Cristina Federica Colombo – colori e materiali nell’architettura occidentale

«Gli architetti che seguono un approccio progettuale sensibile al carattere e alla storia del luogo si trovano a mediare tra esigenze di modernizzazione, dovute al mutare degli stili di vita e all’avanzamento tecnologico, e la necessità di garantire una continuità alle tradizioni che esprimono l’identità locale, armonizzando le proprie opere con un paesaggio di cui riconoscono i valori. Lontani da linguaggi spettacolari, ma spesso autoreferenziali, cercano sinergie con il contesto in cui operano e il suo genius loci (Norberg-Schulz 1979)». Sono concetti espressi da Cristina Federica Colombo del Politecnico di Milano, Department of Architecture and Urban Studies DAStU, nell’introduzione al suo interessante lavoro che presentiamo in questa pagina. «Il saggio prende spunto da un interrogativo: come si relazionano l’architettura nordica e quella mediterranea degli ultimi decenni all’uso del colore, inteso come un elemento fondamentale per la definizione della Gestalt di un’opera, piuttosto che un apparato ornamentale accessorio? Una riflessione teorica si accompagna alla comparazione di casi studio assimilabili, per dimostrare come l’adozione del colore in architettura concorra ad esprimerne il significato e non si limiti ad adempiere a una funzione meramente decorativa»». Per dimostrarlo si passeranno in rassegna opere di Le Corbusier, Luis Barragán, ÁlvaroSiza Vieira, Sauerbruch e Hutton, Alejandro Aravena; Mies van der Rohe, AlvarAalto, Sigurd Lewerentz, Peter Zumthor.

LEGGI IL SAGGIO SU ACADEMIA.EDU

IMMAGINE DI APERTURA – Colori a Burano (Venezia) – Foto di Lena Lindell da Pixabay 

Milano, Palazzo Reale – Georges de La Tour: l’Europa della luce

A Milano a Palazzo Reale è visitabile fino al 27 settembre la straordinaria mostra Georges de La Tour: l’Europa della luce
curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon
Sito ufficiale della mostra: http://www.georgesdelatourmilano.it/

Nuovi giorni di apertura e nuovi orari – Prenotazione obbligatoria

Georges de La Tour (studio) Educazione della Vergine, 1650 ca.
Olio su tela, 83,8 x 100,3 cm The Frick Collection, New York, Stati Uniti

A Milano a Palazzo Reale è visitabile fino al 27 settembre la straordinaria mostra Georges de La Tour: l’Europa della luce, aperta il 7 febbraio scorso, accolta come un evento dalla stampa e con centinaia di prenotazioni attivate dal pubblico, chiusa per l’emergenza sanitaria dal 24 febbraio e riaperta poi per una sola settimana dal 2 all’8 marzo.

La mostra riapre al pubblico con nuovi giorni e orari, accesso contingentato solo su prenotazione e con nuove disposizioni volte a tutelare la sicurezza dei visitatori.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon, l’esposizione vanta un comitato scientifico composto da Pierre Rosenberg (già direttore del Louvre), Gail Feigenbaum (direttrice, Getty Research Institute), Annick Lemoine (direttore, Musée Cognacq-Jay).

I 28 musei prestatori da 3 continenti hanno tutti accettato di prorogare il prestito delle 33 opere sino al 27 settembre, permettendo dunque di visitarla per altri 4 mesi, con le misure di sicurezza stabilite dalle autorità governative e regionali.

Tra i prestatori alcune delle più grandi istituzioni internazionali come la National Gallery of Art di Washington D.C., il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la Frick Collection di New York, il S. Francisco Fine Art Museum, il Chrysler Museum di Norfolk, la National Art Gallery di Leopoli; molte istituzioni museali regionali francesi, come il Musée des Beaux-Arts di Nantes, il Musée du Mont-du Piété di Bergues, il Musée départemental d’Art ancien et contemporain di Epinal, il Museée des Beaux-Arts di Digione, il Musée Toulouse-Lautrec di Albi, il Musée départemental Georges de La Tour di Vic-sur-Seille, oltre ad alcuni importanti musei italiani come la Galleria degli Uffizi, la Pinacoteca Vaticana, la Galleria nazionale d’Arte Antica-Palazzo Barberini .

La prima mostra in Italia dedicata a Georges de La Tour, attraverso mirati confronti tra i capolavori del Maestro francese e quelli di altri grandi del suo tempo – tra cui Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot – porta una nuova riflessione sulla pittura dal naturale e sulle sperimentazioni luministiche, per affrontare i profondi interrogativi che ancora avvolgono l’opera di questo misterioso artista.

Un’esposizione unica considerato che, come ebbe a sottolineare Roberto Longhi, in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono circa 40 le opere certamente attribuite al Maestro, di cui in mostra ne sono esposte 15 più una attribuita.

