Merano Arte: Sebastian Behmann / Olafur Eliasson – Studio Other Spaces (SOS), Berlin

KUNST MERAN MERANO ARTE Dal 19 settembre 2020 al 17 gennaio 2021
Sebastian Behmann | Olafur Eliasson
The Design of Collaboration STUDIO OTHER SPACES, BERLIN
A cura di Christiane Rekade

Per la prima volta in uno spazio pubblico italiano, i progetti architettonici e le opere d’arte dello Studio Other Spaces di Berlino

Studio Other Spaces, Lyst Restaurant, 2019, Vejle, Denmark, Photo: Studio Other Spaces, Commissioned by: Morten Kirk Johansen © 2019 Studio Other Spaces

Dal 19 settembre 2020 al 17 gennaio 2021, KUNST MERAN MERANO ARTE ospiterà la prima mostra in uno spazio pubblico italiano dello Studio Other Spaces (SOS) studio d’arte e di architettura fondato nel 2014 dall’artista danese OLAFUR ELIASSON (Copenhagen, 1967) e dall’architetto tedesco SEBASTIAN BEHMANN (Hannover, 1969).

L’esposizione, curata da Christiane Rekade, presenterà una serie di progetti, modelli, prototipi, oggetti e altro, in grado di fornire una panoramica completa delle ricerche svolte dallo Studio.

Dopo aver collaborato per diversi anni allo Studio Olafur Eliasson, la nuova realtà di SOS ha portato i due fondatori a esplorare nuove modalità di progettazione degli spazi e a sondare i confini dell’arte e dell’architettura attraverso un approccio sperimentale.

Per Merano, Olafur Eliasson e Sebastian Behmann hanno formulato una nuova, sostenibile e particolarmente attuale presentazione dei loro lavori, diversa dalle modalità espositive classicamente dedicate all’architettura, che possa rappresentare quei processi d’indagine formale, di ricerca, di sviluppo digitale, ma anche di discussione tra diversi soggetti coinvolti, che caratterizzano le opere dello Studio Other Spaces.

Sia che si tratti d’idee architettoniche sperimentali, sia di opere d’arte pensate per spazi pubblici, lo Studio Other Spaces parte sempre da un’analisi degli ambienti e delle presenze circostanti. Elementi naturali – come piante o fattori climatici – prodotti artigianali, collaborazioni con esperti locali o materiali disponibili in loco, possono essere fonti d’ispirazione per la progettazione.

La mostra intende restituire questi aspetti chiave e il ruolo che essi giocano, a partire dalla loro struttura e dagli ambiti tematici in cui si inseriscono.

La rassegna è divisa in due sezioni, tutte dedicate al tema della collaborazione: un archivio digitale permetterà ai visitatori, tramite proiezioni VR, di muoversi virtualmente all’interno degli ambienti e degli spazi esterni del Meles Zenawi Memorial Park ad Addis Abeba (2013-2020), un progetto nato dalla collaborazione tra Berlino e la capitale etiope.

Questo parco è dedicato alla memoria della storia recente, ma anche alle prospettive future del paese africano e in particolare alla figura del primo ministro Meles Zenawi, ed è pensato come un ampio paesaggio da esplorare a piedi. A partire da una stretta collaborazione con artigiani, designer, ingegneri, architetti e artisti locali, lo Studio Other Spaces ha sviluppato metodi per coniugare forme e materiali dell’architettura locale con la propria concezione dello spazio e della luce.

La seconda parte della mostra è riservata alla produzione, ai processi di ricerca formale e alle ricerche sui materiali svolte dallo studio. I metodi di lavoro sperimentali e di dialogo di SOS saranno illustrati in particolare attraverso una serie di modelli e prototipi progettati per il Lyst Restaurant (2019) che si trova al primo piano del Fjordenhus a Vejle, in Danimarca (2009-2018). Questo edificio iconico di Olafur Eliasson e Sebastian Behmann, progettato in collaborazione con lo Studio Olafur Eliasson, ha contribuito alla fondazione di SOS. Attraverso una serie di workshop interdisciplinari con lo staff del ristorante, SOS ha sviluppato una concezione dello spazio che crea un collegamento diretto tra l’arte culinaria e il design. Come per un piatto creato con materie prime di alta qualità o per una lavorazione semplice, il processo produttivo diviene il fattore a partire dal quale prendono forma mobili, luci, piatti e posate, conferendo agli oggetti un’estetica inconfondibile.

Grazie al supporto della Talking Waters Society, lo Studio Other Spaces ha potuto ricreare uno degli oggetti più iconici del ristorante in una forma appositamente riadattata; si tratta del grill del Lyst che, nella sua versione originale, è collocato su un balcone della Fjordenhus ed è a disposizione sia degli chef sia degli ospiti.

Il grill sarà installato sulla terrazza di KUNST MERAN MERANO ARTE per tutta la durata della mostra e utilizzato in occasione delle iniziative collaterali che si terranno al museo.

Sebastian Behmann and Olafur Eliasson, 2019, Photo: Studio Olafur Eliasson

Note

Studio Other Spaces
Studio Other Spaces, fondato a Berlino nel 2014 dall’artista Olafur Eliasson e dall’architetto Sebastian Behmann, intende mettere in relazione arte e architettura attraverso progetti architettonici interdisciplinari e sperimentali e opere d’arte nello spazio pubblico. Tra i lavori più recenti si possono ricordare gli interni del Lyst Restaurant alla Fjordenhus di Vejle; la reinterpretazione della Albright-Knox Art Gallery a Buffalo, New York, che ha portato alla creazione di un nuovo spazio pubblico collegando la preesistente Bunshaft Gallery, il parco circostante con il nuovo piano generale e gli elementi aggiunti progettati da OMA; un lavoro d’arte permanente al 15° e al 16° piano del Morland Mixité Capitale di Parigi; il Meles Zenawi Memorial Park a Addis Abeba, un campus costituito da cinque edifici e un parco, che sarà completato entro quest’anno.
www.studiootherspaces.net

Olafur Eliasson
Olafur Eliasson è un artista islandese-danese nato nel 1967, le cui opere spaziano dalle installazioni alla pittura, dalla scultura alla fotografia e al cinema. Nel 1995 ha fondato a Berlino lo Studio Olafur Eliasson, basato su un approccio multidisciplinare.
È impegnato nella didattica artistica, nell’attività politica e in questioni relative alla sostenibilità e al clima e queste tematiche costituiscono una parte integrante della sua pratica. Al contempo, in essa ricoprono un ruolo fondamentale i fenomeni naturali – come l’acqua, la luce, il ghiaccio, la nebbia o i riflessi – riflettendo questa attenzione per le conseguenze dei cambiamenti climatici e per le questioni sociali. Tra i suoi progetti si possono ricordare il Padiglione della Serpentine Gallery (2007), realizzato con Kjetil Thorsen; Your rainbow panorama (2006–11), una passerella circolare in vetro colorato di 150 metri in cima all’ ARoS Aarhus Art Museum, Danimarca; l’Harpa Reykjavik Concert Hall and Conference Centre (2005- 11), che ha vinto il premio Mies van der Rohe nel 2013 e per il quale Eliasson ha realizzato le facciate in collaborazione con Henning Larsen Architects.

