Le Passeggiate del Direttore: Gli Ushabti e la Tomba di Khaemwaset

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Museo Egizio di Torino

Le Passeggiate del Direttore: Gli Ushabti e la Tomba di Khaemwaset

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Davide Rigonat – La biblioteca dimenticata

Ventiquattro puntate della rubrica “La biblioteca dimenticata”, appuntamento mensile di segnalazioni e recensioni di libri “dimenticati” curata da Davide Rigonat e ospitata sul blog letterario di Romina Tamerici, raccolte in volume. Un’occasione per scoprire sedici capolavori antichi e moderni di altrettanti autori italiani e stranieri, magari poco conosciuti al grande pubblico ma che spero riusciranno a incuriosirvi e a regalarvi qualche ora di svago e di piacere, oltre che molte emozioni. Con introduzione di Romina Tamerici.

SCARICA IL LIBRO FORMATO E-BOOK GRATIS DA IBS.IT

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Taisiia Shestopal da Unsplash

Cristiano Banti – Boscaiole con fascine

Boscaiole con fascine, 1881-1889, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze

IL DIPINTO

Boscaiole con fascine è un dipinto di Cristiano Banti. Databile tra il 1881 e il 1889, è conservato nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, a Firenze. Boscaiole con fascine è un’opera che fa parte della serie Predone, che è anche il sottotitolo con cui questo dipinto è noto. Angelo De Gubernatis, nel suo Dizionario degli artisti italiani viventi, edito nel 1889, di questo quadro diceva che l’Autore lo stava ultimando. Per Matteucci, Banti lavorava a questa idea già nel 1878. Si conoscono cinque studi preparatori di questa tela. Dopo il 1870 Banti aveva fatto un viaggio a Parigi e si era interessato all’opera del fotografo Bingham. Tornato a casa, cominciò ad usare la macchina fotografica per le sue ricerche in esterni. Meticoloso, incontentabile, sempre alla ricerca di particolari, è probabile che abbia lavorato anni, prima di arrivare alla definitiva versione di questo soggetto.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Boscaiole con fascine

Cristiano Banti, 1860 c., foto Alinari

L’ARTISTA

Cristiano Banti (Santa Croce sull’Arno, 4 gennaio 1824 – Montemurlo, 4 dicembre 1904) è stato un pittore italiano figurativo di formazione accademica, esponente di spicco del movimento dei Macchiaioli toscani. Nato a Santa Croce sull’Arno in provincia di Pisa da famiglia borghese benestante (cronache del tempo lo indicano come probabile figlio della marchesa Maria Ottavia Vettori, di cui la famiglia Banti erano fattori), alla sua formazione accademica neoclassica presso l’Accademia di Belle Arti di Siena come allievo di Francesco Nenci, fa seguire un netto avvicinamento ai modi dei Macchiaioli, con cui entra in contatto dopo il suo trasferimento a Firenze nel 1855, dove frequenta gli artisti del Caffè Michelangiolo.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Cristiano Banti

Carpi (Mo): Bernardino Ramazzini (1633-1714). Primo medico del lavoro

Prestantius est praeservare quam curare

Carpi (Mo) – Musei di Palazzo dei Pio
Dal 18 settembre 2020 al 6 gennaio 2021
Prevenire è meglio che curare – Bernardino Ramazzini – Primo medico del lavoro

Giuseppe Grazioni, La tessitrice, 1910 circa, Palazzo Foresti (Carpi)

UNA MOSTRA CELEBRA LA FIGURA DI BERNARDINO RAMAZZINI (1633-1714) IL FONDATORE DELLA MEDICINA DEL LAVORO

L’esposizione ripercorre la vicenda umana e professionale del medico carpigiano, una delle menti più lucide e rivoluzionarie della storia e della pratica medica.
Dal Seicento, il percorso giungerà fino alla contemporaneità, analizzando temi estremamente attuali, come la sicurezza dei luoghi di lavoro e la prevenzione dei rischi professionali e ambientali.

La rassegna è parte del programma del festivalfilosofia 2020 Macchine, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo dal 18 al 20 settembre 2020.

Carpi capitale della medicina. Solo due secoli separano due tra le menti più lucide e rivoluzionarie della storia e della pratica medica italiana ed europea: Berengario da Carpi (1460ca.-1530) e Bernardino Ramazzini (1633-1714), cui la città emiliana ha dato i natali.

Dopo la mostra su Berengario e lo sviluppo degli studi anatomici nel Rinascimento, tenutasi nel 2018, i Musei di Palazzo dei Pio a Carpi (MO) ospitano un’esposizione che ripercorre la vicenda umana e professionale di Bernardino Ramazzini, autore del De Morbis Artificum Diatriba che ha portato alla nascita della moderna medicina del lavoro.

La rassegna, curata da Manuela Rossi e Tania Previdi, ideata e prodotta dal Comune di Carpi – Musei di Palazzo dei Pio in collaborazione con Archivio storico comunale e Biblioteca multimediale Loria di Carpi, con il patrocinio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dell’Università degli Studi di Padova, col contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, Assicoop Modena, presenta una serie di documenti originali, prime edizioni dei libri di Ramazzini, volumi a stampa coevi, dipinti di autori quali Guercino, Antonio Cifrondi, Giuseppe Graziosi che contestualizzano l’ambiente in cui il medico carpigiano si è trovato a operare.

 L’iniziativa è parte del programma del festivalfilosofia 2020 Macchine, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo dal 18 al 20 settembre 2020.

Il percorso espositivo si muove dalla prima metà del Seicento e si spinge fino alla contemporaneità, analizzando temi estremamente attuali, come la sicurezza dei luoghi di lavoro e la prevenzione dei rischi professionali e ambientali.

Il visitatore viene accolto dalla figura virtuale di Bernardino Ramazzini che introdurrà i temi della mostra. La prima sezione è dedicata al medico carpigiano e al suo tempo, nella quale si ricostruisce il personaggio e il contesto storico, sociale e culturale della sua epoca attraverso documenti d’archivio, il ritratto dipinto da Luigi Bianchini Ciarlini nella seconda metà del XVIII secolo, i primi trattati medici e quelli di fisica, come il De constitutione anni 1690 de rurali epidemia o l’Ephemerides barometricae mutinensis anno 1694, oltre a stampe e opere d’arte secentesche.

Per la prima volta, verrà inoltre presentato un ritratto inedito appartenuto allo stesso Ramazzini, di proprietà degli eredi.

Il cuore della mostra si sviluppa nelle logge nord e ovest del palazzo, che ospitano una indagine sulla sua opera più importante e celebrata il De Morbis Artificum Diatriba, qui presente nella prima edizione del 1700 (Biblioteca Loria di Carpi), ma anche nelle numerose riedizioni e traduzioni, accompagnate da approfondimenti multimediali e da una serie di esemplari moderni che si potranno sfogliare.

Con un metodo empirico e assolutamente innovativo per la sua epoca, il De Morbis parte dall’osservazione di una categoria specifica di lavoratori, gli svuotatori di pozzi neri, e analizza 55 mestieri del suo tempo, studiandone i rischi per la salute, determinati dalle materie prime utilizzate e dal contesto lavorativo; il volume si concentra poi sulle malattie che possono svilupparsi nelle singole professioni, sulle soluzioni preventive di carattere ambientale e su quelli che oggi vengono chiamati i ‘dispositivi di protezione individuale per i lavoratori’ che possono evitare eventuali rischi per la salute, oltre che per l’ambiente e per quello che attualmente viene identificato come il sistema economico e sanitario, che rischia di essere inadeguato ad affrontare numerosi casi di malattie anche mortali.

Il rivoluzionario saggio del padre della Medicina del lavoro risulta ancor oggi di straordinaria attualità e ha lasciato ai posteri un’eredità che richiama l’applicazione di metodi e strumenti che consentano, come ha scritto Ramazzini, “di prevenire, di vigilare sui mestieri e sulle fabbriche, di fare smettere il mestiere a chi è impari ad esso, di studiare la morbilità degli abitanti che vivono nelle vicinanze dei luoghi di lavoro”.

I contesti professionali studiati da Bernardino Ramazzini nella sua opera, sono poi esaminati attraverso stampe, dipinti, materie prime e strumenti di lavoro, tra cui un dipinto del Guercino con l’Estrazione della canapa sul macero (prima metà XVII secolo) del Museo di Cento, le incisioni dei Mestieri dell’uomo del bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634) provenienti da una collezione privata modenese, le grandi tavole sui mestieri dei dodici volumi della prima edizione dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert della metà del Settecento, fino al dipinto del Ciabattino di Antonio Cifrondi (Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia) e della Tessitrice di Giuseppe Graziosi.

Oggi l’idea di fondo dell’opera di Ramazzini viene sviluppata nell’azione di ricerca e di intervento del Collegium Ramazzini di Bologna, che in oltre 40 anni si è occupato di medicina del lavoro, ma anche, sempre più negli ultimi anni, di casi di inquinamento ambientale determinato da eventi catastrofici come l’incidente alla centrale di Chernobyl.

La mostra si conclude quindi con la sezione, realizzata proprio in collaborazione col Collegium Ramazzini, sull’attualità dei temi della medicina del lavoro, ovvero delle problematiche ambientali e professionali, dello sviluppo delle ricerche e degli studi oggi, sulla base della relazione tra rischio e danno, individuata per la prima volta proprio da Ramazzini.

Catalogo Moggio Edizioni.

IMMAGINE DI APERTURALuigi Bianchini Ciarlini, Ritratto di Bernardino Ramazzini, seconda metà del XVIII secolo, Musei di Palazzo dei Pio (Carpi)

Kandinsky. Il cavaliere errante. In viaggio verso l’astrazione.

di Silvia Burini
Università Ca’ Foscari Venezia

Che cosa significava il nome di Vasilij Kandinskij alla fine del XIX secolo? Chi era Kandinskij per gli artisti a lui contemporanei, un po’ più vecchi, come Kostantin Korovin, Andrej Rjabuškin, Michail Nesterov, Valentin Serov, o coetanei come Léon Bakst, o più giovani come Aleksandr Benois, Viktor Borisov-Musatov e Igor’ Grabar’? La risposta è chiara, come nota Sergej Daniel’ nell’introduzione all’edizione russa delle opere: “Per quanto riguarda l’arte, non era nessuno”. Un tipico studente universitario moscovita, “un tipo strambo, che ricorda poco un artista”, scrive Grabar’ nel 1897, dopo averlo incontrato a Monaco nello studio di Anton Ažbe.

LEGGI IL SAGGIO SU ACADEMIA.EDU

IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del libro

Rovigo: Marc Chagall “anche la mia Russia mi amerà”

Rovigo, Palazzo Roverella
19 Settembre 2020 – 17 Gennaio 2021
MARC CHAGALL “anche la mia Russia mi amerà”
Mostra a cura di Claudia Zevi

Palazzo Roverella propone una nuova, importante esposizione monografica su Marc Chagall. Una selezione esemplare di oltre cento opere, circa 70 i dipinti su tela e su carta oltre alle due straordinarie serie di incisioni e acqueforti pubblicate nei primi anni di lontananza dalla Russia, “Ma Vie”, 20 tavole che illuminano la sua precoce e dolorosa autobiografia, e “Le anime morte” di Gogol, il più profondo sguardo sull’anima russa della grande letteratura.
Le opere che verranno esposte a Palazzo Roverella provengono oltre che dagli eredi dell’artista, con un vasto e generoso prestito, dalla Galleria Tretyakov di Mosca, dal Museo di Stato Russo di S. Pietroburgo, dal Pompidou di Parigi, dalla Thyssen Bornemisza di Madrid e dal Kunstmuseum di Zurigo e da importanti e storiche collezioni private, con alcuni dei più grandi capolavori dalla “Passeggiata” all’”Ebreo in rosa”, a “Il matrimonio”, “Il Gallo”, “Guanto nero” e altri.

Una mostra importante, di preciso impianto museale, che non intende raccontare “di tutto un po’” ma sceglie un tema preciso e lo approfondisce attraverso una selezione dei suoi capolavori imprescindibili.
Il tema su cui la curatrice Claudia Zevi ha scelto di misurarsi è quello dell’influenza che la cultura popolare russa ha avuto su tutta l’opera di Chagall, con maggiore impatto realistico quando viveva nella Russia del primo ventennio del novecento, ma altrettanto prepotentemente, nelle figure di animali, case e villaggi, sempre presenti nei dipinti dei suoi lunghi anni successivi a Parigi, in America, nel sud della Francia.

Questa mostra intende analizzare in modo ampio e perfettamente documentato l’altro terreno di coltura della stessa iconografia dell’artista, ovvero la tradizione popolare, della Russia profonda. Un’iconografia fatta di religiosità, in cui si ritrovano echi dell’iconografia religiosa stratificatasi nelle icone e nelle vignette popolari dei lubki i cui personaggi come il gallo, le capre e le vacche che popolavano la quotidianità dei villaggi russi, ritroveremo anche nelle opere tarde di Chagall.
Questi elementi si metamorfizzano nell’opera di Chagall in una sorta di realismo poetico che attinge dalla tradizione della favola russa la propria sintassi espressiva, mentre deriva dal mondo ebraico e cristiano ortodosso la propria cifra intellettuale e spirituale.
La rielaborazione, attuata attraverso i fili della sua memoria, della cultura popolare russa con la sua ricchezza di immagini e di leggende, coniugata con il misticismo fantastico della tradizione chassidica, verranno a costituire l’armamentario specifico cui l’artista ricorrerà sempre, nel corso della sua lunga vita, per definire un linguaggio che ancora oggi è in grado di comunicare come pochi con la nostra sensibilità postmoderna.

Nelle sue opere i ricordi divengono “presenze”, popolano i suoi dipinti comparendo anche là dove non te li aspetti, come le capre o le isbe inserite nella rappresentazione di un bouquet che è a sua volta composto da fiori e da visioni.

Questa mostra intende porre in discussione anche il tema della posizione singolare che Chagall occupa nella storia dell’arte del XX secolo.
Senza mai confondersi con il dibattito delle avanguardie, la sua pittura tuttavia rimane sempre aperta alle esigenze del modernismo, ma senza necessitare di alcuna rottura con il mondo della memoria e delle forme tradizionali. Nella sua opera straordinaria e originalissima non viene mai a mancare l’esigenza utopica propria dell’avanguardia, senza mai interferire con il mondo delle emozioni e dell’affettività, che divengono, nella sua opera, un elemento di arricchimento e di originalissima definizione formale.
E così, pur scegliendo di vivere, come lui stesso dice ‘voltando le spalle al futuro’, Chagall si trova ad avere codificato un linguaggio e una sintassi espressiva che sopravvivranno, ben più delle avanguardie tradizionali del ‘900, al trascorrere del tempo e al modificarsi delle situazioni politiche e sociali del XX secolo.

E in tutto ciò la Russia rimane il luogo delle radici, della memoria di un amore che avverte deluso e che sogna potersi realizzare.
“Anche la mia Russia mi amerà”, sono le parole con cui conclude “Ma Vie”, l’autobiografia illustrata che Chagall pubblicò, appena trentaquattrenne, a Berlino all’inizio dell’esilio, consapevole che questa volta la separazione dalla Russia sarebbe stata definitiva.
La mostra, che si avvarrà della collaborazione della Fondazione Culture Musei e del Museo delle Culture di Lugano, è accompagnata da un ricco catalogo – a cura di Claudia Zevi – pubblicato da Silvana Editoriale, con saggi di Maria Chiara Pesenti, Giulio Busi, Michel Draguet e Claudia Zevi.

IMMAGINE DI APERTURA – Marc Chagall, La passeggiata, 1917-18, San Pietroburgo, Museo Statale Russo © Chagall ®, by SIAE 2020

Telemaco Signorini – La sala delle agitate nell’ospizio di San Bonifacio

La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze, 1865, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, Venezia

IL DIPINTO

La sala delle agitate nell’ospizio di San Bonifacio, noto anche come La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze o semplicemente come La sala delle agitate è un dipinto del pittore macchiaiolo Telemaco Signorini, eseguito nel 1865 e conservato nella Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, a Venezia. Il soggetto raffigura un reparto psichiatrico femminile dell’antico ospedale di San Bonifacio di Firenze, popolato da un numero di donne agitate, ovvero di malate di mente in preda a forti manifestazioni di eccitamento: più che esseri viventi le recluse sembrano essere ombre provenienti da un’oscura bolgia infernale. Un’alienata è colta mentre sta impetuosamente minacciando con il pugno alzato un interlocutore invisibile, che solo lei vede; un’altra, sul lato opposto del locale, passeggia confusamente per la stanza, come se rincorresse un pensiero fisso ed estraniante al tempo stesso. Altre donne sonnecchiano o gridano, altre ancora hanno uno sguardo assente e perso nel vuoto, e una arriva persino a raggomitolarsi sotto un tavolo cercandovi rifugio.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: La sala delle agitate nell’ospizio di San Bonifacio

Ritratto fotografico di Telemaco Signorini

L’ARTISTA

Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 – Firenze, 10 febbraio 1901) è stato un pittore e incisore italiano. Telemaco Signorini nacque il 18 agosto 1835 a Firenze, figlio di Giustina Santoni e Giovanni Signorini, stimato pittore al servizio del granduca di Toscana Leopoldo II. Dopo aver tentato gli studi classici, il giovane Telemaco sarebbe passato all’arte, assecondando così il volere del padre, sotto la cui guida iniziò la sua formazione pittorica. Nel 1852 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, anche se seguì svogliatamente i suoi corsi: nel suo animo, infatti, sorse ben presto una naturale insofferenza alle rigidezze convenzionali ivi promosse. Già nel 1856 avrebbe lasciato l’Accademia, svincolandosi così dagli schematismi accademici e approdando alla pittura en plein air, che esercitò insieme agli amici Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Telemaco Signorini

Le Passeggiate del Direttore: Sarcofagi maschili nel terzo periodo intermedio

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Museo Egizio di Torino

Le Passeggiate del Direttore: Sarcofagi maschili nel terzo periodo intermedio

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Valentina Farinaccio – Ulay e Marina. L’ultimo incontro

Il racconto dell’ultimo incontro tra Ulay e Marina Abramovic, in un ebook gratuito tratto da Quel giorno. Racconti dell’attimo che ha cambiato tutto di Valentina Farinaccio. Il 14 marzo del 2010, al Moma di New York, Marina Abramovic inaugura la performance The Artist is is Present. Ogni visitatore ha a disposizione un minuto per sedersi, in rigoroso silenzio, di fronte a lei, e in lei specchiarsi. Quando Frank Uwe Laysiepen, in arte Ulay, amore della sua vita, le compare davanti, sono ventidue anni che non si vedono. Erano partiti dai due estremi opposti della grande muraglia cinese, per incontrarsi a metà strada, e dirsi addio.

SCARICA IL LIBRO FORMATO E-BOOK GRATIS DA IBS.IT

IMMAGINE DI APERTURA: dal video di YouTube “Marina Abramović e Ulay – MoMA 2010

Silvestro Lega – Il pergolato

Il pergolato, 1868, Pinacoteca di Brera, Milano

IL DIPINTO

Il pergolato, o Un dopo pranzo, è un dipinto a olio su tela di Silvestro Lega, realizzato nel 1868 e conservato alla pinacoteca di Brera, a Milano. Noto sin dal 1923 come Il pergolato, in riferimento al luogo dove si consuma la scena, il dipinto in origine si chiamava Un dopo pranzo, titolo che certamente descriveva con maggiore efficacia l’episodio illustrato: si tratta di una tradizione squisitamente italiana, quella del caffè pomeridiano. In accordo con la sua poetica, Lega sceglie di raffigurare un soggetto quotidiano, decisamente ordinario, con un realismo quasi fotografico. Lega rappresenta un gruppo di donne che chiacchierano e si intrattengono in maniera tranquilla e rilassata all’ombra di un fitto pergolato, in attesa dell’arrivo della domestica, ritratta sulla destra mentre regge un vassoio con sopra un bricco di buon caffè. Dietro di lei si profila un basso muretto, sul quale sono collocati vasi di cotto contenenti fiori dai mille colori. Le varie fioriture sono riarse dal sole estivo, che proietta ombre lunghissime sulla pavimentazione del viottolo, dove tra le fughe delle varie mattonelle riescono a vegetare alcuni ciuffi di erba selvatica. Il punto di fuga decentrato, collocato praticamente sul margine sinistro della tela, invoglia l’osservatore a esplorare con lo sguardo la campagna retrostante, popolata da varie case coloniche e da una cortina di pioppi sulla linea dell’orizzonte.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Il pergolato

Autoritratto, 1861 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

L’ARTISTA

Silvestro Lega (Modigliana, 8 dicembre 1826 – Firenze, 21 settembre 1895) è stato un pittore italiano. È considerato, insieme a Giovanni Fattori e a Telemaco Signorini, fra i maggiori esponenti del movimento dei macchiaioli. Pur risentendo inizialmente della maniera dei suoi maestri, quando si unì al gruppo dei Macchiaioli si era già emancipato dalla disciplina accademica e dai soggetti storici di stampo neoclassico da essa privilegiati, e iniziò pertanto a produrre opere caratterizzate da un disegno nitido e preciso, un apparato cromatico limpido e puro e da composizioni geometricamente chiare e definite. L’evoluzione dello stile artistico è caratterizzata da uno sviluppo notevolmente lento. Inizialmente si inserì nella tradizione purista, occupandosi prevalentemente di «osservare il vero con più semplicità e con un maggior senso della realtà, apprendendo non solo a esercitarsi in una tecnica disegnativa sicura e sciolta, ma anche a organizzare il quadro in tutte quelle componenti tramite le quali il soggetto assume la verità di una narrazione».

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Silvestro Lega