Tra i capolavori presenti in mostra, spicca la commovente intensità emotiva della Maddalena penitente (National Gallery of Art di Washington D.C., 1635-1640 circa); la splendida tela dipinta agli esordi La rissa tra musici mendicanti (J. Paul Getty Museum, 1625-1630 circa) caratterizzata da un’esecuzione straordinariamente libera e brillante; l’austero e tragico Suonatore di Ghironda col cane (Musée du Mont-de-Piété di Bergues, 1622-1625); Il denaro versato (Lviv –Ucraina, Galleria Nazionale di pittura, 1625-1627), tra i più interessanti esiti del percorso pittorico di De La Tour, scena connotata da un altissimo livello di tensione; I giocatori di dadi (Stockton-on-Tees, Preston Park Museum & Grounds, 1650-1651), uno dei pochi dipinti di La Tour che si conservano in Gran Bretagna; la straordinaria tela La Negazione di Pietro (Nantes, Musée des Beaux-Arts, 1650), dove La Tour somma agli effetti di luce dei notturni il carattere drammatico del tradimento dell’apostolo; il magnifico quadro Giobbe deriso dalla moglie (Epinal, Musée départemental d’Art ancien e contemporain, 1650 circa), particolarmente rappresentativo del lavoro sulla luce svolto dal Maestro; Giovane che soffia su un tizzone (Digione, Musée des Beaux-Arts, 1640 circa) dipinto di piccole dimensioni tra i pochi esempi di opere eseguite dall’artista per committenti privati; l’indimenticabile Educazione della Vergine (New York, Frick Collection, 1650 circa) con una scena intima e raccolta di grande poesia.

Completano le opere autografe di La Tour altri dipinti a tema religioso: i due ritratti di apostoli, San Giacomo Minore e San Giuda Taddeo dal Musée Toulouse-Lautrec di Albi; San Filippo dal Chrysler Museum of Art di Norfolk;  San Giovanni Battista nel deserto dal Museo de La Tour di Vic- sur-Seille, città natale del pittore.  E due incisivi ritratti – Old man e Old woman – dai Fine Arts Museums di San Francisco.

Il percorso della mostra è arricchito da una ventina di splendide opere di artisti coevi come Paulus Bor, Jan Lievens, Throphime Bigot, Frans Hals, Jan van Bijlert, Gerrit Van Honthorst (noto in Italia come Gherardo delle Notti), Adam de Coster, Carlo Saraceni.

Accompagna l’esposizione l’importante catalogo edito da Skira con saggi di Francesca Cappelletti, Pierre Rosenberg, Jean-Pierre Cuzin, Gail Feigenbaum, Dimitri Salmon, Gianni Papi, Rossella Vodret con Giorgio Leone, Matteo Mancinelli, Manfredi Merluzzi, comprensivo delle schede delle opere molto approfondite dal punto di vista critico e bibliografico e le relative immagini e seguito da una estesa bibliografia.

“Le immagini di La Tour – afferma la curatrice – sono assolutamente coinvolgenti,  spingono ad aguzzare la vista per scoprire cosa si celi nelle tenebre, dove la luce della candela non riesce ad arrivare; o sono quadri che ci mostrano più di quello che vorremmo vedere – la disperazione e la miseria della vita, che giganteggia vicino a noi. Osservando i suoi quadri lo spettatore è coinvolto al pari del pittore nella stessa impresa; non riesce a distogliere lo sguardo dall’opera, fino a essere catturato dal suo autore: questo uno dei segreti del suo ascendente”. 

La mostra aprirà dal giovedì alla domenica, dalle 11.00 alle 19.30 con apertura serale il giovedì sino alle 22.30 (ultimo ingresso un’ora prima). APERTURA SPECIALE MARTEDI’ 2 GIUGNO dalle 11 alle 19:30.
La prenotazione è obbligatoria – anche per le categorie gratuite –   presso Vivaticket tel. 02 92897755 o sul sito https://mondomostreskira.vivaticket.it/
È possibile prenotarsi anche poco prima della visita, purché sia rispettata la capienza consentita in ciascuna fascia oraria.
Al momento non è possibile prenotare visite per gruppi o scolaresche
Per chi è già in possesso di prenotazione va richiesto il voucher al sito: https://shop.vivaticket.com/ita/voucher
L’audioguida è inclusa nel biglietto in forma di app da scaricare negli store Apple e Google inserendo il titolo della mostra.