Sebastian Behmann
L’architetto Sebastian Behmann è direttore del dipartimento di design dello Studio Olafur Eliasson (SOE) e confondatore dello Studio Other Spaces (SOS). Ha studiato architettura alla “Technische Universität Dresden” e collabora dal 2001 con Eliasson, con cui ha realizza numerosi progetti architettonici come ad esempio padiglioni e installazioni per mostre internazionali. Uno dei lavori più recenti che hanno realizzato assieme è la Fjordenhus a Vejle in Danimarca (2009-2018), il primo grande edificio interamente progettato dal team di architetti di SOE, che ha contribuito alla fondazione di SOS.
Behmann è stato l’architetto responsabile per la facciata in vetro per l’Harpa Concert Hall a Reykjavik (una collaborazione con Henning Larsen Architects e progetto vincitore del premio Mies van der Rohe nel 2013). Tra i suoi altri progetti architettonici si possono menzionare Cirkelbroen (The circle bridge) a Copenhagen (2015), Your Rainbow Panorama per l’ARoS Aarhus Kunstmuseum (2011), il padiglione della Serpentine Gallery a Londra (con Kjetil Thorsen, 2007), The blind pavilion, parte del Padiglione Danimarca alla 50. Biennale di Venezia (2003).

IMMAGINE DI APERTURA – Studio Other Spaces, Lyst Restaurant, 2019, Vejle, Denmark, Photo: Søren Gammelmark, Commissioned by: Morten Kirk Johansen © 2019 Studio Other Spaces

Non sempre il progetto vincitore di un concorso è davvero convincente

di Sergio Bertolami

My God! È lunedì e su WhatsApp sono ricominciate le schermaglie. C’è chi usa il fioretto, chi la sciabola o la spada, e pure l’arbitro non disdegna qualche affondo. Ciò che anima i cuori ardenti della Chat è la contesa. Come a noi, giovani architetti dei primi anni Ottanta, piacevano i concorsi di progettazione. Ci appassionava misurarci sul terreno della competizione, piuttosto che su quello degli incarichi ordinari. E se la competizione era lanciata da una rivista di prim’ordine, che prometteva una visibilità internazionale, allora il gioco si faceva eccitante. Mio fratello Daniele, era un trascinatore irrefrenabile, convinto che occorresse partecipare a molti dei bandi dell’epoca. Sosteneva che avrebbero permesso di emergere anche a degli illustri sconosciuti come noi. Aveva persino scritto a Renzo Piano, che da qualche anno godeva della fama conquistata col Beaubourg (chi lo conosceva prima di allora?), e aveva ricevuto anche risposta e l’incitamento a proseguire nei suoi convincimenti. Io, al contrario, obiettavo ogni perplessità. Avevamo da poco terminato un concorso per la progettazione di una piazza in un comune della Toscana, chiamati da uno dei nostri professori di composizione architettonica. Non avevamo vinto neppure un fiore di consolazione colto nel giardino immaginato. Ci avevamo lavorato alacremente per una quindicina di giorni, con un gruppo di amici indimenticabili. Caffè, sigarette, scherzi, battute di spirito, e poi ancora caffè, cercando di non rovesciarlo sugli enormi fogli da disegno. A colpi di Rapidograph e lametta da barba (per ogni minima correzione), ricominciare da capo avrebbe messo a repentaglio la consegna. L’orologio era il nostro nemico; non la notte o il sonno, ma le lancette delle ore.

Ecco perché ogni volta che, in studio, Daniele si sedeva alla mia scrivania con una rivista in mano, già sapevo che avrei dovuto principiare una battaglia estenuante. Una mattina mi aprì una gran pagina colorata di Domus. Il concorso annunciato non era una piazza per riqualificare un centro storico, un complesso di case fatiscenti da risanare come edilizia economica popolare, una fabbrica dismessa da trasformare in museo. Era semplicemente la proposta per una innovativa moquette, lanciata da Louis De Poortere e dalla prestigiosa rivista di architettura e design fondata da Gio Ponti. In palio i premi per i tre classificati, una mostra alla Fiera di Milano per cinquanta selezionati e, naturalmente, la messa in produzione della moquette prescelta. «Tu pensi che non riusciremo almeno a piazzarci fra quei cinquanta? Non vinceremo, ma sbarcheremo a Milano!». Dall’entusiasmo di mio fratello sembrava che dovessimo subito decidere se prenotare i biglietti del treno o dell’aereo. Mi convinceva, però, che non fosse un lavoro tanto impegnativo da fermare lo studio per qualche settimana. Nonostante ciò, chiesi il parere di Mario e Birgit e fu in sala disegno che piantammo il campo di battaglia. Mario era un giovane architetto, a modo suo figlio della Beat Generation, amato dai nostri clienti che con lui non provavano alcuna soggezione. Tutto il contrario era Birgit, una biondina uscita dall’Università di Belle Arti di Amburgo, di una precisione inappuntabile. Quella fu, probabilmente, l’unica volta che espressero un parere concorde. A loro avviso, il concorso copriva dei giochi già fatti e se proprio, Daniele e io, volevamo parteciparvi occorreva che, da titolare dello studio, prendessi il telefono per cercare una bella raccomandazione. A quel punto il gruppo di lavoro era definito; cosicché, riempire con solo i nostri due nomi il modulo d’iscrizione e spedirlo, fu tutt’uno.

Qualche settimana più tardi ricevemmo un plico contenente dei grandi quadrati di moquette bianca immacolata e due scatole di pennarelli nella gradazione dei bruni. Le istruzioni per l’uso spiegavano il funzionamento delle macchine e degli ugelli a iniezione che avrebbero realizzato il disegno. Come di consueto Daniele sfornò una profusione di schizzi e io selezionai le tre proposte da elaborare nelle modalità corrette. Poi fu tutto un lavoro di geometrie, perché di colori neanche a parlarne. Prima di quanto ci aspettassimo completammo i cartoni, tono su tono, e inoltrammo il tutto alla sede italiana della società belga. Non dovevamo che attendere i risultati. Nel frattempo, rispondevamo, al più, alle canzonature di Mario e di Birgit. Arrivò la data della mostra milanese, anticipata da un elegante catalogo spillato. Fu mio il compito di voltare pagina dopo pagina, attorniato dai presenti incuriositi. Il progetto vincitore s’intitolava “Tessuto urbano” e rappresentava una planimetria catastale da pavimento. Immaginate di camminare come Gulliver lungo le strade e le valli di Lilliput. Neppure il secondo e il terzo premio andarono a noi. Rimanevano ancora cinquanta progetti da guardare. Voltavo ogni foglio con lentezza esasperante, un po’ per creare suspense, ma soprattutto perché, ad ogni pagina in più, diminuiva la possibilità di una nostra traccia. Quando chiusi la quarta di copertina fu chiaro che di noi non c’era ombra. «Cosa mai potevamo aspettarci, noi del profondo Sud? Bastava leggere i nomi dalla commissione giudicatrice per comprendere quale sarebbe stato il risultato finale! Non ti sei procurato neppure un morso di raccomandazione, come avevo suggerito io!». Questa non è che una sintesi estrema dei commenti; gli altri è facile immaginarli. Che il concorso fosse verosimilmente orientato lo dimostrava una miriade di indizi.

Racconto però questa storia, giacché in fin dei conti ha una sua morale. A volte è lo stesso autore a metterla in evidenza, questa specie di lezione di vita, a volte invece è la sorte stessa che a sorpresa la serve in tavola. A noi capitò, quando una gentile voce femminile disse di chiamare per conto della LdP. In verità chi rispose al telefono comprese B&B, nota società di divani e poltrone. Stavo per rispondere di non avere tempo per incontrare un rappresentante di giro. Ma la LdP era proprio quella Louis De Poortere che mesi prima ci aveva lasciato con la bocca amara. La cordiale signora dava per scontato che io conoscessi ogni risvolto del concorso. La manifestazione di Milano non era che la prima tappa di un processo selettivo. La documentazione, raccolta evidentemente in varie parti d’Europa in altrettanti concorsi, era giunta a Mouscron, in Belgio, dove la fabbrica di moquette e tappeti pregiati ha sede centrale. Con questo mi si informava che a giorni avrei ricevuto una proposta di contratto per la produzione di uno dei disegni che avevamo spedito. Messo a punto il contratto, in tempi strettissimi avremmo dovuto procedere con la progettazione e concludere gli elaborati esecutivi. Quello che seguì fu un iter di lavoro artistico svolto, passo dopo passo, con i tecnici dell’azienda. La moquette fu concepita in tre varianti di colori, utilizzando soluzioni e macchine di nuovissima generazione che permettevano di produrre un “contract” di alta gamma per alberghi e uffici open space, navi e aeroporti, grandi ambienti arredati. Per l’Europa e il resto del mondo. Si affacciava sul mercato un nuovo concetto di vendita che evitava il magazzino di stoccaggio. Come al solito mio fratello Daniele aveva colto nel segno. Non avevamo vinto il concorso, non avevamo esposto a Milano a fianco dei nostri colleghi italiani. Ma a differenza loro, che non videro realizzato alcun lavoro, noi potevamo sfogliare il lussuoso catalogo cartonato, interamente a colori, nel quale la nostra moquette compariva nella sezione Design, a fianco di firme prestigiose come Ricardo Bofill o Ettore Sottsass.

Questa storia, nella sua semplicità, dimostra che non sempre il progetto vincitore di un concorso, magnificato in una mostra o in un convegno, celebrato dalle grandi riviste internazionali, lodato da tanti ammiratori, è davvero convincente da trovare un suo riscontro produttivo o d’uso. Dopotutto, il design, quello creato a favore della gente e non solo del marketing ad effetto, è una sintesi che assomma prerogative tecniche, funzionali, economiche, estetiche, riguardanti oggetti prodotti in serie per l’industria e per la vita. Ecco perché a partire da quei primi anni di professione giovanile, piena di fiducia e aspettative, con Daniele ho continuato a lavorare con grande serietà, evitando in progettazione personalismi e boutade. Sempre ridendo, scherzando, bevendo caffè. Sedevamo in poltrona, lui fumando l’immancabile sigaretta. Ogni volta col minimale incantamento di realizzare qualcosa che solo apparentemente il caso ci aveva concesso. Nulla esigendo da nessuno. E questo fino al suo ultimo respiro.

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Le Passeggiate del Direttore: Faraoni Dei e Re

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Museo Egizio di Torino

Le Passeggiate del Direttore: Faraoni Dei e Re 

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Letizia Sechi – Editoria digitale

Questo testo propone uno spaccato sul panorama dell’editoria digitale, illustrando i presupposti che ne favoriscono la diffusione e analizzando nel dettaglio linguaggi, formati, dispositivi e concrete esperienze editoriali, con un occhio di riguardo ai problemi pratici legati alla produzione dei libri digitali e ad alcune criticità come quelle poste – per esempio – dal copyright. Queste le domande intorno a cui si sviluppa il discorso: cos’è l’editoria digitale? Su quali prodotti si concentra? Come vengono distribuiti? In quali formati? Come cambia il flusso di lavoro sul contenuto? Al centro una riflessione sull’alternativa tra libri stampati e libri elettronici, e un’analisi sulle possibilità offerte da nuove tecnologie per la presentazione dei contenuti. Senza dimenticare che attraverso il Web e i motori di ricerca trovare e leggere è diventato più semplice e veloce. Un libro per riconsiderare il processo che porta un contenuto al lettore. In pratica per imparare a fare editoria digitale.

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Paul Gauguin – Il Cristo giallo

Il Cristo giallo, 1889, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo

IL DIPINTO

Il Cristo giallo (Le Christ jaune) è un dipinto del pittore francese Paul Gauguin, realizzato nel 1889 e conservato alla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. Gauguin qui si confronta con un tema religioso che ha già affascinato migliaia di artisti: la crocifissione di Gesù. Se, tuttavia, il racconto dei Vangeli testimonia come che il supplizio di Gesù Cristo sulla croce avvenne sulla piccola altura del Golgota a settentrione di Gerusalemme, Gauguin opera una trasposizione spazio-temporale, e riconduce l’evento alla dimensione quotidiana della Bretagna ottocentesca, regione presso la quale egli risiedeva sin dal 1886. Riprendendo il commento dello stesso Gauguin, l’opera raffigura «un Cristo pietoso e selvaggio […] imbrattato di giallo» sullo sfondo di «una campagna affogata nel giallo». Mai descrizione poteva essere più veritiera: le campagne bretoni, costellate qua e là di alberi che divampano con una suggestiva colorazione rosso-arancio, si tingono infatti di un giallo intensissimo, ripreso e variato nell’incarnato del Cristo, crocifisso in primo piano e circoscritto da un contorno nero e verde. Gauguin per il Gesù si ispira alle fattezze del proprio volto e, soprattutto, a un crocifisso ligneo policromo, opera tardomedievale di un artigiano minore, che aveva potuto ammirare alla cappella di Trémalo, frazione rurale poco distante da Pont-Aven. Tutt’intorno alla croce, infine, si dispongono alcune contadine bretoni abbigliate con i loro vestiti tradizionali, quasi fossero delle pie donne evangeliche.

