William Hogarth: Marriage à-la-mode / Dal Ciarlatano

di Sergio Bertolami

Nella terza scena di Marriage à-la-mode, denominata The Inspection (il nome è riportato sulla cornice), ma generalmente ricordata come The visit to the quack doctor (La visita al dottore ciarlatano), William Hogarth tocca il tema della sifilide, la terribile malattia venerea, che fra Sette e Ottocento sarà al centro di molte narrazioni. In verità, si era già diffusa in Europa, probabilmente a partire dalla scoperta dell’America. All’epoca, un autore riportava nel suo trattato scientifico: «Al momento in cui pubblico la mia opera, tramite contatto venereo è giunta a noi dall’Occidente una malattia nuova, o quantomeno sconosciuta ai medici che ci hanno preceduto, il mal francese. Tutto il corpo acquista un aspetto così ripugnante, e le sofferenze sono così atroci, soprattutto la notte, che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra, generalmente incurabile, o l’elefantiasi, e la vita è in pericolo» (Alexandri Benedicti Veronensis, Physici Historiae Corporis Humani, 1497). La sifilide si trasmette soprattutto durante il contatto sessuale, ma è possibile che interessi anche la gravidanza, passando dalla madre al feto. I gravosi effetti sociali potevano essere limitati da accorgimenti come l’uso di preservativi durante il rapporto sessuale, che comunque non garantivano la piena efficacia. In casi particolari anche un bacio profondo o una stimolazione orale potevano creare rischi d’infezione.

Non era la prima volta che Hogarth toccava l’argomento, basti pensare alla serie di dipinti ed incisioni riguardanti la Carriera di una prostituta del 1732.  Tuttavia, nella scena con il ciarlatano, la sifilide è la protagonista assoluta. Sul tavolo del finto medico campeggiano un teschio, intaccato dagli effetti della malattia e un trattato di medicina. Il problema, come ben si comprende, non era essenzialmente, medico, ma sociale perché legato alla trasmissione del contagio. Le autorità sanitarie chiaramente ponevano il massimo di attenzione alle case di piacere e alle prostitute considerate le maggiori responsabili della diffusione. Nella scena Hogarth capovolge il pensare comune, dal momento che è il giovane visconte ad avere infettato “troppo presto” la ragazzina offerta dalla maîtresse, che ora è adirata per aver perso una buona occasione di guadagno. Quale sia il destino ineludibile della sventurata Hogarth lo aveva già narrato nel 1732. Ma tornerà sulla malattia nell’ultima scena di questo stesso ciclo pittorico, e stavolta l’infezione avrà colpito una bambina del tutto innocente.

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Scena terza – Dal Ciarlatano

(S.B.) Nelle due stampe precedenti, gli sposi promessi hanno stretto il loro contratto matrimoniale e sono convolati a nozze, pur continuando a mostrare insensibilità l’uno verso l’altro. Questo non avveniva comunemente in tutti i matrimoni combinati dell’epoca, dal momento che spesso si instaurava fra coniugi un minimo rispetto. Nella terza scena, per esemplificare la probabile conseguenza dell’amore licenzioso, lo sguardo di Hogarth si sposta ora nello studio di un ciarlatano, richiamandosi ad un tal dottor Misaubin, personaggio di dubbia fama nella Londra del tempo, spacciatore di farmaci antivenerei e di pillole miracolose, che gli valsero il soprannome di Mr. Pilule. Qui il medico è rappresentato come un losco figuro, piccolo e tozzo, all’interno di un ambiente che raccoglie svariati oggetti che dovrebbero essere inerenti alla sua professione. Sebbene sia solo un cerusico ed eserciti operazioni di bassa chirurgia (come salassi e interventi di scarso impegno) tiene a presentarsi al pubblico come uno specialista, un farmacista, un naturalista, un chimico. Per accrescere il ridicolo, la sua parrucca e il vestire ci dicono che è un francese, perché è un male francese che è chiamato a curare e del quale dovrebbe essere specialista. Sul suo tavolo, infatti, c’è un teschio, aggredito dalla malattia.

Hogarth, per rifinire il suo personaggio, lo presenta anche come inventore di macchine estremamente complicate per svolgere le operazioni più semplici. Su di un marchingegno è esposto un libro in cui è scritto: “Spiegazioni su due macchine superbe, l’una per rimettere in sesto un arto lussato, e l’altra per servire come cavatappi, inventate da Monsieur de la Pillule, viste e approvate dall’Accademia Reale delle Scienze di Parigi”. L’intera stanza risulta stracolma di allusioni: un armadio, con piccoli cassetti di cui i cartigli riportano il contenuto, è sormontato da scaffali con vasi da farmacista, culminanti con una testa imbalsamata di un canide mostruoso. Accanto, due sarcofagi egizi e, a parete, le raffigurazioni di rarissime malformazioni congenite: un essere con le braccia congiunte al capo e un uomo con due teste. Sulla parete di fondo, un grande armadio semi aperto conserva uno scheletro nell’atto di baciare una figura anatomica, forse per ammonire i viventi della realtà della morte (quindi, un messaggio di Hogarth a non fidarsi mai di un ciarlatano). Nell’armadio c’è anche una testa imbalsamata con una parrucca francese. Appesi al soffitto, un coccodrillo impagliato, animale esotico, e un uovo di struzzo, simbolo della superiorità della Fede rispetto alla Ragione. Una fede evidentemente mal riposta. Infissi a muro una congerie di strani reperti. Un corno di narvalo, montato a pennone come una insegna di barbiere. Probabilmente sta a ricordare che il celebrato e prospero professionista in passato svolgeva il mestiere di cerusico. Sembrerebbe, infatti, che proprio quel mestiere di cava sangue gli abbia permesso di raggiungere gli onori in piena regola di cui sta ora sta godendo.

Gli esemplari di storia naturale appesi ostentano espressamente la sua pretesa di essere considerato un naturalista. Come se fossero le pregresse esperienze del suo esercizio, esibite alle menti fiduciose dei suoi ingenui pazienti. Osserviamo un alambicco, un femore enorme forse appartenente a un gigante la cui testa fa mostra di sé, un tripode, un cappello a campana da medico virtuoso e delle vecchie scarpe. Ma anche speroni da cavaliere, una lancia e uno scudo, allusivi probabilmente alle imprese letterarie di Hudibras, colonnello dell’esercito di Cromwell, e del suo scudiero Ralpho, protagonisti di svariate disavventure comiche in conseguenza della loro stupidità e disonestà. Attraverso una porta scorgiamo una stanza ingombra di storte e alambicchi.

La descrizione minuziosa mette in risalto il contrasto con la realtà espressa dai personaggi al centro della scena. Chiedono conto e ragione al ciarlatano sul perché ora si trovino in una condizione del tutto indesiderata, nonostante la sua millantata competenza medica. Il visconte, levando minaccioso la canna, mostra la scatola delle pillole salvifiche, che non lo hanno preservato affatto dalla malattia. Quella malattia che avevamo osservato denunciata, nelle due stampe precedenti, attraverso quella strana macchia nera sul collo. Le pillole di mercurio che il ciarlatano gli aveva prescritto non hanno curato la sifilide del giovane visconte, e neppure gli hanno evitato di trasmettere quel conosciuto e temuto “mal francese” alla minorenne (quasi una bambina) che sta al suo fianco. Con aria timida e frastornata esibisce anche lei la scatola delle pillole e nasconde in parte il viso con il fazzoletto. Porta in capo una cuffietta, che ricorda quella che, adornata di un nastro, pendeva dalla tasca del nobiluomo quando era rientrato a casa dopo avere passato una notte in allegra compagnia. La ragazza è in pratica una giovanissima prostituta che probabilmente è stata concessa per la prima volta al visconte, frequentatore della casa di tolleranza condotta dalla tenutaria, che alle spalle del nobile signore agita un coltello. Il nobile adirato (ma neanche troppo) chiede spiegazioni. Forse per quietare l’ira della maîtresse, che ascolta le parole del gentiluomo, mentre minaccia di farsi giustizia da sola. È malata anche lei di sifilide come vediamo dalle macchie sul volto. La ragazzina si asciuga la ferita, comparsa su di un angolo delle labbra. È il primo sintomo della terribile malattia venerea. Il ciarlatano non può che rispondere col suo ghigno impudente, espressione che bene si addice alla sua vile occupazione.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra