William Hogarth: Marriage à-la-mode / Poco tempo dopo il matrimonio

di Sergio Bertolami

Come sappiamo, i dipinti originali furono acquistati da John Lane, di Hillingdon, il quale in una lettera al signor Nichols, ha descritto i particolari di quella singolare transazione. Nell’anno 1750, William Hogarth pubblicizzò la vendita degli originali, dando luogo a una sorta di asta. Ogni potenziale acquirente avrebbe dovuto fare pervenire la propria offerta personale mediante un biglietto scritto su carta intestata e controfirmato, dove era riportato il prezzo disponibile a pagare. Queste offerte avrebbero dovuto pervenire ad Hogarth entro un mese dall’avvio della gara. Alle dodici dell’ultimo giorno del mese i quadri sarebbero andati al migliore offerente. Nessun altro, tranne coloro che avevano presentato per iscritto le offerte, sarebbe stato ammesso all’acquisto il giorno in cui il pittore avrebbe determinato la cessione dei sei dipinti. Questo strano metodo di vendita, del tutto nuovo per quanti apprezzavano le opere di Hogarth, portò uno sconvolgimento tale da sembrare esserci un atteggiamento concordato fra quanti erano contrari all’illustre pittore. Insomma, parve che l’approvazione straordinaria verso le sue opere, fosse all’improvviso venuta meno. Se questo fosse davvero il caso – scriveva John Lane nella sua lettera – i detrattori realizzarono pienamente la propria intenzione.

Nel giorno stabilito di giugno 1750, verso le undici, il fortunato acquirente, Mr. Lane, arrivò al Golden Head. Grande fu la sua sorpresa. Si aspettava di trovare il salone dei dipinti pieno di nobili e illustri personaggi. Questo era accaduto in altre situazioni di cui era stato testimone, ad esempio nel 1745, quando Hogarth mise in vendita molti dei suoi quadri. Quel giorno, al contrario, trovò solo il pittore e il suo ingegnoso amico Dr. Parsons, segretario della Royal Society. Questi signori sedevano nella sala dei dipinti, parlottando fra loro mentre aspettavano almeno un certo numero di spettatori, se non proprio di offerenti. Quando si aprì la busta, Hogarth dovette constatare che quell’unica offerta pervenuta era da considerarsi l’offerta più alta, fatta per iscritto da un gentiluomo secondo le regole prefissate. L’offerta ammontava a £ 126. Nessun altro entrò una decina di minuti prima di mezzogiorno, ora segnata dall’orologio posto nella stanza. Il signor Lane precisò anche a voce quanto aveva scritto nella sua lettera d’offerta. L’orologio batté le dodici e Hogarth augurò gioia al signor Lane per il suo acquisto, con la speranza che il fortunato acquirente fosse soddisfatto. Il signor Lane, sorpreso dell’inaspettato favore della sorte, rispose: «È precisamente così».

La transazione doveva a quel punto considerarsi conclusa, quando inaspettatamente seguì un inconveniente, suscitato dall’amico di Hogarth, il Dottore. In verità, ciò che seguì disturbò, più che il signor Lane, lo stesso Hogarth, che parve manifestare in volto una grande e ragionevole delusione. Il Dottore disse a Hogarth che aveva fatto un errore grave, perché aveva deciso di fissare la vendita a un’ora poco conveniente; cioè proprio quando le persone importanti in quella parte di città si erano da poco alzate dal letto. Hogarth perplesso rispose: «Forse può essere così». Il signor Lane, dopo qualche istante di sorpresa concordò col Dottore, aggiungendo di essere anche lui dell’opinione che quelle pregevoli opere di pittura fossero davvero mal pagate; pertanto, se Hogarth pensava che più tempo gli sarebbe stato di qualche utilità, gli avrebbe concesso fino alle tre, per trovare un acquirente migliore di sé stesso. Hogarth accettò calorosamente l’offerta ed espresse i suoi riconoscimenti per la generosità manifestata dal signor Lane. Ricevette grandi encomi anche dal Dottore, che si offrì di rendere pubblica quella proposta disinteressata ed altruistica. Il signor Lane preferì, invece, che il fatto rimanesse riservato.