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Autoritratto con il Cristo giallo, 1889, Museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese, considerato tra i maggiori interpreti del post-impressionismo. Eugène-Henri-Paul Gauguin nacque il 7 giugno 1848 a Parigi, al n. 56 di rue Notre-Dame-de-Lorette, celebre strada di Montmartre. La madre, Aline Marie Chazal (1831-1867), discendeva da una famiglia spagnola con diramazioni in Perù, stato presso il quale godeva di notevole prestigio politico e benessere finanziario: la madre della Chazal era infatti Flora Tristan, una scrittrice molto nota dall’animo ribelle e avventuroso, impegnata politicamente (supportava con calda simpatia la causa del socialismo sansimoniano) e socialmente (era infatti una femminista ante litteram e una sostenitrice dell’amore libero). Il padre, Clovis Gauguin, era un giornalista al servizio della rivista Le National animato da un solido credo repubblicano, che gli costò tuttavia notevoli attriti con la presidenza di Napoleone III. Nel 1849 la stanchezza del parlamentarismo e della Repubblica, attraversata com’era da fortissimi conflitti intestini, era palese a tutti i Francesi, e altrettanto trasparenti erano le ambizioni di Napoleone III di far rivivere lo spirito bonapartista dello zio defunto e di restaurare l’Impero con un colpo di stato. Clovis Gauguin, spaventato da un clima politico così teso, nello stesso anno decise di approfittare delle ramificazioni peruviane della famiglia della moglie e di trasferirsi a Lima, in Sud America, insieme a Flora, a Paul e alla primogenita Marie. Papà Clovis morì il 30 ottobre 1849 durante il viaggio in piroscafo: ciò, tuttavia, non compromise la fanciullezza del giovane Gauguin, che si consumò in un’agiatezza idilliaca e in un borgo splendidamente pittoresco, quale era Lima, che poi egli stesso rievocherà nei suoi scritti colorandolo della sua grande nostalgia di emigrato.

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Le Passeggiate del Direttore: Petamenofi e l’Egitto romano

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: Petamenofi e l’Egitto romano

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Mendrisio: André Derain. Vita e opere di un’icona artistica del Novecento

Museo d’arte Mendrisio (Svizzera)
27 settembre 2020 – 31 gennaio 2021
André Derain. Sperimentatore controcorrente
Il sito Web: https://museo.mendrisio.ch/mostre/

Curata da Simone Soldini, Francesco Poli e Barbara Paltenghi Malacrida, la mostra presenta, grazie alla collaborazione degli Archivi André Derain e ai prestiti di alcuni prestigiosi musei francesi, 70 dipinti, 30 opere su carta, 20 sculture, 25 progetti per costumi e scene teatrali, illustrazioni di libri e alcune ceramiche per ripercorrere la creatività vulcanica e l’attività poliedrica di questo massimo protagonista dell’arte moderna.

Biografia di André Derain

A cura di Jacqueline Munck

1880 – André Derain nasce a Chatou il 17 giugno; suo padre, lattaio e gelataio, è consigliere comunale del paese.

1895-1900 – Dopo aver compiuto studi classici al liceo Chaptal di Parigi, comincia a dipingere nel 1895. Nel 1898 frequenta l’Académie Camillo, dove conosce Henri Matisse, Jean Puy, Albert Marquet e, in seguito Georges Rouault. Nell’estate del 1900 stringe amicizia con Maurice Vlaminck; insieme affittano un atelier all’Ile de Chatou, sulla Senna.

1901-1905 – A settembre parte per Commercy, dove per tre anni svolge il servizio militare. Nel 1904 si iscrive all’Académie Julian, conosce Guillaume Apollinaire, e nel 1905 su consiglio di Matisse partecipa per la prima volta al Salon des Indépendants contemporaneamente a Vlaminck. A luglio raggiunge Matisse a Collioure; dipingono insieme dal vero, sia paesaggi sia ritratti. Al Salon d’automne, nella sala VII, Derain espone 9 opere che fanno scalpore e che sanciscono la nascita del fauvismo. Su richiesta di Ambroise Vollard, il suo mercante, che acquisisce tutte le opere del suo atelier (89 dipinti e alcuni acquerelli), il 24 novembre Derain si reca a Londra.

1906-1907 – Nella capitale inglese scopre le collezioni del British Museum e della National Gallery, ma dipinge pochissimo: le 50 vedute di Londra concordate inizialmente con Vollard verranno realizzate perlopiù nel suo atelier parigino; 30 dipinti saranno ultimati fra la primavera del 1906 e quella del 1907. Si avvicina alla scultura a intaglio diretto su legno, all’incisione e alla pittura su ceramica nell’atelier di André Metthey ad Asnières. Scambia un’importante corrispondenza con Matisse, che risulta essenziale per confermare una via espressiva fondata sulla forza comunicativa dei mezzi stessi – linea, colore, forma e luce –, e sulla concordanza tra emozioni e sensazioni secondo una modalità armonica musicale. Incontra Braque, Picasso e Salmon. In autunno interpreta i temi preferiti di Cézanne: paesaggi dell’Estaque, nature morte, e soprattutto le bagnanti. Insieme a Vlaminck dà inizio a una collezione di arte africana e di oggetti eclettici di arte popolare, Madonne lignee, modellini di navi, strumenti musicali, bronzi del Luristan e del Benin. All’inizio del 1907 soggiorna nuovamente a Londra e passa poi l’estate a Cassis. A ottobre conosce Alice Géry, a quel tempo moglie di Princet, che diventa la sua compagna. Daniel-Henry Kahnweiler è il suo nuovo mercante.

1908-1910 – Espone al Salon des Indépendants di Parigi e al Salon de la Toison d’or di Mosca. Trascorre alcuni mesi a Martigues, dove dipinge una serie di paesaggi dal nuovo rigore formale e dal cromatismo ridotto. Incotra Dufy, Friesz e Braque, venuti a raggiungerlo. Al Salon d’Automne presenta una nuova versione monumentale delle bagnanti. Nel corso dell’estate 1909, a Montreuil-sur-mer, prepara le incisioni per il primo libro di Kahnweiler come editore, L’enchanteur pourrissant di Guillaume Apollinaire. A settembre Kahnweiler organizza un’esposizione che riunisce Derain, Braque e van Dongen. Insieme a Braque, Derain dipinge a Carrières-Saint-Denis. Nel 1910 trascorre qualche giorno a Cadaqués con Alice, Picasso e Fernande Olivier. Espone a Monaco e a Londra.

1911-1913 – Al Pas de Calais dipinge Le Joueur de Cornemuse e La Route de Camiers; comincia a lavorare alle illustrazioni per le Œuvres burlesques et mystiques de Frère Matorel, mort au couvent di Max Jacob. Espone a Colonia, Amsterdam e Berlino. Nel 1912 prende parte all’esposizione del Blaue Reiter a Monaco e a Berlino, poi all’esposizione internazionale del Sonderbund a Colonia. Stabilitosi a Vers per l’estate, dipinge un’importante serie di nature morte e dei paesaggi. Nel 1913 partecipa alla mostra dell’Armory Show a New York; passa l’estate a Sorgues da Georges Braque. Dipinge alcuni dei suoi capolavori, tra cui Chevalier X, Le Samedi e Les Buveurs.

1914-1918 – Durante l’estate soggiorna ad Avignone e a Montfavet con Picasso. Quando Derain viene richiamato alle armi, Picasso accompagna lui e Braque alla stazione di Avignone. Durante la guerra Derain dipinge pochissimo; è Matisse ad aiutare Alice, rimasta a Parigi, a trovare degli sbocchi per la sua pittura. Nell’ottobre del 1916 la galleria Paul Guillaume ospita la sua prima personale, organizzata da Apollinaire e Alice. Nel 1917 Derain scrive dal fronte a Vlaminck: «faccio quadri solo con l’immaginazione. Vorrei non fare nient’altro che ritratti, ritratti veri, con le mani, i capelli: tutta la vita insomma», e ad Alice, nel 1918: «La mia testa trabocca di tutto un mondo che non vuole uscire». Entra in contatto con il giovane André Breton, che gli dedica un poema.

1919-1921 – Tornato a Parigi nella primavera del 1919, Derain è invitato a Londra da Diaghilev perché realizzi le scenografie del balletto La Boutique Fantasque. Da quel momento il pittore realizzerà molte scenografie e costumi per balletti e spettacoli teatrali. Rivede i suoi amici (Picasso, Braque, Léger) e Kahnweiler, che gli dedica una monografia. Nel 1921, in occasione di un viaggio in Italia, si interessa nuovamente all’arte antica e a Raffaello. Nell’estate e nell’autunno del 1921 soggiorna a Sanary insieme ai pittori Simon Mondzain e Moïse Kisling; realizza molti paesaggi e nature morte.

1922-1923 – Mostre personali si tengono a Stoccolma, Berlino e Monaco. Durante l’estate lavora a Sanary, a Lecques, a Ollioules e a Saint Cyr sur mer. Viene pubblicato Nez de Cléopâtre di Georges Gaborit, contenente 10 sue illustrazioni a puntasecca. Nel 1923 espone a New York. Elie Faure pubblica una monografia dedicata a Derain e l’artista espone alla galleria Flechtheim di Berlino. Nel mese di dicembre fa visita a Maurice Utrillo, alla Valadon e a Utter al Château de Saint Bernard, in riva alla Saona.

1924-1925 – Realizza a Chailly, nella casa che ha appena acquistato, il ritratto di Catherine Hessling, la moglie di Jean Renoir, il quale in cambio gli regala quattro piccoli quadri del padre Auguste. Annullato il contratto con Kahnweiler, Paul Guillaume diventa il suo mercante accreditato fino al 1934. Espone a New York e realizza le scenografie di Gigue per Les Soirées de Paris al teatro La Cigale. Dipinge Arlequin et Pierrot, una delle sue opere più celebri. Partecipa con un piccolo ruolo a La fille de l’eau di Jean Renoir. Carlo Carrà pubblica una monografia a lui dedicata per le edizioni della rivista Valori plastici. Nel 1925 dipinge una serie di paesaggi in Provenza, a Saint Cyr sur Mer e Saint Maximin. I Braque sono a Saint Jean, vicino a la Ciotat, e in agosto Derain da loro in visita.

1926-1927 – Nel gennaio del 1926 espone all’Art Center di New York (opere scelte della collezione John Quinn, fra le quali Le Joueur de Cornamuse). Illustra En suivant la Seine di Gustave Coquiot. Lavora alle scene e ai costumi del balletto Jack in the Box, di cui scrive anche il libretto, con musica di Eric Satie. A luglio sposa Alice presso il Municipio del VI arrondissement di Parigi. Nel 1927 illustra Le Metamorfosi di Ovidio, per le Éditions des Quatre Chemins. Espone a Düsseldorf, alla galleria Flechtheim, e ad aprile alla galleria Bing nella mostra Les fauves.

1928-1930 – Nel 1928 riceve il premio della Fondazione Carnegie per l’opera La Chasse. Realizza una personale a Londra da Lefèvre. Soggiorna al n. 5 di rue du Douanier: Braque è il suo vicino di casa. Nel 1929 compra il maniero di Parouzeau, nel dipartimento di Seine- et-Marne. Appassionato di auto sportive, compra alcune Bugatti. Illustra Les Travaux et les Jeux di Vincent Muselli; espone alla galleria Flechtheim a Berlino e a Düsseldorf, nonché a Cambridge alla Harvard Society for Contemporary Art. A giugno Paul Guillaume espone la sua collezione personale alla galleria Bernheim-Jeune e Adolphe Basler gli dedica un articolo sulla rivista Le Rouge et Le Noir. Nel 1930 Derain inizia ad acquistare bronzi antichi e rinascimentali, opere provenienti dalla Cina e dal vicino Oriente, e pezzi arcaici del Mediterraneo. Realizza il progetto per le scene di Aubade di Francis Poulenc. Dipinge una serie di paesaggi nel Var, a Saint Maximin e a Bandol. Espone alla Galerie Georges Petit di Parigi nell’ambito della mostra Cent ans de Peinture Française. Una sua personale si tiene alla galleria Knoedler di New York (dicembre-gennaio), e il Cincinnati Art Museum espone 34 sue opere.

1931-1933 – Nel 1931 alla Lefèvre Gallery è allestita la mostra New paintings by Derain, e a New York, alla Galleria Marie Harriman, si tiene l’esposizione Derain, Paysages de Provence. Nel 1932 realizza le scenografie de La Concurrence per i Ballets Russes di Monte Carlo. Frequenta i musicisti del “Groupe des Six”. In estate lavora a Saint Rémy de Provence. Nel febbraio-marzo 1933 si tiene una sua personale a New York, presso la galleria Durand-Ruel, organizzata da Paul Guillaume. A maggio mostra alcuni bozzetti di scenografie e costumi dei balletti per le Éditions des Quatre Chemins. Il 7 giugno al Théâtre des Champs Elysées viene rappresentato per la prima volta lo spettacolo Songes; il 10 giugno è la volta di Fastes, per i quali Derain realizza decori e costumi. A novembre si apre una sua mostra alla galleria londinese A. Tooth and Sons.

1934-1935 – Prepara per Vollard le illustrazioni del Satyricon di Petronio (pubblicato nel 1951) e delle Contes et nouvelles di La Fontaine, pubblicati nel 1950 presso Féquet et Baudier; illustra Héliogabale ou l’Anarchiste couronné di Antonin Artaud, pubblicato presso Denoël et Steel; in estate dipinge a St Rémy de Provence, poi a Gravelines e Dunkerque. Il 1 ottobre muore il suo mercante Paul Guillaume. Nel 1935 vende tutte le sue proprietà per stabilirsi alla Roseraie di Chambourcy e abbandona progressivamente la vita parigina. Vi mantiene però un atelier, al n. 112 di rue d’Assas, che condivide con Léopold Lévy. A maggio espone a Parigi presso Renou et Colle, e a giugno la Kunsthalle di Basilea organizza una sua retrospettiva. A Londra viene allestita la mostra New Pictures by Derain presso T. Agnew and Sons. Realizza la scenografia e i costumi per Salade di Albert Flament e Darius Milhaud all’Opéra. Durante l’estate dipinge dei paesaggi nell’Ile de France. L’editore Skira gli commissiona le illustrazioni del Pantagruel di Rabelais.

1936-1937 – Lavora a La Grande Bacchanale noire, opera che riprenderà in seguito separandola in due parti. Dipinge dei paesaggi in Bretagna e soggiorna a Saint Rémy de Provence. Realizza la scenografia de L’épreuve d’amour, su musiche di Mozart, per i Ballets di Monte Carlo. Espone alla galleria Brummer di New York. Lo Stato francese e la Città di Parigi acquistano alcuni suoi lavori. Balthus dipinge il suo ritratto. Nel 1937 partecipa con 30 dipinti all’importante esposizione Les maîtres de l’art indépendant al Petit Palais. Realizza decori e costumi per il Misantropo di Molière al teatro dell’Università di Cambridge. A dicembre, alla galleria Reid & Lefèvre di Londra è allestita una sua personale, che per la prima volta raccoglie un’importante selezione delle sue vedute di Londra dipinte durante il periodo fauve. Lavora nell’atelier di rue de Rohan prestatogli da Balthus.

1938-1940 – Nel 1938 Derain crea numerose sculture nella sua proprietà di Chambourcy. Realizza scenografie e costumi per il balletto Harlequin in the street presentato a Cambridge. Illustra Salomé di Oscar Wilde e le Eroidi di Ovidio. Nel 1939 espone a New York alla Lilienfeld Gallery; il 30 giugno Raymonde Knaublich, la sua modella, dà alla luce il suo primo figlio André, detto Boby. Nel 1940 espone alla galleria Pierre Matisse di New York. Davanti all’avanzata dei tedeschi Derain e la sua famiglia lasciano Chambourcy per la Normandia e poi per la Charente e l’Ariège insieme a Georges e Marcel Braque. Al loro ritorno trovano la casa requisita dalle truppe d’occupazione tedesche. Derain si stabilisce in un appartamento ammobiliato di Parigi, poi in rue de Varenne.

1941-1944 – Dipinge sulle rive della Loira e, fino al 1943, nei dintorni di Fontainebleau. Nel novembre del 1941 compie un viaggio in Germania (dietro il pressante invito di Arno Breker) insieme a Vlaminck, Van Dongen, Despiau, Friesz e altri artisti. Questa partecipazione alla propaganda culturale orchestrata da Goebbels nella Germania nazista, oltre al fallimento della richiesta di liberare gli artisti deportati e prigionieri di guerra – inganno ordito per convincere gli artisti importanti a partire – comporta pesanti conseguenze sulla carriera di Derain, che viene ingiustamente sospettato di collaborazionismo. Nel dicembre del 1944 fa ritorno alla sua casa di Chambourcy.

1945-1954 – Riprende L’Age d’Or (La chasse), e dal dopoguerra disegna molti costumi e scenografie per il teatro e l’opera (Mam’zelle Angot, 1947; Que le diable l’emporte, 1948; Les Femmes de bonne humeur, 1950; La Valse, 1950, Il ratto del serraglio di Mozart, 1951; Il barbiere di Siviglia di Rossini, 1953). Prende parte ad alcune mostre dedicate al fauvismo (Galerie Bing, Parigi, 1947; Kunsthalle di Berna, 1950; Sydney Janis Gallery, New York; a Londra nel 1951 e a New York nel 1953). La galleria Pierre Matisse di New York gli dedica una personale nel gennaio del 1944. Nella prima metà degli anni Cinquanta la salute di Derain peggiora drasticamente. Nel luglio del 1954 è investito da un’auto: muore l’8 settembre. Nel dicembre di quello stesso anno il Musée national d’Art moderne di Parigi gli dedica un’importante retrospettiva (179 opere), curata dal direttore Jean Cassou insieme alla moglie Alice.

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Mendrisio: André Derain. Sperimentatore controcorrente
Mendrisio: André Derain. Vita e opere di un’icona artistica del Novecento

IMMAGINE DI APERTURA – Femme au long cou, post 1938, bronzo 32 x 19.5 x 4 cm, Collezione privata, Montagnola © 2020, ProLitteris, Zurich

Mendrisio: André Derain. Sperimentatore controcorrente

Museo d’arte Mendrisio (Svizzera)
27 settembre 2020 – 31 gennaio 2021
André Derain. Sperimentatore controcorrente
Il sito Web: https://museo.mendrisio.ch/mostre/

Curata da Simone Soldini, Francesco Poli e Barbara Paltenghi Malacrida, la mostra presenta, grazie alla collaborazione degli Archivi André Derain e ai prestiti di alcuni prestigiosi musei francesi, 70 dipinti, 30 opere su carta, 20 sculture, 25 progetti per costumi e scene teatrali, illustrazioni di libri e alcune ceramiche per ripercorrere la creatività vulcanica e l’attività poliedrica di questo massimo protagonista dell’arte moderna.

Geneviève à la pomme 1937-1938 olio su tela 92 x 73 cm Collezione Geneviève Taillade © 2020, ProLitteris, Zurich

André Derain è una delle grandi figure della rivoluzione artistica dell’inizio del XX secolo, sia pittorica sia scultorea, un’icona dell’arte del Novecento, amico di Picasso, Matisse, Braque, Giacometti.

Derain ha formato con Henri Matisse e Pablo Picasso la triade di artisti che ha completamente cambiato a livello mondiale l’arte del Novecento. Derain è stato a capo e ispiratore di molte delle maggiori correnti della pittura moderna e contemporanea. È stato l’erede dell’Impressionismo, l’iniziatore della pittura Fauve e uno dei padri del Cubismo, nonché il precursore del Ritorno al Classicismo.

Nei primissimi anni del Novecento, una manciata di artisti cambiò completamente il modo di vedere l’arte. Tra i massimi innovatori ci furono Derain e Matisse, che trascorsero vari anni a dipingere insieme i paesaggi di mare a Collioure, nel Sud della Francia.  I due diedero vita tra il 1905 e il 1910 a un movimento per il quale si coniò il termine Fauve, cioè il gruppo dei “Selvaggi”, a causa dei vivacissimi, infuocati colori che caratterizzavano le loro opere.
Anche Picasso nutrì grande ammirazione e stima per Derain, soprattutto all’inizio del secolo scorso. A partire dal 1910, per diversi anni, Derain e Picasso collaborarono tra di loro e si studiarono reciprocamente. Si frequentarono molto e la loro amicizia durò fino agli anni Trenta. Fu Derain a introdurre Picasso nel mondo dell’arte africana e con Derain Picasso fece i primi passi verso il Cubismo. Entrambi furono amanti della mondanità, uomini di grande successo, celebrità delle arti del XX secolo. Ma se la fortuna di Picasso crebbe per tutto il secolo, quella di Derain ebbe un brusco, momentaneo declino dopo la seconda guerra mondiale, complice il mondo delle gallerie d’arte e del mercato.

Il Cubismo, grande tendenza di cambiamento all’inizio del ‘900, ebbe origine da Georges Braque, oltre che da Derain e Picasso. Braque e Derain strinsero amicizia proprio verso il 1909 e per vari anni vissero l’uno vicino all’altro. Nel periodo in cui dipinsero insieme nel quartiere parigino della Ruche, Braque apprezzò molto il Primitivismo di Derain e quest’ultimo guardò molto al moderno classicismo di Braque. Dei suoi vecchi amici, Braque fu l’unico ad aiutare Derain nei momenti di difficoltà, subito dopo la seconda Guerra Mondiale.

Chi amò particolarmente l’opera di Derain fu Alberto Giacometti. Al grande artista svizzero piaceva in particolar modo la capacità di Derain di cambiare stile rifacendosi alla tradizione dell’arte antica. Derain rimase sempre legato alla pittura figurativail ritratto, il paesaggio, le nature morte – e trovò ispirazione dall’arte greca e romana, su su fino ai grandi maestri dell’Ottocento. Giacometti dedicò un lungo articolo alla sua straordinaria capacità di raccogliere idee da tutta la storia dell’arte, trasformandola in qualcosa di personale. Alla morte del maestro, fu Giacometti ad aiutare i famigliari a salvare decine di sculture di Derain.

Grazie alla collaborazione degli Archivi André Derain e ai prestiti di alcuni prestigiosi musei francesi, il Museo d’arte Mendrisio organizza una retrospettiva di ampio respiro sull’opera di Derain: 70 dipinti, 30 opere su carta, 20 sculture, 25 progetti per costumi e scene teatrali, illustrazioni di libri e alcune ceramiche ripercorrono la creatività vulcanica e l’attività poliedrica di questo massimo protagonista dell’arte moderna.

Già a partire dalla metà degli anni Dieci, perseguendo una sua personale attitudine teorica e culturale, Derain sceglie una direzione di ricerca decisamente in controtendenza rispetto allo spirito avanguardistico che aveva caratterizzato la sua prima fase.

Negli anni Venti e Trenta raggiunge un grande successo internazionale, ma a causa di questo cambiamento di rotta, pur mantenendo una posizione di primissimo piano sulla scena artistica parigina, viene criticato dall’ambiente dell’avanguardia. André Breton, che era suo grande ammiratore, lo accusa (al pari di Giorgio de Chirico) di aver esaurito la sua autentica vena creativa e di essersi rifugiato in una dimensione nostalgica della tradizione, inaridendo il suo incontestabile talento.

Anche se nel 1925 dichiara «Che ingenuità o che debolezza parlare di inquietudine della pittura moderna», Derain non può sfuggire alla sua condizione di artista moderno e la direzione “inattuale” della sua impronta stilistica non annulla affatto la dimensione esistenziale ed estetica di quell’inquietudine (e neanche la sua originalità) ma la trasferisce su un piano operativo differente, in modo affascinante e paradossale.

La sua ricerca è caratterizzata dalla singolare raffinatezza intellettuale dei suoi continui scarti stilistici e da un’ossessiva volontà di spingere la pratica pittorica sull’orlo dell’abisso del nulla, nell’ostinata e impossibile intenzione di arrivare a cogliere «il segreto delle cose» attraverso quella che lui definisce «archipeinture». Chi ha forse compreso meglio di tutti il senso autentico della sua arte è Alberto Giacometti, che diventa suo grande amico, dal 1936 in poi.

Nell’ultima fase della sua vita Derain si isola sempre di più, e non basta una mostra postuma al Musée National d’Art Moderne di Parigi nel 1954 (anno della sua scomparsa) per riportare l’attenzione della critica dominante sulla sua opera, di cui è apprezzato solo il primo periodo avanguardista.

Per l’avvio di una vera rivalutazione dell’artista in chiave più attuale bisogna aspettare fino a quando la sua complessa e apparentemente contraddittoria avventura artistica viene riletta da una prospettiva critica postmoderna e non più soltanto all’interno di una visione evolutiva dell’arte scandita dal succedersi delle tendenze moderniste. Importante in questo senso è stata, in particolare, la grande retrospettiva al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (1994-95) intitolata significativamente Le peintre du trouble moderne.

Da allora, fortunatamente, il ritorno d’interesse per quest’affascinante e controversa figura maggiore dell’arte del Novecento va progressivamente crescendo.

La mostra organizzata dal Museo d’arte Mendrisio, nell’ambito della sua attività espositiva dedicata ai grandi maestri moderni, intende esplorare tutti i principali aspetti della ricerca di Derain, e in particolare contribuire a rimettere a fuoco e rivalorizzare le peculiari qualità della sua complessa e articolata produzione fra le due guerre e fino alla sua morte.

Per ciò che concerne la pittura viene analizzata in particolare l’evoluzione e le sperimentazioni stilistiche e tematiche, oltre ai numerosi riferimenti impliciti o espliciti dei più diversi territori dell’arte di tutte le epoche. E questo nei vari generi: il paesaggio, la natura morta, il ritratto, il nudo femminile, le composizioni più articolate.

Altrettanto significativa, anche se più ridotta è la produzione scultorea, che viene documentata con un gruppo molto interessante di lavori.

Appassionato di teatro, l’artista collabora a molte importanti messe in scene di spettacoli e balletti. Una sezione mette in luce questo aspetto meno noto ma molto rilevante dell’attività dell’artista attraverso una selezione di disegni, bozzetti e documenti fotografici.

Un catalogo di circa 230 pagine, edito dal Museo d’arte Mendrisio, documenta con fotografie storiche e schede tutte le opere in mostra, introdotte dai contributi di studiosi e curatori e seguite dai consueti apparati riportanti una bibliografia scelta e una selezione delle esposizioni. Vengono inoltre pubblicati alcuni testi teorici esemplari dell’artista, tradotti per la prima volta in italiano.

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Mendrisio: André Derain. Sperimentatore controcorrente
Mendrisio: André Derain. Vita e opere di un’icona artistica del Novecento

IMMAGINE DI APERTURA – Le vieux gaulois, post 1938, bronzo 39.5 x 14 x 18 cm Collezione privata © 2020, ProLitteris, Zurich

Il turismo italiano contribuisce all’economia più di Francia e Spagna

di Francesca Cicatelli
Enit – Direzione Esecutiva – Comunicazione e Ufficio Stampa Enit

Il turismo italiano concorre all’economia più di Francia e Spagna. Il contributo diretto del turismo all’economia italiana nel confronto internazionale in termini economici (mantenendo fermo il PIL nazionale totale economia 2019) diminuirà di -2,6 punti percentuali nel 2020 (3,2% del PIL) rispetto al 2019 (5,7% del PIL). Sebbene significativo, questo calo è inferiore a quello di molti altri Paesi: 4,5% la Francia, -3,1% la Spagna. “La flessibilità del nostro sistema di offerta compensa parzialmente la riduzione dei flussi stranieri grazie alla capacità dei nostri operatori di attrarre sia il mercato domestico” dichiara il Presidente Enit Giorgio Palmucci. In effetti, il contributo diretto del turismo in Italia all’economia in generale si riduce di poco meno della metà, rispetto a più della metà per tutti gli altri Paesi selezionati. L’analisi delle prenotazioni aeroportuali da settembre fino a novembre nel confronto con i competitor diretti Spagna e Francia, rileva in Italia 49mila 588 prenotazioni a settembre, 43mila 501 a ottobre e a novembre di 18mila 538 prenotazioni, per un totale di 162 mila 083 prenotazioni aeroportuali da agosto a novembre, grazie alla migliore performance prevista per settembre e ottobre. Nel complesso tra agosto e novembre sono 170mila 587 prenotazioni di passeggeri aeroportuali internazionali per la Spagna e 154 mila 873 per la Francia, su cui l’Italia ha un vantaggio competitivo. Dagli ultimi aggiornamenti si prevede che i visitatori internazionali pernottanti diminuiranno del -58% (37 milioni di visitatori) nel 2020. Il numero dei pernottamenti diminuirà di 126 milioni rispetto al 2019. Sul mercato domestico è confermato il trend discendente del -31% (16 milioni di visitatori); i pernottamenti domestici si prevedono inferiori di 46 milioni nel 2020 rispetto al 2019. I mercati di prossimità restituiscono la seguente fotografia del turismo. Attraverso 4500 contatti per individuare il campione valido di 1.500 vacanzieri all’estero, tra francesi, tedeschi e britannici è emerso che per le future vacanze in Italia i Paesi di prossimità come Francia, Germania e Uk si orienteranno su varie combinazioni di prodotto. I francesi e i britannici su cultura, vacanza gourmand e mare; i tedeschi il mare si abbina alla cultura e al relax. Interessante per i turisti britannici anche il folklore e la vacanza sociale in gruppi. Tra le esperienze interessanti per i turisti britannici anche la tradizione ed il folclore e la vacanza sociale. Tra le destinazioni che vorrebbero visitare ci sono le bellezze toscane (69%) con in testa Firenze e Pisa, quelle lombarde (65%) con Milano e il lago di Como, il Lazio (63%) con Roma (61%), il Veneto (62%) con Venezia e le altre città venete e la Campania (60%) con Napoli, le zone archeologiche, Ischia e Capri. Quella futura in Italia sarà una vacanza di coppia o in famiglia con i bambini per tutti, in media in gruppo di 3/4 persone, di durata di 9/10 notti. Si tratterà di una vacanza tutto compreso per il 50% dei britannici, il 30% dei tedeschi ed il 29% dei francesi. L’alloggio per la futura vacanza in Italia sarà in hotel 4 o 5 stelle per i turisti da UK (45%), 3 stelle per i francesi (34%). Tra chi utilizzerà le abitazioni private i tedeschi (25%) in particolare in affitto (21%).

IMMAGINE DI APERTURA Foto di Wolfgang Eckert da Pixabay

Vincent van Gogh – Ritratto del dottor Gachet

Ritratto del dottor Gachet, 1890, Collezione privata

IL DIPINTO

Il Ritratto del dottor Gachet è un’opera pittorica di Vincent van Gogh eseguita nel 1890. Paul Gachet era un medico psichiatra, amante dell’arte: incontrò Vincent van Gogh tramite il fratello di lui Theo e immediatamente i due si trovarono in sintonia nell’analoga visione dell’arte. Il dottore si rese disponibile a posare per Vincent, che da tanto tempo cercava un modello da ritrarre dal vero. Lavorando in comunione alla realizzazione dell’opera i due ottennero un risultato straordinario. Il dottore ne fu talmente compiaciuto che ne volle la realizzazione di una copia. Il dipinto è estremamente innovativo: Van Gogh abbandonò le pose statiche e convenzionali dei precedenti dipinti. Il triste volto del dottore è «l’espressione disillusa del nostro tempo» ebbe modo di affermare Van Gogh in una lettera indirizzata al collega ed amico Paul Gauguin (lettera n. 643 del giugno 1890). In un altro messaggio al fratello Theo in cui descrive l’ultimo frutto della sua passione, il pittore dichiarò: «la testa con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto. Le mani sono mani da ostetrico, più chiare del volto.» (lettera n. 638, datata 4 giugno 1890). Nel ritratto l’artista attua un forte contrasto cromatico. In primo piano, sul tavolo, accanto ai libri una pianta di digitale. Diverse inclinazioni del pennello sono abbinate nell’insieme; dense e marcate pennellate che animano la giacca del dottore e lo sfondo, omogeneamente accompagnano le dritte e piatte linee del tavolo. Infine la parte superiore dell’opera è separata da una linea ondulata.

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Autoritratto, 1887, The Art Institute of Chicago

L’ARTISTA

Vincent Willem van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese. Fu autore di quasi novecento dipinti e di più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e i tanti appunti destinati probabilmente all’imitazione di disegni artistici di provenienza giapponese. Tanto geniale quanto incompreso se non addirittura disprezzato in vita, Van Gogh influenzò profondamente l’arte del XX secolo; dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì all’età di soli trentasette anni. Iniziò a disegnare da bambino nonostante le continue pressioni del padre, pastore protestante che continuò ad impartirgli delle norme severe; continuò comunque a disegnare finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere tardi, all’età di ventisette anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all’esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet.

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