SINTESI MODALITÀ DI ACCESSO AL PALAZZO
La prenotazione è obbligatoria ed è necessario il preacquisto (la biglietteria in sede è chiusa). Presentarsi a Palazzo Reale all’orario prenotato, sono consentiti non più di 5 minuti d’anticipo. È necessario indossare la mascherina e sanificare le mani con le soluzioni igienizzanti presenti, per accedere ad ogni area del Palazzo. All’ingresso verrà rilevata la temperatura corporea. Se il valore è pari o superiore a 37,5 gradi non sarà consentito l’accesso. Prima di prenotare o raggiungere Palazzo Reale consultare tutte le regole di accesso: https://www.palazzorealemilano.it/nuove-regole-di-accesso

IMMAGINE DI APERTURAGeorges de La Tour Maddalena penitente, 1635 – 1640 Olio su tela, 113 x 92,7 cm National Gallery of Art, Washington D.C., Stati Uniti

Mary Cassatt – Bambina che si sistema i capelli

Bambina che si sistema i capelli, 1886, National Gallery, Washington

IL DIPINTO

Bambina che si sistema i capelli è un dipinto a olio su tela (75×62,5 cm) realizzato nel 1886 dalla pittrice Mary Cassatt. È conservato nel National Gallery di Washington. Il dipinto ritrae una giovane in sottoveste, dal volto non propriamente attraente, mentre si sistema i capelli in una treccia. I colori vividi e lo stile pittorico avvicinano molto l’opera a quella degli impressionisti: il quadro fu effettivamente esposto all’ottava mostra degli impressionisti (1886), e Degas chiese alla pittrice di poterlo avere, colpito dalla bellezza dell’opera. Alla morte di Degas (1917) le sue opere vennero messe in vendita. Poiché tra le altre figurava anche la “Bambina che si sistema i capelli”, l’opera fu inizialmente attribuita a lui anziché alla Cassatt.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Bambina che si sistema i capelli 

Autoritratto, 1878, Metropolitan Museum of Art, New York City

L’ARTISTA

Mary Stevenson Cassatt (Pittsburgh, 22 maggio 1844 – Château de Beaufresne, 14 giugno 1926) è stata una pittrice statunitense. Visse molto tempo in Francia dove diventò amica e allieva di Degas, esponendo poi le proprie opere insieme a quelle degli artisti del movimento impressionista. Cassatt realizzò molti dipinti che ritraggono la vita sociale e privata delle donne della sua epoca, ponendo una particolare attenzione all’intimo legame che si realizza tra le madri e i loro bambini. Nonostante la famiglia si opponga alla sua decisione di diventare un’artista professionista, Mary Cassatt inizia a studiare pittura presso la Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Filadelfia quando ha solo quindici anni. Parte delle preoccupazioni dei suoi genitori probabilmente sono dovute al timore della possibilità che Mary finisca in contatto con idee di tipo femminista, nonché con lo stile di vita bohémien di alcuni degli studenti maschi. Anche se almeno un quinto degli allievi è composto da ragazze, la maggior parte di loro intende l’arte solo come una conoscenza in più che può arricchire la loro vita sociale: solo poche, come Mary, sono determinate a farne la propria professione. Cassatt continua gli studi durante il periodo della guerra di secessione. Tra i suoi compagni di corso c’è Thomas Eakins, che in seguito diventerà un direttore dell’Accademia piuttosto discusso.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Mary Stevenson Cassatt

Le Passeggiate del Direttore: Il papiro di Kha

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Museo Egizio di Torino

Le Passeggiate del Direttore: Il papiro di Kha

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Sul patrimonio culturale. Storie di ordinaria malagestione italiana

Il 2015 è stato uno degli anni più bui per le sorti del patrimonio culturale italiano. Dinanzi all’ordinaria malagestione pubblica, alle decisioni politiche più scellerate, ai diffusi comportamenti incivili e ai tanti abusi perpetrati ai sui danni non è più possibile chiudere gli occhi, ma è necessario far valere il proprio sacrosanto diritto di critica. Il dissenso è l’unica via per sperare che l’inestimabile patrimonio storico-artistico degli Italiani venga meglio tutelato, conservato, fruito e trasmesso alle generazioni future. Il pamphlet, in distribuzione gratuita, raccoglie una rassegna degli episodi noti e meno noti che hanno caratterizzato il 2015.

SCARICA IL LIBRO FORMATO E-BOOK GRATIS DA IBS.IT

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Pierre-Auguste Renoir – Ballo al moulin de la Galette

Ballo al moulin de la Galette, 1876, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

Il Bal au moulin de la Galette (Ballo al moulin de la Galette) è un dipinto del pittore francese Pierre-Auguste Renoir, realizzato nel 1876 e conservato al museo d’Orsay di Parigi. Il Bal au moulin de la Galette è una delle opere più note di Renoir ed è unanimemente considerato uno dei più alti capolavori del primo Impressionismo. Il dipinto, nonostante consegua risultati di grande freschezza e intensità, conobbe una gestazione molto elaborata, attentamente descritta dall’amico Georges Rivière nelle sue memorie Renoir et ses amis. Renoir pensava di dipingere uno spaccato di vita mondana parigina all’epoca della Belle Époque sin dal maggio 1876, e trovò nel Moulin de la Galette un soggetto che si prestava perfettamente alle sue esigenze. Il Moulin de la Galette era un locale molto amato dalla gioventù parigina, ottenuto dalla ristrutturazione di due mulini a vento abbandonati, e ubicato sulla sommità della collina di Montmartre. Il nome del locale, in particolare, si riferisce alle frittelle rustiche offerte come consumazione e comprese nel prezzo d’ingresso, che all’epoca era pari a venticinque centesimi di franco. Quando Renoir attendeva al dipinto il luogo brulicava di gente: erano moltissimi i giovani, artisti e non, che decidevano di trascorrere le loro domeniche pomeriggio al Moulin, per ballare, bere, discutere, o comunque trascorrere del tempo in compagnia e divertirsi.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA:  Bal au moulin de la Galette

Autoritratto, 1876, Fogg Art Museum, Cambridge, Massachusetts

L’ARTISTA

Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919) è stato un pittore francese, considerato uno tra i massimi esponenti dell’Impressionismo. Pierre-Auguste Renoir nacque il 25 febbraio 1841 a Limoges, nella regione francese dell’Alta Vienne, quarto di cinque figli. La madre, Marguerite Merlet, era un’umile operaia tessile, mentre il padre, Léonard, era un sarto. Si trattava dunque di una famiglia di modestissime condizioni, e l’ipotesi secondo la quale i Renoir fossero di origini nobili – promossa dal nonno François, un orfanello allevato illo tempore da una zoccolaia – non godeva di grande popolarità in famiglia. Non a caso, quando François morì nel 1845, papà Léonard – allettato dalla speranza di un salario sicuro – si trasferì con la famiglia a Parigi, stabilendosi al n. 16 di rue de la Bibliothèque, a poca distanza dal museo del Louvre. Pierre-Auguste non aveva che tre anni. All’epoca l’assetto urbano di Parigi non era stato ancora stravolto dalle trasformazioni operate dal barone Haussmann, che alle strette viuzze della città storica sovrappose a partire dal 1853 una moderna maglia di scenografici boulevard e di grandi piazze a forma stellare. La viabilità parigina era dunque quella, minuta e frammentata, di origine medioevale, e nelle strette viuzze che si irraggiavano dal palazzo delle Tuileries (distrutto durante la Comune) i bambini si riunivano per giocare insieme all’aria aperta. Pierre-Auguste – «Auguste» per la mamma, che odiava l’impronunciabilità di «Pierre Renoir», nome con certamente troppe erre – in effetti trascorse un’infanzia lieta e spensierata, e quando iniziò a frequentare le elementari presso i Fratelli delle scuole cristiane rivelò due inaspettati talenti. Innanzitutto possedeva una voce dolce e melodiosa, tanto che i suoi insegnanti premevano affinché passasse nel coro della chiesa di Saint-Sulpice, sotto la guida del maestro di cappella Charles Gounod. Il Gounod credeva fermamente nelle potenzialità canore del ragazzo e, oltre ad offrirgli lezioni gratuite di canto, arrivò persino a prodigarsi affinché entrasse nel coro dell’Opéra, uno dei maggiori enti lirici del mondo.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Pierre-Auguste Renoir

Milano: Inge Morath – La vita. La fotografia

MILANO – MUSEO DIOCESANO CARLO MARIA MARTINI
19 GIUGNO – 1° NOVEMBRE 2020
INGE MORATH La vita. La fotografia
Website: https://mostramorath.it/

150 immagini e documenti originali ricostruiscono la vicenda umana e professionale della fotografa austriaca, prima donna a entrare nell’agenzia Magnum Photos.

Inge Morath, Audrey Hepburn sul set di “Unforgiven”, Messico, 1959, © Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos

Dal 19 giugno al 1° novembre 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una retrospettiva dedicata alla fotografa austriaca Inge Morath (Graz, 1923 – New York, 2002), la prima donna a essere accolta nell’agenzia Magnum Photos. L’iniziativa è parte dei palinsesti culturali Aria di Cultura e I talenti delle donne, promossi e coordinati dal Comune di Milano.

Attraverso 150 immagini e documenti originali, l’esposizione, curata da Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl, e Marco Minuz, prodotta da Suazes, Fotohof e Magnum Photos, col supporto del Forum Austriaco di Cultura, col sostegno di Rinascente, media partner IGP Decaux, ripercorre il cammino umano e professionale di Inge Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, LIFE, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue, attraverso i suoi principali reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina, al punto che il marito, il celebre drammaturgo Arthur Miller, ebbe a ricordare che “Non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla”.

Il percorso espositivo dà conto di questa sua inclinazione, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizioni fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson.

Le immagini di Inge Morath riflettono le sue più intime necessità, ma al contempo sono come pagine del suo diario di vita, come lei stessa ha scritto: “La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”.

“Nelle fotografie di Inge Morath – scrive il curatore Marco Minuz – emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva. Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Il suo lavoro è, come il buon giornalismo, schietto, privo di compassione e ambiguità. Le sue immagini hanno sempre la capacità di non semplificare mai ciò che è complesso, e mai complicare quello che è semplice; sono fortemente descrittive e al contempo fanno trasparire una rara capacità di analisi del contesto con il quale si confrontava. Un approccio sistematico che la spingeva, prima di ogni lavoro, a studiare e approfondire le culture con cui si sarebbe rapportata, per arrivare così a conoscere sette lingue. Ma in definitiva, in piena condivisione con uno dei dogmi dell’agenzia Magnum, la vera priorità per Inge Morath è sempre stato l’essere umano”.

L’itinerario di Inge Morath prosegue in Spagna, paese che visitò spesso, fin dal 1954 quando venne incaricata di riprodurre alcuni dipinti per la rivista d’arte francese L’Oeil e di ritrarre la sorella di Pablo Picasso, Lola, spesso restia a farsi fotografare, ma anche della Romania comunista, della natia Austria, del Regno Unito.

Non poteva mancare una sezione dedicata a Parigi, uno dei ‘luoghi del cuore’ di Inge Morath, dove incontrò i fondatori dell’agenzia Magnum: Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa. Essendo la più giovane fotografa dell’Agenzia, nella capitale francese le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali; tuttavia, in queste immagini emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana.

Il sogno di Inge Morath fu sempre quello di visitare la Russia. Si avvicinò a questo paese studiandone la cultura e imparandone la lingua prima del suo primo viaggio, avvenuto nel 1965, in compagnia di suo marito, Arthur Miller, allora presidente del PEN club – un’associazione internazionale non governativa di letterati, nel quale ebbero l’opportunità di far visita agli artisti e intellettuali russi oppressi dal regime, oltre che portare a termine programmi ufficiali. Da quel viaggio nacque un ampio lavoro fotografico che negli anni successivi si arricchì da altro materiale raccolto in altre occasioni.

L’ideale giro del mondo con Inge Morath prosegue in Iran, dove riuscì ad approfondire la conoscenza di quella regione, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale e si chiude idealmente a New York dove nel 1957 realizza un reportage per conto della Magnum.

In questo periodo Inge realizzò fotografie sul quartiere ebraico, sulla vita quotidiana della città, oltre a ritratti di artisti con cui strinse amicizia. New York, come testimoniato dall’omonimo libro pubblicato nel 2002, rimarrà un luogo importante per tutta la sua vita.

Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, nel 1962, Morath si trasferì infatti in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove crebbe i suoi due figli Rebecca e Daniel.

La mostra dà inoltre ampio spazio al ritratto, un tema che l’ha accompagnata per tutta la sua carriera. Da un lato era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage. Tra gli scatti più iconici, spicca la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film “Gli spostati” del 1960, lo stesso dove Inge conobbe Arthur Miller che all’epoca era sposato proprio con l’attrice americana.

Che si trattasse di persone comuni o artisti di chiara fama, il suo interesse era sempre rivolto all’essere umano in quanto tale. Il suo stile fotografico affonda le sue radici negli ideali umanistici del secondo dopoguerra ma anche nella fotografia del ‘momento decisivo’, così come l’aveva definita Henri Cartier-Bresson. Ogni suo ritratto si basava infatti su un rapporto intenso o anche su una conoscenza profonda della persona immortalata.

Una sezione propone, inoltre, la serie di curiosi ritratti ‘mascherati’ nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta.

Negli anni ‘60 Steinberg aveva iniziato a realizzare la sua serie di maschere e chiese a Inge Morath di trovare delle persone da fotografare con gli abiti adatti per queste maschere. Gli scatti hanno in comune il fatto di essere ambientati nella vita quotidiana newyorkese.

Accompagna l’esposizione un volume monografico Silvana Editoriale.

Anche quest’anno, durante i mesi estivi, il Museo Diocesano in collaborazione con Chiostro Bistrot propone la formula “mostra+aperitivo” (Euro 10,00) che consentirà al pubblico di ammirare le opere di Inge Morath e la rassegna Gauguin Matisse Chagall. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani, in orario serale, dalle 18.00 alle 22.00 (ingresso da corso di Porta Ticinese 93), e di godersi una bevanda in uno dei luoghi più affascinanti della città.

Note biografiche

Inge Morath nasce a Graz nel 1923. Studiò lingue all’università di Berlino e Bucarest e lavorò come interprete per il servizio americano d’informazione. Nel 1953 si unì alla celebre agenzia Magnum Photos Agency, diventando membro ufficiale nel 1954. In quegli anni lavora, come assistente, per i fotografi Ernst Haas e Henri Cartier-Bresson. Nel 1955 pubblicò la sua prima collezione di fotografie, alla fine della carriera si contarono 30 monografie. Il 17 febbraio 1962 sposò il celebre scrittore Arthur Miller che era stato sposato in precedenza con l’attrice Marilyn Monroe. La coppia ebbe due figli, Rebecca ( diventerà una celebre regista e  sceneggiatrice ) e Daniel. Le sue fotografie hanno la forza di scavare nell’intimità delle persone ritratte e sono sempre il frutto di un percorso di conoscenza e vicinanza. Morì all’età di 78 anni nel 2002 a New York. Negli anni duemila viene costituita la Fondazione Inge Morath negli Stati Uniti d’America e il suo archivio viene conservato presso l’Università di Yale.

IMMAGINE DI APERTURA – Inge Morath, Autoscatto, Gerusalemme, 1958, © Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos

Federica Scibilia – Viollet-le-Duc e la percezione delle architetture classiche in Sicilia

Una mostra di disegni di Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879), uno fra gli architetti che maggiormente hanno influenzato teoria e pratica del restauro architettonico durante l’Ottocento, è stata ospitata nel 2016 presso la Galleria di Palazzo Abatellis. Gilles Désiré dit Gosset – Conservateur général du patrimoine, Direttore della Mediateca di Architettura e del Patrimonio, a Parigi – presenta questo interessante catalogo che raccoglie il corpus dei disegni siciliani, oggi custoditi proprio nella Mediateca di Parigi. Sono stati elaborati nella primavera del 1836, quando Viollet-le-Duc decise di visitare la Sicilia, seguendo le orme degli innumerevoli artisti europei che, a partire dal 17° secolo, hanno percorso la penisola italiana alla ricerca delle radici culturali del continente europeo.

Il suo soggiorno si distingue per diversi aspetti. Come molti altri, Viollet-le-Duc è interessato ai siti antichi. Ma lo fa a modo suo, il che annuncia già un gusto per la ricostruzione storica: il magnifico disegno del teatro restaurato di Taormina ne è un esempio lampante. Il giovane architetto mostra anche la sua originalità rifiutando di limitare la sua curiosità all’antichità. In effetti, è altrettanto interessato al Medioevo e al Rinascimento – lo illustrano i suoi disegni di Monreale o Sant’Agostino di Palermo –, come è pure interessato ai grandiosi siti naturali, ad esempio l’Etna. Questo viaggio, che dura dal 18 aprile al 17 luglio 1836, consente inoltre a Viollet-le-Duc di aumentare la sua notorietà. Infatti, sedotta dalla qualità dei disegni mostrati al suo ritorno, la regina Marie-Amélie, figlia del re delle Due Sicilie e moglie di Luigi Filippo, gli chiese di disegnare acquerelli.

In questo stralcio del catalogo seguiamo il viaggio dell’architetto francese attraverso il contributo di Federica Scibilia, Viollet-le-Duc e la percezione delle architetture classiche in Sicilia. Annota la studiosa dell’Università di Catania: «La marcata eterogeneità del suo repertorio iconografico, sia in relazione ai soggetti rappresentati e alla scala dimensionale, spaziando dalle vedute di paesaggio ai particolari architettonici, che alla tecnica e al tipo di rappresentazione, dalle prospettive pittoriche alle proiezioni ortogonali, oltre a denotare una notevole abilità grafica, evidenzia la vastità dei suoi interessi. L’esame dei disegni è accompagnato dallo studio delle lettere inviate ai familiari durante il suo soggiorno nell’isola e del suo diario (Journal)».

LEGGI IL SAGGIO SU ACADEMIA.EDU

IMMAGINE DI APERTURA – Particolare della copertina del catalogo

Venezia: L’invenzione della felicità – 120 fotografie di Jacques Henri Lartigue

VENEZIA – CASA DEI TRE OCI
DALL’11 LUGLIO 2020 AL 10 GENNAIO 2021
L’INVENZIONE DELLA FELICITÀ
120 FOTOGRAFIE, CON 55 INEDITI, DI JACQUES HENRI LARTIGUE

Jacques Henri Lartigue, Anna la Pradvina, aussi appelée “La femme aux renards”, Avenue du Bois, Paris, 1911 © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL

La Casa dei Tre Oci di Venezia riapre dopo l’emergenza Coronavirus con la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986). L’esposizione, inizialmente prevista dal 4 marzo al 12 giugno 2020, ma aperta solo pochi giorni a causa dei provvedimenti per contenere il contagio da Covid-19, si terrà dall’11 luglio 2020 al 10 gennaio 2021. Per celebrare la riapertura, sabato 11 luglio, la mostra sarà aperta con ingresso gratuito, dalle 14.00 alle 19.00. Nei mesi di luglio e agosto, si potrà visitare la rassegna dal venerdì alla domenica, dalle 11 alle 19, pagando il solo biglietto ridotto speciale (€9,00 anziché 13).

L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese.

Con la riapertura al pubblico della Casa dei Tre Oci la Fondazione di Venezia conferma il suo impegno al fianco della città, dopo la grave crisi generata da Covid-19, per un rilancio internazionale che non può non passare attraverso la cultura sottolinea il Presidente della Fondazione di Venezia, Michele Bugliesi –. I Tre Oci sono ormai da anni una straordinaria casa della fotografia in cui sono ospitate mostre di grande respiro come questa dedicata a Jacques Henri Lartigue. Poter rendere nuovamente la Casa dei Tre Oci un bene al servizio della città è il segno tangibile della volontà della Fondazione di essere sotto ogni forma attore proattivo per lo sviluppo di Venezia e del suo territorio”.

La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile. A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio, libri quali il Diary of the Century (pubblicato con il titolo “Instants de ma vie” in francese), riviste dell’epoca, un diaporama con le pagine degli album, tre stereoscopie con immagini che rappresentano paesaggi innevati ed eleganti scenari parigini. Questi documenti ripercorrono la sua intera carriera, dagli esordi dei primi anni del ‘900 fino agli anni ‘80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.

Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.

“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte. Avedon, in particolare, gli chiese di scavare nel suo archivio per riportare alla luce alcuni scatti al fine di creare un ‘giornale’ fotografico. La selezione di queste immagini, fatta dallo stesso Avedon e da Bea Feitler, photoeditor di Harper’s magazine, portò alla pubblicazione del volume, nel 1970, Diary of a Century che lo consacrò definitivamente tra i grandi della fotografia del Novecento. Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.

Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia. Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.

La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue Marsilio Editori, con una testimonianza di Ferdinando Scianna.

In occasione della riapertura, la Casa dei Tre Oci mette a disposizione gratuitamente innovative modalità di fruizione della mostra, perfezionate dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con Civita Tre Venezie nel periodo di lockdown nell’ambito del progetto FDVonair. Si tratta di un sistema di particolari QRcode, ovvero codici scansionabili con la fotocamera del proprio cellulare, associati a podcast che consentiranno ai visitatori di approfondire una significativa selezione di immagini attraverso la voce del direttore artistico Denis Curti e di ascoltare la playlist ispirata ai temi del fotografo della felicità.

Dall’11 luglio riapre, inoltre, nelle sale De Maria della Casa dei Tre Oci, la personale di Daniele Duca (Ancona, 1967), dal titolo Da Vicino, che presenta una serie di scatti di oggetti (grucce, penne, trame di tessuti, pasta, peperoni) che, privati del loro contesto, diventano delle nature morte contemporanee.

L’accesso alla Casa dei Tre Oci è contingentato, nel rispetto delle attuali norme sulla sicurezza, con alcune prescrizioni, quali l’uso della mascherina, la distanzadi sicurezza di almeno 1 metro, l’obbligo di igienizzarsi le mani all’ingresso e all’interno delle sale espositive, grazie ai dispenser igienizzanti posti in più punti della Casa.

Note biografiche

Jacques Henri Lartigue nasce il 13 giugno del 1894 a Courbevoie (nella regione dell’Île-de-France) da una famiglia facoltosa, il padre Henri è un uomo d’affari appassionato di fotografia. Nel 1899 la famiglia si trasferisce a Parigi. Nel 1902 all’età di sette anni, Lartigue riceve in regalo dal padre la sua prima macchina fotografica. La sua attività di fotografo inizia qui: scatta e sviluppa le proprie foto dapprima con l’aiuto del genitore e subito dopo da solo. Ritrae il mondo che gli sta attorno, parenti, amici e, più in generale, la quotidianità della borghesia. A partire dal 1904 inizia con alcuni esperimenti fotografici. L’esempio più rappresentativo di queste prove è costituito dalle sovrimpressioni per creare foto di “pseudo fantasmi”. Automobili e aeroplani, ma più in generale il movimento, diverranno poi tra i soggetti preferiti da Lartigue. In questi anni comincia a delinearsi la filosofia che poi caratterizzerà tutta la sua vita: il culto della felicità, la ricerca di un idillio che non possa essere turbato da traumi profondi. Tale ideale, che si rispecchia a pieno con il periodo della Belle Époque, viene rappresentato dalle fotografie di serate mondane e eleganti dame a passeggio al Bois de Boulogne, che lo interessano fin da giovane. Parallelamente in piena prima guerra mondiale, Lartigue decide di dedicarsi alla pittura. In questi anni, lavora anche come scenografo, illustratore e fotografo di scena, iniziando a frequentare personalità di spicco del mondo dell’arte e cinema. Grazie ad Albert Plecy, influente personalità del mondo della fotografia in Francia, nel 1954 viene fondata l’associazione Gens d’Images e Lartigue ne diviene il vicepresidente. L’anno seguente Lartigue espone per la prima volta le sue fotografie alla Galerie d’Orsay, accanto ai lavori di Brassaï, Doisneau, e Man Ray. Il suo nome comincia a circolare, ma la sua vera fortuna come autore fotografico arriva soltanto nel 1963, anno in cui il MoMA di New York gli dedica la personale The Photographs of Jacques Henri Lartigue. Il portfolio della mostra viene pubblicato sul vendutissimo numero di Life dedicato all’assassinio del presidente Kennedy, e il nome e l’opera del fotografo vengono resi noti ad un pubblico vastissimo. Altre esposizioni e la pubblicazione di vari libri dedicati alla sua opera, fra i quali The Family Album, edito da Ami Guichard nel 1966, e Diary of a Century, ideato da Richard Avedon, ne rafforzeranno in seguito la fama, al punto che nel 1974 diventerà fotografo ufficiale del presidente francese. Da allora, pur continuando a fotografare per se stesso, dedicherà molto del suo tempo alle commissioni di riviste di moda e arti decorative. Muore il 12 settembre del 1986 a Nizza, all’età di novantadue anni, restando nell’immaginario della gente come il testimone privilegiato di un’età d’oro. Nel 1979, Jacques Henri Lartigue donò la sua collezione di fotografie, diari e macchine fotografiche allo stato francese. Le opere sono conservate alla Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, e la Donation Jacques Henri Lartigue conserva e gestisce la collezione.

IMMAGINE DI APERTURA – Jacques Henri Lartigue, Mains de Florette, 1961 © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL

Jean-Frédéric Bazille – L’atelier di Bazille

L’atelier di Bazille, 1870, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

L’atelier di Bazille (L’atelier de Bazille) è un dipinto del pittore francese Jean-Frédéric Bazille, realizzato nel 1870 e conservato al museo d’Orsay di Parigi. L’opera, realizzata pochissimo tempo prima la prematura scomparsa di Bazille alla battaglia franco-prussiana di Beaune-la-Rolande, costituisce «il commovente testamento dell’artista» (museo d’Orsay). Siamo davanti alla vibrante testimonianza pittorica dell’affettuosa intimità che intercorreva tra i vari «pittori di Batignolles», denominazione che si riferisce al quartiere di Parigi in cui vivevano Bazille e gran parte dei futuri impressionisti. La scena, come si può facilmente dedurre dal titolo dell’opera, è ambientata nell’atelier di Bazille, a rue de La Condamine. Al centro della composizione, con l’amata tavolozza in mano, troviamo proprio Bazille: come spiega lo stesso pittore al padre, tuttavia, «Manet ha dipinto la mia persona».

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: L’atelier di Bazille

Autoritratto, 1865-1866, Art Institute of Chicago

L’ARTISTA

Jean Frédéric Bazille (Montpellier, 6 dicembre 1841 – Beaune-la-Rolande, 28 novembre 1870) è stato un pittore francese. Jean-Frédéric Bazille nacque il 6 dicembre 1841 a Montpellier, in Francia, primogenito di Camille Vialars, ricca ereditiera di vasti domini agricoli a Lattes, e di Gaston Bazille, benestante vicesindaco di Montpellier, noto anche per essere stato senatore repubblicano dell’Hérault, presidente della Società di agricoltura e viticoltore di tutto rispetto. Dopo il diploma di maturità si trasferì a Parigi per intraprendere gli studi di medicina. Lui, tuttavia, aveva già maturato un’esplosiva passione per la pittura, frequentando assiduamente il museo Fabre di Montpellier, dove scoprì i capolavori di Veronese, e attraverso la conoscenza del vicino Alfred Bruyas, collezionista con un gusto contagioso per l’arte contemporanea, in special modo Delacroix e Courbet. Già da adolescente decise di coltivare la sua passione seguendo le lezioni di disegno e modellato di Auguste Baussan, sempre a Montpellier.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Jean Frédéric Bazille