Circa una o due ore prima di quanto gli aveva concesso il signor Lane, Hogarth intervenne asserendo che non avrebbe più abusato della sua generosa disponibilità e che, se il signor Lane era soddisfatto del proprio acquisto, lo stesso Hogarth era ampiamente soddisfatto della propria vendita. Desiderava soltanto che il signor Lane gli promettesse che non si sarebbe mai liberato dei dipinti senza prima informarlo della sua intenzione. Il signor Lane tenne i sei quadri finché visse, nonostante varie offerte d’acquisto. Parlò anche più volte con Hogarth di questa sua determinazione a non cedere i quadri a nessuno. Un eminente pittore un giorno disse al signor Lane: «Questi dipinti sono certamente l’opera più faticosa e finita del grande Maestro; con essi è come possedere l’anima di Hogarth». Soltanto dopo la morte del signor Lane, questi sei quadri incomparabili furono messi all’asta da Mr. Christie’s, il 10 marzo 1792.

Scena seconda – Poco tempo dopo il matrimonio

(S.B.) La seconda scena del racconto di Hogarth è intitolata The Tête à Tête (il nome è segnato sulla sua cornice) e vi compaiono le prime avvisaglie di un matrimonio che non lascia presagire niente di buono. La coppia è infatti più “scoppiata” che mai. Nel lussuoso salone della loro nuova residenza i giovani sposi siedono ai lati di un tavolino dove è stata predisposta la prima colazione. Facendo però attenzione, l’orologio a parete segna venti minuti dopo mezzogiorno. Anche questa seconda scena, come la prima, si presenta incredibilmente piena di contrasti. La signora si è alzata da poco; intorno la confusione regna sovrana. Le candele, ridotte a mozziconi ancora fumanti, spuntano dal grande lampadario a bracci e dai candelabri. Un cameriere ha preso a riordinare le sedie intorno ai tavoli, sbadigliando in modo svogliato, dopo l’intera notte che lo ha impegnato al servizio degli ospiti. È del tutto indifferente al fatto che una candela minaccia di riprendere fuoco a poca distanza da lui. Almeno in parte, i divertimenti dell’allegra compagnia sono suggeriti dai tavoli verdi e dalle carte da gioco sparse sul pavimento. Una poltroncina in primo piano è rovesciata; a fianco sono abbandonati a terra i violini con le custodie e la raccolta di partiture eseguite nottetempo dai musici. Tanti dettagli che indicano come il decoro rigido dell’alta nobiltà del passato non sia stato minimamente rispettato da parte dei presenti, né richiesto della padrona di casa. Da un lato del caminetto, la bella e vanitosa padrona di casa siede al tavolino dove le è stato preparato un vassoio d’argento con teiera, una singola tazza e un piattino dal quale non ha rimosso neppure il tovagliolo. A malapena, con sonnolenza tenta di riprendersi dalle fatiche del festino. Con uno specchietto in mano, si sta stiracchiando, mentre guarda in tralice il consorte. Ai suoi piedi è caduto un libro con la scritta “Hoyle on Whist”, ovvero i consigli di Hoyle riguardo al Whist. È il breve manuale, pubblicato nel 1742 da Edmond Hoyle, noto per avere teorizzato per primo pratiche e tecniche del Whist, un gioco di carte molto in voga, semplice in quanto a regole, ma difficile ad essere giocato con abilità. La signora in déshabillé appare disfatta, sia negli atteggiamenti che nell’aspetto. Per Hogarth (come ebbe a sottolineare) «una ciocca di capelli che cade scomposta lungo le tempie ha un effetto troppo provocante per essere rigorosamente decente». È intorno a lei e alla sua lussuriosa mondanità che si è riunita l’allegra brigata, dal momento che il visconte suo marito ha passato le stesse ore fuori di casa, a gozzovigliare chissà dove.

