazione che non apriranno ancora per parecchio tempo con il concreto rischio di non poter riaprire più, anche quelli che avevano già riorganizzato i loro locali per permettere un corretto distanziamento tra gli avventori. Sono scontenti tutti gli Operatori del Commercio che avrebbero voluto riprendere le loro attività, specie quelli che, con esercizi di dimensioni più grandi, erano riusciti a creare dei percorsi per i loro clienti confacenti con le regole del distanziamento. Ma sarebbe stato corretto fare aprire soltanto gli esercizi più grandi, condannando alla chiusura definitiva quelli più piccoli? E se invece si fosse fatta una apertura totale ed indifferenziata, come da qualcuno invocato in base ad un criterio di “giustizia sociale”, ma questa poi avesse condizionato una forte ripresa della circolazione virale, quale ulteriore rimedio si sarebbe dovuto prendere?

Sono scontenti i Vescovi della CEI che, nonostante Papa Francesco nel corso della Messa mattutina a S. Marta  avesse detto “ Prudenza e obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni ” hanno invece scelto, forse “contagiati” non dal virus ma dallo stile e dai modi dell’attuale mondo politico italiano, la strada dell’urlo e dello sbattimento dei pugni sul tavolo, arrivando addirittura  a minacciare l’annullamento del Concordato qualora le Chiese non fossero state subito riaperte al culto, accusando il Governo italiano di “impedire la libertà di Culto” e di entrare arbitrariamente in questioni non pertinenti alla sua giurisdizione, quasi che le Chiese avessero lo status di luoghi extra-territoriali! Probabilmente questa differenza tra le parole del Pontefice e quelle dei Vescovi dipende dal fatto che il Papa ha un ruolo mondiale, mentre la Conferenza Episcopale Italiana ha un ruolo nazionale, ma purtroppo, in questo modo, i Vescovi italiani, difronte all’immane tragedia di quasi 30000 morti in due mesi, hanno perso una occasione d’oro di dimostrare con un atteggiamento più equilibrato e rassicurante come le vie dello Spirito possono avere una loro forza autonoma immensamente più grande di quelle del piccolo potere delle caste e della politica spicciola! Purtroppo sembra che i Vescovi italiani, abbiano momentaneamente “dismesso” la loro vocazione di Pastori e di Educatori per prendere anche loro le vesti di “guerrieri”, in questa confusa guerra del tutti contro tutti, acuendo in tal modo le ansie e le sofferenze delle persone.

Sta così rapidamente montando nel nostro Paese un clima molto negativo, caratterizzato da polemiche tra il Nord e il Sud, continui scontri di basso sciacallaggio politico tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione, ma anche lotte e divisioni all’interno delle stesse forze di maggioranza e di opposizione, lì dove la condizione di emergenza esigerebbe invece una profonda unità nazionale.

La sensazione complessiva è di sconcerto. L’ansia e l’angoscia della popolazione, estremamente provata da due mesi di lockdown, ora, di fronte allo spettro di anche un collasso economico senza precedenti pur senza aver ancora debellato la pandemia, si sta trasformando in una rabbia sorda, in uno scontento generalizzato. Nella fase dell’emergenza sia il Governo che le Regioni hanno già fatto molti, gravi errori, ma ora, passando alla fase della programmazione di come dovremo per lungo tempo convivere con il virus pur cercando di riattivare almeno una parte delle nostre attività produttive, bisogna sicuramente cambiare metodi e strategie. Servono sia chiarezza sulle norme e sui comportamenti che dobbiamo seguire, che un monitoraggio continuo della mappa dei contagi, pronti a rapide chiusure selettive in caso di risalite dell’R0. Serve quindi una leadership politica con una maggiore capacità di autonomia propositiva e di sintesi, nell’ambito di una ritrovata coesione parlamentare, ma, sulla base delle “inedite” esternazioni degli ultimi giorni, serve anche una leadership spirituale che, forse un po’ meno concentrata sulla sola enfatizzazione della frequentazione liturgica, riprenda con forza la sua vocazione pastorale focalizzandola sulle fragilità, che purtroppo mostrano un costante e continuo aumento.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Omni Matryx da Pixabay

Museo Archeologico Nazionale di Venezia ogni giorno su Facebook

Piazza San Marco, museo archeologico nazionale

Il Museo Archeologico Nazionale di Venezia è un museo statale che espone sculture di arte classica greca e romana, bronzi, ceramiche, gemme e monete, e una piccola collezione di antichità egizie e assiro-babilonesi.

Museo archeologico nazionale di Venezia
Il Museo archeologico nazionale di Venezia è un museo statale dedicato all’archeologia, situato in piazza San Marco, presso le Procuratie Nuove. Ospita una raccolta d’antichità, frutto del collezionismo veneziano, con esempi di sculture greche del V-IV secolo a.C., i Galati Grimani, ritratti di epoca romana, rilievi, iscrizioni, ceramiche, avori, gemme e una raccolta numismatica.
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VISITA LE SALE A 360°

IMMAGINE DI APERTURA – Statua colossale romana di Marco Vipsanio Agrippa, esposta nel cortile del Museo archeologico di Venezia, vista dall’esterno. Foto di Giovanni Dall’Orto.