Il giovane aristocratico è da poco tornato dalle sue avventure notturne. Dall’atteggiamento prostrato, dallo sguardo vacuo, si può chiaramente intuire come il suo stato fisico e mentale siano diretta conseguenza della dissoluzione. È rientrato da lunghe ore di baldoria. Il soprabito riccamente adornato lascia intravvedere il gilet sbottonato, la camicia disordinatamente fuori dalle brache, le calze di seta abbassate. Anche i suoi capelli sono sciolti, e, nonostante sia alla presenza di una signora, non si è neppure tolto il suo fregiato copricapo. Malconcio, è accasciato dall’altro lato del caminetto, come a prendere le distanze da sua moglie. Ambedue le mani conficcate nelle sue tasche. Fantastica ancora sulle grazie dell’amante appena lasciata. Da una tasca gli pende un suo capo d’abbigliamento intimo, sembra una cuffietta da notte (che si è portato via come prova di conquista), mentre un cagnolino ne sta annusando il profumo. Ai piedi del giovane è gettato il cinturone e lo spadino spezzato, segno inequivocabile che ha ingaggiato un duello, chissà, forse per difendere l’onore della donna: a causa di una parola licenziosa di un altro pretendente o per la facezia di un compagno di stravizi. Ma ripensa anche ai giri sfortunati di carte, che ancora una volta gli hanno fatto sborsare qualche bella somma. Lo esprime bene il volto agitato dell’anziano maggiordomo, che svolge anche il compito di amministratore dei conti di casa. Porta sottobraccio il Libro mastro e in tasca una copia di Regeneration, noto sermone metodista. Esprime mirabilmente la sua piena convinzione che la rovina finanziaria, dopo aver colpito il conte padre, interesserà inevitabilmente anche il visconte figlio e la sua esaltata consorte. Il maggiordomo stringe fra le mani un gran numero di cambiali da pagare, perché solo una fra queste è stata onorata: la ricevuta porta la data del 4 gennaio 1744. L’apparente intrusione di questo personaggio indica, da parte di Hogarth, come in quel tempo certi contabili solerti fossero generalmente considerati volgari, perché troppo impertinenti e molesti per una élite alla moda, in tutt’altre faccende affaccendata. Non sono di questo avviso, al contrario, le figure che compaiono alle pareti. I loro sguardi di disapprovazione verso i padroni casa sono espliciti.

Sul caminetto la coppia ha esposto nuovi acquisti di scarso pregio artistico: una sfilza di chincaglierie in vetro, onice, marmo, ad indicare un lusso senza eleganza né gusto. Spicca però, al centro della mensola, un pezzo d’antiquariato, sembra una Faustina romana col naso rabberciato, segno di poca o nessuna cura nel trattare reperti antichi e preziosi. Sul retro un dipinto è incastonato in una cornice marmorea poderosa, culminante con un frontone che onora il gusto classicheggiante del proprietario. Il dipinto rappresenta un Cupido che suona il flauto, non a caso assiso su delle rovine. Oltre l’arco, sorretto da una coppia di colonne con capitelli corinzi, compare un quadro di cui si scorge semplicemente un piede. Probabilmente una Danae, della quale è coperta ogni sensuale nudità. Nel salone, arredato nel corso del festino con tavolini da gioco rimovibili, fanno mostra alle pareti I quattro evangelisti ad evidenziare ogni contrasto morale. Sotto i dipinti, infatti, una fila di specchi riflette l’effettiva smoderatezza dei frequentatori di quell’ambiente. Nelle sue caratteristiche decorative il salone, raffigurato da Hogarth, si ispira satiricamente agli interni decorati da William Kent, all’epoca talmente in voga che nessuna villa o palazzo avrebbero potuto essere costruiti o arredati senza ricorrere al suo geniale gusto artistico.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra